donne

  • Il Centro italiano femminile “provoca” una riflessione sul ruolo delle associazioni oggi

    Venerdì 10 marzo  presso la sede di Palazzo Pirelli a Milano – via Fabio Filzi, 22- Sala del Gonfalone – dalle ore 14:00 alle 18:00, il Centro italiano femminile (Cif) celebrerà l’8 marzo nazionale.
    Con l’occasione, grazie alle risultanze della ricerca realizzata da Euromedia Research, saranno verificate le priorità, le esigenze, la propensione alla partecipazione della popolazione femminile italiana e, soprattutto, l’importanza dei corpi intermedi, quali il Cif, per la costruzione della vita sociale e del corretto vivere civile.

    Ne discuteranno S.E. Mario Delpini, Arcivescovo di Milano; Alessandra Ghisleri, Presidente Euromedia Research; Giorgio Vittadini – docente universitario e Presidente Associazione Sussidiarietà; Renata Natali Micheli, Presidente CIF Nazionale e Laura Caradonna, Presidente della Consulta Femminile Interassociativa di Milano.

    Aprirà i lavori Milena Bertani, Presidente AICCRE Lombardia; coordina il giornalista Nicola Varcasia.
    Il Cif vuole mettere a fuoco il presente ed il futuro dell’associazionismo, soprattutto quello cattolico, che si inserisce nella trama e nell’ordito dei rapporti che collegano i sistemi sociali alle strutture istituzionali in un intreccio di “flussi” (interscambi) che rendono possibile, o mantengono o rafforzano, la vita democratica.

  • Tre pensieri per questo otto marzo

    Tre pensieri per questo otto marzo:

    il primo dedicato a tutte le donne che nel mondo subiscono violenze, soprusi, mancanza di libertà e diritti, a tutte quelle donne che lottano, che non si arrendono neanche di fronte alla morte, pensando a come possiamo meglio dare loro sostegno.

    Il secondo è un invito al governo italiano, guidato da una donna che sta affrontando con decisione le sfide di una società sempre più complessa e confusa, affinché si occupi concretamente degli aiuti, di ogni genere, necessari ai tanti figli delle donne uccise, ferite, sfregiate, ai tanti orfani sui quali rimarrà per sempre impresso il dolore subito.

    Il terzo rivolto a tutti noi, donne ed uomini, vecchi e giovani, la società non cambierà in meglio se non sapremo, ciascuno di noi, cambiare in meglio ritrovando sentimenti ed empatia, se non sapremo guardare con maggiore attenzione ai nostri figli per insegnare loro che la salvezza di ciascuno, il rispetto dei diritti individuali, non viene da una società liquida ma da una società giusta.

  • Giornata internazionale della donna: l’UE adotta decisioni destinate a lasciare il segno

    “In occasione della Giornata internazionale della donna, pensiamo alla resilienza e alla forza delle donne, alla loro determinazione nel combattere le ingiustizie, alla loro dedizione nei confronti degli altri, al loro instancabile impegno a favore dei cambiamenti”. A dirlo, in una dichiarazione congiunta, la Commissione europea e l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza in vista della Giornata internazionale della donna. “Non solo oggi, ma ogni giorno, siamo al fianco di tutte le donne per dare un impulso sempre più grande ai loro diritti in tutto il mondo. Vogliamo che le donne possano perseguire senza ostacoli i traguardi che si prefiggono. L’aumento a livello mondiale dell’oppressione nei loro confronti e degli episodi in cui si attenta ai diritti umani di donne e ragazze sono allarmanti”.  Non manca, nella dichiarazione il chiaro riferimento a quanto le donne, in questo momento, stanno subendo in varie parti del mondo, come in Iran, Afghanistan, Ucraina. “Per rafforzare la responsabilità globale, l’UE ha appena adottato un pacchetto di sanzioni nei confronti degli autori di violenze sessuali e di genere”.

    Attenzione anche per le donne che, ancora oggi, devono scegliere tra famiglia e quando in carriera dimostrare molte volte più degli uomini di aver guadagnato con merito quel traguardo. “Vi sono anche buone notizie. L’UE ha preso decisioni fondamentali per garantire che le donne nell’UE abbiano le stesse opportunità degli uomini; ad esempio, con le nuove norme dell’UE sull’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società o sulla trasparenza retributiva. Intendiamo inoltre stabilire norme dell’UE per combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica. Occorre fare di più. Una reale parità di diritti è ancora lontana e sarà realizzata solo quando ci daremo tutti da fare per promuoverla e tutelarla, in Europa e nel mondo intero”. 

    Il tema della Giornata internazionale della donna 2023 è “DigitALL: innovazione e tecnologia per la parità di genere”. Il divario digitale di genere impedisce alle donne di cogliere appieno i vantaggi della transizione digitale. Attraverso la strategia digitale dell’UE e la crescita sostenibile, l’UE cerca di garantire la parità di accesso delle donne al potenziale inutilizzato delle tecnologie digitali.

    La presidente Ursula von der Leyen ha proclamato il 2023 Anno europeo delle competenze. Investire nell’istruzione e nella formazione professionale per le donne e le ragazze è fondamentale per migliorare la posizione delle donne in tutti i settori e per colmare il divario retributivo di genere.

    Nel 2022 l’UE ha compiuto importanti progressi nella legislazione che promuove la parità di genere. Nel marzo 2022 la Commissione ha proposto norme minime dell’UE per combattere la violenza di genere. La proposta di direttiva affronta, per la prima volta, la violenza online, come la condivisione non consensuale di immagini intime; lo stalking online, le molestie online e l’incitamento alla violenza o all’odio online. Dall’agosto 2022 sono entrati in vigore i nuovi diritti in materia di equilibrio tra vita professionale e vita privata a livello dell’UE. Nel settembre 2022 la Commissione europea ha adottato la strategia europea per l’assistenza. Nel novembre 2022 il Parlamento europeo ha adottato la direttiva sull’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società, che introduce soglie per una rappresentanza di genere equilibrata nei consigli di amministrazione delle società quotate. In dicembre è stato raggiunto un accordo politico sulla direttiva sulla trasparenza retributiva. La Commissione ha pubblicato oggi la relazione del 2023 sulla parità di genere nell’UE, che fornisce un aggiornamento sulle misure adottate per realizzare la strategia per la parità di genere 2020-2025.

    La Commissione avvia l’otto marzo una campagna contro gli stereotipi di genere, un importante risultato della strategia per la parità di genere. Quest’anno la Commissione europea lancia inoltre un invito a presentare proposte nell’ambito del programma Cittadinanza, uguaglianza, diritti e valori (CERV) per promuovere la parità di genere, compresa la partecipazione equilibrata delle donne al processo decisionale economico e politico.

    Difendere i diritti delle donne e la parità di genere è una priorità fondamentale della politica esterna dell’UE. Monito ancora più valido poiché il 2023 segna il 75º anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che sancisce che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”.

  • WORK OUT: allenamento per la distruzione del patriarcato

    Sabato 4 marzo presso il cortile Nobile del Palazzo Reale, le artiste Silvia Levenson e Natalia Saurin, realizzeranno un opera video partecipativa “Work Out” aperta a tutte e a tutti. Dalle 11.00 del mattino, sarà possibile partecipare all’azione, indossando guantoni da boxe. L’insegnante di pugilato, Angela Guidoni insegnerà ad usare i guantoni per colpire il sacco. Le riprese video verranno effettuate durante l’azione e il video verrà successivamente proiettato dal Comune di Milano l’8 marzo. Il video mostrerà volti e pugni in slow motion, evidenziando la fatica e il tempo necessario per cambiare i preconcetti e gli stereotipi radicati in una cultura maschilista. Le artiste utilizzano lo sport della boxe come simbolo della lotta contro il patriarcato, che richiede costanza e perseveranza come in un’attività sportiva per raggiungere il benessere fisico e mentale. La boxe femminile è stata riconosciuta negli ultimi decenni, solo nel 2012 è stata inclusa nelle Olimpiadi. Un’opera artistica che mira a riflettere sullo sforzo fisico e psicologico che le donne affrontano ogni giorno a causa della discriminazione, del controllo e del giudizio in una società che si dice uguale. Il progetto è patrocinato dal Comune di Milano ed è realizzato grazie all’assessorato alla Cultura e alle Pari Opportunità.

    Entrambe le artiste, sia individualmente che come duo, affrontano tematiche di genere con l’obiettivo di indirizzare la riflessione sul ruolo della donna nella società contemporanea, al fine di sensibilizzare il pubblico sui fenomeni discriminatori che la vedono persona offesa all’origine della violazione dei diritti umani. La collaborazione artistica fra Silvia Levenson e Natalia Saurin è iniziata nel 2005 con “Something wrong”, un video tutto rosa dove affrontano la quotidianità di coppia e le tensioni nascoste pronte ad affiorare per un non nulla. Nel 2018 iniziano il progetto partecipativo “il luogo più pericoloso” ponendo il focus sul linguaggio e femminicidi, un progetto corale in tre atti che ha coinvolto la comunità e le istituzioni (Comune di Firenze nel 2019 e il Comune di Milano nel 2020 e 2021). Le due artiste hanno realizzato laboratori partecipativi coinvolgendo la comunità e associazioni che lavorano sul territorio e che sostengono donne vittime di violenza maschile. I laboratori sono stati realizzati presso: MUDA Museo Diffuso- Albissola, Chiostri di Santa Caterina – Finale Ligure, Palazzo Arese Borromeo – Cesano Maderno, RoFa project – Maryland USA, 3Dots – Pennsylvania USA.

  • A 75 anni dall’approvazione della Carta Universale dei Diritti manca la carta universale dei doveri

    75 anni sono trascorsi dall’approvazione della Carta Universale dei Diritti e indubbiamente molti progressi sono stati realizzati.

    Purtroppo alcuni paesi, pur firmatari della Carta, sono ben lontani dal rispettarla ed anche nelle aree più sviluppate, e dove vi è un sistema democratico, rimangono violazioni ed ingiustizie specie per quanto riguarda la situazione femminile e dei bambini.

    La recente guerra che l’Ucraina sta subendo dalla Russia ripropone in modo drammatico come troppi diritti siano violati in tempo di guerra quando si colpiscono obiettivi civili o si infierisce sulla popolazione con torture e violenze sessuali.

    Le guerre portano ad efferatezze che si ripercuotono proprio sui più deboli ed è quanto è avvenuto e avviene in Iran, in Siria, in Libia, in Nigeria, in Somalia solo per citare alcuni stati dove i conflitti interni od esterni di susseguono.

    La situazione di troppi lavoratori, non solo nei paesi più poveri, vede una costante violazione di diritti fondamentali, diritti lesi in maniera macroscopica quando è vietata la libera scelta delle donne o quando milioni di persone rischiano la morte per carestia e siccità.

    I ritardi, le volute inadempienze potrebbero essere in gran parte risolti se la comunità internazionale o almeno, per cominciare, l’Unione Europea comprendesse l’urgenza, che da circa vent’anni anni sosteniamo, di una carta universale dei doveri.

    I diritti per essere attuati hanno necessità che ci siano corrispondenti doveri da rispettare, doveri dei singoli verso le istituzioni, verso i propri simili, e doveri delle istituzioni verso la collettività ed i singoli.

    Negare la necessità di colmare le gravi carenza nell’applicazione della Carta dei Diritti, dovute alla mancanza di una carta universale dei doveri, da parte di tanti governi e di tanta politica è colpevolmente miope ed è il sistema per potere non assumersi responsabilità per il mancata, o parziale, rispetto dei diritti.

    Se infatti molti governi, che hanno firmato la carta dei diritti, non la applicano è perché comunque, nel contesto nazionale ed internazionale non si sentono obbligati ad alcun dovere.

    Siamo ovviamente consapevoli che non sarà la semplice firma sotto una carta universale dei doveri ad obbligare tutti al rispetto degli stessi ma sarebbe, come è già stato per i diritti, un inizio, un passo avanti del quale tutti abbiamo bisogno

    In questo settantacinquesimo anniversario rilanciamo un appello alla politica italiana ed europea per cominciare a fare il primo passo per realizzare quello che è il necessario completamento di quanto avvenuto 75 anni fa: alla Carta dei Diritti sia affiancata la carta universale dei doveri.

  • Mutilazioni genitali femminili: un crimine del quale bisogna continuare a parlare

    Il 6 febbraio è la Giornata Mondiale contro le menomazioni genitali femminili.

    L’Unione Europea, con tutte le sue istituzioni, ribadisce il massimo impegno nella lotta per sradicare questa abominevole pratica che continua a mietere vittime anche in quei paesi che l’hanno da tempo ufficialmente vietata.

    Le mutilazioni genitali, spesso causa di morte, infliggono alle donne una menomazione permanente e gravemente invalidante sia dal punto di vista fisico che psicologico.

    Nel mondo circa 200 milioni di donne hanno subito questo rito barbaro che nulla ha a che vedere con la religione, seicentomila sono le donne che vivono in Europa e che sono state infibulate o che comunque hanno subito menomazioni genitali.

    Nonostante sia, ovviamente, vietata da sempre nei paesi dell’Unione tutti gli anni ci sono ancora troppi casi di menomazioni effettuate clandestinamente, inoltre molte bambine sono riportate dalla famiglia nei paesi d’origine per subirla.

    Occorre una forte campagna di sensibilizzazione che coinvolga non solo le donne, le madri, ma i padri, gli uomini, i ragazzi fin dalla scuola primaria, soltanto con la cultura, l’educazione, la conoscenza del danno che si procura, il rispetto dei più elementari diritti umani potranno sradicare questa pratica violenta.

    L’Unione Europea da marzo farà partire, attraverso un potenziamento dei sistema di informazione Schengen, più stretti controlli alle frontiere per identificare donne e bambine potenzialmente a rischio per poter intervenire in tempo.

    Difendere le bambine è una priorità sulla quale il Patto Sociale è più volte intervenuto, non bisogna pensare che, avendone già parlato alcuni politici, giornalisti, persone di cultura, il problema possa essere accantonato, le donne continuano a soffrire, spesso a morire.

    L’impegno di tutti deve essere quello di continuare a parlarne ma anche di agire meglio ed in modo più incisivo sia con i singoli che con le autorità sanitarie, politiche, religiose e culturali dei paesi a più alto rischio.

  • Il 23 febbraio la decisione sugli anni di carcere per Weinstein

    Harvey Weinstein dovrà ancora aspettare settimane per conoscere la sua sentenza. La giudice Lisa Lench della Superior Court di Los Angeles ha rinviato al 23 febbraio la decisione sull’ammontare della pena che l’ex ‘re di Hollywood’ dovrà scontare dietro le sbarre per aver aggredito e stuprato una ex modella nel febbraio 2013, ai margini del festival Los Angeles Italia.

    La Lench ha rinviato la sentenza per dar tempo ai legali di Weinstein di presentare una mozione per la revisione del processo. La procura a sua volta deve ancora decidere se tornare alla carica con le accuse di due delle quattro donne al centro della vertenza su cui la giuria non è riuscita a trovare un accordo: una di queste è la produttrice Jennifer Siebel, moglie del governatore della California Gavin Newson.

    Weinstein, 70 anni, è stato portato in aula in sedia a rotelle, addosso la tuta della prigione, e non l’abito giacca e cravatta che aveva ottenuto di indossare durante il processo. L’ex produttore di ‘Shakespeare in Love’ era stato riconosciuto colpevole il 19 dicembre nel secondo processo dell’era #MeToo che lo riguarda: demiurgo, per averli prodotti o distribuiti, di film che hanno vinto 81 premi Oscar, l’ex capo della Miramax rischia un massimo di altri 18 anni, oltre i 23 a cui era stato condannato per vicende analoghe a New York nel 2020.

    La pena decisa a Los Angeles è ritenuta cruciale, perché assicurerebbe che il 70enne ex re di Hollywood resti in carcere nel caso di un ribaltamento in appello della sentenza del processo di New York. Quattro donne avevano stavolta accusato Weinstein di molestie e stupri: la giuria lo aveva riconosciuto colpevole solo per quelle di una ex modella europea che aveva testimoniato anonimamente come ‘Jane Doe 1’. L’ex produttore era stato assolto dalle accuse di un’altra donna, mentre i giurati non erano riusciti a trovare accordo sulle accuse delle altre due, né sulle circostanze aggravanti che avrebbero alzato a un massimo di 24 il numero di anni della sentenza losangelina.

  • Non solo il velo

    A muovere le proteste in Iran, rese ogni giorno più difficili dalla sanguinosa e crudele repressione del regime, non c’è soltanto la ribellione al velo e l’ira ed il dolore per le tante donne ed uomini, specialmente giovanissimi, che sono stati trucidati in questi mesi ma anche una tragica situazione del Paese dove le caste di chi governa e dei pasdaran, che hanno in mano l’amministrazione, vivono nel privilegio.

    La popolazione, ormai da tempo, è in condizioni di gravi difficoltà economiche oltre che in inaccettabili costrizioni delle libertà individuali.

    La realtà del Paese è una inflazione che arriva a più del 50% con aumenti dei prezzi di frutta, verdura, carne che impediscono alla maggior parte delle famiglie un’alimentazione minimamente corretta.

    Secondo il Fondo Monetario Internazionale quasi un terzo della popolazione è sotto la soglia della povertà estrema mentre non demorde la crisi energetica dovuta alle scelte sbagliate del governo, nonostante l’Iran sia ricco di gas.

    Le proteste dilagano in ogni parte del Paese, giovani e meno giovani si trovano insieme a reclamare libertà e condizioni di vita degne ma ricevano in cambio morte e continua violenza mentre troppa parte del mondo occidentale dimostra la propria impotenza.

    La gran parte della popolazione iraniana dovrà presto decidere tra un salto di qualità delle proteste o il lasciar soccombere la propria gioventù. Il salto di qualità della lotta contro il regime può essere deciso solo dagli iraniani ma, se lo decideranno, dovranno trovare aiuti concreti da parte di coloro che oggi trovano difficoltà anche ad organizzare manifestazioni di solidarietà nei paesi liberi.

  • Afghanistan: Taliban ban women from universities amid condemnation

    The Taliban have banned women from universities in Afghanistan, sparking international condemnation and despair among young people in the country.

    The higher education minister announced the regression on Tuesday, saying it would take immediate effect.

    The ban further restricts women’s education – girls have already been excluded from secondary schools since the Taliban returned last year.

    Some women staged protests in the capital Kabul on Wednesday.

    “Today we come out on the streets of Kabul to raise our voices against the closure of the girls’ universities,” protesters from the Afghanistan Women’s Unity and Solidarity group said.

    The small demonstrations were quickly shut down by Taliban officials.

    Female students have told the BBC of their anguish. “They destroyed the only bridge that could connect me with my future,” one Kabul University student said.

    “How can I react? I believed that I could study and change my future or bring the light to my life but they destroyed it.”

    Another student told the BBC she was a woman who had “lost everything”.

    She had been studying Sharia Islamic law and argued the Taliban’s order contradicted “the rights that Islam and Allah have given us”.

    “They have to go to other Islamic countries and see that their actions are not Islamic,” she told the BBC.

    The United Nations and several countries have condemned the order, which takes Afghanistan back to the Taliban’s first period of rule when girls could not receive formal education.

    The UN’s Special Rapporteur to Afghanistan said it was “a new low further violating the right to equal education and deepens the erasure of women from Afghan society.”

    The US said such a move would “come with consequences for the Taliban”.

    “The Taliban cannot expect to be a legitimate member of the international community until they respect the rights of all in Afghanistan,” said Secretary of State Antony Blinken in a statement.

    “No country can thrive when half of its population is held back.”

    Western countries have demanded all year that the Taliban improve female education if they wish to be formally recognised as Afghanistan’s government.

    However in neighbouring Pakistan, the foreign minister said while he was “disappointed” by the Taliban’s decision, he still advocated engagement.

    “I still think the easiest path to our goal – despite having a lot of setbacks when it comes to women’s education and other things – is through Kabul and through the interim government,” said Bilawal Bhutto Zardari.

    The Taliban had promised a softer rule after seizing power last year following the US’ withdrawal from the country. However the hardline Islamists have continued to roll back women’s rights and freedoms in the country.

    The Taliban’s leader Hibatullah Akhundzada and his inner circle have been against modern education – particularly for girls and women.

    There has been opposition to this stance from more moderate officials, and analysts say this issue has been a point of factional division all year.

    Yet on Tuesday, the education ministry said its scholars had evaluated the university curriculum and environment, and attendance for girls would be suspended “until a suitable environment” was provided.

    It added that it would soon provide such a setting and “citizens should not be worried”.

    However in March, the Taliban had promised to re-open some high schools for girls but then cancelled the move on the day they were due to return.

    The crackdown also follows a wave of new restrictions on women in recent months. In November, women were banned from parks, gyms and public baths in the capital.

    A university lecturer and Afghan activist in the US said the Taliban had completed their isolation of women by suspending university for them.

    “This was the last thing the Taliban could do. Afghanistan is not a country for women but instead a cage for women,” Humaira Qaderi told the BBC.

    The Taliban had just three months ago allowed thousands of girls and women to sit university entrance exams in most provinces across the country.

    But there were restrictions on the subjects they could apply for, with engineering, economics, veterinary science and agriculture blocked and journalism severely restricted.

    Prior to Tuesday’s announcement, universities had already been operating under discriminatory rules for women since the Taliban takeover in 2021.

    There were gender segregated entrances and classrooms, and female students could only be taught by women professors or old men.

    However, women were still getting education. Unesco noted on Tuesday that from 2001 and 2018 – the period between Taliban rule – the rate of female attendance in higher education had increased 20 times.

    Several women have told the BBC they gave up after the Taliban regained rule because of “too many difficulties”.

    Issue splits Taliban

    Analysis by Yogita Limaye, BBC South Asia correspondent

    There has been speculation for over a month now that the Taliban government would ban university education for women.

    One female student predicted it a few weeks ago. “One day we will wake up and they will say girls are banned from universities,” she had said.

    And so, while many Afghans might have expected that sooner or later this decision would be taken, it still comes as a shock.

    Last month women were barred from parks, gyms and swimming pools. In March this year, the Taliban government did not deliver on its commitment to open secondary schools for girls.

    From conversations with Taliban leaders over the past year, it is evident that there is disagreement within the Taliban on the issue of girls’ education.

    Off the record, some Taliban members have repeatedly said they are hopeful and working to try and ensure girls get an education.

    Girls were allowed to sit for graduation exams for secondary schools two weeks ago, in 31 of Afghanistan’s 34 provinces, even though they haven’t been allowed to be in school for more than a year.

    That provided a glimmer of hope, which has now been extinguished.

  • L’UE istituisce un numero di assistenza telefonica a livello di Unione e incita a mettere fine alla violenza contro le donne in tutto il mondo

    In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, la Commissione presenta il 116 016, il numero europeo armonizzato delle linee di assistenza telefonica per le vittime di violenza contro le donne. Le donne vittime di violenza potranno chiamare lo stesso numero in tutta l’UE per ottenere consigli e sostegno.

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