Industria

  • La crisi tedesca e possibili implicazioni per l’Unione Europea

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Marco Palombi

    In Germania, il peggioramento della crisi economica ha subito, di recente, una brusca accelerazione.

    Il governo federale, sotto la guida del Cancelliere Olaf Scholz, ha adottato un approccio orientato alla continuità nominando Jörg Kukies come nuovo ministro delle Finanze.

    Tuttavia, la pressione politica si intensifica: Friedrich Merz, capo dell’opposizione della CDU e candidato alla cancelleria, ha richiesto l’anticipazione del voto di fiducia inizialmente previsto per il 15 gennaio, sottolineando che “non ci sono ragioni per attendere oltre due mesi”[i].

    La Germania sta affrontando una fase critica di deindustrializzazione, evidenziata da un calo significativo della produzione industriale.

    A settembre 2024, la produzione industriale tedesca è diminuita del 2,5% su base mensile, superando le previsioni di un calo dell’1%, e del 4,6% su base annua, rispetto alle attese di una diminuzione del 3%[ii] e [iii].

    La crisi del settore automobilistico tedesco[iv], un pilastro dell’economia nazionale, che rappresenta il 5% del PIL nazionale, riflette una serie di sfide complesse derivanti da cambiamenti strutturali, pressioni ambientali e dinamiche di mercato globali. Le aziende hanno difficoltà a gestire la transizione verso i veicoli elettrici e affrontare le crescenti pressioni dei costi[v]. Di conseguenza, Volkswagen ha annunciato la chiusura di tre stabilimenti in Germania, una decisione significativa che comporta la perdita di circa 30.000 posti di lavoro.

    La situazione occupazionale in Germania, al settembre 2024, mostra un tasso di disoccupazione destagionalizzato al 6%. Questo dato non considera i disoccupati di lungo periodo che beneficiano di sussidi statali. L’Istituto per la Ricerca sull’Occupazione tedesco (IAB) ha stimato che, includendo circa 5,5 milioni di persone disoccupate da oltre un anno e supportate dallo Stato, il tasso di disoccupazione effettivo potrebbe aumentare significativamente, avvicinandosi al 18% [vi].

    La struttura del mercato del lavoro tedesco mostra un crescente divario tra l’occupazione nel settore pubblico, che continua a espandersi, e un settore manifatturiero in declino.

    Negli ultimi anni, la Germania ha registrato un incremento nell’occupazione nel settore pubblico. Secondo l’Ufficio Federale di Statistica Tedesco[vii] nel 2023 il numero di dipendenti pubblici è aumentato dell’1,5% rispetto all’anno precedente, raggiungendo circa 4,9 milioni di persone impiegate nel settore pubblico. Questo incremento è attribuibile principalmente all’espansione dei servizi pubblici, in particolare nei settori dell’istruzione e della sanità, per far fronte alle crescenti esigenze della popolazione che invecchia.

    La spesa per il personale pubblico, che include salari e benefici, è aumentata del 4,1% nel 2024, a seguito di accordi sindacali e dell’espansione dei servizi (Statistisches Bundesamt, 2024; Financial Times, 2024).

    Questa forbice nella crescita evoca uno scenario in cui vi possa essere un aumento della spesa pubblica e del deficit fiscale, senza un corrispondente aumento del PIL, con potenziali implicazioni per la stabilità economica a lungo termine.

    Secondo i dati del Ministero delle Finanze tedesco, il rapporto debito/PIL dovrebbe salire al 64% nel 2024, rispetto al 63,6% del 2023. Sempre secondo il ministero, il rapporto debito/PIL della Germania è previsto in crescita, con un incremento di circa 3,2 punti percentuali tra il 2024 e il 2025, al fine di sostenere la spesa corrente e compensare le perdite fiscali derivanti dal calo produttivo.

    Questo incremento deriva da una serie di interventi fiscali volti a mitigare l’impatto dell’inflazione e della crisi energetica, tra cui il piano “Generational Capital”, che prevede un finanziamento di 12,5 miliardi di euro da destinare alle pensioni, e un pacchetto di supporto energetico dal valore di circa 200 miliardi di euro, che rappresenta il 5,2% del PIL nazionale[viii]

    Inoltre, la transizione energetica della Germania rappresenta una sfida economica ed infrastrutturale di grandi dimensioni, la cui giustificazione potrebbe essere messa in discussione dal suo costo.

    L’obiettivo della Germania di raggiungere la neutralità climatica entro il 2045 richiede investimenti in tecnologie verdi, infrastrutture energetiche e riconversione industriale per circa 450 miliardi di euro entro il 2045[ix].

    Oltre alla rete energetica, la decarbonizzazione dell’industria manifatturiera richiederà ulteriori finanziamenti. La Banca Centrale Europea[x] stima che la trasformazione del settore industriale tedesco per ridurre le emissioni di CO₂ potrebbe costare complessivamente fino a 1.850 miliardi di euro, una cifra che equivale a quasi la metà del PIL annuale della Germania.

    La pressione economica derivante da questi investimenti potrebbe avere impatti significativi sul bilancio pubblico e sul debito a lungo termine.

    Una Germania sempre più dipendente da politiche di indebitamento comune – un’idea che fino ad ora ha respinto con fermezza – potrebbe minare le fondamenta dell’UE stessa.

    Nel contesto di una crisi interna, l’opzione di rivedere o persino abbandonare alcuni degli impegni europei, inclusa l’unione fiscale e bancaria, non può essere esclusa.

    Storicamente, la Germania ha mantenuto una rigorosa politica di contenimento del debito, sancita formalmente con l’introduzione della “Schuldenbremse” o freno al debito nella costituzione nel 2009. Questa scelta riflette una cultura fiscale conservativa, basata sulla diffidenza verso un eccessivo ricorso all’indebitamento per evitare rischi di destabilizzazione economica. L’economista tedesco Hans-Werner Sinn ha ribadito più volte che la Germania non dovrebbe sostenere finanziariamente politiche, come il Green Deal europeo, se queste non portano benefici diretti e richiedono un aumento significativo del debito pubblico[xi].

    Con investimenti previsti di circa 1.850 miliardi di euro per la decarbonizzazione dell’industria, la pressione fiscale sulla Germania continua a crescere. Se il Paese decidesse di abbandonare o ridurre il proprio impegno in politiche ambientali europee di vasta portata, si creerebbe un divario tra le priorità della UE e le esigenze economiche interne. Tale approccio potrebbe spingere la Germania a limitare la propria partecipazione a progetti come il Green Deal, che comportano costi elevati senza ritorni immediati per l’economia nazionale. Markus Kerber, tra gli altri analisti, suggerisce che la Germania potrebbe orientarsi verso politiche ambientali interne, mirate alla riduzione delle emissioni nei settori industriali strategici, senza necessariamente allinearsi agli obiettivi europei [xii].

    Un possibile scenario di disimpegno progressivo dall’UE potrebbe derivare dall’accumulo di pressioni fiscali e dalla percezione di una crescente erosione della sovranità economica, legata al consolidamento delle decisioni europee in campo fiscale. Durante la crisi dell’eurozona, alcuni leader tedeschi ipotizzarono l’uscita dalla moneta unica per ripristinare la sovranità monetaria e fornire strumenti di supporto all’economia reale, qualora fosse divenuta insostenibile la permanenza nell’Euro. Questo riflette una tendenza a preservare la capacità decisionale nazionale, soprattutto per proteggere il settore industriale attraverso misure autonome.

    Con un debito pubblico in crescita per finanziare politiche onerose come l’unione bancaria e fiscale, l’elettorato tedesco potrebbe spingere un futuro governo a riesaminare il ruolo della Germania all’interno dell’UE. Tale scelta permetterebbe una maggiore flessibilità nella definizione di politiche commerciali a difesa dell’industria locale, inclusi settori chiave come la produzione di veicoli e macchinari. Tuttavia, questa ipotesi di disimpegno avrebbe profonde ripercussioni sull’economia europea e segnerebbe un ritorno a pratiche protezionistiche, come esplorato da Wolfgang Streeck, il quale ha analizzato il declino della cooperazione monetaria europea e l’ineluttabile spinta verso un’indipendenza fiscale[xiii].

    La crescente instabilità politica in Germania potrebbe quindi incidere significativamente sul futuro dell’UE, specie in vista delle elezioni del 2025, con potenziali conseguenze sull’equilibrio e sulla coesione del progetto europeo.

    [i] – Handelsblatt, 2023. “Friedrich Merz Calls for Early Confidence Vote Amid Escalating Economic Crisis.” Disponibile su: https://www.handelsblatt.com

    [ii]  Teleborsa, 2024. Germania: Produzione Industriale in Calo a Settembre 2024. Teleborsa. Disponibile su: https://www.teleborsa.it/News/2024/11/07/germania-produzione-industriale-settembre-scende-piu-delle-attese-17.html [Accesso 7 novembre 2024].

    [iii] Bundesbank, 2024. Monthly Report on Germany’s Industrial Production Decline. Bundesbank. Disponibile su: https://www.bundesbank.de [Accesso 7 novembre 2024].

    [iv] Reuters, 2024. Volkswagen plans for major restructuring, including plant closures. Reuters. Disponibile su: https://www.reuters.com [Accesso 7 novembre 2024].

    Financial Times, 2024. Germany’s automotive industry faces restructuring amid electric vehicle transition. Financial Times. Disponibile su: https://www.ft.com [Accesso 7 novembre 2024].

    European Commission, 2023. Next Generation EU: Green Deal and transition funds for sustainable development. European Commission. Disponibile su: https://ec.europa.eu/info/index_it [Accesso 7 novembre 2024].

    Destatis (Ufficio Federale di Statistica tedesco), 2024. Germany’s industrial output data September 2024. Destatis. Disponibile su: https://www.destatis.de [Accesso 7 novembre 2024].

    Start Magazine, 2024. Automotive industry and its contribution to Germany’s GDP. Start Magazine. Disponibile su: https://www.startmag.it [Accesso 7 novembre 2024].

    [v] Le automobili elettriche, che richiedono meno componenti e manodopera rispetto ai motori a combustione interna, stanno riducendo la domanda di forza lavoro nelle linee produttive tradizionali. Le case automobilistiche tedesche stanno inoltre fronteggiando una forte concorrenza da parte di produttori asiatici e americani, come Tesla, che con l’apertura del suo stabilimento nel Brandeburgo introduce standard di produzione più agili, intensificando la competizione locale. Per mantenere competitività, le aziende tedesche stanno riducendo i costi operativi e ridimensionando le risorse, inclusi i posti di lavoro.    BMW e Mercedes-Benz, così come Volkswagen, stanno progressivamente tagliando personale nelle unità produttive tradizionali e investendo miliardi di euro in automazione e innovazione per riallinearsi ai nuovi mercati e normative. Tuttavia, la necessità di riconversione impone decisioni difficili con implicazioni per decine di migliaia di lavoratori.

    Il settore automobilistico rappresenta circa il 5% del PIL tedesco e contribuisce in modo significativo alle esportazioni nazionali. La perdita di competitività e la chiusura di stabilimenti potrebbe provocare una riduzione dello 0,5% del PIL a breve termine, con un impatto che si estenderebbe lungo tutta la catena di fornitura e sui servizi correlati.

    [vi] IAB, 2023. Long-term Unemployment in Germany and its Implications. Istituto per la Ricerca sull’Occupazione (IAB). Disponibile su: https://www.iab.de [Accesso 7 novembre 2024].

    BCE, 2024. Germany’s Employment Statistics: Official vs. Extended Unemployment Rates. Banca Centrale Europea. Disponibile su: https://www.ecb.europa.eu [Accesso 7 novembre 2024]. [vii] Statistisches Bundesamt (Destatis), 2023. Personal im öffentlichen Dienst 2023. Disponibile su: https://www.destatis.de/DE/Themen/Staat/Oeffentlicher-Dienst/Publikationen/Downloads-Oeffentlicher-Dienst/personal-oeffentlicher-dienst-2023-pdf.html [Accesso 7 novembre 2024].

    [viii] Reuters, 2024. German Debt Ratio Expected to Rise Slightly in 2024, Finance Ministry Reports. Disponibile su: https://www.reuters.com/markets/europe/german-debt-ratio-likely-rise-slightly-2024-finance-ministry-2024-04-24/ [Accesso 7 novembre 2024].

    Bundesministerium der Finanzen, 2024. Public Spending and Economic Stimulus Measures for 2024. Ministero delle Finanze. Disponibile su: https://www.bundesfinanzministerium.de [Accesso 7 novembre 2024].

    Statistisches Bundesamt, 2024. Public Sector Employment Statistics. Ufficio Federale di Statistica Tedesco. Disponibile su: https://www.destatis.de [Accesso 7 novembre 2024].

    Financial Times, 2024. Germany’s Public Sector Wage Increase and Employment Growth. Financial Times. Disponibile su: https://www.ft.com [Accesso 7 novembre 2024].

    [ix] Bundesministerium für Wirtschaft und Klimaschutz, 2024. Energy Transition and Investment Projections for 2045. Ministero dell’Economia e della Protezione Climatica. Disponibile su: https://www.bmwk.de [Accesso 7 novembre 2024].

    [x] Banca Centrale Europea, 2024. Industrial Decarbonisation Cost Analysis for Eurozone. Banca Centrale Europea. Disponibile su: https://www.ecb.europa.eu [Accesso 7 novembre 2024].

    [xi] Sinn, H.-W., 2020. The Green Paradox: A Supply-Side Approach to Global Warming. Cambridge: MIT Press.

    [xii] Kerber, M., 2023. The German Response to European Fiscal Pressures and Sovereignty Issues. Journal of European Economic Policy, 12(4), pp. 245-267.

    [xiii] Streeck, W., 2017. Buying Time: The Delayed Crisis of Democratic Capitalism. London: Verso Books.

  • 2 agosto 2024: il black Friday dell’industria

    La produzione industriale rilevata dall’Istat segna, rispetto a giugno 2023, un crollo del -5,6% nonostante un illusorio +0,5% sul mese  precedente (maggio 2023). Anche considerando i soli primi sei mesi dell’anno in corso, e rispetto al primo semestre dell’anno 2023, la flessione del principale indicatore economico risulta drammatica con un  -2,8%.

    In questa situazione diventano diciassette (17) le diminuzioni della produzione industriale consecutive, una situazione mai avvenuta dal dopoguerra ad oggi e che definisce in modo incontrovertibile la gravità dello scenario economico dell’Italia al rientro dalle vacanze estive. Senza dimenticare, in più, un contesto generale il quale registra l’andamento dei prezzi in costante crescita, a causa dell’aumento dei costi energetici, che rappresentano il nefasto effetto delle trentennali privatizzazioni degli asset strategici  energetici e riconfermate anche dal governo in carica, unite alla sospensione dei mercato tutelato accettato come clausola “vessatoria ” imposta ed accettata supinamente dal governo Conte ( 5 stelle Pd) per ottenere i fondi PNRR.

    L’ esito inevitabile emerge chiaro,  con consumi in calo (differenziale tra un  leggero aumento nominale ma inferiore al tasso di inflazione) associati a fatturati delle imprese anch’esse con il segno negativo che possono andare da un generale ma già indicativo -1,6%, ad un allarmante -25% del settore metalmeccanico.

    Questi sono i connotati di uno scenario assolutamente devastante ma ancora oggi sottostimato da tutti i protagonisti della scena politica italiana a causa della loro negligente impreparazione e accecati dalla crescita del settore turistico (ma comunque inferiore al trend internazionale).

    A questa valutazione si aggiunge l’opera della Commissione Europea. Il principale organo esecutivo europeo intende proseguire, per i prossimi cinque anni di mandato, nel conseguimento dell’obiettivo di azzerare l’industria Automotive Europea e con essa anche il settore primario  (basti pensare alla prossima tassazione delle vacche in Danimarca di 100€ all’anno).

    Nel frattempo la realtà empirica comincia ad emettere le proprie sentenze. La  Norvegia, la nazione con la più alta percentuale di auto elettriche, non ha ridotto assolutamente la quantità di CO2  emessa, dimostrando ancora una volta come la transizione verso la mobilità elettrica rappresenti una volontà solo ideologica e politica priva di un qualsiasi impatto sul valore delle emissioni complessive.

    Contemporaneamente, dalle recenti rilevazioni relative alle emissioni emerge in modo inequivocabile come i  Data Center ora inquinino più delle abitazioni, solo Google ha aumentato del 48% le emissioni dal 2019, e l’avvento della IA ne aumenterà notevolmente la richiesta di energia e quindi di emissioni. Un andamento che  rende alquanto discutibile la transizione Green per quanto riguarda le abitazioni private.

    La diciassettesima diminuzione consecutiva della produzione industriale  certifica una volta di più come le istituzioni nazionali e quelle europee operino contro lo sviluppo del continente che si vuole ridotto ad un semplice parco giochi turistico.

  • Parte la produzione di Fiat Panda in Serbia

    La società Fca Serbia ha inaugurato la nuova linea di produzione di prova del modello elettrico della Fiat Grande Panda nello stabilimento Stellantis di Kragujevac. Alla cerimonia erano presenti il presidente serbo, Aleksandar Vucic e Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, insieme alle più alte cariche statali serbe tra cui il ministro delle Finanze Sinisa Mali, il ministro dei Trasporti Goran Vesic e l’ambasciatore d’Italia a Belgrado, Luca Gori. Ci sono voluti due anni per adattare lo stabilimento di Kragujevac, in cui prima si produceva la Fiat 500L, dalla produzione automobilistica convenzionale a quella elettrica, dopo che l’anno scorso il ministero dell’Economia serbo e la stessa società hanno firmato un accordo per la produzione di auto elettriche negli stabilimenti di Kragujevac.

    Il contratto prevedeva un investimento di 190 milioni di euro per il riammodernamento delle linee di produzione, l’investimento da parte della Serbia ammontava a 48 milioni. Le linee di produzione, quindi, sono ora automatizzate e robotizzate e lo stabilimento dà lavoro oggi a circa mille persone. Il nuovo modello di Grande Panda sarà realizzato nelle due versioni, elettrica e ibrida, e da Kragujevac l’auto arriverà prima in Europa, poi in Medio Oriente e in Africa. Con l’inizio della produzione in serie, previsto per ottobre, il Paese balcanico diventerà il primo dei Balcani ad avere una produzione completa di veicoli elettrici, a partire dalle batterie. Il passo di oggi infatti segue la firma della settimana scorsa tra i rappresentanti dell’Unione europea e del governo di Belgrado sul Memorandum d’intesa per il partenariato strategico nel campo delle materie prime sostenibili, della catena del valore delle batterie e dei veicoli elettrici.

    La sigla del documento, oltre a ridare slancio al progetto di estrazione del litio, elemento fondamentale per la transizione verde e digitale e di cui il Paese dispone di grandi quantità, prevede l’avvio anche della produzione interna di batterie elettriche. Il presidente serbo ha sottolineato nella conferenza stampa di inaugurazione di prevedere nel 2025 “una crescita del Pil dello 0,5 per cento” solo grazie allo stabilimento di Kragujevac, chiedendo ai cittadini di avere un occhio di riguardo verso la Grande Panda, al momento dell’acquisto di una nuova vettura. “Dobbiamo prenderci cura di questa macchina”, ha detto Vucic, invitando ad acquistare un prodotto “locale” poiché, ha sottolineato, “aiuta il progresso della nostra industria”.

    “Aiutiamo le persone a trovare lavoro. Duemila cittadini di Kragujevac lavoreranno qui, 7 mila persone dipenderanno da questa fabbrica”, ha sottolineato il presidente serbo, ricordando i difficili colloqui di due anni fa tra i rappresentanti del governo e i sindacati dei lavoratori, e gli scioperi, quando lo stabilimento in cui prima si produceva la Fiat 500L ha chiuso e a una parte degli operai è stato chiesto di formarsi all’estero. “Ce l’abbiamo fatta tutti insieme, dopo difficili colloqui e scioperi nella fabbrica di Kragujevac”, ha ricordato il capo dello Stato. “Abbiamo attraversato un periodo difficile nella fabbrica di Kragujevac, ma eravamo uno accanto all’altro. Stellantis ha mantenuto ciò che aveva promesso”, ha ricordato a tal proposito Tavares, il quale ha affermato che è dovere di Stellatis scrivere “un altro capitolo degli affari della Fiat in Serbia”.

  • Economia industriale: il trend si conferma

    Le flessioni consecutive della produzione industriale arrivano a quota 16. Mai dal dopoguerra ad oggi si è assistito ad una ininterrotta caduta della produzione industriale aprendo scenari problematici.

    Mentre il ministro dell’Economia assicura che la prossima manovra finanziaria non sarà “lacrime e sangue”, nel più assoluto disinteresse governativo ma anche dell’intera opposizione, assistiamo ad un processo di deindustrializzazione senza precedenti in Italia confermato dalla sedicesima flessione della P.I.

    Ovviamente le cause di questa trend negativo possono essere riportate all’assoluta mancanza da decenni di una politica industriale quanto, di conseguenza, a una responsabilità diffusa di ogni compagine governativa.

    Tuttavia, mentre nel maggio 2023 la Francia nazionalizzava EDF con l’obiettivo di assicurare un basso costo delle bollette elettriche alle imprese e alle famiglie, in Italia si è assistito alla sospensione del mercato tutelato e alla continua e ulteriore privatizzazione di Eni Enel Multiutility ed ora, anche se in un diverso settore strategico, di Tim. Gli effetti di questa strategia si sono rivelati devastanti per l’economia italiana nel suo complesso.

    Dal 2023 al 2024 il differenziale pagato in più per l’energia elettrica dalle imprese quanto dalle famiglie italiane è passato, rispetto alla Francia, da un +27% (2023) ad un +71% (2024). Contemporaneamente lo stesso differenziale con la Spagna si è innalzato da un +30% (2023) ad un +68% (2024) e con la Germania si passa da un +23% ad un +29% tra il 2023/24.

    Nel medesimo anno il costo dell’energia elettrica risulta diminuita in Italia del -10%, mentre in Germania si è ridotta del -18%, in Spagna del -59%, infine in Francia del -69%.

    Uno scenario strategico che ovviamente induce gli imprenditori già sul campo a ridurre gli investimenti in attesa di una inversione della recessione internazionale, ma al tempo stesso allontana sempre più gli investimenti esteri nel nostro Paese.

    Mentre sull’onda dei risultati elettorali in Gran Bretagna e in Francia riemergono le proposte per una patrimoniale o per un innalzamento della pressione fiscale, andrebbe ricordato un altro fattore fondamentale in ambito economico Il quale condiziona le stesse scelte strategiche, cioè l’efficienza della spesa pubblica.

    In altre parole, questo parametro indica gli effetti positivi relativi alla vita quotidiana e al benessere dei cittadini in rapporto alla crescita della spesa pubblica.

    In questo contesto, allora, andrebbe ricordato come il nostro Paese risulti tristemente al 123esimo posto per quanto riguarda l’efficienza della spesa pubblica, persino dietro ad Haiti.

    Come inevitabile conseguenza, quindi, e come del resto anche la gestione del PNRR ha ampiamente dimostrato, accrescere la dotazione di risorse pubblica della spesa pubblica non si traduce in un miglioramento dei servizi ai cittadini, e tantomeno aumentano le opportunità di lavoro in quanto dal 2019 ad oggi le retribuzioni sono diminuite in Italia del -6,9%.

    Questa situazione complessa, e come già detto espressione di responsabilità condivise dalle più diverse compagini governative sia politiche che tecniche che si sono alternate alla guida del nostro Paese negli ultimi trent’anni, esprime comunque una regressione culturale senza precedenti.

    In altre parole, tutti i governi si sono dimostrati completamente digiuni di qualsiasi capacità di analisi e sviluppo di una politica industriale o di considerazione dei fondamentali economici e rappresentano il primo problema del nostro Paese, il quale ancora una volta, come da trent’anni a questa parte, si dimostra assolutamente impreparato alla sfida di un mercato globale.

  • Panda elettrica: il paradosso energetico europeo

    La Commissione Europea ha preteso nel 2022, come forma di ritorsione in seguito all’inizio della guerra russo ucraina, di azzerare le importazioni di gas dalla Russia.

    Gli stessi vertici istituzionali europei avevano previsto il sicuro default dell’aggressore russo nel giro di pochi mesi (le previsioni per il 2024 indicano il Pil russo tre volte quello europeo dopo un 2023 già doppio).

    Contemporaneamente la UE ha imposto una transizione energetica che prevedeva un azzeramento dell’utilizzo di combustibili fossili anche attraverso una mobilità sempre più elettrica, arrivando al delirante divieto di produzione di automobili a combustione interna dal 2035.

    In relazione alle importazioni di gas russo alcuni Stati membri della stessa Unione, come Germania e Spagna, lo hanno sfacciatamente aggirato attraverso semplici triangolazioni.

    Viceversa questo obbligo europeo è stato osservato diligentemente dal governo Draghi, il che ha comportato una aggravio di costi notevole sia per le imprese che per le famiglie italiane le quali si vedono costrette a consumare gas proveniente da altri paesi con prezzi decisamente superiori.

    In questo contesto generale si inserisce la volontà ideologica, appunto, di una transizione verso la modalità elettrica la quale richiede investimenti ancora oggi insostenibili sia per le aziende che per i consumatori. In più questo scenario ha accelerato le delocalizzazioni attraverso le quali le aziende stesse cercano di avviare la produzione di veicoli elettrici laddove i costi risultino inferiori a quelli italiani e non solo per un minore costo della manodopera. In questo modo si ottengono due obiettivi in quanto si accresce la redditività degli investimenti (1) e magari si ottiene un prodotto a prezzi più accessibili ampliando un minimo la domanda interna (2).

    La scelta di Stellantis di trasferire la produzione della nuova Panda elettrica da Pomigliano d’Arco (NA) in Serbia esprime quindi la volontà di perseguire i due traguardi ed è sostenuta da una volontà politica espressa dalla Commissione Europea intrisa di ideologia ambientalista.

    L’effetto finale diventa veramente surreale in quando queste aziende, con l’obiettivo di produrre questo tipo di nuovi veicoli a costi minori, delocalizzano le produzioni verso quegli stati che possono offrire un costo inferiore di produzione anche grazie alla forniture di gas dalla Russia di Putin avendo rinnovato la fornitura con l’azienda russa nel 2022 (*).

    In altre parole, la transizione energetica nella sua applicazione della mobilità spinge le produzioni di questi veicoli verso quei paesi che hanno mantenuto la fornitura di gas russo perché assicura minori costi energeticiì.

    Gli effetti nefasti della politica energetica europea e nazionale si traducono in precisi fattori antieconomici, sconosciuti agli stessi organi istituzionali che dovrebbero operare per il bene del paese e del continente europeo.

    La cancellazione di decine di migliaia di posti di lavoro è solo all’inizio di un cataclisma occupazionale senza precedenti e di entità ancora oggi difficile da ipotizzare.

    La vicenda della Panda elettrica e della sua delocalizzazione dimostra il fallimento strategico espresso con l’embargo alle forniture di gas russo delle quali la UE intendeva liberarsi e che ora invece rappresentano un fattore determinante nella scelta dei siti produttivi.

    L’unico obiettivo così raggiunto dalla Commissione Europea rimane quello del progressivo impoverimento dell’economia industriale europea.

    (*) https://it.euronews.com/2022/05/29/serbia-accordo-raggiunto-con-mosca-sul-gas

  • Entra in vigore il nuovo regolamento sulla protezione dei prodotti artigianali e industriali europei

    E’ entrato in vigore il 16 novembre il regolamento sulle indicazioni geografiche artigianali e industriali, segnando una tappa importante per la protezione dei nomi dei prodotti artigianali e industriali europei frutto dell’originalità e dall’autenticità delle competenze tradizionali delle regioni dalle quali provengono.

    Il regolamento armonizzerà la protezione dei prodotti artigianali e industriali europei di grande valore, come la porcellana di Limoges, la coltelleria di Solingen, il marmo di Carrara o i ricami di Madera.

    Gli Stati membri, l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), la Commissione e le parti interessate avranno due anni di tempo per prepararsi alla piena applicazione del nuovo sistema, prevista per dicembre 2025. Le indicazioni geografiche nazionali esistenti per i prodotti artigianali e industriali cesseranno di esistere un anno dopo la data di applicazione del regolamento.

    Il regolamento è una delle principali proposte del piano d’azione sulla proprietà intellettuale, presentato dalla Commissione europea nel novembre 2020. La proposta risponde agli appelli dei produttori, delle autorità regionali, del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale europeo e del Comitato delle regioni, che chiedevano alla Commissione di istituire un quadro normativo per la protezione dei prodotti artigianali e industriali.

    L’assenza di un quadro unitario di protezione delle indicazioni geografiche per i prodotti artigianali e industriali a livello europeo ha comportato differenze nella tutela giuridica tra gli Stati membri. Riconoscendo questa disparità, il regolamento sulle indicazioni geografiche artigianali e industriali è teso a porre rimedio a questa situazione e ad armonizzare la protezione di questi prodotti europei di valore.

  • La delocalizzazione intellettuale

    “Le delocalizzazioni produttive rappresentavano Il trasferimento del vantaggio culturale e tecnologico (espressione dell’evoluzione tecnica culturale) dei paesi occidentali ai paesi a basso costo manodopera…” (*)

    Questo poteva rappresentare la strategia economica sostenuta dal mondo accademico italiano ed adottata dall’intero arco parlamentare e governativo degli ultimi 30 anni.

    Ancora oggi, la Fiat ha messo in cassa integrazione gli operai impiegati nella linea di produzione della 500 elettrica in quanto il mercato non recepisce questo prodotto offerto al mercato ad un prezzo decisamente fuori contesto. Come sempre, infatti, il mercato indica quanto possano essere disastrose le strategie aziendali. Sarebbe opportuno che il management rispondesse di questi errori clamorosi che, tra l’altro, ricadono sull’Italia in quanto la cassa integrazione viene finanziata con i contributi dei lavoratori italiani.

    Una strategia che vede coinvolta anche la tedesca Volkswagen la quale all’inizio aveva appoggiato la transizione ecologica imposta dalla Commissione Europea assaporando l’opportunità di ricambio dell’intero parco auto circolante europeo e adottando il principio della speculazione finanziaria, la quale, sulla base di una opportunità, considerava il bacino d’utenza degli automobilisti il proprio “parco giochi”. Ma ora si ritrova esposta con investimenti nelle auto elettriche assolutamente sproporzionati rispetto alle risposte del mercato e sta avviando un piano di licenziamenti impensabile solo due anni addietro.

    Di questa situazione la politica sembra non accorgersene o ancora peggio sottovalutarne le conseguenze.

    A questo tipo di delocalizzazioni produttive si devono aggiungere ora quelle relative al back office, cioè gli impiegati e i quadri. Stiamo assistendo, appunto, ad una evoluzione delle delocalizzazioni produttive le quali ora investono anche il back office. La Saint Gobain, infatti, delocalizza in Polonia buona parte del proprio asset amministrativo (https://www.milanotoday.it/economia/licenziamenti-saint-gobain-2023.html). Mentre tutti i partiti si interrogano sulla introduzione di una riduzione della settimana lavorativa, e su una legge relativa ad una obbligatorietà del salario minimo, in Italia prende forma una evoluzione delle delocalizzazioni. Quelle industriali, infatti, subiscono una accelerazione, si pensi alla realizzazione della nuova Fiat 600 in Polonia, ma a queste si aggiunge un’altra tipologia che riguarda anche i servizi, come la vicenda Saint Gobain dimostra.

    In questo contesto la digitalizzazione dell’economia tende a favorire, appunto, questo fenomeno del trasferimento di know how non solo produttivo ma adesso anche intellettuale, i cui effetti potrebbero rivelarsi devastanti per il nostro Paese.

    Una pericolosa prospettiva la quale comunque lascia assolutamente indifferente l’intera classe politica italiana.

    (*) FP

  • La cantieristica nautica italiana supera i 4 miliardi

    Il mercato della cantieristica nautica continua a crescere in Italia e nel mondo. La produzione dei cantieri italiani potrebbe superare il valore di 4 miliardi di euro nel 2022 (4,1-4,3 miliardi) con una crescita tra il 15% e il 20%. E’ la stima di Deloitte che arriva dal report sul settore realizzato per Confindustria Nautica, secondo cui, il valore del mercato mondiale della cantieristica nautica ha raggiunto i 52 miliardi di euro nel 2021.

    In Italia la produzione di nuove imbarcazioni ha raggiunto nel 2021 un valore di 3,6 miliardi di euro (+34% rispetto al 2020), con un contributo al Pil nazionale pari al 2,9%, e il Paese è il secondo produttore al mondo, con una quota di mercato del 12%, dopo gli Stati Uniti. I cantieri italiani confermano la leadership mondiale nel segmento superyacht con una quota del 49% sul totale degli ordini globali. Il Paese continuerà a crescere anche quest’anno: «Il futuro è buono e per il 2023 abbiamo buone notizie», spiega il presidente di Confindustria Nautica, Saverio Cecchi, aggiungendo che «i cantieri di grandi imbarcazioni hanno un portafoglio ordini importantissimo».

    Fra le economie del mare, osserva Cecchi, «l’industria nautica è il comparto che nel 2021 è cresciuto più di tutti gli altri, con il migliore incremento di fatturato di sempre, registrando il record storico di export e un aumento del 10% degli addetti diretti». Il mercato della nautica “è più solido e forte rispetto al 2008, supportato da una domanda più consistente con aspettative positive per i prossimi anni», aggiunge Tommaso Nastasi, senior partner Deloitte. Le sfide dei prossimi anni riguardano “il prodotto, la filiera e il mercato», aggiunge Nastasi, che si aspetta «un maggior focus sulle operazioni di M&A (fusione e acquisizione)». Altro aspetto centrale riguarda gli obiettivi Esg sui quali «c’è una maggiore consapevolezza da parte del settore».

  • La Commissione accoglie con favore l’accordo politico per rafforzare la protezione dei prodotti artigianali e industriali europei nell’UE e nel mondo

    La Commissione accoglie con favore l’accordo politico provvisorio raggiunto dal Parlamento europeo e dal Consiglio su un nuovo regolamento per proteggere la proprietà intellettuale dei prodotti artigianali e industriali che costituiscono il frutto dell’originalità e dell’autenticità di competenze tradizionali regionali.

    Il nuovo regolamento consentirà ai produttori dell’UE di proteggere i prodotti artigianali e industriali e le loro competenze tradizionali, in Europa e nel mondo, anche online. Il regolamento permetterà ai consumatori di riconoscere più facilmente la qualità di tali prodotti e di fare scelte più informate e aiuterà a promuovere, attrarre e mantenere competenze e posti di lavoro nelle regioni d’Europa, contribuendo al loro sviluppo economico. Inoltre il regolamento garantirà di porre i prodotti artigianali e industriali su un piano di parità rispetto alle indicazioni geografiche protette già esistenti nel settore agricolo.

  • Enel e Costa alleati per ridurre le emissioni delle navi

    Il ‘caso pilota’ sarà la trasformazione di un nave da crociera per azzerarne le emissioni nelle fasi di ingresso, sosta e uscita dal porto, attraverso l’installazione a bordo di una alimentazione a batteria e sulle banchine un impianto di alimentazione e ricarica elettrica da terra. E’ partito così un progetto di collaborazione tra Enel e Costa Crociere “per favorire la mobilità marittima sostenibile attraverso soluzioni di elettrificazione”. Un protocollo di intesa che, spiegano le due società, «nasce dalla comune convinzione che il trasporto crocieristico sia, nel settore marittimo, quello tecnologicamente più evoluto e precursore di soluzioni a basso impatto ambientale».

    Le due società collaboreranno anche per promuovere «attività di advocacy finalizzate a semplificare ed incentivare l’efficientamento energetico, l’elettrificazione e la produzione di energia rinnovabile in ambito portuale, in particolar modo nelle aree portuali inserite in contesti cittadini», come prevedono l’European New Green Deal ed il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030.

    Su fronti come i progetti di cold ironing, l’alimentazione delle navi attraverso l’elettrificazione della rete di terra durante le soste in porto, la flotta di Costa Crociere, per un terzo già predisposta – viene evidenziato – si sta muovendo in anticipo rispetto ai progetti dei principali porti Italiani e del Mediterraneo, non ancora realizzati. Enel e Costa puntano anche a «favorire il turismo sostenibile, attraverso lo sviluppo di iniziative legate alla mobilità sostenibile elettrica, sia in ambito portuale sia in ambito cittadino», per esempio per le escursioni dei crocieristi a terra o per i collegamenti intermodali tra città e porti. E’ una collaborazione, quella tra le due società, che già prevede la possibilità di essere estesa anche all’estero dove sono presenti i due gruppi, in particolare in Spagna.

    Più in generale, Costa Crociere sottolinea la sua «ambizione” sul fronte della sostenibilità evidenziando l’obiettivo «di introdurre una nuova generazione di navi che operino a zero emissioni nette entro il 2050».

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