concorrenza

  • Le pale eoliche cinesi finiscono nel mirino dell’Antitrust europeo

    La vicepresidente della Commissione europea Margrethe Vestager ha annunciato l’apertura di un’indagine sui sussidi cinesi all’aziende dell’eolico, sulla falsariga di quanto l’Antitrust europeo ha già fatto per le auto elettriche made in China.

    “La strategia di Pechino sui maxi-sussidi statali e le esportazioni è attuata in tutte le aree delle tecnologie pulite, dei microchip e oltre. Le nostre economie non possono assorbirla. Non è solo pericolosa per la nostra competitività: mette a repentaglio anche la nostra sicurezza economica”, ha sottolineato Vestager, prospettando come eventualità in cui non incorrere una dipendenza dell’Europa rispetto a quei prodotti cinesi: “Non possiamo permetterci di vedere accadere ad auto elettriche, energia eolica o chip essenziali quello che è successo ai pannelli solari”.

    Senza un cambio di rotta, questo il timore di Bruxelles, l’Ue rischia di sviluppare una dipendenza dalla Cina entro il 2030 per l’eolico simile a quella che aveva dalla Russia per il gas prima dell’invasione dell’Ucraina. Mentre le aziende europee dell’energia eolica, da Orsted a Siemens Energy a Vestas, sono in difficoltà i costruttori cinesi sono molto solidi. Le tre principali aziende cinesi del settore – Goldwind, Envision e Windey – hanno installato più della metà delle turbine eoliche in patria. Da sola la Cina rappresenta il 58% delle installazioni di energia solare e il 60% delle installazioni di energia eolica a livello globale.

    La crescita delle aziende cinesi, oltre alle tre grandi ci sono un’altra dozzina di realtà, è una consistente minaccia all’industria eolica europea, dato che le turbine made in China costano la metà di quelle occidentali e che potrebbero sempre più venire esportate all’estero. Nel 2018 le società europee controllavano il 55% del mercato eolico globale, ma nel 2022 sono calate al 42%; nello stesso periodo, quelle cinesi sono cresciute dal 37 al 56%.

  • Quale scenario di guerra

    L’escalation delle tensioni internazionali ha introdotto il concetto di “economia di guerra” nel lessico istituzionale all’interno del quale cambiano radicalmente le priorità di spesa dei governi, le quali si orientano ovviamente a favore del rafforzamento degli arsenali e all’aggiornamento degli armamenti uniti al mantenimento dell’esercito quali principali settori da finanziare attraverso le spesa pubblica.

    All’interno del contesto attuale a questo tipo di economia e soprattutto alle sue difficoltà si possono aggiungere le difficoltà di rifornimento e di approvvigionamento delle materie prime essendo venute meno proprio le filiere energetiche e produttive.

    Tuttavia, la leggerezza con la quale viene introdotto tanto dai politici quanto dai media il concetto di una inevitabile metamorfosi dell’economia attuale ad una ben più complessa da scenario di guerra non tiene assolutamente in conto della situazione che per i cittadini italiani una guerra sia decisamente cominciata oltre trent’anni addietro.

    Andrebbe ricordato come l’Italia rappresenti ad oggi l’unico Paese in Europa che ha visto ridurre il proprio reddito disponibile del -2,9% mentre contemporaneamente in Germania lo stesso risulti cresciuto del +33,7 ed in Francia di oltre +31%.

    Un andamento così disastroso delle retribuzioni, confermato anche della ennesima diminuzione del -0,1% nell’ultima rilevazione relativa all’ultimo trimestre 2023, espressione di una sintesi essenzialmente individuabile in due determinati e precisi motivi.

    Il primo è rappresentato dalla scelta monetaria che ha visto affidarsi sempre e solamente per la crescita dei fatturati alla svalutazione competitiva la quale ha favorito le esportazioni ma non i redditi come la domanda interna e tantomeno gli asset economici. Il secondo è individuabile nella scellerata strategia di abbandono di ogni politica industriale (definita old economy) negli ultimi trent’anni a favore di un’illusoria visione di economia dei servizi e legata al turismo.

    Il principale effetto di questa differenza dell’andamento delle retribuzioni determina, in più, una forbice tra le diverse tariffe e costi nei Paesi che può raggiungere il +40% a sfavore dell’utenza nazionale italiana.

    A questo scenario già di per sé drammatico si aggiungano i dati relativi alla povertà assoluta che è cresciuta dello +0,2% nel 2023, raggiungendo la cifra dell’8,5% di famiglie che vivono in assoluta povertà, cioè circa 5,7 milioni di italiani.

    Una crescita che ha come cause aggiuntive probabilmente l’annullamento di determinati ammortizzatori sociali ma soprattutto l’esplosione dei costi energetici, i quali, con la soppressione delle tariffe del mercato agevolata e lo scellerato aumento dell’Iva dal 5 al 22% (*), porteranno ad un maggiore costo di 1.700 euro a famiglia. Questi dati sono l’espressione di una economia di guerra all’interno della quale la spesa pubblica quanto il debito pubblico sono stati utilizzati non certo per rendere fruibili servizi alle fasce di reddito più basse, ma come sostegno delle diverse riserve elettorali sostenute finanziariamente da ogni governo dei più diversi orientamenti politici.

    Ora, qualsiasi possa dimostrarsi l’evoluzione della crisi internazionale sarebbe opportuno ricordare come l’Italia non abbia più risorse, in quanto una guerra la cittadinanza italiana la sta già combattendo contro la propria classe politica e dirigente da oltre trent’anni.

    (*) sconto Iva introdotto dal governo Draghi, come quello sulle accise per i carburanti anche questo azzerato dal governo in carica

  • L’Ue avvia un’indagine contro Apple, Alphabet e Meta

    Il 25 marzo la Commissione ha avviato un’indagine di non conformità ai sensi della legge sui mercati digitale (Dma) sulle norme di Alphabet relative al pilotaggio (steering) nell’App store di Google (Google Play) e all’auto-preferenziazione di Google Search, oltre ad un’indagine sul rispetto delle norme da parte di Apple riguardo l’indirizzamento nell’App Store e sulla schermata di scelta per Safari e il “modello di pagamento o consenso” di Meta. La Commissione sospetta che le misure messe in atto da questi gatekeeper non siano in grado di garantire un’effettivo rispetto degli obblighi prevsiti dal Dma. Inoltre, la Commissione ha avviato indagini sulla nuova struttura tariffaria di Apple per gli app store alternativi e su Amazon e sulle pratiche di classificazione di Amazon sul suo marketplace. Infine, la Commissione ha ordinato ai gatekeeper di conservare determinati documenti per monitorare l’effettiva implementazione e il rispetto dei loro obblighi. Riguardo il procedimento contro Apple e Alphabet, la Commissione vuole valutare se le misure messe in atto dalle due compagnie violini le norme del Dma sull’indirizzamento dei consumatori verso offerte al di fuori degli app store delle due compagnie a titolo gratuito.

    L’esecutivo Ue, si legge in una nota, teme che le misure adottate da Alphabet e Apple non siano del tutto conformi, in quanto impongono diverse restrizioni e limitazioni, tra cui, tra l’altro, la capacità degli sviluppatori di comunicare e promuovere liberamente le offerte e di concludere direttamente i contratti, anche imponendo vari oneri. “La Commissione europea ha avviato un procedimento nei confronti di Alphabet, per stabilire se la visualizzazione da parte di Alphabet dei risultati di ricerca di Google possa portare all’autoreferenzialità in relazione ai servizi di ricerca verticali di Google (ad esempio, Google Shopping, Google Flights e Google Hotels) rispetto ad analoghi servizi concorrenti”, si legge nella nota di Bruxelles. La Commissione europea teme infatti che le misure attuate da Alphabet per conformarsi al Dma non garantiscano che i servizi di terzi che compaiono nella pagina dei risultati di ricerca di Google siano trattati in maniera equa e non discriminatoria rispetto ai servizi di Alphabet.

    Riguardo a Apple, invece, la Commissione europea ha avviato un procedimenti in merito alle misure adottate per ottemperare agli obblighi di consentire agli utenti finali di disinstallare facilmente qualsiasi applicazione software su iOS; di modificare facilmente le impostazioni predefinite su iOS; e di proporre agli utenti schermate di scelta che devono effettivamente e facilmente di selezionare un servizio alternativo predefinito, come un browser o un motore di ricerca sul proprio iPhone. La Commissione teme che le misure adottate da Apple, tra cui la progettazione della schermata di scelta del browser web, possano impedire agli utenti di esercitare realmente la loro scelta di servizi all’interno dell’ecosistema Apple. Infine, la Commissione ha avviato un procedimento nei confronti di Meta per verificare se il modello “pay or consent”, recentemente introdotto per gli utenti dell’Ue, sia conforme all’articolo del Dma che impone ai gatekeeper di ottenere il consenso degli utenti quando intendono combinare o utilizzare in maniera incrociata i loro dati personali tra i diversi servizi della piattaforma principale.

    La Commissione teme che la scelta binaria imposta dal modello “pagare o acconsentire” di Meta non fornisca una reale alternativa nel caso in cui gli utenti non acconsentano, non raggiungendo così l’obiettivo di impedire l’accumulo di dati personali da parte dei gatekeeper. La Commissione sta inoltre intraprendendo altre azioni investigative per raccogliere fatti e informazioni al fine di chiarire se Amazon possa privilegiare i prodotti del proprio marchio sull’Amazon Store in violazione; e pe r valutare se la nuova struttura tariffaria di Apple e gli altri termini e condizioni per gli app store alternativi e la distribuzione di app dal web (sideloading) potrebbero non rispettare le norme della legge sui mercati digitali. La Commissione intende concludere il procedimento avviato oggi entro 12 mesi. Al termine dell’indagine, l’esecutivo Ue informerà i gatekeeper interessati dei suoi risultati preliminari e spiegherà le misure che sta pensando di adottare o che il gatekeeper dovrebbe adottare al fine di rispondere efficacemente alle preoccupazioni della Commissione. In caso di violazione, la Commissione può imporre multe fino al 10 per cento del fatturato mondiale dell’azienda. Tali ammende possono arrivare al 20% in caso di violazione ripetuta. Inoltre, in caso di violazioni sistematiche, la Commissione può adottare ulteriori misure correttive, come l’obbligo per un gatekeeper di vendere un’attività o parti di essa, o vietare al gatekeeper l’acquisizione di ulteriori servizi legati alla non conformità sistemica.

  • Nuovi sconti sul mercato cinese, Tesla incalza Byd in casa sua

    La casa automobilistica statunitense Tesla ha varato nuovi incentivi in Cina per fidelizzare e aumentare la quota di clienti nel mercato nazionale, dove è alle prese con una serrata guerra dei prezzi con rivali locali come Build Your Dreams (Byd). Come riferito dall’azienda di Elon Musk in una nota pubblicata sul social network Weibo, la casa automobilistica offrirà incentivi fino a 4.807 dollari a quanti acquisteranno esemplari invenduti di berline Model 3 e Suv Model Y entro la fine del mese. Tesla offrirà anche piani di finanziamento preferenziali a tempo determinato per l’acquisto di Model Y, che garantiranno agli acquirenti un risparmio fino a 2.306 dollari.

    Gli incentivi comprendono anche uno sconto di 1.111 dollari sui prodotti assicurativi e sconti pari a 1.389 dollari per modifiche alla colorazione dell’auto. A fronte del rallentamento della domanda e alla crescente concorrenza in Cina, Tesla ha tagliato i prezzi su alcune tipologie di Model 3 e Y a gennaio, offrendo sconti in contanti per alcune Model Y dal primo febbraio. Il suo più grande rivale locale, Byd, ha abbassato oggi il prezzo di lancio di una nuova versione del suo Suv ibrido Song Pro del 15,4%. Byd ha detronizzato Tesla come principale produttore di veicoli elettrici nel quarto trimestre.

    Sull’altra sponda del Pacifico, l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha mosso i primi passi verso la chiusura del mercato automobilistico statunitense ai veicoli elettrici connessi a Internet di produzione cinese, sulla base di considerazioni legate alla sicurezza nazionale. Il dipartimento del Commercio Usa ha avviato proprio un’indagine a carico dei veicoli elettrici cinesi connessi alla rete, argomentando che Pechino potrebbe utilizzarli come mezzo per appropriarsi di informazioni sensibili. L’indagine è il primo passo di un processo che potrebbe condurre a restrizioni sulle vetture elettriche importate dalla Cina, e fonti dell’amministrazione presidenziale citate dalla stampa Usa hanno evidenziato che l’indagine potrebbe sostenere “un’ampia gamma di risposte politiche” alle auto elettriche a basso costo cinesi, che stanno rapidamente guadagnando ampie quote del mercato globale della mobilità alternativa.

    In una nota diffusa ieri dalla Casa Bianca, Biden ha affermato che “la Cina è determinata a dominare il futuro del mercato dell’auto, anche tramite pratiche inique”. Secondo il presidente Usa, “le politiche della Cina potrebbero inondare il nostro mercato di veicoli, ponendo un rischio per la sicurezza nazionale. Non lascerò che accada sotto il mio sguardo”, afferma la nota.

  • La Commissione infligge ad Apple una multa di oltre 1,8 miliardi di euro per le norme abusive applicate dall’App store nei confronti dei fornitori di streaming musicale

    La Commissione europea ha multato Apple per oltre 1,8 miliardi di euro per aver abusato della propria posizione dominante sul mercato ai fini della distribuzione agli utenti iPhone e iPad (“utenti iOS”) di applicazioni di streaming musicale sul suo App store. In particolare, la Commissione ha constatato che Apple applicava restrizioni agli sviluppatori di app, impedendo loro di informare gli utenti iOS in merito alla disponibilità di servizi alternativi di abbonamento musicale meno costosi rispetto all’applicazione (“disposizioni anti-steering“): ciò è illegale ai sensi delle norme antitrust dell’UE.

    La decisione giunge alla conclusione che le disposizioni anti-steering di Apple costituiscono condizioni commerciali sleali che violano il trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Tali disposizioni non sono né proporzionate né necessarie alla tutela degli interessi commerciali di Apple in relazione all’App Store sui dispositivi smart mobili di Apple e incidono negativamente sugli interessi degli utenti iOS, impossibilitati a prendere decisioni consapevoli ed efficaci su dove e come acquistare abbonamenti musicali in streaming da utilizzare sul proprio dispositivo.

    La Commissione ha deliberato che l’importo totale della multa, pari a oltre 1,8 miliardi di euro, è proporzionato alle entrate globali di Apple ed è necessario per ottenere un effetto dissuasivo, intimando ad Apple di eliminare le disposizioni anti-steering e di astenersi dal ripetere l’infrazione o dall’adottare in futuro pratiche dall’oggetto o effetto equivalente.

  • AggregateEU apre il primo bando a medio termine per garantire un approvvigionamento energetico stabile e prevedibile

    Nell’ambito della piattaforma AggregateEU per l’acquisto in comune di gas, la Commissione apre il primo bando a medio termine in cui gli acquirenti potranno presentare la loro domanda di gas per diversi periodi da sei mesi da aprile 2024 a ottobre 2029.

    Il bando a medio termine è un nuovo servizio proposto dalla Commissione per avvicinare acquirenti e venditori al di là della crisi a breve termine che abbiamo vissuto negli ultimi due inverni. AggregateEU raccoglierà la domanda dei consumatori di energia dell’UE per un massimo di 5 anni e la metterà a gara allo scopo di garantire nei prossimi anni un approvvigionamento stabile e prevedibile alle aziende partecipanti, basandosi sulle fondamenta del meccanismo di crisi introdotto nel 2023. La piattaforma è stata creata in risposta a contatti approfonditi con le parti interessate.

    Questo nuovo bando a medio termine porterà avanti i lavori di AggregateEU volti a garantire e diversificare l’approvvigionamento di gas in risposta alla guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina e deriva dal successo ottenuto dai 4 bandi a breve termine per l’acquisto in comune di gas che si sono svolti da aprile a dicembre 2023 nell’ambito della piattaforma dell’UE per l’energia, e che hanno portato alla fornitura di oltre 42 miliardi di m3 della domanda aggregata di gas in Europa grazie a fornitori affidabili. Nel corso dell’anno proseguiranno anche i bandi a breve termine.

    Per partecipare a questo primo bando a medio termine, gli acquirenti e i venditori devono registrarsi e iscriversi alla piattaforma AggregateEU. Per questa prima tornata la domanda deve pervenire entro il 21 febbraio e sarà messa all’asta dal 26 al 27 febbraio. Non appena la domanda e l’offerta saranno state abbinate mediante la piattaforma, le singole aziende negozieranno i loro contratti bilateralmente.

  • La Commissione chiede pareri sugli impegni proposti da Apple

    La Commissione europea invita a presentare osservazioni sugli impegni proposti da Apple per rispondere alle riserve in materia di concorrenza relative alle restrizioni di accesso a una tecnologia standard utilizzata per i pagamenti senza contatto con dispositivi mobili nei negozi (Near-Field Communication — “NFC”).

    La Commissione ha concluso in via preliminare che Apple gode di un potere notevole sul mercato dei dispositivi mobili intelligenti e di una posizione dominante sui mercati dei portafogli mobili. Apple Pay è l’unica soluzione di portafoglio mobile che può accedere su iOS all’hardware e al software necessari (“input NFC”) per consentire pagamenti mobili nei negozi fisici, e Apple non lo mette a disposizione degli sviluppatori di applicazioni di portafogli mobili di terzi.

    Il 2 maggio 2022 la Commissione ha informato Apple del suo parere preliminare secondo cui tale comportamento preclusivo potrebbe limitare la concorrenza sul mercato dei portafogli mobili su dispositivi iOS, in violazione dell’articolo 102 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”).

    Per rispondere alle riserve della Commissione in materia di concorrenza, Apple ha proposto una serie di impegni, che rimarrebbero in vigore per dieci anni.

    La Commissione invita tutte le parti interessate a presentare il loro parere sugli impegni proposti da Apple entro un mese dalla pubblicazione di una sintesi di tali impegni nella Gazzetta ufficiale dell’UE.

  • La Cina non perde il vizio di copiare

    E’ finito ancora una volta sotto i riflettori, in negativo, il colosso cinese di fast fashion Shein. Motivo? E’ accusato di aver copiato un famoso, e ben riconoscibile, modello di borsetta a tracolla prodotto dall’azienda giapponese di abbigliamento Uniqlo che ha annunciato di aver fatto causa al gruppo cinese. Il capo, di piccole dimensione, è stato tra i prodotti più acquistati nell’ultimo anno diventando famosissimo e per questo, come spiegato da Uniqlo, è stata necessaria la citazione in giudizio perché l’azienda di e-commerce sta intaccando la fiducia dei consumatori nel suo marchio.

    Da alcuni anni Shein viene periodicamente denunciata o criticata per la sua pratica di riprodurre modelli di abiti o accessori di marchi più o meno famosi rivendendoli a prezzi più bassi. E numerose sono state, e continuano ad essere, le inchieste giornalistiche secondo le quali dietro i prezzi molto bassi dei prodotti si celerebbero pratiche di sfruttamento dei lavoratori ed un grosso impatto ambientale.

    Fondata nel 2008 dall’imprenditore cinese Chris Xu a Nanchino, in Cina Shein all’inizio vendeva abiti da sposa comprati nei mercati all’ingrosso, successivamente si è aperta al mercato dell’abbigliamento normale anticipando la diffusione delle vendite on line dei vestiti. Si stima che oggi l’azienda abbia un valore di 100 miliardi di dollari.

  • Il nanismo intellettuale del pensiero liberale italiano

    Il progetto di rendere private tutte le più importanti infrastrutture statali, in concessione come Autostrade o cedute a fondi esteri come le multiutility, sta arrivando alla sua disastrosa conclusione.

    Attraverso la privatizzazione della rete TIM, l’Infrastruttura digitale strategicamente fondamentale in quanto convoglia dati ed informazioni anche di estrema importanza militare ed internazionale, si chiude infatti quel processo di cessione di sovranità dello Stato sicuramente più deleteria nelle ripercussioni rispetto a quella monetaria.

    Un processo gestito sostanzialmente da una classe governativa e parlamentare di “piazzisti” i quali con diverse ed opposte maggioranze si sono alternati alla guida del nostro Paese dal 1998 ai giorni nostri ma tutti uniti dal medesimo obiettivo ed interesse.

    Questo delirio “liberalizzante” ha visto il proprio inizio con il governo D’Alema ed ora è in via di ultimazione grazia all’azione del primo governo a giuda femminile, dimostrando ancora una volta come non esista la differenza di genere neppure tra opposti schieramenti politici.

    Questo ennesimo disastro strategico economico rappresenta l’essenza stessa del massimalismo affaristico che coinvolge tutti i partiti dell’arco costituzionale e tutti i governi dal 1998 al 2023.

    In questo contesto, in più, emerge clamoroso il silenzio altrettanto massimalista e probabilmente compromesso della cosiddetta “area intellettuale liberale” la quale con arroganza si arroga il compito di rappresentare il pensiero di un ex presidente della Repubblica e liberale in genere.

    Queste fondazioni o istituti vari affermano di rappresentare il pensiero liberale assieme ad un fiorire di “partiti di ispirazione liberale” i quali, all’unisono, disquisiscono quotidianamente delle problematiche legate alle licenze dei taxi.

    Contemporaneamente non spendono una parola su scelte strategiche relative ad infrastrutture fondamentali con effetti e ripercussioni per la stessa comunità democratica. Evidente come espressione della loro incapacità di valutazione e confermata dall’atteggiamento rispetto alle conseguenze dell’acquisizione operata dal fondo KKR della rete TIM.

    In altre parole, il mondo liberale dimostra il proprio “nanismo intellettuale” in quanto applica in modo massimalista i principi liberali (concorrenza e legge di mercato ripetuti pedissequamente in ogni contesto) al mondo dei servizio a basso valore aggiunto, mentre rimane in complice silenzio sulle strategie complessive legate alla acquisizione della rete TIM, arrivando in sporadici casi ad appoggiare l’operazione di finanza speculativa del fondo KKR.

    Una forza politica che si definisce “sua sponte” liberale ed in contrapposizione rispetto al pensiero ed alle azioni governative si dimostra invece complice attraverso il proprio silenzio del declino nazionale.

    Un gotha liberale incapace persino di distinguere il valore, e quindi anche gli effetti, tra politiche legate ai servizi alle persone (taxi) ed altre legate alle sorti delle reti infrastrutturali strategiche, le quali meriterebbero diversi approfondimenti in relazione agli effetti per l’intera nazione.

    Questo nanismo intellettuale espresso dai vertici liberali rappresenta una delle cause principali della deriva sudamericana che il nostro Paese ha intrapreso a cominciare dal governo D’Alema e portata ora a compimento dal governo Meloni. Non va dimenticato infatti come quest’ultimo intenda rinnovare la concessione a privati di Autostrade, dimostrando come la tragedia del Ponte Morandi non abbia scosso minimamente l’anima della classe politica reggente.

    Va sottolineato, quindi, come dal 1998 fino al 2023 tutti i governi alla guida del nostro Paese abbiano potuto operare contro gli interessi degli elettori applicando in modo scolastico ed escludendoli dal contesto alcuni principi liberisti, avvalendosi contemporaneamente del complice silenzio dell’intero mondo liberale, incapace di elaborare una propria strategia alternativa in relazione a tematiche così importanti sotto il profilo strategico.

    Mai come ora il destino della rete Tim ha dimostrato quanto da oltre vent’anni la classe politica italiana si sia dimostrata priva di ogni minimo senso dello Stato, anche grazie alla complicità del mondo liberale affetto da un sempre più imbarazzante nanismo intellettuale, culturale ed umano.

  • Amazon: US accuses online giant of illegal monopoly

    US regulators have sued Amazon, alleging that the internet giant is illegally maintaining monopoly power.

    The Federal Trade Commission (FTC) said Amazon uses “a set of interlocking anticompetitive and unfair strategies” to push up prices and stifle competition.

    Amazon said the lawsuit was “wrong on the facts and law, and we look forward to making that case in court”.

    It is the latest technology giant to be sued by US regulators.

    The FTC’s boss, Lina Khan, has had Amazon in her crosshairs for years.

    In 2017, Ms Khan, then only 29, published a major academic article arguing the online retailer had escaped anti-competition scrutiny.

    “With its missionary zeal for consumers, Amazon has marched toward monopoly,” she said at the time.

    Since her surprise appointment as FTC Chair in 2021, this case has been widely expected – and viewed as a crucial test of her leadership.

    The dominance of a handful of powerful tech firms has led some US politicians to call for action that would promote more competition in online search, retail and social media.

    However, the FTC under Ms Khan has had little to show for its strong rhetoric against Big Tech.

    In February it lost its attempt to stop Meta from buying VR company Within.

    And in July it lost an attempt to block Microsoft from completing its deal to buy the maker of Call of Duty.

    There is pressure on Ms Khan to make at least one high profile complaint stick – and at the FTC they have high hopes for this case.

    The agency, along with 17 state attorneys, claims that Amazon is a “monopolist” that stops rivals and sellers from lowering prices.

    The regulator also alleged the internet giant’s actions “degrade quality for shoppers, overcharge sellers, stifle innovation, and prevent rivals from fairly competing against Amazon”.

    However, Amazon says that if the “misguided” FTC lawsuit is successful, it would mean fewer products to choose from, higher prices, and slower deliveries for consumers.

    The key part of the case involves consumers losing money – getting worse deals – because of the alleged monopoly.

    US anti-competition legislation is complicated, but generally, prosecutors have to show companies have acted in a way that hurts consumers financially.

    That isn’t always an easy thing to prove when it comes to Big Tech, as many of their services are free – like Google’s search engine or Meta’s Instagram.

    Earlier this month, a court battle began between Google and the US government, which has accused it of having an advertising technology monopoly.

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