conflitto

  • I sostenitori del golpe in Niger assaltano l’ambasciata francese, Parigi pronta a reagire

    Alcuni giorno dopo il colpo di Stato, migliaia di sostenitori della giunta militare al potere in Niger dal 26 luglio hanno manifestato a Niamey, prendendo di mira anche l’ambasciata della Francia. Video della protesta sui social network mostrano i manifestanti che intonano slogan antifrancesi e chiedono la chiusura della sede diplomatica. Un’insegna dell’ambasciata è stata rimossa e una porta è stata incendiata. In mattinata una folla si è radunata anche a Place de Concertation, dove si sono viste sventolare bandiere della Russia. Il generale Abdourahmane Tchiani (o Omar Tchiani), insediatosi dopo la destituzione con il golpe del presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum, ha scritto su Twitter che la “marcia di sostegno” è una “dimostrazione di forza inaudita nella capitale da più di dieci anni”. La giunta ha rilasciato un comunicato ieri invitando i cittadini a scendere in piazza oggi per protestare contro la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao), in concomitanza col vertice straordinario dei leader dell’organizzazione convocato per oggi ad Abuja, in Nigeria.

    Il summit della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale è stato convocato da Bola Ahmed Tinubu, presidente della Nigeria e dell’Autorità dei capi di Stato e di governo della Cedeao. Nell’incontro potrebbero essere decise sanzioni, come la sospensione. Il Niger potrebbe essere escluso anche dall’Unione economica e monetaria ovest-africana (Uemoa), di cui fa parte insieme ad altri sette Paesi della Cedeao. In vista della riunione odierna, ieri sera il colonnello Amadou Abdramane, portavoce della giunta che ha preso il potere in Niger, ha letto una dichiarazione in un intervento trasmesso dalla televisione di Stato nigerina, attribuendo alla Cedeao un “piano di aggressione contro il Niger attraverso un imminente intervento militare a Niamey”, in collaborazione con altri Paesi africani e con alcuni Paesi occidentali. Il colonnello ha dichiarato che la giunta è determinata a “difendere la patria”.

    Tinubu ha avuto un colloquio telefonico col segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken. I due interlocutori, secondo una nota del dipartimento di Stato Usa, hanno condiviso la profonda preoccupazione per gli eventi in Niger e per la detenzione del presidente nigerino Bazoum. Il responsabile della diplomazia statunitense ha ringraziato Tinubu per la sua leadership come presidente della Nigeria e come presidente della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale nella crisi in corso e ha assicurato il sostegno di Washington agli sforzi per ripristinare l’ordine costituzionale in Niger.

    Mentre si moltiplicano le condanne da parte della comunità internazionale, i leader regionali – riuniti domenica 30 luglio ad Abuja per un vertice straordinario della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) – hanno imposto sanzioni immediate alla giunta golpista, arrivando a minacciare l’uso della forza in caso di mancato ripristino dell’ordine costituzionale. Una simile posizione potrebbe essere assunta dalla Francia, sempre più preoccupata per l’evolversi degli eventi in un Paese ritenuto strategico da Parigi sia per la massiccia presenza militare sia – e soprattutto – per le riserve di uranio presenti in Niger, da cui dipende buona parte del fabbisogno energetico francese. L’attacco all’ambasciata ha suscitato la pronta reazione di Parigi, l’Eliseo che ha fatto sapere che “non tollererà alcun attacco contro la Francia e i suoi interessi”. Il presidente Emmanuel Macron ha avvertito che “non tollererà alcun attacco contro la Francia e i suoi interessi” in Niger. “Chiunque attacchi i cittadini francesi, l’esercito, i diplomatici e la sedi francesi vedrà la Francia reagire in modo immediato e inflessibile”, ha fatto sapere l’Eliseo in una nota. Un possibile intervento francese è stato paventato anche dalla stessa giunta militare di Niamey, che ha accusato la Francia di voler cercare “modi e mezzi per intervenire militarmente in Niger”. In un comunicato letto in diretta dal colonnello maggiore Amadou Abdramane, portavoce del Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (Cnsp), la giunta ha denunciato il fatto che sarebbe avvenuto un incontro tra i soldati francesi, l’ex ministro delle Finanze, Hassoumi Massaoudou, e l’ex capo della Guardia nazionale del Niger, Midou Guirey, per firmare un documento che autorizzi la Francia a compiere attacchi contro il palazzo presidenziale. Secondo fonti citate da “Tchad One”, inoltre, Guirey sarebbe stato arrestato dalle autorità golpiste, così come altri quattro ministri del governo deposto e il capo del Partito nigerino per la democrazia e il socialismo (Pnds) di Bazoum: si tratta del ministro del Petrolio Mahamane Sani Mahamadou, figlio dell’influente ex presidente Mahamadou Issoufou, e quello delle Miniere Ousseini Hadizatou. In manette, parimenti, è finito il capo del comitato esecutivo nazionale del partito, Fourmakoye Gado. In precedenza erano stati arrestati anche il ministro dell’Interno Hama Amadou Souley, quello dei Trasporti Oumarou Malam Alma e l’ex ministro della Difesa Kalla Moutari, attualmente membro del parlamento.

    L’impressione è che, a differenza di quanto accaduto negli ultimi tre anni con i colpi di Stato in Mali, Guinea e Burkina Faso, questa volta la Francia difficilmente potrà tollerare la perdita d’influenza in quello che da anni era il suo principale alleato nel Sahel, nonché l’ultimo bastione “democratico” in una regione ormai quasi interamente formata da Paesi guidati da giunte militari golpiste riconducibili all’orbita russa. È al Niger che la Francia, l’Unione europea e i suoi alleati occidentali – in primis gli Stati Uniti – si erano finora aggrappati per non vedersi definitivamente estromessi nel Sahel a scapito della Russia. Ed è in Niger che Parigi ha ricollocato i circa 2.400 militari della missione francese Barkhane precedentemente stanziati in Mali, come voluto dal presidente Emmanuel Macron in seguito all’escalation delle tensioni tra Bamako e Parigi. Stessa sorte è toccata ai militari della task force europea Takuba (cui l’Italia contribuiva con circa 200 uomini), ora riposizionati al fianco delle forze armate del Niger alla frontiera con il Mali, in seguito alla chiusura delle basi militari maliane di Gossi, Menaka e Gao. Un eventuale scivolamento del Niger in orbita russa sancirebbe dunque la definitiva estromissione francese ed europea dal Sahel, con conseguenze che andrebbero ben oltre la dimensione militare. Con due miniere di uranio – quelle di Acuta e di Arlit – gestite entrambe dalla controllata nigerina della società francese Orano, il Niger è infatti il primo fornitore di uranio dell’Ue, assicurando il 24 per cento del fabbisogno comunitario.

    Nel frattempo sono entrate nel vivo le trattative diplomatiche per cercare di mediare nella crisi. Il presidente del Ciad, Mahamat Idriss Déby Itno, altro alleato della Francia nel Sahel, ha effettuato una visita di qualche ora a Niamey per trovare una soluzione negoziata. All’opera anche l’ex presidente nigerino Mahamadou Issoufou, al potere per due mandati dal 2011 al 2021. “A Niamey ho avuto colloqui approfonditi con i leader del Cnsp, in particolare con il generale Abdourahamane Tchiani, con il presidente Mohamed Bazoum e con l’ex presidente Mahamadou Issoufou, in un approccio fraterno che mira a esplorare tutte le strade per trovare una soluzione pacifica alla crisi che sta scuotendo questo Paese vicino”, ha scritto Deby su Twitter, pubblicando una foto che lo ritrae seduto accanto ad un sorridente Bazoum, che appare in buone condizioni. Il lavoro diplomatico prosegue intanto a livello regionale. Mentre a Niamey andavano in scena partecipate proteste in cui i manifestanti hanno sventolato bandiere della Russia e hanno preso d’assalto anche l’ambasciata francese, i leader della Cedeao si riunivano ad Abuja per un vertice straordinario convocato dal presidente nigeriano Bola Tinubu. Nel comunicato congiunto diffuso al termine del vertice, i leader regionali hanno concesso un ultimatum alla giunta militare, imponendo sanzioni immediate e minacciando l’uso della forza.

    Alla giunta nigerina, si legge nel comunicato, è stato inoltre chiesto di rilasciare immediatamente il presidente eletto democraticamente, Mohamed Bazoum, ed è stata concessa una settimana di tempo per cedere il potere. In caso contrario saranno prese le misure necessarie, che potranno includere l’impiego della forza. Sono state annunciate con effetto immediato la chiusura delle frontiere aeree e terrestri dei Paesi membri e l’interdizione di sorvolo degli aerei commerciali provenienti dal Niger o diretti in Niger. Sono state sospese, anch’esse con effetto immediato, tutte le transazioni commerciali e finanziarie tra gli Stati membri e il Niger, e congelate tutte le risorse statali nigerine nelle banche centrali dei Paesi Cedeao, così come gli asset delle imprese statali nelle banche commerciali. Tra le misure c’è anche il divieto di ingresso e il congelamento dei beni per i militari nigerini coinvolti nel colpo di Stato, per i loro familiari e per i civili che accettano di assumere incarichi nel governo militare.

  • Alta tensione su Ucraina e Taiwan tra Usa e Cina

    Risale la tensione tra Usa e Cina, tra moniti contrapposti sulla guerra russa in Ucraina e le “provocazioni militari” cinesi contro Taiwan, dove un network locale ha trasmesso per errore l’allerta per un attacco di Pechino seminando il panico tra la popolazione.

    Poche ore prima di essere ricevuto alla Casa Bianca insieme ai vertici militari, il capo del Pentagono Lloyd Austin ha telefonato al ministro della difesa cinese Wei Fengh per la prima volta dall’inizio dell’amministrazione Biden, rompendo un’impasse di comunicazione che Washington vedeva con crescente preoccupazione a causa dell’alleanza tra Pechino e Mosca sullo sfondo della guerra in Ucraina.

    Per oltre un anno il segretario alla difesa aveva tentato di parlare col generale Xu Qiliang, l’ufficiale più alto in grado nella struttura del partito comunista, in quanto vicepresidente della Commissione militare centrale, organo di vertice delle forze armate con a capo il presidente Xi Jinping. In passato era una prassi consolidata, ma questa volta Pechino ha insistito per il rispetto del protocollo e quindi per un contatto tra pari grado.

    L’obiettivo degli Usa era di riprendere il dialogo, ribadendo il messaggio di Biden nella video chiamata a Xi del 18 marzo, in cui il presidente americano aveva minacciato severe conseguenze se Pechino fornirà assistenza militare o economica a Mosca nel conflitto in Ucraina. Austin ha inoltre ricordato l’importanza di gestire la competizione strategica Usa-Cina, anche nei campi nucleare, spaziale e cyber, migliorando i canali di comunicazione nelle crisi. Il ministro della difesa americano, infine, ha ribadito le preoccupazioni di Washington per le provocazioni militari di Pechino contro Taiwan e per le attività del Dragone nel mare cinese meridionale orientale. Ma la telefonata, durata 45 minuti, è diventata un burrascoso colloquio ad alta tensione, stando al resoconto di Pechino.

    La Cina ha esortato gli Stati Uniti “ad astenersi dall’utilizzare la questione ucraina per diffamare e incastrare o esercitare pressioni su Pechino attraverso le minacce”, respingendo qualsiasi accostamento tra Kiev e Taiwan, l’isola che rappresenta la vera linea rossa dei rapporti bilaterali. Pechino la considera parte “inalienabile” del suo territorio da riunificare anche con l’uso della forza, se necessario. “E’ una parte inseparabile della Cina, un fatto e uno status quo che nessuno può cambiare” e “se la questione non sarà adeguatamente gestita avrà un impatto destabilizzante sulle relazioni tra i due Paesi”, ha messo in guardia Wei.

    Il monito arriva dopo che Pechino ha assicurato che aumenterà il “coordinamento strategico” con Mosca – ribadendo quindi  “l’amicizia senza confini” suggellata da Putin e Xi ai Giochi invernali cinesi – e ha siglato un accordo di sicurezza con le isole Salomone, potenziale preludio di una base militare del Dragone nell’arcipelago a nord-ovest dell’Australia: un’intesa che sembra una risposta ad Aukus (la Nato del Pacifico di Usa, Gran Bretagna e Australia per contenere la Cina) e che potrebbe minacciare l’equilibrio di potere in una regione cruciale per i traffici marittimi.

  • Ucraina, raggiunto un accordo per il cessate il fuoco

    Funzionari del governo ucraino, separatisti filo-russi e negoziatori dell’OSCE hanno concordato i termini per un cessate il fuoco nell’Ucraina orientale a partire dal 27 luglio.

    “Il regime del cessate il fuoco, se osservato dall’altra parte, è un presupposto fondamentale per l’attuazione degli accordi di Minsk e apre la strada all’attuazione di altre disposizioni di tali accordi. La svolta è il risultato del lavoro efficace della delegazione ucraina con il sostegno dei nostri partner internazionali a Berlino e Parigi”, fanno sapere dalla segreteria del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, eletto l’anno scorso con la promessa di porre fine al conflitto nelle regioni orientali di Donetsk e Luhansk.

    I leader europei avevano chiesto di raggiungere l’accordo come prerequisito per tenere un nuovo vertice sulla crisi ucraina.

    Più di 13.000 persone, tra truppe ucraine e ribelli sostenuti dalla Russia, hanno perso la vita nel conflitto cominciato nel 2014, quando Mosca ha annesso con la forza la penisola di Crimea in Ucraina e ha sostenuto la ribellione ad est. I combattimenti più importanti si sono conclusi con un cessate il fuoco del 2015 mediato da Germania e Francia, ma gli sforzi per l’attuazione si sono ridotti, con la Russia che nega di avere truppe nell’Ucraina orientale.

  • Noi siamo sempre nel giusto

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Dario Rivolta *

    La storica belga di origine italiana Anne Morelli pubblicò nel 2010 un interessante libro: “Principi elementari della propaganda di guerra” (nella precedente versione del 2001 il sottotitolo era: “Utili in caso di guerra fredda, calda o tiepida”).

    Poiché mi sembra che il contenuto sia tuttora di attualità, credo sia molto interessante leggere cosa scriveva la studiosa. Ecco riassunti i punti principali.

    1. Noi non volevamo la guerra e non siamo noi ad averla cominciata. Solo il nostro avversario/nemico è responsabile del conflitto. Questo è ciò che chiamerò la fase della prosecuzione. (corsivo dell’autrice)
    2. I capi e i seguaci del nemico sono disumani e sono il diavolo. Qui comincia la diffamazione.
    3. Noi stiamo difendendo una nobile causa mentre l’avversario difende i suoi propri interessi o, peggio, il suo interesse nazionale. La causa dell’avversario è abominevole, senza valore, egoistica, mentre noi difendiamo un ideale, i diritti umani, la democrazia, la libertà, la libera iniziativa. Noi rappresentiamo il bene, loro personificano il male. Questa è la fase moralizzatrice.
    4. Il nemico commette sistematicamente delle atrocità. Se noi manchiamo o facciamo errori, è involontario e perché il nemico ci inganna o ci provoca. Nella sua lotta il nemico è pronto a qualunque cosa, compreso l’uso di armi illegittime (gas, uccisione di civili, abbattimento di aerei di linea, assassini su commissione. NDA) Lui è anche il solo ad usare notizie false (fake news), attacchi informatici e interferenze via internet nelle elezioni altrui. Noi, al contrario, rispettiamo le leggi di guerra, la convenzione di Ginevra, l’etica giornalistica e lo sforzo di essere imparziali. Noi non saremmo mai capaci di prendere parte a una “guerra dell’informazione” o fare propaganda. Questa è la fase del lavaggio del cervello e del condizionamento dell’opinione pubblic
    5. Noi non soffriamo perdite e, quando ci sono, sono piccole. Le perdite dell’avversario, tuttavia, sono enormi. Fase della minimizzazione.
    6. Artisti, scienziati, accademici, esperti, intellettuali e filosofi, ONG e la società civile ci supportano mentre il nemico è isolato nella sua torre d’avorio e slegato dalla sua società. Fase espansiva nella sfera della guerra nobile.
    7. La nostra causa è sacrosanta e quelli che la mettono in discussione sono pagati dal nemico. Fase del sacrificio.

    Chi sa a chi, e a cosa, si possono applicare oggi le parole della Morelli?

    P.S. La “democratica” Atene obbligò il “traditore” Socrate al suicidio perché svolgeva “propaganda nefasta” verso i giovani della città, cioè non aveva sposato le verità “ufficiali”.

    *Già deputato dal 1996 al 2008

Pulsante per tornare all'inizio