polli

  • L’influenza aviaria è arrivata anche al Polo Sud

    Anche il Polo Sud è stato colpito dal virus dell’influenza aviaria H5N1, arrivato probabilmente insieme agli uccelli selvatici provenienti dall’America meridionale.

    Il virus H5N1 è in grado di viaggiare, spostandosi con gli uccelli migratori. Ed è così che dal Sud America ha raggiunto l’Antartide, dove la sua presenza è stata confermata a partire dal 2022 grazie alla ricerca condotta dall’Agenzia britannica per la salute di piante e animali (Apha) e pubblicata sulla rivista Nature Communications.

    La presenza del virus H5N1 in Antartide era stata segnalata tra febbraio e marzo e poi nell’aprile 2024, quando una ricerca australiana lo aveva individuato nella zona nord-occidentale e isolato negli Skua, uccelli simili ai gabbiani e molto comuni lungo le coste antartiche. L’allarme è stato tale da costringere a interrompere le campagne di ricerca sui pinguini.

    Adesso la ricerca condotta dal gruppo dell’Apha guidato da Ashley Banyard, e del quale fa parte il virologo italiano Marco Falchieri, ha trovato il virus H5N1 sia negli uccelli sia nei mammiferi che vivono nelle isole Falkland e nella Georgia del Sud. Oltre che negli Skua, il virus è stato rilevato negli zigoli e nelle sterne; fra gli animali marini, sono state colpite le foche elefante.

    La ricerca britannica fornisce la dimostrazione definitiva di quanto il virus dell’aviaria si sia diffuso su un’area geografica molto vasta, tanto da far scattare un campanello d’allarme per gli animali selvatici che, come quelli antartici, vivono nelle regioni più remote del mondo. In particolare, gli autori della ricerca ritengono opportuno mantenere alta la guardia analizzando in dettaglio la circolazione del virus nell’ecosistema antartico. Osservano, per esempio, come sia importante mettere a punto misure di prevenzione e attuare una sorveglianza continua allo scopo di mitigare i rischi per la fauna selvatica che vive in zone remote, ma non inaccessibili, come dimostra il caso dell’Antartide.

    Il virus potrebbe aver ucciso più di 30mila leoni marini sudamericani e oltre 2.500 cuccioli di elefante marino.

  • La Commissione garantisce agli Stati membri l’accesso a 665.000 dosi di vaccino contro l’influenza aviaria

    L’Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (HERA) della Commissione, nell’ambito del mandato per la preparazione, ha firmato, a nome degli Stati membri partecipanti, un contratto quadro di aggiudicazione congiunta per la fornitura di un massimo di 665.000 dosi di vaccino prepandemico aggiornato contro il virus dell’influenza zoonotica e un’opzione per ulteriori 40 milioni di dosi per la durata del contratto.

    Il vaccino è destinato a coloro che sono più esposti alla potenziale trasmissione dell’influenza aviaria da volatili o animali, come i lavoratori degli allevamenti di pollame e i veterinari. Mira a prevenire la diffusione o i potenziali focolai di influenza aviaria in Europa, proteggendo i cittadini e i mezzi di sussistenza. Si tratta inoltre dell’unico vaccino preventivo contro l’influenza aviaria zoonotica attualmente autorizzato nell’UE.

  • Comunità scientifica americana in allarme per il rischio di nuove pandemie

    La comunità scientifica americana, e per ora solo quella, è in allarme per una pandemia di influenza aviaria potenzialmente «100 volte peggiore del Covid» a seguito della scoperta di un raro caso umano in Texas. L’influenza aviaria H5N1 si è diffusa rapidamente da quando è stato rilevato un nuovo ceppo nel 2020, colpendo gli uccelli selvatici in ogni stato, così come il pollame commerciale e gli allevamenti da cortile. Ma ora è stato rilevato anche nei mammiferi, con allevamenti di bovini in quattro Stati che sono stati colpiti e i funzionari sanitari federali hanno annunciato che un lavoratore del settore lattiero-caseario in Texas ha contratto il virus.

    «Questo virus è stato in cima alla lista delle pandemie per molti, molti anni e probabilmente decenni. E ora ci stiamo avvicinando pericolosamente a questo virus che potrebbe causare una pandemia», ha spiegato il dottor Suresh Kuchipudi, un ricercatore sull’influenza aviaria di Pittsburgh, sottolineando che il virus H5N1 è già stato rilevato in specie in tutto il mondo e «ha dimostrato la capacità di infettare una serie di mammiferi, compreso l’uomo. Quindi, a mio avviso, penso che questo sia il virus che rappresenta la più grande minaccia pandemica che si sta manifestando a livello globale».

    Anche John Fulton, consulente dell’industria farmaceutica per i vaccini e fondatore della canadese BioNiagara: «Sembra che questo sia 100 volte peggiore del Covid o potrebbe esserlo se mutasse e mantenesse il suo alto tasso di mortalità. Una volta che sarà mutato per infettare gli esseri umani, possiamo solo sperare che il tasso di mortalità non sia alto».

    Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa il 52% delle persone che hanno contratto l’H5N1 dal 2003 sono morte. Per fare un confronto, il Covid attualmente uccide meno dello 0,1% delle persone infettate, anche se all’inizio della pandemia il tasso di mortalità era di circa il 20%. I sintomi dell’influenza aviaria sono simili a quelli di altre influenze, tra cui tosse, dolori muscolari e febbre. Alcune persone potrebbero non sviluppare sintomi evidenti, ma altre possono sviluppare una polmonite grave e pericolosa per la vita. Il lavoratore del settore lattiero-caseario in Texas che è stato infettato ha segnalato «arrossamento degli occhi (compatibile con congiuntivite) come unico sintomo», hanno osservato i Centers for Disease Control. «Al paziente è stato detto di isolarsi ed è in trattamento con un farmaco antivirale per l’influenza», ha affermato il CDC.

    L’esperto ha sostenuto che il virus non rappresenta un grosso rischio per la popolazione, sottolineando che il lavoratore del settore lattiero-caseario era in contatto diretto con bovini infetti, e il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha garantito che attualmente non ci sono cambiamenti che lo renderebbero più trasmissibile ai umani. «Sebbene siano possibili casi tra esseri umani a diretto contatto con animali infetti, ciò indica che l’attuale rischio per la popolazione rimane basso», ha scritto il dipartimento in una nota durante il fine settimana. Ma il fatto che il virus sia stato trovato nei bovini potrebbe significare che sta iniziando a mutare, ha detto Cohen al Washington Post.

    «Non avevamo riscontrato l’influenza aviaria nei bovini prima della scorsa settimana. Questa è una novità. È un serbatoio affinché il virus possa circolare e potenzialmente cambiare. Se il virus dovesse mutare abbastanza da infettare l’uomo potrebbe diffondersbni rapidamente», ha avvertito mercoledì l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, secondo Fox News. «Se i virus dell’influenza aviaria A [H5N1] acquisissero la capacità di diffondersi in modo efficiente tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala a causa della mancanza di difese immunitarie contro i virus H5 negli esseri umani», la conclusione dell’Autorità per la sicurezza alimentare.

  • Aumentano i casi di influenza aviaria, allerta negli allevamenti

    Aumentano in Italia i casi di influenza aviaria tra gli uccelli selvatici ed il timore è quello di un salto di specie del virus anche verso l’uomo. Per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale hanno invitato tutti i Paesi ad innalzare il livello di allerta sull’arrivo di una nuova pandemia di influenza nella popolazione umana sostenuta da un virus di origine aviaria, ed il ministero della salute italiano ha invitato le Regioni a rafforzare la sorveglianza anche se, al momento, non si registrano focolai di aviaria negli allevamenti di pollame nel nostro Paese.

    Secondo i dati epidemiologici del Centro di referenza nazionale ed europeo per l’influenza aviaria presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), in Italia la circolazione del virus H5N1 è infatti in aumento ra gli uccelli selvatici, con il rischio che questi possano trasmettere il virus agli allevamenti avicoli. Il ministero della Salute ha per questo diramato una nota, indirizzata a tutti i Servizi veterinari regionali e agli Istituti Zooprofilattici, in cui ravvisa la necessità di rafforzare la sorveglianza dei volatili selvatici e l’applicazione delle misure di biosicurezza negli allevamenti avicoli. La diffusione fra gli uccelli selvatici «è in crescita, in Italia come nel resto del mondo – afferma Calogero Terregino, direttore del Centro di referenza per l’influenza aviaria – Nel nostro Paese, i casi di H5N1 nell’avifauna interessano principalmente Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Il ministero ha evidenziato come tale situazione costituisca un rischio costante per gli allevamenti di volatili domestici e come Centro di referenza stiamo monitorando l’evoluzione dell’epidemia su tutto il territorio nazionale».

    Al momento comunque, fa sapere Lara Sanfrancesco, direttore di Unaitalia, associazione delle imprese della filiera avicola italiana, «non ci sono focolai di aviaria negli allevamenti italiani, ma vista l’alta circolazione nelle specie selvatiche stiamo quotidianamente in contatto con le autorità veterinarie. Abbiamo avviato le misure del sistema di biosicurezza: mezzi di trasporto sanificati e ad esempio chiunque entri negli allevamenti professionali deve avere calzari e tute disinfettati e usa e getta». Unitalia guarda con favore anche alla vaccinazione degli animali, i cui trial stanno avendo risultati incoraggianti.

    Negli uccelli selvatici a partire da settembre 2022 sono stati ufficialmente confermati 79 casi di positività fra gabbiani (19), alzavole (13), germani (10) e in altri esemplari di rapaci. Negli uccelli domestici la situazione è più favorevole, dopo l’ondata epidemica che ha investito prevalentemente il nordest nell’inverno 2021-2022, con 317 focolai negli allevamenti. L’ultimo focolaio nel pollame in Italia risale infatti al 23 dicembre 2022. I focolai sono stati riscontrati principalmente in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. In Italia non sono stati registrati casi tra i mammiferi, tuttavia sono previste attività di monitoraggio anche in queste specie. Alcuni animali, come i visoni, potrebbero infatti consentire il riassortimento genetico di diversi virus influenzali, da cui possono emergere varianti virali più pericolose per gli animali e l’uomo. Sono attualmente in corso all’IZSVe studi per approfondire le caratteristiche genetiche e biologiche del ceppo identificato nei visoni in Spagna. Gli studi finora condotti dall’IZSVe indicano comunque un’evoluzione solo parziale del virus che, per il momento, non è in grado di causare un contagio inter-umano. Non si può escludere però che il virus in futuro possa acquisire caratteristiche tali da renderlo trasmissibile da uomo a uomo anche se dalla sua comparsa, nel 1996 in un allevamento di oche in Cina, il virus H5N1 ha provocato casi di infezione anche tra gli esseri umani ma con una frequenza sporadica e in particolari condizioni.

Pulsante per tornare all'inizio