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  • Secondo il “Washington Post” la Cina ha sfruttato la pandemia per raccogliere dati genetici a livello mondiale

    Le agenzie d’intelligence occidentali temono che la Cina abbia sfruttato la pandemia di Covid-19 per raccogliere una vasta mole di dati sul genoma umano a livello mondiale, da sfruttare per ottenere un vantaggio nella “corsa alle armi genetica” con gli Stati Uniti. Lo scrive il Washington Post, che ricorda come durante la pandemia Pechino abbia inviato aiuti a numerosi Paesi sotto forma dei sofisticati laboratori portatili di analisi genetica “Fire-Eye”. Il primo Paese a ricevere uno di questi laboratori, alla fine del 2021, fu la Serbia. Oltre a rilevare le infezioni da coronavirus tramite l’analisi di frammenti del virus, il laboratorio portatile sviluppato dalla Cina è in grado di svolgere complesse analisi del genoma umano, come vantato dai suoi sviluppatori: per questa ragione, l’arrivo di un esemplare del laboratorio Fire-Eye venne accolto con entusiasmo dalle autorità di Belgrado, che vantarono in quell’occasione di disporre “del più avanzato sistema di medicina e generica di precisione nella regione”.

    Nel corso della pandemia, Pechino ha donato o venduto laboratori analoghi a numerosi altri Paesi, e ora, secondo il WP, diversi analisti sospettano che la generosità della Cina sia parte di un tentativo di attingere a nuove fonti di dati genetici umani di alto valore in tutto il mondo. Si tratterebbe di uno sforzo intrapreso da Pechino da oltre un decennio ricorrendo a diversi metodi, che includerebbero anche l’acquisizione di società statunitensi del settore e una serie di operazioni di pirateria informatica. La pandemia avrebbe offerto ad aziende e istituti cinesi l’opportunità di distribuire strumenti per il sequenziamento del Dna umano in aree del Globo dove in precedenza Pechino aveva accesso limitato o nullo. I laboratori Fire-Eye si sono diffusi infatti in almeno quattro continenti e in più di 20 Paesi, inclusi Canada, Lituania, Arabia Saudita, Etiopia, Sudafrica e Australia. In diversi Paesi, come la già citata Serbia, i laboratori portatili si sono trasformati in centri di analisi genetica permanenti.

    Liu Pengyu, un portavoce dell’ambasciata cinese a Washington, interpellato dal Washington Post ha negato categoricamente che Pechino possa aver avuto accesso ai dati genetici raccolti dai laboratori di sua produzione, evidenziando che oltre ad assistere i Paesi beneficiari nel contrasto alla pandemia, i laboratori donati e venduti dalla Cina stanno fornendo assistenza cruciale nello screening di altre malattie, incluso il tumore. L’azienda con sede a Shenzhen che produce i Fire-Eye, Bgi Group, sostiene di non avere accesso ai dati raccolti dai suoi laboratori portatili. Fonti statunitensi consultate dal quotidiano affermano però che Bgi sia stata selezionata da Pechino per edificare e gestire la China National GeneBank, un vasto archivio governativo dei dati genetici raccolti dalla Cina, che includerebbe già dati e profili genomici di milioni di individui di tutto il mondo. Lo scorso anno il Pentagono ha inserito Bgi nella lista delle “aziende militari cinesi” operanti negli Stati Uniti, e nel 2021 l’intelligence Usa ha stabilito che l’azienda sia legata allo sforzo globale del governo cinese teso a ottenere informazioni sul genoma umano a livello mondiale, anche negli Stati Uniti.

  • Truffe e certificazioni anti-truffa: le due facce dell’ambientalismo

    La regressione neopagana ad un uomo che è succube della natura anziché padrone in grado di sfruttarla genera truffe. L’anno scorso l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha assegnato sanzioni relative a 36 pratiche scorrette per 72.135.700 euro e a 10 pratiche di inottemperanza per 16.270.000 a società, enti e aziende che hanno attuato il greenwashing, che cioè attraverso la pubblicità o le etichette hanno spacciato per rispettosi dell’ambiente prodotti che così virtuosi non erano.

    Lo scorso marzo l’Unione europea ha approvato una direttiva per utilizzare il termine “green” nei “green claims”, cioè negli slogan pubblicitari, al fine di contrastare e porre fine alle false dichiarazioni a tutela dei consumatori. Quindi d’ora in poi le etichette dei prodotti senza questa definizione non possono circolare nel mercato dell’Unione europea ed appositi organismi di parte terza (come la EthicsGo fondata a Verona nel 2015 e primo esempio in Italia di organismo che, nelle parole del fondatore Giuseppe Patat, «accerta la sostenibilità di prodotti riguardati dal cibo all’abbigliamento, alla cosmesi, dall’economia e finanza al marketing in ogni settore») vengono chiamati a certificare che la produzione in conformità dell’ambiente che le aziende indicano per i propri prodotti sia effettivamente praticata e non solo millantata.

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