Giovani

  • Aperto l’invito a presentare candidature al premio per i giovani imprenditori europei

    La Commissione europea ha aperto le candidature al premio per i giovani imprenditori europei, volto a dare visibilità alle iniziative innovative dei giovani in tutta Europa. Il premio permetterà ai giovani innovatori di accedere a preziose opportunità di tutoraggio e finanziamento.

    Le presentazioni finali si terranno il 5 giugno, in occasione della Giornata europea dell’industria, a Rzeszów, in Polonia. I finalisti presenteranno i loro progetti a leader del settore, responsabili politici e potenziali investitori di tutta Europa. Ciascuno dei 10 finalisti riceverà un sostegno personalizzato fino a 20 000 €, comprendente consulenza di esperti del settore, accesso a reti professionali e strumenti pratici per sviluppare le idee e garantire il successo a lungo termine.

    Il premio per i giovani imprenditori europei è un concorso che celebra l’innovazione e l’imprenditorialità in tutti i settori. Aperto agli imprenditori al di sotto dei 40 anni, mira a dotare le start-up e gli innovatori delle competenze, delle conoscenze e delle risorse necessarie per prosperare in un panorama economico sempre più competitivo. I candidati sono invitati a presentare progetti rispecchianti le priorità dell’Unione europea, come la sostenibilità, la trasformazione digitale e le ricadute sociali positive.

  • Quasi 36.000 alla scoperta dell’Europa grazie a un pass di viaggio gratuito

    La Commissione ha annunciato i risultati dell’ultima tornata di candidature DiscoverEU. 35 762 viaggiatori, al compimento dei 18 anni di età, riceveranno infatti un pass per esplorare la diversità del continente, conoscere il suo patrimonio culturale e la sua storia ed entrare in contatto con persone di tutta Europa. Lanciata nel 2018, l’iniziativa DiscoverEU offre ai giovani viaggiatori l’opportunità di scoprire l’Europa da soli o in o in gruppi formati al massimo da cinque persone, principalmente in treno. L’edizione di quest’anno si svolge tra marzo 2025 e maggio 2026.
    Rientrante nell’ambito del programma Erasmus+, questa tornata di candidature di DiscoverEU era aperta ai giovani degli Stati membri dell’UE e dei paesi associati a Erasmus+ nati tra il 1º gennaio 2006 e il 31 dicembre 2006. Ben 135.000 le domande pervenute.

  • Non tutti i giovani si lasciano incantare dai social. Ma tra chi ci casca ci sono soprattutto le ragazze

    I social già oggi richiedono un’età minima di 13 anni per iscriversi. Ma il problema, che neanche il divieto di iscriversi fino ai 16 anni introdotto in Australia risolve, è che i dati forniti all’iscrizione possono essere falsati. Così, la questione dei social resta un nodo che è semplicistico pensare di risolvere a colpi di norma e di divieti.

    I giovani in realtà “vorrebbero avere una sana vita ‘analogica’ e circa la metà di loro prova a uscire di casa per divertirsi, a fare sport con regolarità e ad avere uno stile alimentare equilibrato. Tanti altri però si lasciano ipnotizzare dalla dimensione digitale, con effetti deleteri su umore e prospettive per il futuro. Le più colpite sono le ragazze”.

    Questa è la realtà di fatto, così come emerge dall’annuale indagine condotta dall’Associazione Nazionale DiTe (Dipendenze tecnologiche, gap e cyberbullismo) in collaborazione con il portale studentesco Skuola.net e in anteprima pubblicata da Adnkronos Salute – su un campione di 2.510 ragazze e ragazzi italiani, tra i 10 e i 24 anni – in occasione della Giornata nazionale contro le dipendenze tecnologiche, indetta dalla stessa associazione per il 30 novembre. Lo studio arriva nei giorni della clamorosa decisione presa dall’Australia sul divieto di utilizzo dei social per gli “under 16”.

    Il quadro che emerge è quello dei giovani “sempre più isolati”, secondo l’indagine “la ridotta capacità di relazionarsi ‘vis a vis’ si riflette in una crescente assenza di amici in carne ed ossa: il 26,8% non ha legami significativi coltivati regolarmente con incontri al di fuori delle piattaforme digitali. E nella riduzione della capacità di uscire di casa: il 14,4% spesso se non sempre fa fatica a incontrare i propri amici dal vivo”. “Questi dati – sottolinea Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta, Presidente dell’Associazione Di.Te. – ci restituiscono il ritratto di una generazione consapevole dell’importanza delle relazioni autentiche e delle buone abitudini, ma al tempo stesso immersa in una realtà che amplifica insicurezze e solitudini”.

    I social influenzano stati d’animo e percezioni del sé. “In questa pericolosa deriva, l’influsso del digitale è evidente: il 49,3% dei giovani ammette di sentirsi influenzato da ciò che vede sui social media, mentre il 34,2% si sente spesso triste o insoddisfatto dopo un uso prolungato delle piattaforme sociali”, avverte l’indagine. “Qui sta la chiave – commenta Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net – dell’apparente contrasto tra la ricerca del benessere fisico e il malessere mentale: infatti il 36% del campione ammette che il rapporto con il proprio corpo è legato a doppio filo con i modelli proposti dai social. Anche la ricerca di un ‘fisico da post’ fa parte degli effetti della dieta digitale”. Ma non basta: “la cura per questi stati d’animo viene cercata nella loro causa. Spesso, infatti, si visitano i social per gestire distrarsi dagli stati d’animo come tristezza o rabbia (58%) oppure frustrazione/delusione (54,4%)”, rimarca l’indagine.

    Un effetto a catena che ha ricadute oltre l’esperienza online. “Il passaggio più preoccupante della ricerca – avverte Lavenia – è legato a un altro aspetto: la gestione delle emozioni e la percezione del domani. Il 62,3% delle ragazze e dei ragazzi, infatti, confessa di fare fatica a immaginare la propria vita futura. Una difficoltà che, peraltro, cresce con l’età. Viviamo in un’epoca in cui tutto è istantaneo, e questa immediatezza sembra soffocare la capacità di progettare a lungo termine. I social, che dovrebbero essere uno strumento, diventano spesso un rifugio che però amplifica frustrazione e insoddisfazione”.

    Entrando più nel dettaglio dell’indagine, la percezione dell’influenza (negativa) dei social varia notevolmente tra i generi: se tra la ragazze è il 65% a sentirsi condizionata da ciò che vede online, tra i ragazzi ci si ferma al 31%. Per questo, secondo lo psicologo Lavenia, “è fondamentale lavorare su percorsi educativi che aiutino le ragazze a sviluppare una maggiore autostima, offrendo loro strumenti per leggere criticamente i contenuti online e contrastare le insicurezze”. “La situazione è ancora peggiore – conferma Grassucci – se ci limitiamo a misurare l’impatto dei social sul rapporto con il proprio corpo: è rilevante secondo il 47% delle ragazze intervistate e solo per il 18% della controparte maschile.

  • Aumentano gli adolescenti disadattati

    L’indice di salute mentale tra gli adolescenti nel 2023 è sceso a 71, rispetto al 72,6 registrato l’anno precedente. I giovani restano la fascia d’età con l’indice più alto, ma in confronto alla media della popolazione è nitido il contrasto tra prima e dopo la pandemia. Un gap che peraltro non sembra essere ancora del tutto recuperato. Spiccato è il divario di genere: tra le adolescenti l’indice di salute mentale è stato pari a 67,4 nel 2023, circa 7 punti in meno dei coetanei maschi (74,3). Sebbene uno svantaggio femminile sia comune a tutte le fasce d’età, lo scarto registrato tra i 14 e i 19 anni è particolarmente ampio.

    “La differenza di genere a svantaggio delle donne si osserva a tutte le età, ma è particolarmente accentuata tra i più giovani e tra i più anziani. Nel 2023, in questi gruppi il divario di genere raggiunge i 7 punti: il punteggio è pari a 74,3 per i ragazzi di 14-19 anni (67,4 tra le coetanee)” segnala l’Istat nel Rapporto Bes 2023 dello scorso aprile 2024.

    Quello sulla salute mentale non è l’unico indicatore che segnala una difficoltà nella condizione di bambini e ragazzi. Dai dati sull’isolamento sociale a quelli sulle dipendenze, fino ai disturbi del comportamento alimentare, i segnali in questa direzione sono numerosi. Tuttavia, se è abbastanza chiaro il quadro complessivo, non è altrettanto semplice ricostruire il fenomeno con una disaggregazione territoriale fine, premessa obbligata per qualsiasi tipo di intervento.

    Un primo elemento che questi dati consentono di analizzare è il contesto familiare. In presenza di un disagio psicologico o di un disturbo, poter contare sul sostegno dei genitori e in generale della famiglia è fondamentale. Tanto è vero che lo studio effettuato durante la pandemia dal garante dell’infanzia e dall’Iss ha fatto emergere questo aspetto come fattore protettivo per la salute mentale dei minori nell’emergenza Covid-19. I dati mostrano che al crescere dell’età, diminuisce la facilità con cui ragazze e ragazzi riescono ad aprirsi con i genitori, con una maggiore facilità nel parlare con la madre. La questione riguarda soprattutto le ragazze. Poco più della metà delle quindicenni dichiara di ricevere un elevato supporto familiare (51,8%), a fronte del 60,7% registrato tra i coetanei maschi. Una quota che varia anche rispetto al territorio di appartenenza. Solo il 42% delle ragazze di Veneto ed Emilia-Romagna dichiara un elevato supporto familiare. Oltre due terzi degli studenti maschi della provincia autonoma di Bolzano (71,7%), della Valle d’Aosta (66,5%) e della Puglia (66,2%) dichiarano un elevato supporto della famiglia. Tra le giovani la quota è sistematicamente più bassa, anche se supera il 60% in 3 territori. Oltre all’area di Bolzano, due regioni del mezzogiorno come Sicilia e Campania. Quest’ultima è anche la regione con il minor divario di genere: la quota di giovani che si sentono supportati dalla famiglia è analoga tra maschi e femmine e sfiora il 61%. Al contrario, meno del 45% delle ragazze di Friuli Venezia Giulia, Marche, Emilia Romagna e Veneto dichiara un elevato supporto familiare.

    Insieme alla famiglia, la scuola è l’altra istituzione con un ruolo centrale. È qui infatti che bambini e ragazzi trascorrono buona parte del proprio tempo, vivendo esperienze che possono influenzarne il benessere e lo sviluppo. Anche in questo caso, l’apprezzamento verso la scuola è inversamente correlato all’età. I rispondenti 11enni a cui “piace molto la scuola” sono il 21% tra le ragazze e il 15% tra i maschi. La quota si dimezza a 13 anni (7% maschi, 10,7% femmine), per poi calare ulteriormente tra i 15enni (5,6% maschi, 7% femmine). In questa fascia d’età, il 61,8% si sente accettato dagli insegnanti, ma solo poco più di uno su 3 (35,4%) percepisce un interesse da parte dei docenti. Due su 3 (66,6%) si sentono accettati per come sono dai compagni di classe. Fortemente correlata con i rapporti con insegnanti e compagni è la percezione di stress rispetto all’esperienza scolastica. La difficoltà di gestire lo stress è uno dei fattori più spesso chiamati in causa per l’impatto sulla dimensione psicologica e sociale. Circa il 60% degli studenti intervistati dichiara di sentirsi molto o abbastanza stressato dalla scuola, una quota cresciuta rispetto alla precedente rilevazione del 2017/18. La percentuale varia rispetto ai territori, all’età e al genere degli studenti. Non raggiunge il 50% in provincia di Bolzano (40,6%) e in Calabria (49%), mentre supera il 62% in Veneto e Valle d’Aosta. Il picco massimo tra le ragazze 15enni: quasi l’80% dichiara di sentirsi abbastanza o molto stressata dall’impegno scolastico (60,2% tra i coetanei maschi).

    Due terzi delle adolescenti dichiara di aver utilizzato spesso i social media per scappare da sentimenti negativi. L’uso problematico dei social è più frequente tra chi viene da una famiglia a basso status socio-economico: tra questi ragazzi raggiunge il 15%, contro il 12,7% di quelli con status medio-altro. Le variazioni sono ampie anche rispetto al territorio di appartenenza: nelle regioni del mezzogiorno si registra un uso più problematico dei social tra i minori. La Campania è la regione italiana dove si registra la maggiore frequenza di un uso problematico dei social media tra gli adolescenti (16%). Seguono, con quote poco inferiori al 15%, Calabria e Puglia.

  • Corpo europeo di solidarietà: aumento di 166 milioni di euro per il volontariato giovanile nel 2025

    La Commissione ha pubblicato l’invito a presentare proposte del Corpo europeo di solidarietà per il 2025, che sostiene la partecipazione dei giovani alle attività di volontariato nelle comunità di tutta l’UE e oltre. Il bilancio di 166 milioni di € stanziato per il 2025 rappresenta un aumento significativo rispetto agli anni precedenti, a causa del recupero di fondi dagli anni della COVID-19, quando molte attività di volontariato non hanno potuto svolgersi.

    L’invito del 2025 sosterrà nuovamente progetti e attività di volontariato che promuovono la sostenibilità ambientale, le competenze e l’alfabetizzazione digitali, l’inclusione e la diversità, la cittadinanza attiva e molto altro ancora. Azioni mirate continueranno a sostenere le persone in fuga dalla guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina. I partecipanti possono inoltre prendere parte a un’ampia gamma di attività di solidarietà stimolanti incentrate su ambiti prioritari quali l’inclusione sociale, la transizione verde e digitale, la partecipazione democratica e le questioni relative alla salute.

    Parallelamente a questo invito, la Commissione ha pubblicato la relazione sul corpo europeo di solidarietà 2021-2023, che presenta i risultati che il programma ha ottenuto in questi anni e il modo in cui ha contribuito a promuovere la solidarietà in tutto il mondo. Nel periodo 2021-2023 il programma ha offerto a oltre 66 000 giovani la possibilità di far fronte a sfide sociali e umanitarie. La relazione racconta storie potenti e stimolanti provenienti da tutta Europa su come i giovani e le organizzazioni hanno risposto a disastri climatici e naturali e hanno sostenuto gli ucraini in fuga dalla guerra di aggressione della Russia. La relazione funge anche da invito ad agire affinché un maggior numero di giovani partecipi agli sforzi di solidarietà.

    Il Corpo è aperto ai giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni, esteso a quelli tra i 18 e i 35 anni per attività di aiuto umanitario al di fuori dell’UE. I giovani interessati devono registrarsi sul portale del Corpo europeo di solidarietà, dove possono trovare le organizzazioni partecipanti. Anche i gruppi di giovani registrati sul portale possono presentare domanda di finanziamento per i loro progetti di solidarietà.

  • Amare la solitudine non denota necessariamente una personalità fuori norma

    Stare da soli, voler stare da soli, può apparire un comportamento inappropriato, asociale, tanto agli occhi di chi prova quel desiderio quanto a quelli di chi nota la voglia di una persona di stare da sola. Ma voler stare da soli non è necessariamente un male o un modo per ritrovare se stessi.

    Chi vuole stare da solo per scappare da qualcosa, non sta evidentemente vivendo in modo sereno. Ma questo desiderio di non stare dove ci si trova è il primo passo, sicuramente utile al soggetto che si trova a disagio, per capire quale è il proprio spazio, il contesto in cui si sta bene per quel che si sente di essere. E’ chiaro che vi sono situazioni in cui bisogna far buon viso a cattivo gioco, che le giornate storte capitano a tutti e che non sempre sul lavoro si è felici di quel che si fa e non si incorre in stress. Anzi. Ma non è chiaramente di questo che si sta parlando quando si parla di desiderio di essere altrove, questi sono episodi occasionali e complessivamente ordinari. Il problema è quando ci si trova alle prese con un costante e/o ricorrente desiderio di non essere dove ci si trova: provare voglia di evadere dall’ufficio un giorno è normale, per esemplificare, provarla tutti i giorni no.

    Nella sua versione positiva, la solitudine è lo spazio dell’egoismo nel suo senso migliore, del tempo dedicato a se stessi, al volersi bene. Ed infatti la voglia di stare da soli in psicologia viene chiamata “sano egoismo”.

    Di contro, la solitudine, intesa come senso di abbandono, di non appartenenza, può riguardare persone che vivono dentro un contesto famigliare o sociale attivo ma anche persone che sono letteralmente da sole. Queste due facce della stessa medaglia portano a comprendere che il problema non è stare da soli in senso stretto, ossia, senza nessuno da incontrare durante la giornata. Stare soli è un problema solo quando si ritiene che da soli si sia incompleti, irrealizzati e quindi, necessariamente, infelici.

    Come segnala Antonio Polito in un commento sul magazine del Corsera, il problema, soprattutto tra i più giovani, quelli nati e cresciuti in mezzo ai social network, è l’idea che non si possa non essere connessi, almeno in via telematica, con altri. Viceversa, per appropriarsi pienamente di se stessi, è consigliato prendere carta e penna e cominciare a fare un elenco di cose che si vorrebbero e si sarebbe in grado di fare nel tempo in cui si è da soli: leggere libri, ad esempio, o ascoltare musica piuttosto che suonare uno strumento, o ancora fare due passi tra la natura.

  • Gli ErasmusDays 2024 celebrano il ruolo di Erasmus+ con migliaia di eventi in tutta Europa

    Dal 14 al 19 ottobre gli #ErasmusDays 2024 metteranno in evidenza gli effetti positivi del programma Erasmus+ su istruzione, formazione, giovani e sport. Sono previsti oltre 10 000 eventi in tutto il mondo, in presenza e online, per celebrare i risultati del programma, presentarne i successi e sensibilizzare alle opportunità che offre ai discenti. Parteciperanno migliaia di studenti, tirocinanti, discenti adulti e allenatori sportivi.

    Con oltre 15 milioni di partecipanti fino ad oggi, il programma Erasmus+ è una delle iniziative europee più popolari e pilastro dello spazio europeo dell’istruzione.

    Istituiti nel 2017, oggi gli ErasmusDays celebrano il programma Erasmus+ in tutto il mondo. Dopo i Giochi olimpici e paraolimpici di Parigi il tema di quest’anno è il ruolo dello sport nella promozione della cooperazione internazionale e degli scambi culturali. Nel 2023 si sono svolti oltre 9 600 eventi in 53 paesi, e l’edizione 2024 mira a perpetuare questo successo.

  • Dipendenza da gioco: lo Stato non può più tergiversare

    Nonostante le tante speranze suscitate dalle promesse della politica, dopo che da più parti nel passato si erano elevate molte voci  per sollecitare interventi idonei a frenare lo smodato aumento dei giocatori d’azzardo,nulla è cambiato.

    La ludopatia è una malattia in continua crescita e sono sempre più giovani i giocatori.

    Nella sola Lombardia i dati evidenziano che il 40% dei quindicenni ha giocato d’azzardo o partecipato a scommesse e la percentuale aumenta per i diciassettenni anche se per legge, ma poi di fatto solo teoricamente, il gioco d’azzardo è proibito ai minori di diciotto anni.

    In considerevole aumento è anche il volume di denaro giocato, e sono in aumento le dipendenze, con le evidenti conseguenze per la società, infatti molte persone con il gioco hanno la vita segnata e spesso sono coinvolte, nella sventura, le loro famiglie.

    Secondo  dati, riportati anche dal Corriere della Sera, in Lombardia vi sono 13 sale Bingo, 848 macchinette Vit (terminal lotteria) e 8338 apparecchi AWP, se a questo aggiungiamo tutto il mondo del gioco on line e del gioco in nero si vede bene come il pericolo sia sempre in agguato per tanti giovani, pericolo che in troppi casi colpisce anche persone anziane e sole.

    I video giochi, altro settore che diviene sempre più pericoloso per i giochi violenti, stanno diventando anch’essi strumento, veicolo per il gioco d’azzardo visto che sono consentite scommesse e sistemi che invitano a investire soldi per aumentare la possibilità di vincere.

    Non è da trascurare inoltre che alla dipendenza del gioco spesso si associa la dipendenza da alcool e droghe.

    La politica ha il dovere di non tergiversare ulteriormente, lo Stato può anche trarre un apparente beneficio da alcuni tipi di gioco ma i danni ai quali si deve poi riparare nelle strutture sanitarie vanificano questo introito, senza valutare inoltre le conseguenze che restano nella psiche delle persone, né può essere più oltre ignorato che dietro al mondo del gioco d’azzardo si nascondono ben note organizzazioni criminali.

    Continuare ad ignora il problema o a demandarne la soluzione sine die diventa colpevole.

  • La Commissione distribuirà 35.500 pass DiscoverEU gratuiti ai giovani

    A partire dalla prossima primavera migliaia di diciottenni avranno la possibilità di esplorare gratuitamente l’Europa. La Commissione ha aperto le candidature per una nuova tornata dell’iniziativa DiscoverEU.

    Per provare a vincere uno dei 35 500 titoli di viaggio disponibili, i giovani nati tra il 1º gennaio e il 31 dicembre 2006 devono rispondere sul Portale europeo per i giovani a un quiz composto da cinque domande sull’UE più un’ulteriore domanda. I candidati saranno classificati in base alle risposte e i biglietti saranno distribuiti sulla base di tale graduatoria. L’invito è aperto fino al 16 ottobre alle 12:00 e si rivolge ai giovani dell’Unione europea e dei paesi associati al programma Erasmus+ (Islanda, Liechtenstein, Macedonia del Nord, Norvegia, Serbia e Turchia).

    I candidati prescelti avranno la possibilità di viaggiare in tutta Europa per un massimo di 30 giorni tra il 1º marzo 2025 e il 31 maggio 2026. Potranno pianificare autonomamente il loro itinerario o prendere ispirazione da quelli esistenti, ad esempio l’itinerario del benessere, che si concentra sull’attività fisica e la salute mentale, oppure l’itinerario culturale DiscoverEU, che collega varie destinazioni culturali mettendo l’accento su architettura, musica, belle arti, teatro, moda e design. O ancora, si possono visitare le capitali europee della cultura, i siti del patrimonio mondiale dell’UNESCO, i siti del patrimonio europeo o le città vincitrici del premio Access City Award, che si impegnano per diventare più accessibili alle persone con disabilità.

    Oltre al pass gratuito i partecipanti riceveranno anche una tessera di sconto con più di 40.000 offerte su trasporti pubblici, cultura, vitto e alloggio, sport e altri servizi.

  • I teenager praticano autolesionismo per esprimersi

    L’autolesionismo prende piede tra i ragazzi italiani, tra i 12 e i 18 anni, con un’accelerazione dopo il Covid. Il 70% di chi compie atti come tagliare, incidere, ferire la pelle, gambe e braccia con lamette, coltelli affilati, temperini, punte di vetro, lattine usate ha un’età compresa tra i 12 ai 14 anni (nella maggioranza dei casi scelgono di ferirsi le braccia con la lametta). Il 19% di loro riesce a smettere di tagliarsi, ma solo grazie al supporto di uno psicoterapeuta. Fortunatamente, si tratta di un disturbo della personalità perlopiù transitorio, che scompare al termine dell’adolescenza, quando si è tra i 20 e i 25 anni.

    A spingere a farsi male è spesso il proposito di scacciare un chiodo con un altro chiodo, più precisamente di controllare e interrompere un dolore mentale o un’angoscia troppo forti: molti preferiscono il dolore fisico al dolore mentale e ferendosi fanno in modo che il dolore fisico prenda il posto di quello mentale. Per alcuni adolescenti tagliarsi è addirittura un modo per percepire di esistere ed essere vivi: meglio un dolore fisico che non sentire niente o sentirsi vuoti e inutili. Tagliarsi dà l’illusione di un sollievo, a volte addirittura euforia, come se dai tagli fuoriuscissero finalmente le emozioni che non si riescono a tollerare dentro di sé: la disperazione, la tristezza, il sentirsi rifiutati, la solitudine e la rabbia.

    L’autolesionismo può anche costituire una forma di comunicazione del proprio disagio. Attraverso le ferite, infatti, la propria sofferenza appare evidente agli occhi degli altri: il proprio corpo viene utilizzato come una lavagna attraverso cui far percepire a tutti che si esiste e come ci si sente.

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