cure

  • Sanità: coraggio di innovare, come Borsani aveva intuito e realizzato

    Il convegno L’impronta di Borsani sulla sanità lombarda, organizzato dall’ Assessore Franco Lucente in Regione Lombardia, ha ricordato la figura di Carlo Borsani e la sua riforma sanitaria che diede ai cittadini lombardi ad avere il diritto di scelta tra strutture sanitarie pubbliche e convenzionate

    Carlo Borsani, dopo una legislatura da consigliere comunale di Milano, divenne consigliere regionale nel 1990 e poi assessore della Sanità della Regione Lombardia dando vita ad una riforma assolutamente innovativa perché si occupava di tutti, Borsani ebbe il coraggio di affermare, nel 1997, che la maggior parte del deficit sanitario era imputabile al governo centrale, specie per quanto riguardava i costi della spesa farmaceutica.

    Il convegno ci dà lo spunto per ricordare che anche oggi gran parte delle risorse che mancano al comparto sanitario sono dovute al mal funzionamento dei controlli ed alla regolamentazione della spesa e che rimangono anche ancora inevasi i problemi legati alla carenza di medici ed alla inadeguatezza del sistema che regolamenta il servizio dei medici di famiglia.

    L’intasamento dei pronto soccorsi e le spropositate lungaggini delle liste di attesa, con le conseguenze dell’aumento dei costi per il cittadino, che deve rivolgersi al privato, o dell’inaccettabile rinuncia alle cure, potrebbero essere evitati con la riorganizzazione effettiva del lavoro dei medici di famiglia, oggi spesso non valorizzati o non sufficientemente formati.

    Il medico di famiglia deve essere il primo referente di ogni cittadino e sappiamo già che nei prossimi anni, di fronte a più di 12.000 medici che andranno in pensione, ne entreranno in servizio solo circa 10.000, lasciando così scoperti migliaia di cittadini e creando ulteriori problemi ai pronto soccorsi e perciò agli ospedali e alle liste di attesa.

    Se dopo il corso universitario gli aspiranti medici di famiglia avessero una scuola di specialità come quelli ospedalieri, se fossero loro insegnato l’uso dell’ecografo e dell’elettrocardiografo molte problematiche potrebbero essere risolte prima nei loro ambulatori e senza il continuo ricorso ad altro specialista.

    Il medico di famiglia non può essere un mero estensore di ricette altrui fatto che lo porta a snaturare la sua professionalità, ma deve essere il primo ed insostituibile presidio sul territorio ritornando anche a quelle visite domiciliari, per anziani o malati più gravi, che negli ultimi tempi troppi hanno smesso di fare, anche per gli impegni delle ore alle quali sono obbligati per la presenza alla guardia medica.

    Le case di comunità, che nei piccoli centri possono effettivamente avere un ruolo, non sono però la soluzione al problema che vede anche l’insoddisfazione dei cittadini per non riuscire ad essere visitati sempre dallo stesso medico perdendo così quel rapporto di fiducia che si ha col proprio medico ma anche la possibilità di questi di poter fare una anamnesi completa perché basata sulla conoscenza anche dei pregressi del malato.

    Per la sanità ci sono molte iniziative da prendere e non è solo una questione di spesa, certo occorrono maggiori stanziamenti ma anche il coraggio di innovare, come Borsani aveva intuito e realizzato, di prendere atto che in una società in continua e veloce evoluzione, e mentre una parte di popolazione invecchia ed un’altra parte arriva da paesi lontani, la medicina, nel suo insieme, dipende da un migliore e diverso funzionamento dell’assistenza di base.

  • Guerra, Pil e Servizio Sanitario Nazionale

    La guerra può essere valutata in rapporto alla spesa sanitaria nazionale? Molto spesso si afferma che il valore del PIL non possa rappresentare e fotografare la reale situazione economica di un paese. Questo principio, se venisse accettato, risulterebbe ancora valido se diventasse un parametro nella misurazione degli effetti della economia di guerra. Da più parti, infatti, si parla della necessità di portare la spesa pubblica per gli armamenti al 2% del Pil nazionale. Un valore ed una percentuale che di per sé indicano poco ma se rapportati ad altri indicatori di spesa assumono tutto un altro significato.

    In Italia la spesa pubblica destinata al Sistema Sanitario Nazionale rappresenta il 6,3% del Pil mentre in Germania raggiunge il 10,9%, ed in Francia il 10,3%. Il raggiungimento, quindi, del tetto di spesa pubblica destinata agli armamenti fissato al 2% rispetto al PIL rappresenta contemporaneamente il 29% della quota di Pil destinata all’intera spesa sanitaria italiana.

    Viceversa in Germania il raggiungimento del medesimo obiettivo di valore economico per finanziare una guerra rappresenta poco più del 18% della quota Pil dedicata al Sistema sanitario nazionale tedesco.

    La differenza tra queste due percentuali di oltre il 10%, rapportate non più al solo Pil ma alle quote dello stesso destinate ai sistemi sanitari nazionali, Si sostanzia in termini economici in una minore disponibilità per l’Italia di circa 19 miliardi a favore del SSN ed una maggiore dotazione finanziaria per il Sistema sanitario nazionale tedesco di circa 42 miliardi.

    Questa differente dotazione finanziaria giustifica, quindi, ma non assolve la tendenza del Sistema Sanitario italiano ad assumere professionalità dai paesi in via di sviluppo e con un forte effetto deflattivo sulle retribuzioni.

    Viceversa la Germania, proprio grazie alla maggiore dotazione, può permettersi di importare personale qualificato, magari di formazione italiana, pagandolo adeguatamente rispetto alla professionalità.

    In altre parole l’ottimizzazione della spesa pubblica, soprattutto quella destinata ai servizi essenziali dei cittadini, rappresenta un parametro fondamentale nella comprensione delle motivazioni che vedono sempre più evidente la forbice tra il sistema economico tedesco e quello italiano. Una differenza tra i due paesi che tenderà a mantenersi se non addirittura aumentare durante questo terribile periodo di Forte tensione internazionale che vede molte risorse finanziarie destinate alle spese militari.

    Il continuo depauperamento del sistema sanitario nazionale, in atto sostanzialmente dal governo Monti in poi, rappresenta soprattutto ora, in quanto all’interno di un periodo prebellico, un fattore fondamentale per identificare e qualificare i parametri della spesa pubblica adottati dai governi dal 2011 ad oggi.

  • La Commissione apre la partecipazione all’Alleanza per i medicinali critici

    L’Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (HERA) della Commissione europea ha pubblicato un invito aperto per manifestare interesse a partecipare all’Alleanza per i medicinali critici. L’istituzione dell’Alleanza è una delle azioni chiave volte a prevenire e affrontare le carenze di medicinali critici, annunciate dalla Commissione nell’ottobre 2023.

    L’Alleanza riunirà l’insieme dei portatori d’interessi e lavorerà per rafforzare la cooperazione tra la Commissione, i governi nazionali, l’industria e la società civile. Individuerà le sfide, le priorità d’azione e le possibili soluzioni politiche al problema delle carenze di medicinali critici nell’UE. L’Alleanza è un meccanismo consultivo che fungerà anche da rete per accelerare la realizzazione dell’azione dell’UE in questo settore.

  • Ostacolate le terapie immediate agli animali da compagnia

    Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa dall’ANMVI 

    Un’altra inutile, gratuita e gravosa incombenza si abbatte sulle prestazioni veterinarie: secondo il parere della 10° Commissione del Senato, approvato oggi, i Medici veterinari dovranno registrare sul Sistema Informativo Nazionale della farmacosorveglianza ogni dispensazione ai proprietari di medicinali veterinari della propria scorta. E per farlo avranno tre giorni di tempo, pena pesanti sanzioni.

    L’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani si era decisamente opposta essendo fortemente contrariata ad un ulteriore intralcio burocratico alle attività di assistenza agli animali in cura, non ravvisando nessuna utilità in questo provvedimento per la farmacosorveglianza, visto che l’acquisto dei medicinali per scorta viene già effettuato esclusivamente tramite ricetta elettronica. Appare invece chiaro che lo scopo del provvedimento è quello di ostacolare la dispensazione da parte del veterinario.

    La dispensazione per inizio terapia, sancita dal DM 193/2006 era stata avvallata sia da una sentenza del TAR del Lazio che del Consiglio di Stato allo scopo di agevolare i proprietari degli animali in cura per un trattamento mirato e tempestivo, “in modo da garantire la tutela immediata del benessere animale”.

    In audizione, ieri, sul nuovo decreto dei medicinali veterinari ANMVI si era nettamente opposta alla doppia registrazione di questi medicinali, sia perché già registrati nella scorta veterinaria sia perché fanno parte di una prestazione veterinaria destinata ad animali NON produttori di alimenti per l’uomo.

    Invece, accogliendo le proposte, avanzate da soggetti diversi da ANMVI, in 10° nella Commissione ha prevalso l’esercizio burocratico fine a se stesso.

    La richiesta dell’ANMVI per il Governo è di tornare sui propri passi e di non introdurre alcuna sanzione. La cessione di medicinali veterinari per avvio della terapia immediata, è praticata con efficienza e correttezza dal 2006 a beneficio degli animali curati, senza disciplina sanzionatoria. Una simile norma vessatoria per l’esercizio della professione veterinaria per gli animali da compagnia esisterebbe solo in Italia e in nessun altro Paese né dell’Europa, né del mondo.

  • Al via il bando per creare il reparto di pediatria più accogliente del mondo

    Realizzare «il reparto di pediatria più bello e accogliente del mondo». È la grande sfida di Fondazione De Marchi – ente non profit impegnato a migliorare la qualità della vita dei pazienti pediatrici e dei loro genitori – che ha lanciato un bando da un milione di euro per trasformare gli spazi pediatrici del Nuovo Policlinico di Milano, che sarà ultimato entro il 2024, in ambienti accoglienti e a misura di bambino, al fine di ridurre al minimo lo stress emotivo e psicologico dei pazienti e dei loro genitori. I fondi stanziati per il bando sono stati raccolti grazie alla generosità dei sostenitori dell’organizzazione.

    Il bando, aperto fino al 30 ottobre, è rivolto ad architetti, designer, scenografi, progettisti multimediali e aziende, che sono chiamati a realizzare un progetto volto ad “umanizzare” uno spazio di oltre 12mila metri quadrati distribuito su tre piani, per creare ambienti capaci di aumentare il benessere dei bambini e dei loro familiari, per cui sono previste sia zone di incontro e relax sia spazi per lo smart working.

    Gli interventi, in particolare, riguarderanno le aree pediatriche del Nuovo Policlinico di Milano: gli spazi di degenza (88 posti letto), l’atrio di ingresso, il pronto soccorso pediatrico, la terapia intensiva pediatrica, il collegamento tra il reparto di pediatria e il giardino terapeutico. In particolare, sono previste sale dedicate all’attività didattica, spazi gioco e luoghi di incontro per pazienti e genitori dotati di giochi, libri e dispositivi tecnologici. Tutti gli ambienti condivideranno una narrazione e un unico progetto creativo e verranno utilizzate soluzioni multimediali, come speciali installazioni e percorsi di realtà aumentata sia statiche per accogliere, stupire e accompagnare i bambini in ogni tappa del loro percorso di cura.

    Lo spazio pediatrico, insieme al reparto Maternità, costituirà uno dei due blocchi di 7 piani, uniti da un blocco centrale di 3 piani, del Nuovo Policlinico di Milano. Il progetto – che vede tra i firmatari Stefano Boeri, Gianandrea Barreca e Giovanni La Varra – prevede un grande spazio nel cuore di Milano in cui saranno realizzati percorsi di cura dedicati e un parco sopraelevato, che costituirà un grande “polmone” verde.

    Le nuove aree pediatriche saranno un punto di riferimento nazionale per i bambini bisognosi di cure mediche. La Lombardia è, infatti, tra le regioni maggiormente coinvolte nell’accoglienza di pazienti costretti a spostarsi per motivi sanitari.

  • Restiamo in attesa

    Quante volte, negli anni prima del covid, abbiamo letto delle drammatiche condizioni nelle quali vivevano gli anziani in varie case di riposo?

    Quante volte sono state annunciate inchieste per controllare, verificare, impedire che si ripetessero situazioni spesso tragiche con anziani denutriti, legati ai letti, percossi e feriti in strutture fatiscenti e degradate!?

    Quante situazioni di degrado sono state effettivamente sanate, quanti dei colpevoli veramente puniti, quante case di riposo, su tutto il territorio nazionale, sono state controllate?

    Poi è arrivato il covid e nelle Rsa gli anziani hanno cominciato a morire a frotte, si è tornato a parlare di scandali, mala gestione, necessità di controlli ed interventi, come sempre tutto a parole perché le azioni concrete, le volontà di non ricadere nei vecchi errori, non si sono concretizzate.

    Il covid è più o meno finito da un po’ di tempo e a Milano, in città, è andata a fuoco, con diversi morti e molti feriti, una casa di riposo perché, pur sapendo da giorni che il sistema antincendio non funzionava, nessuno aveva provveduto a ripararlo.

    Ora il sindaco Sala dichiara “chi è responsabile pagherà” ma i morti restano morti, quei morti che erano andati lì proprio per continuare a vivere con quella sicurezza che non potevano più avere a casa loro.

    Ci chiediamo se, dopo le tragedie avvenute nelle case di riposo, durante il covid, il sindaco di Milano, sempre pronto a dichiarazioni su tanti argomenti, compreso quel verde che a Milano non c’è, abbia ritenuto, insieme al suo assessore alla partita, di fare una, anche breve, visita ai vari luoghi dove a Milano tanti anziani si aspettano di continuare a vivere e non di rischiare una morte per cause non naturali.

    Vorremmo che su questo problema il Comune si esprimesse in modo chiaro ed inequivocabile citando, una per una, tutte le case di riposo, pubbliche e private, di Milano ragguagliando i milanesi sulla loro sicurezza e affidabilità.

    E data la situazione vorremmo che anche il presidente Fontana, ed il suo assessore, con i rispettivi sindaci lombardi, iniziassero una mappatura reale sulla sicurezza e vivibilità delle case di riposo in Lombardia.

    Restiamo in attesa perchè se questo non avverrà, neppure questa volta, il chi sbaglia paga dovrà essere rivolto proprio alle più alte cariche amministrative.

  • Australia legalises psychedelics for mental health

    Australia has become the first country in the world to legalise the use of psychedelics to treat some mental health conditions.

    Approved psychiatrists can now prescribe MDMA to those suffering post-traumatic stress disorder and magic mushrooms for some types of depression.

    The controversial move has been hailed as a game-changer by many scientists and mental health experts.

    However, others say the move has been too hasty and should not be over-hyped.

    Experts say there is still the risk of a “bad trip”, which is when the user has an unpleasant experience while under the influence of drugs.

    And the therapy comes at a cost, with Australian media reporting one course could cost tens of thousands of dollars.

    MDMA – also known as the party drug ecstasy – is a synthetic drug that acts as a hallucinogen. It increases the user’s energy levels, sensory experiences and distorts their sense of time.

    Magic mushrooms, which grow naturally, also have hallucinogenic effects due to the active compound psilocybin.

    While Australia is the first country in the world to regulate the drugs as medications, clinical trials are also underway in the US, Canada and Israel.

    Under the new regulations which became official in Australia on 1 July, approved psychiatrists can prescribe MDMA for post-traumatic stress disorder (PTSD) and psilocybin for depression that has resisted other treatments.

    Use of the psychedelics would be carefully monitored and not a case of “take a pill and go away”, said Dr Mike Musker, a mental health researcher at the University of South Australia.

    Describing the move as a “game-changer”, he told AFP news agency that, in the case of MDMA for example, the patient would likely have three treatments over five to eight weeks. Each treatment would last about eight hours, with the therapist staying with the patient the whole time.

    Patients should not expect a miracle cure, however.

    “I have read about stories where people have had what you call bad trips, or actually they’ve re-experienced their trauma, and so we’ve got to take great caution,” Dr Musker said.

    Professor Susan Rossell, a cognitive neuropsychologist at Melbourne’s Swinburne University said that while psychedelics certainly had the potential for therapeutic use, the move had come about too quickly.

    “When you look at interventions… for any other kind of disease, whether it’s cardiovascular disease or cancer, you cannot get a drug to market as quickly as this has been done,” she told AFP.

    Prof Rossell, who is leading Australia’s biggest trial on the effects of psilocybin on depression, added that more research was needed to determine the long-term outcomes of the therapy.

    Australia’s Therapeutic Goods Administration (TGA) shocked many in the medical and science world in February when it reclassified MDMA and psilocybin so they could be used for therapeutic purposes.

    It declared the drugs “relatively safe” when used in a “medically-controlled environment” for patients “with serious mental health conditions”. Otherwise, both MDMA and psilocybin are illegal in Australia.

    The TGA acknowledges that there are unknowns and inconclusive evidence, but says “there are promising signs” that controlled therapeutic use of the drugs may improve mental health for some people and that the “benefits for some patients… will outweigh the risks”.

    The regulator says there are currently no approved products that contain MDMA or psilocybin. However the reclassification means psychiatrists will be able to access and legally supply certain medicines that contain them, even if they have not been evaluated for safety or effectiveness.

  • Sos ospedali: mancano 100mila posti letto

    ‘Salvare gli ospedali’. E’ l’appello che 30 società scientifiche indirizzano alla premier Giorgia Meloni, sulla scorta di numeri che non lasciano dubbi circa la criticità della situazione: nel Servizio sanitario nazionale mancano 30.000 medici ospedalieri, 70.000 infermieri e circa 100.000 posti letto. In 10 anni (2011-2021), in Italia, sono stati chiusi 125 nosocomi, ben il 12%. E in soli 12 mesi eliminati quasi 21.500 posti letto. Il diritto alla salute, averte Francesco Cognetti, coordinatore del Forum delle Società Scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani (Fossc), “è in grave pericolo”.

    I medici innanzitutto: oggi sono 130mila, 60mila unità in meno della Germania e 43mila in meno della Francia. Si assiste, inoltre, a un consistente esodo di medici neolaureati e specializzandi, più di 1.000 l’anno, perché all’estero gli stipendi e le condizioni di lavoro sono nettamente migliori. In particolare, nei Pronto Soccorso la carenza di personale è quantificabile in 4.200 camici bianchi (in sei mesi, da gennaio a luglio 2022, se ne sono dimessi 600, circa 100 al mese). A fronte di ciò, sul versante economico la previsione della spesa sanitaria sul Pil per il periodo 2023-2026 registrerà già nel 2024 il ritorno al valore del 6,3% rispetto ad una media dell’8,8% dei 37 Paesi dell’Ocse e del 10% circa di Francia e Germania. Per questo, in conferenza stampa, i rappresentanti delle 30 Società Scientifiche riunite in Fossc si sono rivolti direttamente alla presidente Meloni per chiedere la completa revisione dei parametri organizzativi degli ospedali sanciti dal Decreto Ministeriale 70.

    “Vogliamo far sentire la nostra voce. Servono interventi tempestivi. Rivolgiamo le nostre richieste alla premier: più risorse per assumere personale e assicurare migliori condizioni di lavoro – afferma Cognetti -. La crisi del sistema ospedaliero, a causa delle politiche deliberatamente anti ospedaliere dei precedenti governi, paradossalmente ignorata dal Pnrr, è innegabile ed ha raggiunto livelli critici”. Tuttavia, sottolineano le società scientifiche, “abbiamo appreso con estremo interesse le intenzioni della presidente del Consiglio di voler cambiare l’indirizzo e i campi d’applicazione del Pnrr e riteniamo che questa sarebbe un’occasione unica per la sanità di impiegare una quantità cospicua di fondi”. Non bastano infatti, avvertono, “le 1350 Case di Comunità previste dal Pnrr a risolvere i problemi della sanità, se non si affrontano i nodi centrali della crisi profonda degli ospedali e delle risorse per il reclutamento del personale”. Anche l’Ocse, ricordano clinici e universitari, si è dichiarata molto preoccupata per nuove crisi sanitarie nei Paesi che investono minori risorse in sanità e per l’Italia prevede un investimento pari ad almeno l’1,4% in più rispetto al Pil 2021, che equivale ad un aumento annuo di ben 25 miliardi di euro. In questa situazione, afferma ancora il Forum, “riteniamo sia impensabile distrarre personale dai nosocomi verso le strutture territoriali previste dal Pnrr, cioè Case od Ospedali di comunità”.

    La recente Conferenza della Sanità del G7, che si è svolta in Giappone, ha prodotto un documento finale in cui viene rilanciato l’impegno a rafforzare i sistemi sanitari. Anche Papa Francesco e il presidente della Repubblica hanno più volte dichiarato la loro viva preoccupazione, lanciando moniti e raccomandazioni per sostenere il sistema sanitario pubblico. “Ci auguriamo – concludono le società scientifiche – che il governo ascolti questi moniti ed i clinici che ogni giorno curano i cittadini negli ospedali”.

  • Si potrebbero evitare 4 tumori su 10 ma il 50% non accetta l’invito a fare lo screening

    Molti tumori sono prevenibili e gli screening possono letteralmente salvare la vita. Eppure, un italiano su due non effettua i test che il Servizio sanitario nazionale (Ssn) offre gratuitamente per tre neoplasie – il cancro al seno, al colon-retto e al collo dell’utero – e ancora troppi ignorano il dato che ben il 40% dei decessi per cancro può essere prevenuto attraverso i corretti stili di vita. A rilanciare il forte invito alla prevenzione è stato, dal Festival di Sanremo, il ministro della Salute Orazio Schillaci, mentre l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) ha annunciato l’avvio di una grande campagna.

    “Oggi abbiamo a disposizione gratuitamente lo screening per tre tipi di tumore e stiamo lavorando per ampliare le possibilità, ma farli è fondamentale perché con lo screening si individua prima la malattia e si può far sì che venga completamente curata. Farlo sapere agli italiani è fondamentale perché purtroppo, ancora oggi il 50% non risponde quando arriva la domanda di effettuare lo screening”, ha detto Schillaci. E la scelta di lanciare questo messaggio proprio dal Festival della canzone non è stata casuale: “Credo sia un valore aggiunto perché si arriva in tutte le case e si parla ai giovani, come agli adulti e agli anziani. Era giusto lanciare da qui un messaggio importante sulla prevenzione oncologica”. Prevenire, ha ribadito, “è fondamentale, perché circa il 40% dei tumori può essere evitato con corretti stili di vita”. E proprio alla prevenzione punta la nuova campagna degli oncologi Aiom, che partirà nelle prossime settimane: un grande progetto di sensibilizzazione per migliorare l’adesione al test contro il cancro al colon-retto, che prevede spot, opuscoli, una campagna social ed il coinvolgimento delle farmacie. In Italia è il secondo tumore più frequente dopo quello alla mammella, con 48.100 casi nel 2022, ovvero +4.400 in 2 anni. Eppure, 7 italiani su 10 non aderiscono allo screening e non eseguono il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci, che il Ssn offre gratuitamente ogni due anni a tutti i 50-69enni.

    È dimostrato che il test è in grado di ridurre la mortalità di circa il 30%. Non solo. Proprio questa neoplasia è stata l’esempio dell’efficacia dei programmi di prevenzione: nel 2020, i tassi di incidenza erano in diminuzione del 20% rispetto al picco del 2013. Ma lo stop agli screening durante la pandemia ha vanificato i risultati ottenuti. A questo si aggiungono le forti differenze tra le Regioni: oggi, afferma il presidente Aiom Saverio Cinieri, “assistiamo ad un’epidemia di nuove diagnosi. Ma se al Nord il 45% dei cittadini esegue il test del sangue occulto, al Centro è il 31% e al Sud soltanto il 10%. Inoltre, solo 5 Regioni superano il target del 50% di adesione: Veneto, Trentino, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna e Friuli”. La prevenzione è dunque prioritaria: “Nel 90% dei casi – spiega Sara Lonardi, direttore Oncologia 3 all’Istituto Oncologico Veneto di Padova – tale tumore si sviluppa da lesioni precancerose. Per questo lo screening è così efficace: ci permette di rimuovere i polipi prima che diventino neoplastici”.

    Ma un grande peso hanno anche gli stili di vita. Tra i fattori di rischio, conclude Filippo Pietrantonio dell’Oncologia Gastroenterologica all’Istituto Tumori di Milano, «rientrano proprio gli stili di vita scorretti: sedentarietà, fumo, sovrappeso, obesità, consumo eccessivo di farine e zuccheri raffinati, carni rosse, alcol, insaccati e ridotta assunzione di fibre vegetali”.

  • Gli italiani ricorrono meno agli antibiotici, metà degli anziani li usa

    Scende l’uso degli antibiotici in Italia, soprattutto al Nord, ma le prescrizioni sono sempre troppe rispetto a quelle di molti paesi europei. Nel confronto internazionale emerge nel nostro paese un maggior ricorso ad antibiotici ad ampio spettro, che hanno un impatto più elevato sullo sviluppo delle resistenze antibiotiche. E cresce in ospedale il ricorso all’utilizzo di antibiotici indicati per la terapia di infezioni causate da microrganismi multi-resistenti. Nel 2021 la metà degli anziani è stata sottoposta ad una terapia antibiotica ed un antibiotico su 4 è comprato privatamente.

    Il Rapporto “L’uso degli antibiotici in Italia – 2021», dell’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed) dell’Aifa, pubblicato sul portale dell’Agenzia, prende in esame l’uso degli antibiotici in ambito ospedaliero, l’acquisto privato di antibiotici di fascia A, il consumo degli antibiotici non sistemici e gli indicatori di appropriatezza prescrittiva nell’ambito della Medicina Generale. I dati stabiliscono che continua il trend in riduzione del consumo di antibiotici in Italia: -3,3% nel 2021 rispetto al 2020. Nel 2021 circa tre cittadini su dieci hanno ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici, con una prevalenza che aumenta all’avanzare dell’età, raggiungendo il 50% negli over 85. Fra i bambini i maggiori consumi si concentrano tra i 2 e i 5 anni, fascia in cui circa 4 bambini su 10 hanno ricevuto nell’anno almeno una prescrizione di antibiotici.

    Più di un quarto dei consumi a livello territoriale (26,3%) corrisponde ad acquisti privati di antibiotici rimborsabili dal Ssn (classe A). Nel 2021 il consumo medio giornaliero di antibiotici di classe A acquistati privatamente dai cittadini è stato pari infatti a 4,1 dosi ogni 1000 abitanti, ovvero il 24% del consumo totale di antibiotici, mentre la spesa pro capite è stata di 2,25 euro (134 milioni di euro), rappresentando il 17% della spesa complessiva degli antibiotici e l’8,8% dell’intera spesa privata dei farmaci di classe A. Le penicilline in associazione agli inibitori delle beta-lattamasi si confermano la classe a maggior consumo (36% dei consumi totali), seguita dai macrolidi e dai fluorochinoloni. Resta la grande variabilità regionale nei consumi a carico del Ssn, che sono maggiori al Sud rispetto al Nord e al Centro. Nelle regioni del Nord si registrano inoltre le riduzioni maggiori (-6,1%), mentre al Sud sono più contenute (-2,2%).

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