allevamento

  • ‘Operazione Pig’ da spy story ad ammonimento della comunità scientifica

    Domenica 8 settembre nella pagina dei commenti sul Corriere della Sera la scienziata Ilaria Capua ha ammonito su ‘Peste suina, rischi e responsabilità’, quasi riecheggiando la trama della spy story recentemente pubblicata da Albert De Bonnet ‘Operazioni Pig’ incentrata proprio sui rischi, conosciuti o anche paventabili, legati a laboratori privati che manipolano virus.

    Ricordando, in merito all’allevamento di suini, che «la Commissione europea ci ha redarguito qualche mese fa per come sono state gestite le prime avvisaglie di questa infezione sul territorio italiano, Capua sollecita come «urgente, anzi urgentissimo, seguire pedissequamente le indicazioni della Commissione europea» in merito ai controlli per garantire che i suini non diventino un veicolo di propagazione di malattie ed epidemie.

    A valle, come esplicita Capua dati alla mano, c’è un settore che in Italia «ha un valore economico pari a 20 miliardi di euro (di questi 2,1 miliardi sono legati all’export) ed occupa 100.000 persone in tutti i segmenti della filiera». A monte, come ci ammonisce De Bonnet col suo romanzo, c’è il problema di un utilizzo della scienza troppo scarsamente regolamentato e vigilato a livello internazionale e di possibili spregiudicati giochi di potere da parte di chi ha più mezzi e cognizioni che scrupoli. In mezzo, va da sé, c’è la salute di tutti e la sicurezza dell’intero pianeta.

  • La peste suina un problema che ritorna e preoccupa

    Salvo qualche quotidiano locale da tempo il silenzio stampa è sceso sul grave problema della peste suina che, negli ultimi anni, sta creando notevoli danni, non solo economici, negli allevamenti di molti paesi europei e l’Italia è tra questi.

    La peste suina, in precedenza, ha portato all’abbattimento di milioni di maiali in Cina dove il maiale non solo è utilizzato per il mercato interno ma anche esportato in notevoli quantità, vivo o macellato.

    Il Italia la regione che in passato ha avuto più problemi è stata la Sardegna, la peste suina è diffusa da cinghiali e maiali selvatici che la attaccano ai maiali da allevamento. Già da due anni vi sono zone, in Piemonte, in Liguria ed Emilia, nelle quali è stato proibito il passaggio nei boschi con i cani e la ricerca dei tartufi proprio per la recrudescenza dell’epidemia, recentemente anche la Toscana ha identificato cinghiali infetti.

    Nei prossimi giorni in Emilia Romagna partirà un piano di abbattimento, con operatori esperti, dei cinghiali per cercare di arginare la diffusione della peste, e partirà in primis dalle province di Parma e Piacenza, al momento le più colpite.

    La peste suina se è presente in un allevamento comporta l’abbattimento di tutti gli animali, danno economico molto ingente con conseguenze anche per lo smaltimento delle carcasse ed il rischio, purtroppo presente, che qualcuno, per cercare di contenere il danno, cerchi di macellare e vendere maiali ammalati, fortunatamente la rete sicura dei veterinari e della finanza procede con controlli a tappeto.

    Apparentemente la peste suina non si attacca all’uomo ma vi sono stati sporadici casi sospetti e comunque l’uomo, inconsapevolmente, rischia di essere veicolo di trasmissione del virus che può restare in incubazione fino a 100 giorni.

    Mentre partono le nuove iniziative delle regioni per contrastare il diffondersi della peste Il Patto Sociale vi ha dato notizia del libro Operazione Pig, edito da Europa Edizioni, di Albert de Bonnet, che tratta proprio dell’argomento oggi ritornato di primaria importanza.

    Un romanzo nel quale realtà e fantasia si intrecciano con scenari che, purtroppo, potrebbero non essere sempre di fantapolitica visti i molti laboratori che, nel mondo, lavorano su nuovi virus, spesso per creare nuove armi.

  • Siamo davvero sicuri di doverci difendere dai lupi?

    Da qualche tempo sono decisamente in aumento, nei quotidiani editi in certe province, articoli sempre più inquietanti che spingono a togliere il lupo dalle specie protette.

    Amministratori della Lega e cacciatori, specialmente, supportati da qualche agricoltore del nord, sembra che nel centro e nel sud il problema non sia sentito, forse per un miglior rapporto con l’ecosistema e la natura, si affannano a parlare di un aumento di lupi preoccupante.

    In Italia, dai dati oggettivi, i lupi sono poco più di tremila e quasi ogni giorno si trovano carcasse di lupi uccisi da veicoli, morti per avvelenamento, per esche avvelenate o perché hanno mangiato animali a loro volta avvelenati, o sparati oltre, ovviamente, a quelli morti per cause naturali.

    Pensiamo che nella sola provincia di Piacenza, nel 2022, sono stati trovati morti per le strade più di 14 lupi.

    Da anni la direttiva europea HABITAT ed altri ulteriori interventi hanno stabilito che i governi nazionali, con fondi ad hoc, risarciscano i danni, se effettivamente comprovati, subiti dagli allevatori per l’uccisione di animali dall’allevamento da parte dei lupi, inoltre ci sono fondi regionali per provvedere all’installazione di dispositivi di difesa e sono donati agli allevatori cani antilupo, come il pastore maremmano e abruzzese.

    Bisogna inoltre ricordare che i lupi possono avvicinarsi agli allevamenti quando sulle concimaie sono buttate le placente e le carcasse di animali morti mentre, per legge, dovrebbero essere smaltite per incenerimento da un apposito servizio. Se a questo aggiungiamo la triste abitudine di lasciare in giro o vicino a casa immondizie alimentari risulta evidente che i lupi, come altri carnivori del bosco, possano essere attirati più vicino all’abitato.

    E’ per molti ormai evidente che la furia che si è scatenata contro lupi ed orsi ha motivazioni diverse rispetto alla effettiva necessità di difendersi dalla loro pericolosità.

    La verità è che l’uomo ama più convivere con il cemento che con la natura e che l’irrefrenabile voglia di dominare un animale e di esercitare potere e violenza è troppo forte nonostante la nostra presunta civiltà.

  • Cosa c’è dietro

    Quando comperiamo le arance o i peperoni, gli asparagi o i carciofi, la pasta, il pane, il riso, quando mangiamo una fetta di carne, mettiamo il latte nel caffè o nella tazza di un bambino, l’olio nell’insalata e beviamo un bicchiere di vino ci viene mai in mente cosa c’è dietro?

    Quante sono le ore di lavoro, quanta la fatica per combattere la siccità o le bombe d’acqua, sappiamo vagamente come alcuni prodotti della terra abbiano bisogno di molte cure, di raccolte ancora manuali, chini sul campo, o di macchinari costosi, sia se si comperano che se li si prende a noleggio?

    Gli asparagi nascono all’alba e vanno raccolti subito, a mano, ogni giorno e la raccolta dura poche settimane per anno. Il dicembre scorso, in Sicilia, gli agricoltori hanno dovuto dare acqua agli aranceti assetati mentre, non solo in Puglia, in estate ed in autunno, le olive e le uve sono state decimate dalle avversità del tempo.

    In Romagna peri e meli sono coperti dalle reti antigrandine da srotolare e riavvolgere ogni volta, le pecore vanno portate a pascolare su e giù per monti e pianure, nelle stalle il letame va raccolto, le mucche nutrite e pulite prima della mungitura ed i veterinari eseguono controlli costanti e ovviamente non gratuiti.

    Ogni volta che acquistiamo un prodotto e poi lo cuciniamo, che lo abbiamo acquistato su una bancarella o al supermercato (i piccoli negozi sono ormai quasi del tutto spariti), ci viene mai in mente quale lavoro c’è dietro il nostro piatto di pasta con le cime di rapa, la cotoletta alla milanese, le lasagne o un arancino di riso, melanzane e pomodoro? Tanto lavoro e passione che la stragrande parte degli agricoltori, dei contadini, degli allevatori mettono ogni giorno.

    Mentre beviamo un bicchiere di vino, con un po’ di pane e prosciutto, coppa o salame, mortadella o pancetta, pensiamo solo alle calorie, preoccupati di non esagerare, al costo di quello che stiamo mangiando o pensiamo, per un attimo, anche a cosa c’è dietro, a tutti i passaggi necessari per arrivare alla nostra tavola?

    Probabilmente pensiamo ai prezzi che sono cresciuti ma non all’ormai decennale problema dei mega distributori che, in tutta Europa, si accaparrano tutte le produzioni, decidono quanto e come pagare, dopo avere distrutto i piccoli distributori regionali, portando chi coltiva e chi alleva a dover subire la potenza di monopoli che non lasciano scampo: o vendi sottocosto o non vendi.

    Lo sanno bene anche i floricultori italiani e francesi costretti a chiudere le serre per la concorrenza che arriva da paesi lontani dove non si controllano gli usi dei pesticidi più nocivi e si affamano i lavoratori.

    Così sui cargo arrivano i pomodori cinesi e il problema non è l’emergenza per il grano ucraino ma la consuetudine di avere qui quello russo o di sapere che il latte delle mucche italiane non è pagato a sufficienza perché qualche “furbo” trasformatore utilizza quello in polvere che dovrebbe servire solo per l’alimentazione degli animali.

    Chiedere che i prodotti che arrivano in Europa abbiano lo stesso standard qualitativo e di sicurezza alimentare di quelli europei, che la rincorsa ai carburanti alternativi ed alle energie rinnovabili non sia fatto a scapito dell’agricoltura rendendo inutilizzabili migliaia di ettari coltivabili, combattere la eccessiva cementificazione del suolo ed incentivare il recupero abitativo di vecchie case e strutture dismesse, volere che i letti ed i greti dei fiumi siano ripuliti dai tronchi e dalle immondizie, che aumentano la pericolosità delle piene, non vuol dire stare dalla parte degli agricoltori ma stare dalla parte di tutti.

    Bisogna Impedire l’attuale strapotere dei monopolisti della grande distribuzione, difendere il nostro sistema alimentare, evitare che col cibo accada quanto già accaduto con il gas.

    Essere favorevoli a sgravi fiscali per chi produce in sicurezza quanto ci occorre per nutrirci e per esportare la nostra qualità, le nostre peculiarità e diversità, impedire che si proponga di pagare per non coltivare, per non produrre, proprio in un momento nel quale, per le guerre ed i cambiamenti climatici, c’è la necessità che ogni paese cerchi di avere quanto è indispensabile al sostentamento della sua popolazione, non è essere contro l’Europa ma essere capaci di ricondurla con i piedi per terra.

    Saper convivere tra noi umani, saper comprendere e rispettare le semplici ma severe regole della natura non è un optional e le donne, gli uomini che vivono a più contatto con la terra ci ricordano anche questo, non si può mangiare il cemento, dipendere dalle importazioni, pensare che per avere più progresso si debba distruggere il presente ed ipotecare il futuro.

    Quando iniziamo a mangiare pensiamo un attimo che la maggior parte di quello che abbiamo pagato per quel cibo non va a chi oggi, in tutta Europa, sfila sui trattori e si vede invece riconosciuto un prezzo ben inferiore ai costi di produzione.

  • La Commissione stanzia 46,7 milioni di euro per gli agricoltori colpiti da focolai di influenza aviaria in Italia

    In seguito al voto favorevole degli Stati membri, la Commissione concederà all’Italia 46,7 milioni di euro per contribuire a compensare gli agricoltori delle zone colpite da focolai di influenza aviaria.

    Tra il 1º gennaio 2022 e il 30 aprile 2022 l’Italia ha registrato 23 focolai confermati di influenza aviaria ad alta patogenicità del sottotipo H5 (“influenza aviaria”). In risposta, l’Italia ha attuato rapidamente misure rigorose in materia di sanità animale, con conseguenti perdite di produzione nelle regioni colpite, in particolare per quanto riguarda le uova e le carni.

    A seguito della richiesta formale dell’Italia, la Commissione europea ha deciso di stanziare 46.670. 790 euro provenienti dalla riserva agricola, a copertura del 50% della spesa dell’Italia per aiutare gli agricoltori gravemente colpiti. I pagamenti cofinanziati dalla riserva agricola devono essere effettuati entro il 30 settembre 2024. Il sostegno è riservato alle aziende agricole situate nelle zone soggette a restrizioni colpite dai 23 focolai. Al fine di evitare doppi finanziamenti da fondi pubblici, le perdite subite non devono essere compensate da aiuti di Stato o da assicurazioni. Dopo l’approvazione formale della misura di sostegno da parte della Commissione, il regolamento di esecuzione sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’UE e dovrebbe entrare in vigore all’inizio di febbraio.

  • Il benessere degli animali sta a cuore agli europei, lo afferma l’indagine di Eurobarometro

    La protezione del benessere degli animali è essenziale per gli europei: lo dimostrano i risultati di un’indagine Eurobarometro pubblicata il 19 ottobre. Da oltre 40 anni la Commissione è impegnata a favore del benessere degli animali, migliorando progressivamente il loro benessere e adottando alcune tra le più stringenti normative mondiali in materia. Questo sondaggio evidenzia l’importanza di questo tema per i cittadini di tutta l’UE.

    L’84% di europei ritiene che nel proprio paese il benessere degli animali d’allevamento debba essere protetto meglio di quanto non lo sia attualmente. Molto simile (83%) la quota degli europei favorevoli a limitare il tempo di trasporto degli animali. Quasi tre quarti degli intervistati (il 74 %) sono favorevoli a una migliore protezione del benessere degli animali da compagnia nel proprio paese.

    Oltre il 90% degli europei ritiene che le pratiche agricole e di allevamento debbano soddisfare determinati requisiti etici di base, quali: fornitura di sufficiente spazio, cibo e acqua agli animali, ambienti adatti alle loro esigenze (fango, paglia, ecc.) e garanzia di un trattamento corretto. L’indagine ha inoltre evidenziato un elevato livello di preoccupazione per il benessere degli animali nei macelli.

    Tre quarti degli intervistati hanno infatti giudicato inaccettabile la pratica di uccidere i pulcini maschi appena uscito dal guscio, e una stragrande maggioranza è favorevole al divieto di amputare alcune parti del corpo degli animali (code, orecchie, becchi, ecc.), a meno che non sia strettamente necessario e avvenga sotto anestesia. Per quanto riguarda l’allevamento di animali da pelliccia, oltre la metà degli intervistati (57%) ritiene che dovrebbe essere rigorosamente vietato nell’UE, mentre quasi un terzo (32%) ritiene accettabile mantenerlo solo assicurando condizioni di benessere migliori.

    Per quanto riguarda le importazioni di prodotti alimentari da paesi terzi, oltre otto europei su dieci (l’84%) ritengono che l’attuale situazione in materia di benessere degli animali debba cambiare, applicando le norme dell’UE in materia di benessere degli animali alle importazioni di alimenti o etichettando i prodotti in base agli standard applicati in fase di produzione.

    Nonostante le interviste siano state condotte nel marzo 2023, quando i prezzi dei prodotti alimentari erano già molto elevati a causa dell’inflazione, il 60% degli intervistati ha dichiarato di essere disposti a pagare di più per prodotti provenienti da sistemi di allevamento rispettosi del benessere degli animali. Circa un quarto (il 26%) degli europei sarebbe pronto a pagare fino al 5 % in più per alimenti rispettosi del benessere degli animali.

  • E se Einstein avesse ragione?

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Karl Wolfsgruber

    Pochi giorni fa sono stati resi noti i risultati di una ricerca statistica[1] diretta dal noto studioso Max Roser (professore del Global Data Analytics presso l’Università di Oxford e direttore esecutivo del Global Change Data Lab) sui volumi mondiali delle attività di macellazione degli animali da allevamento nel 2021. Sovrapponendo le migliaia di informazioni, estrapolate dalle banche dati dei più importanti enti di ricerca sul tema, hanno calcolato che nel 2021, nel mondo, sono stati macellati a scopo alimentare circa 162 miliardi di animali da allevamento (332 milioni circa di mucche, 500 milioni circa di capre, 617 milioni circa di ovini, 1 miliardo e 400 milioni circa di maiali, 4 miliardi e 300 milioni circa di anatre e 74 miliardi di polli). Se suddividiamo questo dato per 365 giorni (pari a un anno), il numero di animali da allevamento macellati ogni giorno è di circa 443 milioni (308 mila animali macellati al minuto!). E se a questo calcolo aggiungessimo le centinaia di milioni di pesci e crostacei consumati a tavola ogni anno, il quadro sarebbe ancora più completo. Del resto la domanda di consumo di carne in molti paesi è in costante crescita da ormai sessant’anni. Vediamo alcuni dati: negli Stati Uniti, in Australia e in Spagna il consumo di carne è stimato essere di circa 100 chilogrammi pro capite annui, 88 chilogrammi in Germania, 83 in Francia e 80 in Italia. Secondo alcuni dati il numero di persone in cura per patologie legate all’eccessivo consumo di proteine e grassi animali e il volume dei danni ambientali dovuti all’aumento degli allevamenti intensivi sono in crescita da ormai sessant’anni (ovunque vi sia il cosiddetto “sviluppo”).

    Non volevo, tuttavia, soffermarmi su questi dati quanto su altri due aspetti, relativi al consumo di carne. Aspetti che trovo particolarmente significativi ovvero 1) come vengono trattati questi animali e 2) quando vengono macellati. Sul primo punto dico solo che la sola logica che giustifica la tortura di questi animali è quella del profitto economico di pochi perché sul piano ambientale, sociale, salutare e aggiungo, morale gli effetti distruttivi di tanta sofferenza la stiamo pagando tutti (consapevolmente o inconsapevolmente). Sul secondo punto, ovvero sul quando, sempre per la sola logica del profitto economico di pochi, questi animali vengono macellati, mi basterà dare alcune informazioni [2].

    La mucca viene macellata quando ha circa 12/16 mesi di vita. In natura può vivere più di 20 anni. Il bovino maschio a 5/8 mesi, quando è ancora un vitello. In natura può vivere più di 20 anni. Il maiale quando ha circa 6 mesi. In natura può vivere più di 15 anni. La pecora quando è ancora un agnello, a circa 4/6 mesi. In natura può vivere più di 13 anni. Il pollo quando ha circa 6 settimane. In natura può vivere più di 8 anni. Il tacchino quando ha circa 10 settimane. In natura può vivere più di 10 anni.

    Quindi, non solo a causa degli allevamenti intensivi stiamo generando innumerevoli e irreversibili danni all’ambiente (inquinamento dell’aria, dei terreni e delle falde acquifere, deforestazione, promozione dello sviluppo di prodotti Ogm, perdita di biodiversità, fame nel mondo, etc. etc.) ma ci stiamo anche ammalando (obesità, tumori, etc.) perché la qualità della carne che mangiamo è il prodotto della macellazione industriale di cuccioli di animali terrorizzati, torturati, ipernutriti, malnutriti, riempiti di antibiotici (perché non potrebbero sopravvivere differentemente) e uccisi con metodi spietati.

    Sto vivendo senza grassi e senza carne e in questo modo mi sento proprio bene. Spesso mi domando: e se l’uomo non fosse nato per essere un carnivoro?

    Albert Einstein (1879–1955)

    [1] Max Roser (2023) – “How many animals get slaughtered every day?”. Published online at OurWorldInData.org.https://ourworldindata.org/how-many-animals-get-slaughtered-every-day

    [2] Fonte: viva.org.uk (2023)

  • Sanità animale, ANMVI: ‘Che Tempo Che Fa’ ne parli con i Medici Veterinari

    Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa dell’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani

    È uno schiaffo alla sicurezza alimentare nazionale sostenere – come ha fatto il conduttore di Che Tempo Che Fa, Fabio Fazio – che “assumiamo antibiotici senza saperlo”. Nessun animale in corso di trattamento farmacologico può produrre alimenti destinati al consumo umano. Lo dice la Legge e lo dicono i Veterinari, il Ministero della Salute, l’Unione Europea e l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA, con sede a Parma).

    Ed è pura disinformazione affermare, come fa il prof. Roberto Burioni, che negli allevamenti si pratichi “l’utilizzo degli antibiotici per fare crescere di più di peso gli animali”. In Italia, come in tutta la UE, non lo si fa. E non lo si fa ormai da quasi vent’anni, sulla base di norme sull’alimentazione animale che vietano l’uso degli antibiotici come promotori della crescita dal 1° gennaio 2006.

    I farmaci ad uso veterinario, antibiotici compresi, sono necessari alla salute e al benessere degli animali. Il compito di garantire animali e consumatori di alimenti di origine animale è affidato ai sistemi veterinari degli Stati Membri. E l’Italia vanta un sistema veterinario tra i migliori al mondo.

    Auspichiamo che una trasmissione – con meritato seguito – come Che Tempo Che Fa voglia rettificare e, per il futuro, far parlare di sanità animale i Medici Veterinari.

    Ufficio Stampa ANMVI – Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani – 0372/40.35.47

  • Al G20 Agricoltura sottoscritta la Carta della sostenibilità dei sistemi alimentari

    Il G20 Agricoltura si è chiuso con l’impegno a promuovere pratiche di allevamento che siano sia produttive che sostenibili, basate su scienza evidenze e dati.
    I Ministri Agricoli del G20 adotteranno la Carta della sostenibilità dei sistemi alimentari. I principi, 21 in tutto, sono elencati nella dichiarazione finale che ha chiuso i lavori del summit a Firenze.
    “Noi, Ministri dell’Agricoltura del G20, ci siamo incontrati a Firenze dal 17 al 18 settembre 2021 e abbiamo ribadito il nostro impegno a raggiungere la sicurezza alimentare e la nutrizione per tutti e a garantire sistemi alimentari sostenibili e resilienti, senza lasciare indietro nessuno”. E’ il primo impegno di una serie di 21 punti per la sostenibilità dei sistemi alimentari, condivisi dai Ministri dell’Agricoltura riuniti per il G20 che si è concluso a Firenze.
    Gli impegni comprendono la protezione degli ecosistemi e la mitigazione dei cambiamenti climatici. In questo contesto, il G20 Agricoltura guarda con favore alle Linee guida volontarie sui sistemi alimentari e la nutrizione del Comitato per la sicurezza alimentare mondiale (CFS) recentemente approvate
    La pandemia di COVID-19 e altre malattie infettive emergenti e zoonosi, nonché la continua sfida della resistenza antimicrobica (AMR), “ci ricordano le strette connessioni tra salute umana, animale, vegetale e ambientale”- si legge nella dichiarazione. Sulla base degli standard internazionali dell’OIE e del Codex Alimentarius, i MInistri sottolineano l’importanza fondamentale di applicare un approccio One Health “per accelerare la lotta globale contro la resistenza antimicrobica nei sistemi agricoli e alimentari e per prevenire le minacce biologiche”.
    Il G20 Agricoltura incoraggia il lavoro congiunto di OIE, FAO, WHO e UNEP,  per rafforzare l’attuazione dell’approccio One Health per combattere la resistenza antimicrobica, le malattie zoonotiche emergenti con potenziale pandemico e altre minacce alla sicurezza sanitaria globale
    Fra gli impegni, la promozione della  ricerca e dell’innovazione per invertire la perdita di biodiversità e migliorare la resistenza di piante e animali a malattie, parassiti e stress abiotici. “Ricordiamo il ruolo vitale della caratterizzazione, conservazione in situ ed ex situ e valutazione delle risorse genetiche animali e vegetali”.
    “Promuoveremo pratiche e tecnologie di allevamento che siano sia produttive che sostenibili, basate su scienza evidenze e dati”- dichiarano i Ministri.
    Fra gli impegni, la promozione della ricerca e dell’innovazione per invertire la perdita di biodiversità e migliorare la resistenza di piante e animali a malattie, parassiti e stress abiotici. “Ricordiamo il ruolo vitale della caratterizzazione, conservazione in situ ed ex situ e valutazione delle risorse genetiche animali e vegetali”.

    Fonte: AnmviOggi

  • Allevare gli animali con cui l’uomo si sfama produce oltre 17 miliardi di tonnellate di CO2

    Più di 17 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno: a tanto ammonta l’impatto ambientale della produzione di cibo a livello globale in termini di emissione di gas serra. Il 29% deriva dalla produzione di alimenti di origine vegetale, mentre quasi il doppio (il 57%) è dovuto ai cibi di origine animale. A ‘pesare’ sul bilancio sono soprattutto gli allevamenti bovini e le coltivazioni di riso, con il Sud America e il Sudest asiatico in testa alle regioni che emettono più gas serra. La stima è pubblicata sulla rivista Nature Food da un gruppo internazionale di esperti guidato dall’Università dell’Illinois a cui partecipa anche la divisione Statistica della Fao di Roma.

    Lo studio è il primo a tener conto delle emissioni nette dei tre principali gas serra (anidride carbonica, metano e protossido di azoto) derivanti da tutti i settori delle filiere alimentari relative a 171 coltivazioni e 16 prodotti da allevamento. “Sebbene la CO2 sia molto importante, il metano generato dalle coltivazioni di riso e dagli animali e il protossido di azoto derivante dai fertilizzanti sono rispettivamente 34 e 298 volte più potenti nel trattenere calore in atmosfera”, spiega il primo autore dello studio, Xiaoming Xu.

    I dati, raccolti in oltre 200 Paesi del mondo intorno al 2010, dimostrano che i sistemi alimentari sono responsabili del 35% delle emissioni legate alle attività umane. In particolare, il 29% è dovuto alla produzione di cibi di origine vegetale (19% CO2, 6% metano, 4% protossido di azoto), il 57% si deve agli alimenti di origine animale (32% CO2, 20% metano, 6% protossido di azoto), mentre gli altri prodotti a uso non alimentare, come il cotone e la gomma, contribuiscono alle emissioni per il 14%. Grazie a questi dati, i ricercatori sono riusciti a creare un database pubblico che consente di stimare l’impatto ambientale delle varie attività del settore alimentare nelle diverse aree del mondo. I risultati dimostrano per esempio che Cina, Brasile, Stati Uniti e India sono i Paesi ‘maglia nera’ per le emissioni associate alla produzione di alimenti di origine animale, mentre le emissioni relative ai cibi di origine vegetale sono maggiori in Cina, India e Indonesia.

    Considerando che la crescita della popolazione mondiale porterà ad aumentare le colture e gli allevamenti, così come l’uso di acqua, fertilizzanti e pesticidi, la lavorazione e il trasporto dei prodotti, i ricercatori auspicano che il database possa essere utilizzato per stimare al meglio le emissioni di gas serra legate alle diverse attività del settore alimentare: un modo per incoraggiare tutti – dai semplici cittadini fino ai decisori politici – ad adottare stili di vita e politiche che possano mitigare gli effetti dei gas serra, prima che il cambiamento climatico diventi irreversibile.

Pulsante per tornare all'inizio