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Bertolli: il patrimonio italiano disperso

L’inconsistenza economica, unita ad una visione strategica che come termine temporale non va oltre il weekend, ha regnato sovrana all’interno delle compagini governative degli ultimi vent’anni. Tutti i ministri, come i diversi Presidenti del Consiglio associati ad economisti da fiera di paese, hanno sempre individuato nell’acquisizione di aziende e brand italiani da parte di gruppi esteri o private Equity come un fenomeno positivo che manifestava “il valore e l’apprezzamento delle nostre imprese”, come, senza dignità, affermò l’ex presidente del consiglio Renzi, spalleggiato dai suoi Centurioni Calenda e Padoan.

Contemporaneamente, queste meravigliose espressioni della cultura economica e politica italiane affermavano, senza pudore, di voler combattere “l’italian sounding”, considerato giustamente come un fenomeno che arreca un danno patrimoniale, economico e di immagine ai prodotti italiani scimmiottando la provenienza dall’italico Paese.

Nel frattempo il gruppo spagnolo Deoleo, titolare del marchio Bertolli, ha deciso di aprire uno stabilimento di produzione di olio d’oliva sulla East Coast degli Stati Uniti. La California rappresenta infatti il 15% delle quote di mercato e, legittimamente, i titolari spagnoli utilizzano il brand italiano per rendere più appetibile la propria produzione di olio la quale, lontana dal luogo di origine storico del brand, ovviamente non proporrà alcuna peculiarità di prodotto espressione del Made in Italy (classico esempio di italian sounding anche se assolutamente legittimo).

Sembra incredibile come questa operazione, assolutamente legittima in quanto i capitali investiti devono risultare liberi da qualunque vincolo per poter adottare ogni strategia che consenta di ottenere maggior remunerazione (Roe), rappresenta l’ennesima sconfitta di una classe politica ed economica incapace di vedere oltre le proprie immediate “maledette provvigioni di vendita”, che siano politiche o economiche, incapaci di comprendere il danno economico e d’immagine per il patrimonio storico e industriale del nostro Paese di cui il marchio Bertolli rappresentava sicuramente un esempio.

Se poi a questo aggiungiamo la folle iniziativa di votare a favore delle importazioni di olio tunisino, che solo nel primo trimestre di quest’anno risultano quadruplicate, abbiamo il quadro completo di una classe politica dirigente ormai ridotta a livello di piazzisti di quarto ordine. Sembra incredibile come, per disonestà intellettuale o per incapacità culturale, da trent’anni a questa parte, in nome di una ipotetica internazionalizzazione delle aziende, vengano svenduti interi pilastri degli asset industriali italiani senza valutare il danno economico e patrimoniale per l’intero sistema economico italiano.

Un sistema economico che dovrebbe trovare invece il proprio sostegno finanziario per un’opera di internazionalizzazione da parte in un sistema creditizio e bancario in linea con le necessità delle aziende italiane che si trovano a combattere contro i colossi mondiali senza avere nessun supporto finanziario e figuriamoci fiscale.

Un sistema politico e bancario che hanno viaggiato all’unisono negli ultimi decenni, incapaci, inconsapevoli o semplicemente ignorando il valore patrimoniale dell’industria italiana la quale, anche nella sua declinazione sottocapitalizzata delle PMI, rappresenta il futuro del nostro Paese. Viceversa, la storia di Bertolli e della dispersione del suo patrimonio è l’esempio impietoso della misera visione strategica e della più assoluta inconsistenza della classe politica e dirigente italiana.

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