diplomazia

  • I segnali del tempo che cambia

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    Sono ormai evidenti i primi segnali del cambiamento della stagione caratterizzato dal fiorire dei primi fiori primaverili quanto dallo scioglimento delle prime nevi anche ad alte quote.

    Contemporaneamente nello scenario bellico internazionale la Russia ormai ha compreso come un nuovo accordo di pace sia inevitabile, anche in considerazione del peso delle sanzioni promesse dagli Stati Uniti nel caso non si aderisse ad una trattativa con il nemico ucraino. Prova ne sia il fatto che proprio negli ultimi giorni Putin stia aumentando il proprio sforzo bellico per arrivare al tavolo negoziale in una posizione di maggiore forza.

    Contemporaneamente l’Ucraina cerca di riallacciare i rapporti con gli Stati Uniti e si dichiara maggiormente disponibile ad un nuovo negoziato anche a causa del timore di un possibile spegnimento dell’occhio satellitare che l’impedirebbe di vedere gli attacchi russi rendendola più vulnerabile agli attacchi di Mosca.

    Viceversa l’Europa sta declinando sempre verso lo status di terra marginale, cioè rappresenta il classico scenario di guerra secondaria come poteva essere negli anni settanta il Vietnam.

    Questo inesorabile declino rappresenta uno degli effetti della strategia della istituzione europea la quale, in prossimità di un possibile accordo, non trova una posizione politica e diplomatica che le consenta di entrare all’interno di un negoziato complesso dopo tre anni di una strategia che non ha mai compreso l’alternativa diplomatica alla soluzione del conflitto russo ucraino. Una trattativa i cui esiti si manifesteranno inevitabilmente proprio all’interno del continente europeo, ed invece di trovare una propria collocazione non trova niente di meglio se non emettere nuovo debito per l’aumento delle spese militari e probabilmente la creazione di un esercito comune.

    Il medioevo politico ed intellettuale espresso nell’intera Europa e dalla propria classe politica ed intellettuale non ha precedenti nella storia del genere umano in quanto si conferma la assoluta incapacità di avvertire i cambiamenti del tempo politico i quali virano verso una nuova opportunità di tregua se non addirittura di pace.

    Solo chi non sappia neppure leggere si può dimostrare non in grado di comprendere questi segnali della evoluzione di questo periodo, il quale finalmente si rivela in forte cambiamento.

  • Canada e India ai ferri corti: espulsi i reciproci ambasciatori

    La crisi diplomatica in atto da ormai un anno tra India e Canada ha portato nei giorni scorsi all’espulsione reciproca degli ambasciatori. La crisi è aperta dal 18 settembre 2023, giorno in cui il primo ministro del Canada, Justin Trudeau, durante un intervento parlamentare, riferendo di aver ricevuto “elementi credibili” dalle agenzie di sicurezza, accusò pubblicamente l’India di essere coinvolta nell’omicidio dell’attivista sikh Hardeep Singh Nijjar, cittadino canadese, avvenuto due mesi prima in territorio canadese. L’attivista ucciso era coinvolto nel movimento per il Khalistan, una patria sikh che dovrebbe comprendere il Punjab indiano, l’unico Stato in cui la comunità è maggioritaria (circa 60 per cento della popolazione, contro il due per cento scarso in tutta l’India) e alcuni altri territori (i confini variano a seconda dei gruppi).

    Il movimento per il Khalistan, nato verso la fine del dominio britannico, raggiunse il suo culmine nel Punjab negli anni Ottanta, mentre dagli anni Novanta è andato scemando, sia per la repressione delle forze dell’ordine sia per le divisioni interne. La terra dei sikh oggi è vagheggiata soprattutto tra gli espatriati. Nuova Delhi, tuttavia, mantiene una linea durissima contro il separatismo sikh. L’organizzazione Sikhs for Justice (Sfj), di cui Nijjar faceva parte, è classificata come associazione illegale in India. Il gruppo militante Khalistan Tiger Force (Ktf), di cui Nijjar era ritenuto il capo dalle autorità indiane, è stato designato come organizzazione terroristica. La questione sikh è stata motivo di frizioni tra India e Canada anche prima della grave crisi in corso, da quando Trudeau è in carica. Le accuse scambiate tra i due governi hanno però raggiunto toni drammatici ieri.

    Il ministero degli Esteri indiano ha emesso tre comunicati nel corso della giornata: il primo per contestare l’inclusione del suo ambasciatore a Ottawa e di altri diplomatici tra le “persone di interesse”, ovvero informate dei fatti e convocabili durante le indagini sul caso Nijiar; il secondo per annunciare il ritiro dell’ambasciatore e di altri diplomatici e funzionari; il terzo per comunicare l’espulsione di sei diplomatici canadesi. Nel frattempo, indiscrezioni della stampa, in particolare del quotidiano “The Washington Post”, che ha interpellato funzionari del governo canadese, hanno rivelato che i diplomatici indiani sono stati in realtà espulsi. L’espulsione, infine, è stata confermata dal ministero degli Esteri del Canada, dopo un quadro allarmante illustrato da una conferenza stampa della Polizia reale canadese a cavallo (Rcmc).

    La Polizia canadese ha parlato senza mezzi termini del “coinvolgimento di agenti del governo indiano in gravi attività criminali in Canada”, tra cui “omicidi, estorsioni e altri atti criminali di violenza”, scoperto attraverso “molteplici indagini in corso”. L’Rcnc ha spiegato che, in seguito a diverse denunce, ha creato nel febbraio di quest’anno una squadra multidisciplinare che “ha appreso una notevole quantità di informazioni sull’ampiezza e la profondità dell’attività criminale orchestrata da agenti del governo indiano”. Le indagini hanno rivelato anche che diplomatici e funzionari consolari indiani “hanno sfruttato le loro posizioni ufficiali per svolgere attività clandestine, come la raccolta di informazioni per il governo indiano, direttamente o tramite i loro rappresentanti; e altri individui hanno agito volontariamente o tramite coercizione”.

    Secondo quanto riferito, il vice commissario della polizia federale, Mark Flynn, ha tentato di incontrare gli omologhi delle forze dell’ordine indiane per discuterne, ma “questi tentativi non hanno avuto successo”. Nel fine settimana, quindi, Flynn, insieme alla consigliera per la Sicurezza nazionale e l’intelligence, Nathalie Drouin, e al viceministro degli Esteri, David Morrison, ha incontrato funzionari del governo indiano per presentare alcune “evidenze” e chiedere collaborazione in merito a quattro problemi molto gravi: l’estremismo violento che colpisce entrambi i Paesi; i collegamenti tra agenti del governo indiano e omicidi e atti violenti; l’uso della criminalità organizzata per creare la percezione di un ambiente non sicuro che prende di mira la comunità sud-asiatica in Canada; l’interferenza nei processi democratici.

    Il ministero degli Esteri del Canada ha motivato l’espulsione di sei diplomatici e funzionari consolari indiani con l’indisponibilità dell’India a collaborare e con la necessità di proteggere la sicurezza dei canadesi: “Per far progredire l’indagine e consentire alla Rcmp di interrogare gli individui interessati, è stato chiesto all’India di rinunciare alle immunità diplomatiche e consolari e di collaborare all’indagine. Purtroppo, poiché l’India non era d’accordo e dati i problemi di sicurezza pubblica per i canadesi, il Canada ha notificato l’espulsione a questi individui”, si legge nel comunicato. La ministra Melanie Joly si è rammaricata, sottolineando che è “nell’interesse di entrambi i Paesi arrivare in fondo a questa questione”.

    Per Nuova Delhi, invece, “il governo canadese non ha condiviso un briciolo di prova con il governo dell’India, nonostante le numerose richieste”; contro i diplomatici indiani sono state lanciate “imputazioni assurde” e “ridicole”; da Ottawa sono giunte solo “affermazioni prive di fatti” e dietro “il pretesto di un’indagine” c’è “una strategia deliberata di diffamazione dell’India per guadagni politici”. Il ministero degli Esteri indiano, a sua volta, ha accusato il governo del Canada, ed esplicitamente il suo primo ministro Trudeau, di aver “concesso spazio a estremisti violenti e terroristi per molestare, minacciare e intimidire diplomatici indiani” giustificando tali attività “in nome della libertà di parola”. Oltre a lamentare la mancata repressione in Canada dell’attivismo separatista sikh, il ministero ha attribuito a Trudeau una “evidente ostilità” nei confronti dell’India, con motivazioni politiche.

    La vicenda per Nuova Delhi è da attribuire “all’agenda politica del governo Trudeau che è incentrata sulla politica della banca dei voti”. Dunque, Trudeau – leader del Partito liberale, nettamente indietro rispetto al Partito conservatore in tutti i sondaggi più recenti in vista delle elezioni federali dell’anno prossimo – utilizzerebbe il caso Nijiar a scopo elettorale, per attingere alla “riserva di voti” dell’elettorato sikh (una comunità di circa 800 mila persone, su una popolazione di circa 39 milioni). Anche a costo delle relazioni di lunga data, 75 anni, con l’India, con cui sussistono importanti legami storici ed economici.

    Il caso Nijiar, comunque, non è isolato. Ne esiste uno analogo negli Stati Uniti, dove un cittadino indiano di nome Nikhil Gupta è stato incriminato per il coinvolgimento in un “complotto sventato” per assassinare a New York un “leader del movimento separatista sikh”, Gurpatwant Singh Pannun, fondatore del gruppo Sikhs for Justice. Qualche mese fa, inoltre, il quotidiano “The Washington Post” ha pubblicato un’inchiesta – “infondata” secondo Nuova Delhi – sulle “campagne di repressione transfrontaliera” condotte negli ultimi anni dall’India. La testata ha intervistato “più di tre decine di attuali ed ex alti funzionari negli Stati Uniti, in India, Canada, Regno Unito, Germania e Australia”, interviste che hanno descritto una “posizione globale sempre più aggressiva della Raw”, l’agenzia di spionaggio indiana Research and Analysis Wing.

  • La diplomazia culturale come ‘arma’ preventiva per la pace

    Esistono spazi per una diplomazia culturale che crei i presupposti per la pace in un mondo alle prese con guerre in Ucraina, Medio Oriente e, potenzialmente, a Taiwan, solo per citare i conflitti più noti?

    La domanda se la pone l’Associazione Ars Pace presieduta dall’ex presidente del Parlamento europeo Enrique Baron Crespo in un convegno organizzato al Circolo degli Esteri di Roma da Monica Baldi, eurodeputata e vicepresidente della medesima associazione su ‘Diplomazia culturale e pace’, col patrocinio dell’Unione consoli onorari italiani, del Parlamento europeo e dell’Università per la pace dell’Onu.

    Se la pace è un processo, come suggerisce Baron Crespo intendendo per processo un dialogo che tessa e rafforzi i legami, la chiave per attivare quel processo, ha dichiarato l’on. Cristiana Muscardini intervenendo al convegno, non può che essere l’empatia tra esseri umani. Perché pace, come precisato anche da numerosi altri interventi, è concetto che si può declinare in vari modi: dalla resa alle pretese altrui alla reciproca comprensione delle ragioni degli altri. Ma la pace deve essere una pace giusta, ha sottolineato ancora Muscardini, presidiata da regole della comunità e delle organizzazioni internazionali che garantiscano che le ragioni degli uni non siano interamente sacrificate alle ragioni degli altri. E la diplomazia culturale come soft power, quale l’ha identificata l’ambasciatore e presidente dell’Ucoi Carlo Marsili, è esattamene lo strumento attraverso il quale la comunità internazionale può raggiungere un equilibrio delle rispettive ragioni che non sia fondato sulla forza ma sulla mutua comprensione.

    Chiarito il concetto, la sua implementazione pratica è tutt’altro che ovvia, ha evidenziato Gianfranco Fini intervenendo come ospite al convegno stesso. Perché l’Occidente è davvero ormai in crisi: se ne parla da tempo, ma la cancel culture, la pretesa di rinnegare e cancellare un passato che si trova inaccettabile come se riscrivere la storia fosse una via davvero praticabile e non un’illusione quantomeno ingenua, è la prova fattuale che l’Occidente non sa più cosa sia, cosa voglia essere e cosa voglia rappresentare. Difficile quindi che sia in grado di dialogare con altri e far dialogare altri per comporre le rispettive ragioni.

    Ecco allora, come sottolineato dall’ex ministro degli Esteri e professore della Luiss Enzo Moavero Milanesi, che la via della diplomazia culturale si fa stretta e impervia. E tuttavia, ha evidenziato ancora lo stesso Milanesi, resta una via praticabile: per l’Italia anzitutto, perché se si parla di cultura l’Italia è una potenza a tutti gli effetti, per l’Unione europea, perché la sua stessa costruzione è il risultato di un’ibridazione di identità e culture che non si sono rinnegate ma che proprio ricordando il loro bellicosissimo passato hanno dato vita a un processo di integrazione.

    Altro che abdicare a se stesso, l’Occidente deve ritrovare in se stesso le ragioni per continuare a essere un player globale. Di contro alla cancel culture vi è l’esempio additato dall’ambasciatore e presidente dello Iai (Istituto affari internazionali), Ferdinando Nelli Feroci, della Corea del Sud, Paese a tutti gli effetti appartenente all’Occidente, che tramite la Korea Foundation sta facendo un grande lavoro di affermazione (branding, si direbbe con linguaggio del marketing) della propria cultura e dei propri valori.

    Educazione, informazione, conoscenza, fa eco a Nelli Feroci l’ambasciatrice Maria Assunta Accili (membro del consiglio direttivo della Società italiana per l’organizzazione internazionale), sono i tre elementi attraverso i quali la cultura può evitare ai popoli di precipitare come sonnambuli in relazioni conflittuali anziché armoniose.

    A fronte di un Occidente che per troppo tempo ha dato per scontata la pace, come provoca la giornalista Rai Tiziana De Simone nel moderare il dibattito, vi è un Sud globale, ricorda il rappresentante della sede romana dell’Università della Pace Roberto Savio, che mostra un crescente scetticismo verso l’Occidente propria a causa dei dubbi che questo nutre su se stesso e quindi sul suo ruolo nel mondo e sugli aiuti internazionali verso gli altri Paesi di cui è sempre meno prodigo (da qui, ha notato Savio, l’affermazione di governi sovranisti in 10 dei 27 Paesi del Sud globale).

    Proprio per sollecitare i vari Paesi e per indurre tutti a prendere l’iniziativa del dialogo e del confronto non armato l’associazione promuoverà ulteriori convegni in vari Paesi. Prossima tappa, ha annunciato Monica Baldi, Barcellona.

  • ‘Safari’ di Cristiana Muscardini sarà presentato a Roma durante il Convegno ‘Diplomazia culturale e pace’

    Martedì 15 ottobre, alle ore 18:00, a Roma (Lungotevere dell’Acqua Acetosa, 42), durante il convegno Diplomazia Cultuale e Pace organizzato dall’associazione culturale Ars Pace, sarà presentato il libro dell’On. Cristiana Muscardini Safari – Viaggio nella vita di italiani in Africa. All’incontro, moderato dalla giornalista Tiziana Di Simone, conduttrice del programma ‘Caffè Europa’ in onda su Rai Radio 1, parteciperanno, tra gli altri, l’On. Enirque Baron Crespo, Presidente Ars Pace e Leader pour la Paix, il Prof. Enzo Moavero Milanesi, Università Luiss “Guido Carli” Roma, l’Amb. Ferdinando Nelli Feroci, Presidente Istituto Affari Internazionali (IAI) e l’On. Monica Baldi, Vicepresidente Ars Pace & European Parliament Former Members Association (EP_FMA).

  • Addio a Kissinger e a un’epoca in cui la diplomazia era fatta di relazioni tra persone

    La morte di Henry Kissinger segna la fine di un’epoca, un’epoca nella quale la diplomazia, il rapporto tra gli stati, non era affidato ai social ma alle capacità di avere relazioni nel rispetto tra le persone e nella conoscenza approfondita dei problemi interni ed esterni.

    Sembrava eterno Kissinger che, fino all’ultimo, non ha fatto mancare alla comunità internazionale il suo pensiero ed i suoi suggerimenti, avvolto in un’aurea quasi mitica per le sue capacità diplomatiche, le sue relazioni, anche con paesi e capi di stato molto “difficili”, che gli facevano individuare le strade, a suo avviso, più giuste da percorrere.

    In una società dove anche il pensiero sembra diventato liquido e lo studio delle realtà geopolitiche e della storia dei popoli sempre più ignorata, dobbiamo sperare che il Segretario di Stato americano Antony Blinken, tanto attivo sia per la guerra in Ucraina che per quella di Israele contro i terroristi di Hamas, sappia suggerire alle diplomazie in ogni stato, la necessità di tornare ad una diplomazia capace, incisiva e consapevole delle conseguenze delle scelte e delle non scelte.

  • India to resume visa services for Canadians

    India will resume visa services for Canadians after they ceased in a major diplomatic row in September, India’s High Commission in Ottawa says.

    At the time, India said the move was due to “security threats” disrupting work at its Canadian missions.

    But the suspension came amid a serious dispute over the killing of a Sikh separatist on Canadian soil.

    Ottawa accused India of being behind the killing – an allegation New Delhi has called “absurd.”

    On Wednesday, officials said they will resume issuing some visas after reviewing the security situation at their missions, and in light of recent Canadian measures which they did not name.

    Services will reportedly resume on Thursday, and will apply to entry visas, as well as business, medical and conference visas.

    Relations between India and Canada reached historic lows after Prime Minister Justin Trudeau accused the country of being behind the murder of Hardeep Singh Nijjar, a Sikh separatist leader that was shot and killed in Surrey, British Columbia, in June.

    Police at the time described it as a “targeted killing”, but no suspects have yet been identified.

    Mr Trudeau has urged for India’s cooperation into the ongoing murder investigation, while stressing that Canada is not looking to escalate the rift with India.

    Canada recently withdrew dozens of its diplomats from India, after the country threatened to remove diplomatic immunity for them.

    India has said Canada had many more diplomats in Delhi than India has in Ottawa, and has demanded parity ever since the row between the two countries erupted.

    Twenty-one Canadian diplomats remain in India.

  • La diplomazia

    La diplomazia viene giustamente definita un’arte, quindi un’attività assolutamente superiore e lontana dalla banale politica quotidiana, sempre alla rincorsa, nelle proprie dichiarazioni, anche durante un periodo di guerra, di un consenso immediato da incassare e tradurre magari in un successivo consenso elettorale.

    Il mondo della diplomazia invece rifugge dai fari dei media, specialmente se social, per non precludere il raggiungimento di un accordo il quale, indipendentemente dallo specifico conflitto e dall’area geografica interessata, rimane quello iniziale di un “cassate il fuoco”.

    Questo rappresenta la base minima di partenza dalla quale poi è consentito porre le basi per un accordo politico con step progressivi e successivamente assicurare una pace, armata forse, ma duratura.

    L’unica condizione richiesta dagli operatori diplomatici, ottimamente supportati dai servizi, ruolo fondamentale nell’acquisizione di informazioni relative ai sentiment dei contendenti, anche in un’ottica di comprensione delle evoluzioni politiche, è rappresentata non solo da una discrezione assoluta ma soprattutto da una tranquillità operativa come frutto di una relativa e non troppo invasiva attività attribuibile al mondo della politica ed istituzionale soprattutto.

    In altre parole, i responsabili delle sempre difficili trattative tra nazioni in guerra e i relativi leader belligeranti richiedono, all’interno di un conflitto il cui conto viene pagato giornalmente con vite umane, una comunicazione equilibrata, per quanto possibile, soprattutto dagli organi istituzionali, anche se investiti solo marginalmente dal conflitto. Il mondo della diplomazia difficilmente potrà subire un danno nella evoluzione del percorso verso un primo accordo dalla dichiarazioni di un Letta o di un Salvini qualsiasi di un paese terzo.

    Altro effetto, viceversa, possono avere le prese di posizione dei rappresentati istituzionali dei singoli Paesi le cui dichiarazioni hanno il peso di uno Stato e come tali vengono interpretate proprio dalle parti belligeranti, ancor più se impegnate all’interno della trattativa diplomatica.

    A margine del discorso di Zelensky al Parlamento italiano, le cui interpretazioni e valutazioni si moltiplicano di ora in ora, rappresenta un errore di dimensioni COLOSSALI la successiva dichiarazione del Presidente del Consiglio Mario Draghi il quale ha suggerito di fare entrare l’Ucraina nell’Unione Europea.

    Innanzitutto va rilevata la tempistica diplomaticamente suicida in quanto si fornisce un ulteriore argomento a conferma delle tesi russe relative ad una volontà dell’Ucraina di uscire dall’area di ingerenza dell’ex impero sovietico (si fa riferimento alla retorica putiniana la quale rappresenta una delle cause del conflitto).

    L’ avventata presa di posizione del Presidente del Consiglio ha l’effetto di rafforzare, quindi, la loro posizione negoziale riducendo, come inevitabile conseguenza, i margini operativi dei negoziatori diplomatici alla ricerca di una soluzione accettabile da entrambi i contendenti.

    In più, il peso politico di questa scellerata dichiarazione viene dal Presidente del Consiglio del nostro Paese e non da un rappresentate politico qualsiasi, quindi il peso specifico percepito dagli omologhi russi risulterà sicuramente maggiore ed avrà non solo nell’immediato contesto diplomatico ma anche nel medio e lungo termine un effetto politico ed economico pesante.

    L’arte della diplomazia, quindi, trova nel mondo della politica un sicuro avversario al quale si dimostra, tuttavia, impermeabile anche a causa delle spesso ridicole tesi e dichiarazioni dei singoli leader rappresentanti tanto a livello nazionale quanto europeo.

    Diverso si dimostra, invece, l’effetto ed il danno arrecato alle complesse trattative diplomatiche quando un Presidente del Consiglio si dimostra incapace di prevedere le ricadute delle proprie avventate dichiarazioni dimostrandosi, alla verifica dei fatti e dei comportamenti, molto simile a un qualsiasi rappresentante politico italiano.

    Si azzera, così, la percentuale di considerazione per l’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi Invocato alla guida del nostro Paese come espressione di una superiore preparazione e credibilità internazionale, il quale, però, in un solo anno ha adottato i medesimi comportamenti di quella classe politica per correggere i quali era stato chiamato.

  • L’Iran si conferma un posto insicuro per le feluche: diplomatica svizzera precipita dal balcone

    È giallo in Iran sulla morte di una diplomatica svizzera, trovata senza vita in un’area verde nei pressi del palazzo in cui abitava a Teheran. Secondo una prima ricostruzione, la 52enne sarebbe precipitata dal 18esimo piano di un edificio nel quartiere di Kamranieh, nella zona nord della città che nel ’79 ospitò l’aggressione e il sequestro degli americani in servizio presso l’ambasciata Usa. Una tragedia su cui le unità specializzate della polizia iraniana hanno aperto un’inchiesta, escludendo al momento l’ipotesi di un suicidio. Quando è stato rinvenuto il cadavere, ha riferito il portavoce del Dipartimento per le emergenze di Teheran, Mojtaba Khaledi, la donna era già “morta da un po’ di tempo”.

    La funzionaria lavorava presso l’ambasciata di Berna, spesso al centro dell’attenzione perché incaricata di curare gli interessi degli Stati Uniti nel Paese dalla rottura delle relazioni diplomatiche con la Repubblica islamica nel 1980. “Stamani, la cameriera della diplomatica è andata a casa sua. Non avendola trovata, ha chiamato la polizia. Successivamente, un addetto alla manutenzione in un giardino vicino all’edificio ha trovato il corpo, che è stato riconosciuto dal portiere del palazzo”, ha riferito Khaledi.

    Le indagini non escludono l’incidente né l’omicidio. Il corpo presentava fratture alla testa e a un braccio. Sarà l’autopsia a stabilire se siano effettivamente compatibili con la caduta da un balcone o una finestra, e se siano riscontrabili segni di violenza o colluttazioni. Il corpo è già stato messo a disposizione del medico legale. A Berna, il ministro degli Esteri Ignazio Cassis si è detto “scioccato dalla tragica morte” e ha espresso le sue “più profonde condoglianze alla famiglia”. Le autorità svizzere, che seguono la vicenda in coordinamento con quelle iraniane, non hanno fornito al momento dettagli sulle circostanze del decesso, né il nome della diplomatica per tutelarne la privacy. Dal canto suo, il ministero degli Esteri di Teheran ha inviato le sue condoglianze e promesso una rapida conclusione delle indagini.

    Il drammatico episodio giunge in un momento molto delicato per l’Iran, impegnato a Vienna con i partner dell’accordo nucleare nei negoziati sul ritorno degli Usa e la rimozione delle sanzioni. Trattative che secondo la Russia continuano a far segnare “progressi”. Ma la fase è tesa anche sul piano interno, dove a un mese e mezzo dalle presidenziali è scontro tra i fondamentalisti e i moderati dell’uscente Hassan Rohani sull’audio rubato in cui il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif criticava il generale dei Pasdaran Qassem Soleimani, ucciso dagli Usa nel 2020. Un clima di accuse e sospetti che rischia di avvelenarsi ancora.

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