Per semplificare la politica agricola comune (PAC) e rafforzare la competitività degli agricoltori, la Commissione europea ha presentato un ampio pacchetto di misure riguardanti gli oneri amministrativi, i controlli, l’attuazione, la risposta alle crisi e le esigenze di investimento del settore. Le modifiche potrebbero far risparmiare fino a 1,58 miliardi di euro all’anno per gli agricoltori e 210 milioni di euro per le amministrazioni nazionali, rendendo al contempo i pagamenti, alcuni obblighi e gli strumenti di crisi più flessibili e più facili da gestire. L’iniziativa è in linea con la bussola per la competitività dell’UE e sostiene la competitività, la resilienza e la digitalizzazione del settore agricolo, come anche, in particolare, i giovani agricoltori e gli agricoltori biologici.
Agricoltura
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La Commissione semplifica la politica agricola comune per sostenere gli agricoltori e rafforzare la competitività
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La digitalizzazione aumenta la produttività del settore agroalimentare
In occasione di Tuttofood Milano, la fiera più importante per il sistema agroalimentare, l’Osservatorio della Fondazione per la Sostenibilità Digitale – la prima Fondazione di ricerca riconosciuta in Italia dedicata ad approfondire i temi della sostenibilità digitale nei suoi impatti ambientali, economici e sociali – ha presentato i risultati della ricerca “Agrifood: la sfida della sostenibilità digitale”. La ricerca di quest’anno ha analizzato e messo a confronto le percezioni e i comportamenti di 4 generazioni di italiani – Generazione Z (18-28 anni), Millennial (29-44 anni), Generazione X (45-60 anni) e Baby Boomer (61-75 anni) – sul ruolo della tecnologia come strumento di sostenibilità, in particolare sui temi riguardanti l’Agrifood.
“Questa ricerca ha messo in luce come la tecnologia possa svolgere un ruolo fondamentale nel rendere l’agrifood più sostenibile, ma anche come le diverse generazioni interpretino in modo diverso questa opportunità. Le nuove generazioni, in particolare la Generazione Z e i Millennial, vedono la tecnologia non solo come uno strumento, ma come un catalizzatore di cambiamento per l’intero settore. Pensare la sostenibilità in chiave sistemica significa anzitutto potenziare efficienza ed efficacia lungo tutta la filiera, ma al contempo accettare una maggiore complessità gestionale per tutti gli attori coinvolti. Per affrontarla servono strumenti digitali all’avanguardia e una solida cultura digitale condivisa per utilizzarli.” – ha spiegato Stefano Epifani, Presidente per la Fondazione per la Sostenibilità Digitale.
Per l’agricoltura italiana il 2024 è stato un anno da record. È quanto emerge dai dati Istat sull’andamento economico del settore agricolo per l’anno appena conclusosi. Nel 2024 torna a crescere l’agricoltura e l’Italia è prima nell’Ue27 per valore aggiunto. Con i suoi 42,4 miliardi di euro di valore aggiunto, l’Italia sorpassa la Spagna che registra 39,5 miliardi, la Francia con 35,1 miliardi e la Germania che si ferma a 31,9 miliardi. Il settore agroalimentare è salito a 586,9 miliardi di euro di fatturato nel 2024 e generato valore aggiunto per il 19% del PIL italiano (+69% in 10 anni). Il peso della filiera agroalimentare estesa che comprende agricoltura, alimentare, distribuzione, intermediazione e distribuzione ha fatto registrare importanti trend di crescita nell’economia italiana: l’8,4% in più rispetto al 2021 e +29% sul 2015, e vede impegnati ben 4 milioni di lavoratori in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio (dati: Unioncamere).
L’indagine dell’Osservatorio è stata realizzata in collaborazione con l’Istituto di Studi Politici San Pio V. I dati raccolti in modalità CATI/CAMI sono stati analizzati utilizzando l’indice DiSITM (Digital Sustainability Index), ideato della stessa Fondazione.
Secondo questo rapporto, un diverso approccio al digitale è necessario per sfruttare le reali leve che esso può offrire per lo sviluppo del settore dell’agrifood.
“Dalla ricerca emerge come sia urgente promuovere una cultura della digitalizzazione trasversale, che non si limiti a colmare il digital divide anagrafico, ma che affronti anche quello tematico e informativo. Le istituzioni dovrebbero, sulla base della ricerca, sviluppare strategie di formazione e sensibilizzazione mirate, che parlino a tutte le generazioni, adattando linguaggi e strumenti ai diversi bisogni e livelli di consapevolezza. Solo così, infatti, sarà possibile sfruttare appieno il potenziale delle tecnologie digitali come leve di cambiamento sostenibile e inclusivo.” – ha continuato Epifani.
Dalla ricerca emergono evidenti differenze generazionali nel rapporto con il digitale e la sostenibilità: il 48 % della Generazione Z e il 33 % dei Millennial si dichiarano utenti digitali attivi e impegnati sul tema della sostenibilità, mentre nelle fasce più mature la propensione cala, con il 32 % della Generazione X e il 52 % dei Baby Boomer che utilizzano poco le tecnologie e attribuiscono minore importanza alla sostenibilità.
Nonostante questo divario, il 67 % degli italiani riconosce alle tecnologie digitali un contributo concreto alla crescita del comparto agroalimentare: un’opinione condivisa dal 71 % di Baby Boomer e Generazione Z, dal 66 % della Generazione X e dal 63 % dei Millennial, che vedono nella digitalizzazione leve fondamentali per migliorare efficienza, sostenibilità e sviluppo complessivo del settore.
Anche in termini di esperienza utente, la consapevolezza del potenziale del digitale è alta: il 66 % degli intervistati ritiene che le tecnologie digitali siano fondamentali per migliorare la qualità dell’esperienza nel settore agroalimentare. A guidare questa visione è ancora una volta la Generazione Z (71 %), seguita da Generazione X e Baby Boomer (entrambi al 66 %) e dai Millennial (63 %).
I dati emersi dalla ricerca evidenziano che, nonostante la maggiore dimestichezza con gli strumenti digitali da parte delle generazioni più giovani, la cultura della digitalizzazione non è ancora sufficientemente diffusa e consolidata in nessuna fascia della popolazione. Ancora troppi italiani, indipendentemente dall’età, ignorano l’esistenza di applicazioni e piattaforme che potrebbero rappresentare strumenti fondamentali per promuovere un’economia più circolare e una sostenibilità ambientale, economica e sociale più consapevole e accessibile.
Se da un lato le generazioni più mature, come la Generazione X e i Baby Boomer, mostrano ancora una certa resistenza culturale e tecnologica all’adozione di strumenti digitali, dall’altro anche i Millennial e la Generazione Z, pur più digitalizzati e attenti alla sostenibilità, evidenziano ampi margini di miglioramento in termini di conoscenza e utilizzo di app orientate alla sostenibilità.
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Coldiretti invoca lo Stato per fare fronte a Trump
Enzo Gesmundo segretario generale della Coldiretti, prevede che i dazi americani impatteranno pesantemente sul sistema agroalimentare italiano: «A pagarne le conseguenze potrebbero essere tutti i cittadini italiani, non solo le imprese che sul mercato statunitense rischiano di perdere 1,6 miliardi. L`Italia non è solo un grande esportatore ma è anche un forte importatore di prodotti agricoli: nel 2024 ha raggiunto la cifra record di 22,5 miliardi con un aumento dell`8%. Dazi, contro-dazi e altre misure nocive rischiano di comprimere rapidamente mercati di prodotti come mais, soia e grano per i quali siamo autosufficienti rispettivamente per il 46%, 32% e 44% Si tratta di elementi determinanti per la dieta degli italiani, in maniera diretta come il grano per la pasta o indiretta come il mais e la soia destinati all`alimentazione degli animali da allevamento che poi producono il latte, la carne e i formaggi che finiscono sulle nostre tavole».
Di fronte a questo scenario, Gismundo invoca «un nuovo piano agricolo nazionale che consente di colmare il gap produttivo, ma anche di generare effetti positivi su ambiente e paesaggio» argomentando che «la scomparsa dì terreni fertili ha bruciato 21 miliardi in valore di prodotti agricoli in poco meno di un ventennio, Confrontando i risultati dei censimenti agricoli dal 2000 al 2020, la superficie agricola totale è passata da 18,8 milioni di ettari a 16,1, con un calo netto di 2,7 milioni di ettari. Se si guarda più lontano, a causa della cementificazione e dell`abbandono l`Italia ha perso quasi 1/3 dei terreni agricola nell`ultimo mezzo secolo. Un fenomeno che ha avuto gravi ripercussioni sui raccolti ma anche sulla gestione del territorio e sulla stabilità idrogeologica del Paese, aggravando gli effetti dei cambiamenti climatici e delle condizioni meteo estreme».
«Garantire un giusto reddito alle imprese agricole, che resta il nostro principale obiettivo» afferma Gismundo, e dichiara: «Partiamo ad esempio dall`emergenza siccità, ormai strutturale e che inevitabilmente limita le capacità agricole di vasti territori, in particolare al Sud. Pensiamo che un piano di invasi su larga scala, capace di garantire acqua ed energia e di prevenire gli effetti dei cambiamenti climatici, debba essere una risposta non più rimandabile. Oggi l`acqua piovana va a finire nei 230mila chilometri di canali lungo il Paese e sprecata nel mare. Insieme all`Anbi, l`Associazione nazionale delle bonifiche, abbiamo elaborato un progetto per la realizzazione di un sistema di bacini di accumulo con un metodo di pompaggio che garantirebbe riserve idriche nei periodi di siccità ma anche di limitare l`impatto sul terreno di piogge e acquazzoni sempre più violenti che accentuano la tendenza allo scorrimento dell`acqua nei canali asciutti. Fondamentale quindi il recupero degli invasi già presenti sul territorio».
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In Italia 200mila lavoratori sottopagati nel settore agricolo
L’ultimo Rapporto Agromafie e Caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, giunto alla sua settima edizione e presentato a fine 2023, ha censito tra gli 8mila e i 10mila lavoratori irregolari nell’agricoltura in Piemonte, oltre 6mila in Trentino, più di 10mila in Basilicata, circa 12mila in Calabria, per un totale in tutto il Paese di 200mila unità. Il settore agricolo italiano vale 73,5 miliardi di euro e su un totale di 3.529 controlli condotti l’anno scorso dall’Ispettorato nazionale del lavoro sono emerse 2.090 irregolarità, (59,2% dei casi esaminati). Nel complesso del settore agroalimentare italiano, reati e illeciti amministrativi risultano in aumento del 9,1%.
Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio Placido Rizzotto, è di circa 6.000 euro la retribuzione mediana lorda annuale dei dipendenti agricoli in Italia, e di 7.500 euro quella media. Il VII Rapporto Agromafie e caporalato dedica particolare attenzione all’emergenza del lavoro povero nel settore e al collegamento fra precarietà e lavoro nero, fornendo uno spaccato dei numerosi problemi che affliggono il settore primario. Lo sfruttamento della forza lavoro non riguarda solo il Meridione del Paese, ma anche le regioni del Centro e del Nord, e si incrocia spesso con attività condotte dalla criminalità organizzata.
Nel piacentino tre lavoratori sfruttati nei campi della Bassa e della Val d’Arda hanno ottenuto il permesso di soggiorno grazie all’applicazione del nuovo articolo 18-ter, che tutela le vittime di grave sfruttamento lavorativo (altri due hanno già fissato l’appuntamento in questura) in seguito a un’operazione dei carabinieri a Cortemaggiore, che ha portato all’arresto di due cittadini indiani a cui è stato contestato di aver reclutato e sfruttato manodopera straniera, costretta a lavorare fino a 13 ore al giorno per 5 euro l’ora. L’indagine era partita nell’estate del 2024, quando i carabinieri della stazione di Cortemaggiore notarono i movimenti quotidiani di numerosi furgoni che, alle prime luci dell’alba, si spostavano nelle campagne della Bassa piacentina trasportando numerosi cittadini stranieri i quali, come poi accertato, venivano scaricati su terreni agricoli dove prestavano la loro opera di braccianti sino alla sera, per poi essere prelevati con gli stessi furgoni. L’attività investigativa, unita agli accessi ispettivi svolti congiuntamente dai militari della Compagnia di Fiorenzuola e del Nucleo ispettorato del lavoro (Nil), ha permesso di documentare le condizioni di sfruttamento a cui erano assoggettati i lavoratori.
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La Commissione sostiene il settore vitivinicolo europeo con nuove misure e maggiore flessibilità
La Commissione europea propone una serie di misure volte a rafforzare l’adattabilità del settore vitivinicolo europeo. Il settore si trova ad affrontare diverse sfide, quali l’evoluzione delle tendenze di consumo, il cambiamento climatico e le incertezze del mercato. La nuova proposta della Commissione farà sì che il settore vitivinicolo europeo rimanga competitivo, resiliente e un motore economico fondamentale nei prossimi decenni.
Le misure sono volte ad aiutare il settore a gestire il potenziale produttivo, ad adattarsi all’evoluzione delle preferenze dei consumatori e a sfruttare nuove opportunità commerciali. Le misure prevedono tra l’altro una maggiore flessibilità per gli impianti, modalità per prevenire le eccedenze, regole di commercializzazione chiare, un’etichettatura armonizzata e il sostegno alla promozione dell’enoturismo.
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Il grano canadese porta gli agricoltori italiani a ridurre i prezzi
L’arrivo di grano canadese è aumentato del 68% e di conseguenza i prezzi praticati dagli agricoltori italiani sono calati, anche se un’annata in diminuzione del 20% del raccolto, mentre diminuiscono le scorte nella Ue. A segnalarlo è la Coldiretti sulla base di un’analisi su dati Dg Agri relativi alla campagna commerciale 2024/2025 (da luglio a dicembre 2024).
Dal Paese dell’acero sono arrivate 392mila tonnellate di grano duro, con un incremento del 68% rispetto allo stesso periodo della campagna 2023/2024 e stime di un ulteriore incremento ad inizio anno. La Coldiretti denuncia che quel grano viene trattato in pre raccolta con il glifosato, cioè con una modalità vietata nel nostro Paese (Coldiretti sottolinea poi di essere favorevole agli scambi commerciali ma chiede un’armonizzazione delle regole basate sul principio di reciprocità e di trasparenza).
Secondo un rapporto della Commissione per lo Sviluppo del Grano del Saskatchewan la guerra commerciale tra Usa e Canada potrebbe inoltre far calare gli acquisti di cereali canadesi negli States spingendo di fatto a indirizzarli verso altri mercati se non andranno ad incrementare le scorte. Il boom di arrivi conferma un trend – rileva Coldiretti – che negli ultimi anni ha visto una serie di Paesi, dal Canada alla Turchia, fino alla Russia, alternarsi di fatto nell’inondare il mercato italiano di prodotto, spesso in coincidenza con il periodo di raccolta, con il risultato di far crollare le quotazioni del grano nazionale che nella prima settimana di marzo hanno visto un calo del 12% dei prezzi pagati agli agricoltori, con 327,50 euro a tonnellate contro i 372,50 dello scorso anno, secondo un’analisi Coldiretti su dati della borsa merci di Bologna.
La concorrenza di prodotto straniero sta avendo un effetto negativo anche sulle semine. Secondo le prime stime il quadro tendenziale è quello di un calo significativo delle superfici a grano duro in media del 6-7% con punte del 10% fra la Puglia e la Sicilia dove di fatto di concentra la produzione nazionale.
Le aziende agricole italiane devono anche fronteggiare l’aumento dei costi di produzione legato alla difficile situazione internazionale e quelli dei cambiamenti climatici, con la siccità che lo scorso anno ha tagliato la produzione nazionale di un quinto. Non è un caso che a livello globale le stime per l’annata agraria 2024-25 prevedono una riduzione dal 6% al 4% per le scorte complessive di grano nell’Unione Europea, mentre la quota delle scorte per gli Stati Uniti e la Cina è prevista in aumento, rispettivamente all’8% e al 53%.
La minor disponibilità di prodotto non ha però effetto sui prezzi pagati agli agricoltori, proprio a causa delle importazioni di cereali coltivati anche usando prodotti da anni vietati in Europa. Nella coltivazione del grano turco vengono usate, ad esempio, sostanze da anni vietate in Europa, dal Carbendazim, un fungicida sospettato di avere effetti cancerogeni, al Malathion un altro fungicida tossico per le api, dal Cyflutrin, insetticida anch’esso cancerogeno, al Glifosato, l’essiccante vietato in Italia in pre raccolta e usato anche sul grano canadese e su quello russo, che viene prodotto utilizzando un’altra sostanza non permessa nella Ue, l’erbicida Fenoxaprop P ethyl.
Il grano ucraino viene, invece prodotto usando il Chlorothalonil, un fungicida sospetto cancerogeno. Per questo Coldiretti si è mobilitata nei porti per verificare gli arrivi di grano straniero per chiedere più controlli alle frontiere sulla qualità e sulla salubrità delle merci importate e il rispetto del principio di reciprocità, così da garantire che tutti i prodotti agroalimentari che entrano nel nostro Paese rispettino gli stessi standard a livello ambientale, di sicurezza e di rispetto dei diritti dei lavoratori, che sono garantiti dagli agricoltori italiani. -
La Commissione presenta una tabella di marcia per garantire la prosperità del settore agricolo e agroalimentare europeo
La Commissione ha presentato la sua visione per l’agricoltura e l’alimentazione, un’ambiziosa tabella di marcia verso per il futuro dell’agricoltura e dell’alimentazione in Europa. Questa tabella di marcia intende spianare la strada a un sistema agroalimentare attraente, competitivo, resiliente, orientato al futuro ed equo per le generazioni attuali e future di agricoltori e operatori agroalimentari.
L’ulteriore semplificazione delle nostre politiche e una maggiore diffusione dell’innovazione e della digitalizzazione sono prerequisiti per tutte le azioni delineate nella visione. Nel corso del 2025 la Commissione proporrà un pacchetto completo di misure di semplificazione per l’attuale quadro legislativo agricolo, nonché una strategia digitale dell’UE per l’agricoltura volta a sostenere la transizione verso un’agricoltura pronta per il digitale.
La visione individua quattro campi d’azione prioritari: un settore attraente, un settore competitivo e resiliente, un settore adeguato alle esigenze future e condizioni di vita e di lavoro eque nelle zone rurali.
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L’università di Vienna insidia la produzione di mele in Alto Adige
L’Aldo Adige/Sud Tirol è il più grande produttore di mele d’Europa, dalla Val Venosta, nella parte occidentale della provincia di Bolzano, arriva il 10% delle mele in vendita sui banchi di mercati e supermercati. Il settore, che impiega circa 7mila agricoltori, è però insidiato da uno studio dell’università Boku di Vienna in collaborazione con i colleghi dell’ateneo tedesco Rptu di Kaiserslautern.
Analizzando l’impiego di pesticidi, i ricercatori dei due atenei hanno rilevato diverse sostanze nei campioni di terreno e vegetazione, anche in zone, come l’Alta Val Venosta, dove le caratteristiche orografiche o l’altitudine fanno sì che non vi sia nessuna o quasi nessuna coltivazione.
Dall’analisi dei campioni, prelevati all’inizio del mese di maggio, è emersa la presenza in particolare di 27 pesticidi diversi: 10 insetticidi, 11 fungicidi e 6 erbicidi. Una concentrazione di sostanze nocive eccessiva o comunque preoccupante che avrebbe colpito anzitutto gli agenti insetti impollinatori, come api e farfalle, la cui presenza si sarebbe diradata laddove maggiore è la presenza rinvenuta di pesticidi. Proprio per questo, i ricercatori hanno suggerito di “promuovere pratiche di gestione che incoraggino le benefiche interazioni insetti-parassiti” come ad esempio prati ricchi di fiori da distribuire sul territorio che circonda i meleti per creare habitat capaci di attrarre gli insetti antagonisti dei parassiti delle mele. Altra misura consigliata sono e monitoraggi sistematici nei diversi luoghi della valle per stimare l’impatto dei pesticidi durante i diversi mesi dell’anno.
La questione dell’abuso di pesticidi nel territorio della Val Venosta è peraltro oggetto di discussione e accesi dibattiti da tempo, anche fra la popolazione locale. Nel 2014, oltre il 75% degli abitanti di Malles, uno dei Comuni più coinvolti dalla melicoltura intensiva, si erano espressi a favore di un referendum locale che chiedeva di vietare l’uso di fertilizzanti e pesticidi nel territorio comunale. La vicenda scatenò subito un contenzioso legale, attraverso il quale centinaia di agricoltori chiesero l’annullamento dell’ordinanza del Comune successiva al referendum. Sia il Tar di Bolzano che il Consiglio di Stato hanno dato ragione agli agricoltori.
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Gli agricoltori incassano il 7% netto del prezzo al bancone dei loro prodotti
Su 100 euro spesi dal consumatore per l’acquisto di prodotti agricoli freschi, meno di 20 euro remunerano il valore aggiunto degli agricoltori, ai quali, sottratti gli ammortamenti e i salari, resta un utile di 7 euro, contro i circa 19 euro del macro-settore del commercio e trasporto. E per i prodotti alimentari trasformati la situazione è ancora peggiore con l’utile dell’agricoltore che si riduce a 1,5 euro, solo di poco inferiore a quello dell’industria, pari a 1,6 euro, contro i 13,1 euro del commercio e trasporto che fanno la parte del leone. E’ quanto emerge dall’analisi della catena del valore, realizzata dall’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea), sulla base degli ultimi dati Istat disponibili e relativi al 2021, che evidenzia comunque una erosione die margini agricoli rispetto al 2013. Permangono – scrive Ismea – squilibri strutturali nella distribuzione del valore lungo la filiera agroalimentare, con le fasi più a valle, quali logistica e distribuzione, in grado di trattenere la quota più elevata del valore finale del prodotto, a discapito soprattutto della fase agricola”.
L’approfondimento, realizzato dall’Istituto, sulla filiera della pasta e su quella della carne bovina ha messo in luce una situazione di sofferenza, con margini particolarmente compressi, se non addirittura negativi, per le aziende agricole e gli allevamenti, mitigati solo dal sostegno pubblico, attraverso la Pac e gli aiuti nazionali. Una situazione che evidenzia la necessità di intervenire con una più equa distribuzione nella catena del valore con la recente normativa sulle pratiche sleali lungo la filiera e la rilevazione dei costi standard sotto i quali non devono scendere i compensi. Il Rapporto Agroalimentare 2024 elaborato dall’Ismea evidenzia anche gli importanti risultati raggiunti dall’export agroalimentare che per l’intero nel 2024 potrebbe raggiungere i 70 miliardi di euro anche se ci sono timori per il prossimo anno per la nuova politica dei dazi annunciata dal neopresidente Usa Donald Trump. Già nei primi nove mesi del 2024 comunque e le esportazioni hanno superato le importazioni con la bilancia commerciale che è tornata in attivo nell’agroalimentare anche se permangono settori a forte dipendenza dall’estero come la soia con un tasso di autosufficienza nel 2023 del 32%, il mais (46%), e il grano duro (52%) e tenero (36%). A pesare i bassi compensi riconosciuti alla produzione ma anche gli eventi climatici eccezionali.
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Mercosur: dalla concorrenza alla solita speculazione
Il declino culturale di un continente e della istituzione che lo rappresenta emerge in modo cristallino dalla incapacità di imparare dai fallimenti passati delle medesime strategie economiche e commerciali e, di conseguenza, riproporli in ogni differente contesto economico e strategico.
La fine dell’accordo Interfibre all’inizio del 2000 ha favorito l’invasione del mercato europeo di prodotti privi di ogni tracciabilità provenienti da paesi a basso costo in manodopera e realizzati all’interno di laboratori privi di un minimo livello di sicurezza igienico sanitario così come di tutela dei lavoratori e con livelli salariali espressione di un’ulteriore speculazione, quindi assolutamente incompatibili con gli standard normativi europei.
Proprio per la mancanza di una minima piattaforma normativa condivisa alla base di questo mercato globale, il costo di questa strategia lo hanno pagato i professionisti della filiera industriale e artigianale del tessile abbigliamento con la perdita di milioni di posti di lavoro in Europa.
Tuttavia, in quegli anni si parlava di un accesso democratico al settore abbigliamento (proprio per i prezzi fuori mercato) non capendo come, senza una base di normativa condivisa, il principio della concorrenza si trasforma semplicemente in quello della speculazione.
Quest’ultimo, poi, crea le condizioni di un arricchimento per i pochi gestori dei flussi commerciali, mentre tende ad impoverire gli stessi lavoratori che già operano nei settori interessati.
In questo contesto contemporaneo, mentre l’amministrazione Biden ha già introdotto la politica dei dazi nei confronti della concorrenza cinese, la quale verrà confermata ed amplificata dalla nuova amministrazione Trump, viceversa l’Unione Europea, dimostrando ancora una volta una volontà speculativa preferita a quella della crescita economica, intende ratificare l’accordo di libero scambio nel settore agricolo “Mercosur” ed aprire le porte del mercato europeo a prodotti del Sud America privi delle più elementari garanzie di tracciabilità.
Basti ricordare come nelle colture europee negli ultimi trent’anni l’utilizzo di azoto risulti diminuito del -15% a fronte di un aumento nel Sudamerica del +45 %, mentre l’utilizzo del fosforo in Europa segni -65% ed in Sudamerica invece un +32% ed infine dei pesticidi aumentati del +24% in Europa ma contemporaneamente in Sudamerica del +413 %.
In questo modo, un settore già in difficoltà come quello agricolo europeo non si apre alla concorrenza di prodotti equivalenti ma solo espressioni di un complesso normativo assolutamente incompatibile con le stesse europee.
In relazione agli esiti delle aperture dei mercati europei ai competitor a basso costo di manodopera e senza nessuna base normativa condivisa, operata precedentemente per il tessile abbigliamento e calzaturiero, come ora nell’automotive e nell’immediato futuro anche in agricoltura, non sembrava lontano dal vero considerare come l’obiettivo della Ue risultasse finalizzato più alla creazione di nuove opportunità di speculazione che questi accordi sicuramente favoriranno. Quando, invece, una politica economica applicata ai diversi settori economici industriali e dell’agricoltura, proprio perché espressione di competenze adeguate, dovrebbe avere come unico obiettivo la crescita dell’intera economia europea in un contesto competitivo.
Continuare a confondere il sano principio della concorrenza con una opportunità di speculazione rappresenta per la classe politica europea nella sua articolata complessità, e sostenuta dall’intero il mondo accademico, la principale ragione dello scenario problematico riservato al Vecchio Continente.