green

  • I padri e le madri della crisi europea

    Emerge evidente e contemporaneamente inquietante, nella valutazione del gigante tedesco Volkswagen, la deleteria sintesi tra una incredibile inadeguatezza del management ed il delirio ideologico, espresso attraverso la propria politica, dalla Commissione Europea.

    Dalle dichiarazioni del CdA emerge evidente la natura della crisi della casa di Wolfsburg la quale nasce da una chiara volontà speculativa,  clonata dal mondo finanziario ma applicata al settore industriale dell’automobile, che ha cercato di massimizzare i vantaggi futuri derivanti da una “opportunità politica europea” fornita dalle scelte pseudo ambientaliste nella politica europea.

    Una volontà speculativa che ha trovato il  limite e quindi le ragioni dell’inevitabile  fallimento in quanto non aveva tenuto in alcuna considerazione la eventuale disponibilità del mercato circa la transizione elettrica nella mobilità privata.

    In altre parole, questa scelta strategica operata dal management della Casa di Wolfsburg, i cui costi sono ora il problema principale dell’azienda, che intende ridurli  attraverso la chiusura o la possibilità di vendita di questi stabilimenti di produzione di auto elettriche, era motivata dalla sola volontà speculativa offerta dalla comunità europea, tanto da illudere il CdA ad andare  verso un periodo caratterizzato da un mercato vergine per i prossimi decenni e relativo alla transizione verso le auto elettriche che avrebbe assicurato oltre 300 milioni di autovetture da cambiare in Europa.

    Proprio questa sintesi deleteria tra ideologia ambientalista e desiderio speculativo ha generato la crisi solo europea del settore Automotive e dell’intera filiera industriale la quale si manifesta nelle sue terribili declinazioni solo ed esclusivamente nel continente europeo, come diretta conseguenza del divieto di produzione e vendita di auto a motore endotermico. Ciò rappresenta un unicum al mondo.

    Tornando alla volontà speculativa del management di Volkswagen, sicuramente i piani industriali di una grossa casa automobilistica non possono essere variati ogni 3-4 anni, come a propria giustificazione afferma il Ceo.

    Ma di fronte ad una scelta assolutamente disastrosa, in quanto basata solo su di una scommessa speculativa, andrebbe assolutamente ritirata da parte degli azionisti la fiducia al CDA e al management, i cui tempi di un avvicendamento però sono sicuramente inferiori, che dovrebbe essere destituito immediatamente per manifesta incompetenza ed inadeguatezza.

    La crisi Volkswagen non rappresenta una problematica evoluzione di un mercato globale e sempre più concorrenziale. Nasce, invece, da una volontà speculativa che ha cercato di sfruttare una ideologica opportunità europea ma senza avere alcuna conoscenza della disponibilità del mercato in merito alle auto elettriche. E proprio per gli effetti ed i mancati risultati ottenuti che dovrebbero essere destituiti per manifesta incompetenza ed inadeguatezza.

    Di conseguenza, gli effetti di questa strategia, espressione di una sintesi tra ideologia ambientalista europea e una  volontà speculativa, dovrebbero ricadere sugli azionisti della Volkswagen che hanno scelto il CdA e, a caduta, il management.

    Invece il perseverare nella medesima strategia finalizzata comunque a nascondere l’errore strategico, con in più il rinnovato sostegno alla posizione dell’Unione europea, si trasformerà in un disastro economico, sociale e politico senza precedenti dal dopoguerra ad oggi per l’intero continente europeo il quale diventerà la Terra di conquista delle auto a carbone (*)  provenienti dalla Cina.

    (*) Il 62% dell’energia necessaria alla realizzazione delle auto cinesi viene dalle centrali a carbone attraverso l’importazione di 5 miliardi di tonnellate all’anno.

  • La nuova guerra fredda e la marginalità europea

    Sono passati solo pochi giorni dal discorso di insediamento di Donald Trump e si avverte già in modo netto quanto il mondo sia cambiato, e molto più di quanto non si potesse immaginare.

    Mentre “l’intellighenzia” italiana ed europea si interroga sul valore simbolico del braccio teso di Elon Musk e sull’uscita degli Stati Uniti dall’Oms, Stellantis e Volkswagen hanno repentinamente deciso di aumentare i propri investimenti produttivi nel territorio statunitense creando così nuovi posti di lavoro, in modo da aggirare i dazi promessi dal Presidente Trump.

    Contemporaneamente lo stesso Presidente statunitense, pur essendo considerato molto vicino alle lobby petrolifere, ha chiesto di abbassare il costo del petrolio con l’obiettivo di creare le condizioni favorevoli ad una ripresa economica, dimostrando in questo modo di non essere così vincolato dagli interessi delle grandi aziende petrolifere statunitensi.

    In Italia, viceversa, il governo in carica si conferma ancora oggi assolutamente incapace di comprendere il vero motivo per cui Stellantis abbia portato la produzione di auto in Italia al livello del 1956 (476.000 auto), mentre in Spagna ha raggiunto il milione di unità prodotte (i costi energetici in Spagna sono inferiori del -53% rispetto a quelli italiani). Prova ne è che, ancora una volta, si continuano ad aumentare le accise sul gasolio e contemporaneamente i costi energetici previsti si confermano in crescita di un ulteriore +30%, mentre in Francia diminuiscono del -15%.

    A Davos, intanto, durante l’appuntamento del World Economic Forum, mentre i vertici politici dell’Unione Europea vengono investiti da uno scandalo relativo al finanziamento con risorse europee a favore di gruppi ambientalisti con il compito di supportare l’ideologia ambientalista europea, in un solo pomeriggio il presidente degli Stati Uniti azzera e ridicolizza tutta l’ideologia ambientalista legata al Green Deal, che già ora sta costando centinaia di migliaia di posti di lavoro.

    A pochi giorni dall’insediamento, quindi, risulta già evidente la strategia politica ed economica che l’amministrazione statunitense intende perseguire.

    Al centro dello sviluppo economico tornano il lavoro, la produzione e la crescita occupazionale che ne consegue, rispetto alla semplice gestione dei flussi commerciali tanto cari, invece, ai vertici istituzionali europei anche se penalizzanti per le economie agricole europee grazie all’ultimo accordo del “Mercosur”.

    Come logica conseguenza si stanno creando le condizioni per una nuova guerra fredda che vedrà contrapposti gli Stati Uniti con i propri alleati e la Cina con le proprie aree di influenza, le quali esprimono gli effetti di quella volontà espansionistica cinese perseguita anche attraverso l’esportazione dei propri prodotti, come l’auto elettrica, tanto caldeggiata dall’Unione Europea.

    In più andrebbe ricordato come la guerra fredda successiva alla Seconda Guerra Mondiale non si manifestò solo come una contrapposizione politico/ideologica e tra servizi segreti. Quel periodo postbellico si caratterizzò anche per la creazione di scenari bellici i quali tuttavia interessavano zone geografiche marginali anche rispetto ai due schieramenti occidentale ed orientale.

    In questo odierno contesto la guerra fredda contemporanea, invece, pone l’Europa e l’Unione Europea di fronte ad una scelta immediata e categorica sulle alleanze strategiche da sostenere politicamente e militarmente nei prossimi anni.

    In altre parole, l’Europa rappresenta, all’interno di questa nuova dinamica politico economica e strategica, la Germania del dopoguerra, divisa tra due aree di influenza ideologica e politica, e l’area ideologica ambientalista evidentemente si conferma molto più vicina e compromessa con gli interessi cinesi. Lo stesso conflitto russo ucraino, ma soprattutto la sua possibile soluzione prospettata dagli Usa, conferma come l’Europa sia diventata un territorio marginale e come tale venga considerata dalle due superpotenze. La stessa intenzione di un rimpatrio di oltre 20.000 soldati statunitensi dalle basi europee lo certifica ulteriormente.

    La soluzione del conflitto, quindi, sarà assolutamente indipendente dalla volontà come da qualsiasi attività politica dell’Unione Europea, il che non farà che confermare ulteriormente la marginalità territoriale, economica e politica europea come espressione del fallimento di un’intera classe politica europea.

  • Più il tempo passa

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Dario Rivolta

    Grazie al morboso estraniamento che l’insania nazionalistica ha seminato, e tutt’ora continua a seminare, tra i popoli d’Europa, nonché grazie ai politici dalla vista corta e dalla mano svelta che con l’aiuto di quella sono oggi in auge…grazie a tutto questo e a molte altre cose ancora vengono attualmente ignorati o arbitrariamente e falsamente travisati gli indizi inequivocabili di un’Europa che vuole diventare una”. Friedrich Nietzsche – 1885 Al di là del bene e del male.

    Purtroppo, il progetto che i grandi “padri fondatori” elaborarono per l’Europa ha subito una sorte al ribasso. Ciò che doveva diventare una eccezionale unione tra gli Stati del continente, via via anche politica, si è ridotta alla creazione di un mercato senza dazi e alla retorica presentazione di un’unione che in realtà è solo finzione. Sempre di più i vertici scelti per esserne a capo sono stati cooptati pescando volutamente tra personaggi politicamente insignificanti in modo che non potessero dar fastidio ai capetti nazionali e ai piccoli egoismi affatto lungimiranti. Negli ultimi anni la pochezza della classe dirigente europea è diventata così macroscopica che si è perso ogni pudore.

    Più il tempo passa, più sono spinto a rivalutare quello che oramai è definita la “prima Repubblica”. In realtà la cosa non vale solo per l’Italia, bensì per tutta l’Europa. Negli anni del dopoguerra ci furono politici, imprenditori e dirigenti d’azienda di grande levatura, capaci di costruire per il futuro dei Paesi del nostro continente, gente che credeva veramente nel servizio alla collettività e sapeva circondarsi di persone altrettanto capaci e votate. Pensiamo ai De Gasperi, ai Parri, ai Fanfani, ai Nenni, ai Moro, ai Craxi, ai De Michelis e anche a Berlinguer, a Pannella, ad Almirante, a Malagodi per citarne solo alcuni in Italia. E in Europa: De Gaulle, Pompidou, Brandt, Schmidt ecc. Oppure: Pirelli, Cefis, Valletta, Ghidella, Barilla, Berlusconi, Caprotti, Illy, Marzotto ecc… Al contrario, oggi ci troviamo Conte, Schlein, Salvini, Tajani, Sholtz, Macron, Rutte e dirigenti d’azienda scelti più per servilismo che per capacità, imprenditori che pensano alla finanza piuttosto che alla produzione e via di questo passo (minimo)…

    Se osserviamo i vertici dell’Unione, attuali e quelli appena passati, andiamo, se possibile, perfino peggio. Come presidente (stolidamente riconfermata) abbiamo una signora tedesca che ha sempre dato il peggio di sé anche prima di arrivare a Bruxelles. Nel 1991 presentò una tesi di dottorato all’Università di medicina di Hannover che fu scoperto essere una copiatura di testi altrui per almeno il 43% della dissertazione (sic!). Nel 2016 l’Università ammise che vi furono violazioni delle norme accademiche ma il titolo non fu revocato perché non fu possibile dimostrare che vi fu un intento fraudolento. O, forse, per interventi “molto autorevoli” a suo favore. Da ministro della Difesa teutonica affidò contratti per un valore di almeno 155 milioni di euro senza procedure trasparenti e sospettati di conflitti di interesse a favore di società cui apparteneva il marito. Durante il suo ministero l’esercito tedesco affrontò gravi problemi di approvvigionamento e di manutenzione e tutte le voci della stampa e dello stesso esercito attribuirono a lei una gestione perlomeno inefficace delle risorse. La ristrutturazione della nave scuola della marina militare della Germania avrebbe dovuto costare circa 10 milioni di euro ma arrivò a costare ben 135 milioni (ripeto: centotrentacinque milioni cioè circa il 1.250 percento in più). La cosa più grave è che lei avrebbe ostacolato (è sempre la stampa tedesca che lo scrive) in ogni modo le indagini parlamentari relativi agli scandali che la riguardavano, mostrando una scarsa volontà di chiarire tutte le irregolarità interne al suo ministero.

    Da Presidente della Commissione Europea nella scorsa legislatura ha continuato nelle sue attività poco trasparenti quando ha negato al Parlamento Europeo, che lo aveva richiesto, l’accesso ai documenti relativi all’acquisto dei vaccini anti Covid da lei condotto privatamente con il CEO di Pfizer Albert Bourla. Anche il testo del contratto, consegnato ai parlamentari dopo grandi pressioni era pieno di omissis sulle questioni più importanti riguardanti prezzi, tempi di consegna ed eventuali penalità. Eppure un’Assemblea rinnovata, ma evidentemente cieca o senza senno le ha rinnovato il mandato, aggiungendo in più uno pseudo-ministro degli esteri ancora peggiore del Borrell che l’aveva preceduta: Kaja Kallas della quale l’unica vera virtù conosciuta era di essere ferocemente anti-russa.

    Purtroppo, non solo i vertici di questa Commissione Europea sono di dubbie capacità, con alcuni di loro sospettati anche di pratiche non corrette, ma anche tra i massimi funzionari non sembra ci siano delle grandi cime intellettuali. Ci sarebbe da sperare che almeno nel loro campo ristrettissimo sappiano di cosa parlano ma quello che emerge con evidenza è la loro incapacità di guardare oltre il loro naso e di considerare le conseguenze delle decisioni che suggeriscono ai politici (di per sé solitamente impreparati). Un macroscopico esempio è la legge sulle obbligatorie ristrutturazioni “green” delle case europee: non solo non si sono fatti i conti con gli enormi costi che le famiglie dovrebbero sopportare, ma nemmeno si è considerato che le questioni climatiche variano moltissimo dalla Svezia alla Sicilia e che in Italia, per esempio, esistono decine di migliaia di case più che centenarie che sarebbero depauperate della loro anima se sottoposte agli interventi che dovrebbero essere imposti dai singoli governi. In questo caso, speriamo almeno che le nostre Autorità politiche sappiano opporsi con la dovuta forza agli scempi che causerebbe una tale direttiva.

    Molto peggio, già da fin d’ora, è la questione della forzatura verso le auto elettriche. Che tale soluzione sia praticamente una totale stupidaggine è oramai noto a tutti i consumatori che stanno dimostrando di non volerle comprare. Tuttavia, il problema non è soltanto che sono inadeguate al tipo di utilizzo che solitamente si chiede a una autovettura. E non è nemmeno, per quanto gravissimo, il danno occupazionale per tutto il settore della produzione delle automobili, danno che coinvolge centinaia di migliaia di lavoratori. Ciò che gli stolidi funzionari, gli pseudo-scienziati “green” che li spalleggiano e i politici ignoranti che approvano le loro fantasticherie sembrano non vedere sono le conseguenze ambientali e geo-politiche che quelle scelte implicano. Prima di menzionarne alcune mi basta citare quanto l’AD di Eni, De Scalzi, ha recentemente affermato: “Non voglio essere antieuropeo, ma anche la stupidità uccide e ci sta uccidendo perché dobbiamo subirla sulla base di ideologie ridicole che ci vengono dettate da una minoranza dell’Europa, non una maggioranza, e noi dobbiamo continuare a digerirle e chinare il capo morendo lentamente”. E ha continuato: “L’Europa è competitiva sull’ambiente e non sulla crescita e, infatti, americani e cinesi (e indiani, n.d.r.) ci dicono che siamo bravissimi e intanto investono nella crescita”.

    Se il problema fosse realmente e solamente una questione ambientale, si sono mai chiesti quei vanesi “ambientalisti” quanto, per produrre pochi grammi di quelle terre rare (dette “rare” non perché sia difficile reperirle ovunque, bensì perché estremamente rarefatte all’interno delle rocce) indispensabili per l’elettrificazione, serva scavare nelle montagne centinaia di tonnellate di roccia e poi trattarle con metodi necessariamente molto inquinanti? Se, come si sa, di terre rare se ne trovano ovunque, perché vengono estratte e lavorate quasi soltanto in Cina? Non sarà perché influiscono pesantemente sulla salubrità dell’ambiente? Comunque, di là dall’inquinamento delle acque, dell’atmosfera e della necessità di grande energia (che non è certo del tipo “rinnovabile”) necessaria per la lavorazione, una cosa che sembra non essere mai stata presa in considerazione è la subordinazione di tutta l’economia europea a quella cinese. Si voleva sottrarsi allo strapotere ricattatorio dei Paesi petroliferi per cadere poi nello stesso potere da parte dei cinesi?

    Facciamo un esempio con uno dei materiali più semplici e utilizzato da millenni: il rame. Il più grande produttore di rame mondiale è il Cile che produce circa un quarto della domanda mondiale. Il secondo è il Congo con il 14% e terzo il Perù con l’11 %. Chi però possiede e raffina tale prodotto non sono loro: la Cina controlla circa il 60% della capacità mondiale e ne lavora il 46% di tutto il mondo mentre l’Europa ne lavora solo il 20%. Occorre anche contare che pure l’estrazione del rame è oggetto di conseguenze ambientali negative, tanto è vero che, a seguito di fortissime proteste, la miniera di Cobre in Panama è stata chiusa e anche in Perù si chiede la stessa soluzione. Possiamo per questo rimproverare i cinesi? Il rame, per la sua conduttività, resistenza alla corrosione e durabilità è indispensabile per tutti i veicoli elettrici oltreché per i pannelli solari e per le turbine a vento. Che colpa ne hanno loro se la domanda di rame, proprio per le politiche “green” è prevista crescere in modo esponenziale entro il 2050?

    Perché i nostri soloni ambientalisti di Bruxelles e nelle varie capitali del continente non allargano il loro sguardo più in là della loro ristretta visuale e considerano cosa succede nel resto del mondo e quali prezzi tutti i popoli europei pagheranno in termini economici, di libertà e autonomia politica per seguire le loro politiche incoerenti e corto-vedenti? Perché invece di sperperare denari dei contribuenti inseguendo ideologie fallimentari non usano quei soldi per finanziare massivamente le ricerche sul nucleare a fusione?

    Badate bene, non l’attuale nucleare a fissione che produce, con le inevitabili scorie, molti più danni ambientali dei vituperati petrolio e gas!

    Certo, per fare scelte che andrebbero contro la propaganda di intellettualmente limitati “ambientalisti” occorrerebbero politici coraggiosi e dotati di giuste personalità. Purtroppo oggi non se ne vedono e ancora di più dobbiamo rimpiangere quei grandi che seppero riportare l’Europa intera dagli abissi e dalla distruzione della guerra verso il benessere che ci hanno lasciato e che ora, invece, gli attuali politici stanno facendo svanire.

  • L’UE si riconferma leader a livello mondiale in materia di finanza sostenibile

    A più di tre anni dalla prima emissione, l’UE ha emesso oltre 65 miliardi di euro in obbligazioni verdi di NextGenerationEU, il che potrebbe renderla il più grande emittente di obbligazioni verdi al mondo.

    In linea con l’annuncio della Presidente Von der Leyen nel suo discorso del 2020 sullo stato dell’Unione, la Commissione europea continuerà ad adoperarsi per emettere il 30% dei finanziamenti di NextGenerationEU mediante obbligazioni verdi, che dovrebbero coprire 264,6 miliardi di euro di investimenti nei trasporti puliti, energia pulita ed efficienza energetica, a conferma del ruolo di primo piano dell’UE nella finanza sostenibile.

    Secondo le stime, la piena attuazione nei prossimi anni di tutte le misure che possono essere finanziate mediante obbligazioni verdi di NextGenerationEU fornirà un contributo significativo alla transizione verde dell’UE, riducendo le emissioni di gas a effetto serra di 55 milioni di tonnellate all’anno. Si tratta dell’1,5% di tutte le emissioni di gas a effetto serra nell’UE, pari alle emissioni combinate di 15 milioni di famiglie europee o alla sostituzione con veicoli elettrici di 38 milioni di automobili a combustione interna sui 250 milioni in circolazione nell’UE,

  • Il benessere dell’umanità

    “Il benessere dell’umanità è sempre l’alibi dei tiranni”, Albert Camus

    Da sempre l’ideologia rappresenta lo strumento attraverso il quale giustificare una scelta anche di natura economica la quale altrimenti sarebbe ingiustificabile. Questo è quanto accade, ora, in merito alla transizione verso una mobilità elettrica, sostenuta proprio da quelle compagini politiche che hanno visto crollare i propri modelli politici e di sviluppo con la caduta del Muro di Berlino lasciandoli senza riferimenti. L’attenzione e la sete di riscossa politica si spostano quindi verso il modello di vita e consumi occidentale.

    In questo contesto allora ecco la lotta alla mobilità indipendente possibile grazie all’utilizzo delle autovetture private ed al loro “impatto”.

    L’auto  risulta responsabile dell’1% delle emissioni di CO2, la cui riduzione del 50% sarebbe ottenibile semplicemente attendendo la normale conversione delle vecchie auto o magari attraverso una incentivazione fiscale alle classe di emissione euro 6.

    Quindi, in considerazione del fatto che l’Italia risulta responsabile dello 0,7% delle emissioni totali e l’intera Europa del 6,5%, tanto le emissioni attuali di CO2 (1%), attribuibile alle auto, quanto la loro riduzione del 50% risulterebbero già di per sé  marginale in rapporto alle conseguenze economiche e sociali legate ad un avvento dell’auto elettrica cinese. Basti ricordare, infatti, come il settore Automotive in Europa rappresenti dodici milioni di posti di lavoro, circa mille miliardi di entrate fiscali ed il 12% del PIL.

    In relazione, poi, alle polveri sottili andrebbe ricordato come ad un grammo emesso da un motore endotermico ne corrispondano 1850 grammi attribuibili alla resistenza al rotolamento dei pneumatici che diventano 3850 nel caso di una guida più nervosa, ma comunque all’interno dei limiti imposti dal Codice della strada.

    Come logica conseguenza emerge evidente come il problema dell’impatto ambientale nella mobilità sia  più legato, in relazione alle polveri sottili, agli pneumatici che non al motore endotermico.

    Viceversa, la deriva strategica intrapresa dall’Unione Europea e soprattutto dalla sua Commissione trova la propria ragione in una scelta puramente ideologica nella quale la leva ambientalista rappresenta il fattore scatenante.

    Contemporaneamente in Cina negli ultimi due anni sono stati autorizzate le produzioni di 218 GW da centrali a Carbone (1 GW, 1 miliardo di Watt), quindi sono centinaia le centrali a carbone che la Cina sta costruendo in questo momento per alimentare il proprio sviluppo, e quindi anche l’industria automobilistica cinese, con un vita media compresa tra i 50 e i 75 anni, quindi operative fino alla fine del secolo in corso.

    In questo contesto basti ricordare come le emissioni delle centrali a carbone rappresentino un quinto di quelle totali e metà sia  localizzata in Cina ma in continua crescita.

    Pensare di utilizzare i prodotti di una economia malsana, con il primato mondiale dell’impatto ambientale, rappresenta, all’interno di una politica attenta ad un equilibrio ambientale, sia nel settore Automotive come in precedenza avvenne con il tessile abbigliamento,

    la strategia a più alto tasso di inquinamento che la UE potesse adottare.

    La sola giustificazione che possa sostenere il blocco della vendita e produzione dei motori endotermici a partire dal 2035 può venire considerata solo come espressione in un cieco furore ideologico che da sempre rappresenta il modo per sostenere quanto altrimenti risulterebbe assolutamente ingiustificabile e sempre in nome del bene comune.

  • Luci spente a Notre-Dame di Strasburgo per risparmio energetico

    Un nostro lettore ci segnala un articolo tratto dalla rivista ‘Tempi’ che pubblichiamo di seguito

    L’ultima deriva delle iniziative degli pseudo ambientalisti è stata registrata a Strasburgo, dove la sindaca ecologista, Jeanne Barseghian, ha deciso, a partire dalle 23, di spegnere l’illuminazione della cattedrale della città alsaziana in nome della “politica di sobrietà energetica” del suo Comune. «Questo spegnimento anticipato non è semplicemente un risparmio economico. Per la città di Strasburgo si tratta di dare l’esempio in un momento in cui si chiede a tutti i cittadini di impegnarsi per risparmiare energia», si è difesa la giunta ecologista.

    Prima di settembre, le luci di Notre-Dame de Strasbourg, gioiello dell’arte gotica con il suo meraviglioso “Pilastro degli Angeli” che Victor Hugo descrisse come un “prodigio di grandezza e leggiadria”, venivano spente all’una di notte. Il costo del risparmio energetico per il Comune? 4,80 euro al giorno di elettricità.

    «23.04, una tristezza inaudita», ha scritto pochi giorni fa su X il fotografo Olivier Hannauer, che per primo ha lanciato l’allarme sulla follia green della sindaca. Da quando al Comune c’è Eelv, «la città è piombata progressivamente nell’oscurità. Le chiese, i musei, i ponti», ha denunciato Hannauer. La sua battaglia estetica per restituire agli abitanti di Strasburgo il loro “faro”, come ama definire Notre-Dame, ha spinto Barseghian a fare retromarcia e a ripristinare momentaneamente “l’illuminazione abituale della cattedrale”. Ma quanto durerà?

    Jean-Philippe Vetter, capogruppo dell’opposizione gollista, ha parlato di una vittoria «di tutti quelli che amano Strasburgo», sottolineando tuttavia che la battaglia contro le derive dell’ecologismo deve essere combattuta ogni giorno.

  • La Commissione impone dazi compensativi provvisori sulle importazioni di veicoli elettrici a batteria dalla Cina

    La Commissione europea ha istituito dazi compensativi provvisori sulle importazioni di veicoli elettrici a batteria dalla Cina.

    Sulla base dell’inchiesta svolta, la Commissione ha concluso che la catena del valore dei veicoli elettrici a batteria in Cina beneficia di sovvenzioni sleali, dalle quali deriva una minaccia di pregiudizio economico ai produttori UE di veicoli elettrici a batteria.

    Le consultazioni con il governo cinese si sono intensificate nelle ultime settimane, a seguito di uno scambio di opinioni tra il vicepresidente esecutivo Valdis Dombrovskis e il ministro cinese del Commercio Wang Wentao. I contatti proseguono a livello tecnico al fine di giungere a una soluzione che sia compatibile con l’OMC e risponda adeguatamente alle preoccupazioni sollevate dall’Unione europea. Rispetto alle aliquote comunicate preventivamente il 12 giugno 2024, i dazi provvisori sono stati leggermente adeguati al ribasso tenendo conto delle osservazioni sull’esattezza dei calcoli presentate dalle parti interessate.

  • Indagine rivela atteggiamento positivo nei confronti delle auto elettriche in Europa

    Il 57% dei conducenti di automobili non elettriche sta valutando la possibilità di passare a veicoli elettrici, nonostante i costi. E’ quanto emerge da un’indagine dell’osservatorio europeo per i carburanti alternativi condotta in 12 Stati membri dell’UE.

    L’impegno dell’UE a ridurre del 90% le emissioni di gas a effetto serra nel settore dei trasporti entro il 2050 — come stabilito nel Green Deal europeo e nella strategia per una mobilità sostenibile e intelligente — è in linea con questa tendenza, sottolineando il ruolo dei veicoli a zero emissioni. Il nuovo regolamento su un’infrastruttura per i combustibili alternativi promuove la realizzazione di infrastrutture di ricarica pubbliche di facile uso in tutta l’UE.

    Con oltre 19.000 intervistati, l’indagine è una delle principali per quanto riguarda l’atteggiamento dei consumatori nei confronti della mobilità elettrica. I rispondenti, suddivisi tra gli attuali conducenti di veicoli elettrici a batteria e i conducenti di veicoli non elettrici, hanno inoltre evidenziato i benefici per il clima e l’efficienza in termini di costi dei veicoli elettrici a batteria.

    Circa due terzi degli intervistati ritiene che il prezzo rimanga un grande ostacolo. Un terzo prevede tuttavia di acquistare un’automobile elettrica nei prossimi cinque anni.

    L’indagine ha coinvolto partecipanti da Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Ungheria, Italia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Slovenia, Spagna e Svezia.

  • Snam e De Nora avviano la costruzione di una Gigafactory a Cernusco sul Naviglio

    Un centro produttivo di circa 25mila metri quadri a Cernusco sul Naviglio (MI) mira a diventare il più grande polo produttivo nazionale di elettrolizzatori per la generazione di idrogeno verde, sistemi e componenti per l’elettrolisi dell’acqua e celle a combustibile. Prende il via il cantiere per la costruzione della Gigafactory guidata da Industrie De Nora – tramite De Nora Italy Hydrogen Technologies S.r.I. (Dniht) -, ha l’obiettivo di diventare polo produttivo di elettrolizzatori sul territorio nazionale, con una capacità che raggiungerà i 2GW equivalenti entro il 2030. Il termine dei lavori è previsto tra la fine del 2025 e i primi mesi del 2026. L’opera punta inoltre a facilitare il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità parte del Green Deal Europeo. L’ordine di grandezza dell’investimento per la Gigafactory a Cernusco sul Naviglio “è sui 100 milioni di euro. Non amiamo dare dettagli su quanto investiamo, siamo gelosi di questi numeri” ha dichiarato Paolo Dellachà, amministratore delegato di De Nora.

    Dnhit e il Ministero delle Imprese e del Made in Italy hanno firmato lo scorso luglio 2023 un decreto di concessione che ha riconosciuto a Dnhit un importo pari a circa euro 32 milioni in forma di contributo alla spesa a valere sul fondo istituito dal Ministero per il sostegno finanziario alle imprese che partecipano alla realizzazione di Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo (Fondo IPCEI). Il percorso di decarbonizzazione “va sostenuto secondo una visione di neutralità tecnologica e l’Europa punta a diventare leader nella produzione delle tecnologie, anche grazie alla forza che l’Italia può esprimere nella nuova legislatura, anche considerando la maggiore stabilità del nostro governo rispetto a quella degli altri Paesi” ha spiegato il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, intervenuto in video collegamento durante la posa della prima pietra per la Gigafactory.

    L’importo è finanziato tramite risorse del Pnrr. Gli importi destinati alla concessione di agevolazioni a Dnhit potranno essere successivamente integrati fino a circa euro 63 milioni, a seguito delle ulteriori disponibilità derivanti dalle attivazioni destinate al sostegno dell’IPCEI Idrogeno. “Penso si debba fare più e meglio per coniugare la sostenibilità ambientale con quella sociale ed economica. In questo contesto l’idrogeno verde avrà un ruolo preminente” ha aggiunto Urso nel corso del suo intervento. Per questo l’avvio dei lavori qui a Cernusco sul Naviglio “è un’ottima importante e significativa notizia, in considerazione della strategicità dell’opera” ha concluso.

    La realizzazione dell’opera sarà portata avanti in collaborazione con Snam, che in De Nora detiene una quota pari a circa il 21 per cento. La posa della prima pietra “è sempre un evento simbolico che sancisce l’inizio della costruzione per il futuro Net-Zero. Il futuro sarà fatto di energia rinnovabile ma anche di molecole verdi. Questo progetto è strategico perché rappresenta una di quelle opportunità che ci consente di giocare un ruolo come Italia e come Europa all’interno della transizione” ha sottolineato Stefano Venier, amministratore delegato di Snam. “Stiamo scoprendo pian piano che dipendiamo da altri Stati per la transizione, questa è un’opportunità per essere indipendenti”, ha infine concluso Venier, ricordando che oltre l’80 per cento dei pannelli fotovoltaici viene realizzato in Cina. A proposito della collaborazione tra le due Società, per l’ad di De Nora il “modello De Nora-Snam”, applicato per la realizzazione della Gigafactory a Cernusco sul Naviglio, “è sicuramente replicabile, non solo in Italia ma anche in altri Paesi”.

    L’idrogeno “è fondamentale perché consente il trasporto e lo stoccaggio delle rinnovabili, che è il punto più difficile nella transizione e l’Italia, con le sue aziende e le sue tecnologie, è protagonista nell’innovazione” ha affermato Valentino Valentini, viceministro delle Imprese e del Made in Italy. “La transizione – ha proseguito – è già in atto, è epocale, e avviene con aziende e tecnologie italiane al centro. De Nora è un esempio di azienda italiana che nasce dall’artigianalità, cresce nella tecnologia e diventa leader mondiale”. Anche Snam è “protagonista all’interno del processo di transizione” che vedrà “un asse tra il Nord Africa e l’Europa. L’Europa ha capito che ci dobbiamo mettere assieme, sostenere le nostre eccellenze: ci saranno dei corridoi che vedranno le reti con le rinnovabili solari che dall’Africa attraverseranno l’Italia e l’Europa, dal Nord Europa avremo l’eolico. Ma perché questo sia possibile dobbiamo avere tecnologie”. L’impianto che sarà costruito, ha concluso Valentini, “dimostra che la transizione verde è sostenibile per l’economia e può portare posti di lavoro”.

    L’iniziativa supporterà la riduzione dei costi di produzione degli elettrolizzatori, contribuendo a centrare l’obiettivo di capacità installata finale prevista in Europa e di neutralità tecnologica necessario per la transizione energetica. La collocazione della Gigafactory in una primaria area industriale e produttiva a poca distanza da Milano consentirà inoltre di contribuire attivamente alla crescita economica e occupazionale del territorio locale, con la previsione di creare circa 200 posti di lavoro diretti e un indotto complessivo di circa 2000 persone. Il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, ha definito l’opera “una dimostrazione di quella che è l’indirizzo che il nostro Paese e l’Europa devono avere in questo ambito”. Quindi “sostenibilità come opportunità, investimenti sul territorio, posti di lavoro e sostenibilità ambientale. Credo sia un esempio bellissimo, rappresenta esattamente quello che ho sempre sostenuto debba essere la sostenibilità” ha chiosato.

  • Entrano in vigore le nuove norme dell’UE sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde

    E’ entrata in vigore la nuova normativa dell’UE sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde. Ciò significa che prima di acquistare un prodotto i consumatori otterranno informazioni migliori e più armonizzate sulla sua durabilità e riparabilità. I consumatori saranno inoltre meglio informati sui loro diritti di garanzia legale e sarà vietato formulare asserzioni ambientali vaghe, il che significa che le imprese non potranno più dichiarare di essere “verdi” o “rispettose dell’ambiente” se non sono in grado di dimostrare di esserlo realmente. Non sarà più ammesso esporre loghi volontari inattendibili relativi alla sostenibilità e saranno vietate le pratiche commerciali sleali legate all’obsolescenza precoce, come le false dichiarazioni sulla durabilità di un bene.

    Gli Stati membri dell’UE sono tenuti a recepire la direttiva nel diritto nazionale entro martedì 27 marzo 2026. Le norme si applicheranno a decorrere dal 27 settembre 2026.

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