L’irresponsabilità aggrava le colpe e persino i crimini, checché se ne dica.
Marcel Proust
“Ad un vicin mercato due Compari,/ a corto di denari,/ vendettero d’un grande Orso la pelle,/ d’un Orso, ben inteso,/ che non aveano ucciso ancor né preso”. Così inizia la favola “L’Orso e i due Compari” di Jean de La Fontaine. I compari, due imbroglioni che volevano guadagnare soldi facili con delle eclatanti ma effimere promesse, garantiscono che entro due giorni avranno pronta e consegneranno la pelle dell’orso. Certamente tutto doveva essere ben pagato però. E come ci racconta La Fontaine, i due compari “…senza fare i conti coll’Orso,/ vanno in traccia dell’amico”. Ma il loro coraggio svanisce in seguito, perché appena nel bosco, “…ecco che subito si affaccia/ la belva che galoppa e mostra i denti”. Ovviamente i due compari, tremando dalla paura, si scordano della loro promessa. “Contratto addio! Non è quello il momento/ di far affari colla bestïaccia,/ ma di scappar… e scappan come il vento”. Jean de La Fontaine ci racconta cosa accade in seguito. “L’uno svelto s’arrampica su un albero,/ l’altro si butta in terra colla faccia,/ e fa il morto, non fiata, avendo udito/ che l’orso con chi puzza di cadavere/ di rado si è mostrato inferocito”. E veramente l’orso, sentendo la “puzza da morto” del compare sdraiato per terra, “nel bosco si rintana”. Vedendo l’orso scomparire nel bosco, il compare, salito sull’albero, “…scende allor dal ramo/ e coll’altro di cuore si congratula/ che ancor la sia passata così piana”. Una volta vicino all’altro ancora sdraiato e tremante dalla paura, chiede se l’orso gli avesse detto qualcosa riguardo alla sua pelle “…quando il muso all’orecchio avvicinò?”. Il suo amico, che non mancava di spirito e di pronta risposta, nonostante avesse passato dei brutti momenti pochi minuti prima, disse, se non avesse frainteso l’orso, che “…non bisogna vendere dell’orso/ la pelle mai prima d’averlo preso”. Ovviamente esistono anche altre varianti della stessa favola che, secondo gli studiosi, ci arriva, come tante altre, da Esopo. E si sa che Jean de La Fontaine ha ripreso e messo in versi molte delle favole attribuite ad Esopo, vissuto venticinque secoli fa nell’antica Grecia. Favole dalle quali ci si può imparare sempre. I due amici della favola “L’Orso e i due Compari”, nota anche come “La pelle dell’orso”, somigliano, per le loro ingannatrici promesse, a due altri imbroglioni, personaggi di un’altra nota favola, “I vestiti nuovi dell’imperatore”, maestosamente scritta da Hans Christian Andersen. Anche in questa favola sono due imbroglioni che, appena arrivati nella città dove viveva l’imperatore, spargono la voce di essere degli abili tessitori e di avere un particolare tessuto che non poteva però essere visto dalle persone incapaci e dagli imbecilli. Cosa accade poi è ben noto a noi tutti. Andersen ci racconta che, alla fine, è stato un bambino a mettere fine a quello “stato di incantesimo” che aveva costretto tutti a vedere quello che proprio non c’era. Con la sua innocenza il bambino disse quello che vedevano tutti, ma che nessuno voleva che si sapesse, per paura di passare per degli imbecilli. Disse che il re non aveva niente addosso! Tornando alla favola “L’Orso e i due Compari” di Jean de La Fontaine, l’insegnamento trasmesso, la morale è semplice: non credere mai a coloro che promettono una cosa che difficilmente potranno avere e/o fare.
Una delle tante significative e vissute testimonianze di quell’insegnamento si è verificata di recente anche in Albania. Fatti accaduti alla mano, ormai anche in base a delle decisioni definitive prese da diversi tribunali internazionali, dimostrano inconfutabilmente che il primo ministro ha molto in comune con i due compari della favola di Jean de La Fontaine. L’unica differenza è che, mentre i due compari promettevano, in cambio di denaro, di consegnare la pelle dell’orso, il primo ministro albanese, dal 2015 e fino a qualche settimana fa, prometteva e giurava pubblicamente di incassare denaro nelle casse dello Stato, in seguito ad una causa giudiziaria da lui generata. Una causa che sulla base aveva la chiusura di un media televisivo che era critico con lui e con il suo operato. Il nostro lettore sarà informato di questo caso nei seguenti paragrafi. Si tratta però di un ulteriore caso che testimonia la consapevole e pericolosa violazione della libertà dei media in Albania. Una violazione come espressione diretta della volontà e delle spinte vendicative del primo ministro albanese. Il nostro lettore è stato informato la scorsa settimana di questa vissuta, sofferta e testimoniata realtà in Albania (Consapevole e pericolosa violazione della libertà dei media; 3 aprile 2023). Purtroppo per le casse dello Stato e per i poveri contribuenti albanesi, le “minacce” e le “promesse” del primo ministro, per avere dei milioni come ricompensa al caso giudiziario da lui generato, non sono valse a niente. Anzi, adesso si devono pagare dei milioni per il vizio, uno dei tanti, dell’irresponsabile primo ministro albanese. Ma mentre il compare della favola, quello che ha finto di essere morto, diceva all’altro che “…non bisogna vendere dell’orso/ la pelle mai prima d’averlo preso”, il primo ministro albanese, dopo aver scatenato un caso perso già in partenza, adesso si è “scordato” delle sue “minacce” e delle sue “promesse” e sta cercando di fare delle altre, molto “originali”, per spostare l’attenzione pubblica.
Il caso in questione riguarda lo scontro del primo ministro albanese con un imprenditore italiano attivo nel campo delle energie rinnovabili e dei rifiuti. Lui è noto in Italia, tra l’altro, anche come amministratore delegato della squadra di pallavolo di Roma che ha vinto lo scudetto 1999-2000. In più lui nel 2014 ha acquisito una squadra di calcio londinese, della terza divisione inglese. Lo stesso imprenditore ha investito in Albania negli anni ’90, insieme con un noto gruppo energetico italiano ed una nota banca tedesca, nel campo delle energie rinnovabili, per la costruzione di una centrale idroelettrica su un fiume nel sud del Paese. In seguito, nell’aprile 2013, ha investito in Albania anche nel campo mediatico, con una importante emittente televisiva. Una emittente che dal 2014 ha cominciato a trasmettere a tempo pieno sia in Albania che anche sul territorio italiano. Ed è proprio con quell’imprenditore, titolare dell’emittente televisiva, con il quale si è scontrato aspramente il primo ministro albanese. Vendetta che è stata scatenata perché la linea editoriale dell’emittente non era gradita al primo ministro albanese. Anzi, era molto critica con lui e con il suo operato. Ovviamente anche l’imprenditore italiano non era uno stinco di santo. Da indiscrezioni rese note a tempo debito, risulterebbe che, trovatosi in difficoltà con gli investimenti sulla centrale idroelettrica, cercava di avere degli accordi con il governo. E siccome i negoziati svolti non hanno dato gli attesi risultati, non per motivi di principio da parte delle autorità albanesi, allora è cominciato anche lo scontro tra le due parti contendenti. Uno scontro che con l’andare del tempo diventò sempre più agguerrito. Ovviamente l’imprenditore italiano e le sue imprese in Albania, soprattutto l’emittente televisiva, partivano in difesa. Invece, da parte del primo ministro albanese, tutto è stato trattato più come una vendetta che come uno scontro e un contenzioso amministrativo. In seguito, per camuffare la vera ragione, il primo ministro e i suoi più stretti collaboratori hanno coinvolto anche le istituzioni del sistema di giustizia, soprattutto la procura ed il tribunale, per colpire l’avversario, l’imprenditore italiano. Da quel momento il caso ha suscitato interesse pubblico e mediatico ed ha scatenato accuse reciproche. Un caso che è finito nelle aule dei tribunali in Albania e poi anche nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America.
L’accanimento del primo ministro albanese, dei suoi più stretti collaboratori e dei media da loro controllati contro l’imprenditore italiano si scatenò ufficialmente nel giugno 2015, una settimana prima delle elezioni amministrative. Tutto cominciò l’8 giugno 2015 con l’accusa all’imprenditore, da parte della procura albanese, di “evasione fiscale, riciclaggio e falso in documentazione”. Poi proseguì con il sequestro della emittente televisiva, il cui segnale, dal 10 ottobre 2015, venne oscurato. La ‘scusa’ era il “mancato pagamento delle forniture di energia elettrica”. In seguito il 13 novembre 2015 venne oscurato il segnale della stessa emittente sul territorio italiano. Sono stati congelati i beni dell’imprenditore italiano e di sua madre, anche lei azionista dell’emittente televisiva. Il primo ministro albanese, nel giugno 2015, durante una trasmissione televisiva in prima serata, considerava l’imprenditore italiano e i suoi collaboratori come un “fenomeno scandaloso contro il quale abbiamo dichiarato guerra e che combatteremo fino alla fine”. E poi il governo da lui capeggiato avrebbe “fatto tremare le fondamenta del sistema giudiziario”! Nel frattempo l’imprenditore italiano si trovava nella capitale del Regno Unito. Ed era proprio a Londra dove è stato sottoposto ad un arresto eseguito dalla polizia inglese, in seguito ad un mandato di cattura internazionale emesso l’8 giugno 2015 dalla procura albanese. Mandato con il quale si chiedeva l’estradizione dell’imprenditore italiano in Albania per poi essere lì giudicato. Dopo l’avvio del processo giudiziario nel Regno Unito a carico dell’imprenditore italiano, nel luglio 2016 il tribunale londinese Westminster Magistrates Court (Tribunale dei magistrati di Westminster; n.d.a.) non ha accolto la richiesta della procura albanese per l’estradizione. Secondo il tribunale londinese le prove depositate dal governo albanese a carico dell’imprenditore italiano sono state considerate come “totalmente fuorvianti”. Dopo quella sentenza, il governo albanese aveva annunciato un ricorso in appello. Ricorso quello poi dopo ritirato. Chissà perché?! Forse perché le prove non erano veramente attendibili, bensì prefabbricate ad artem solo e soltanto per l’uso dalle istituzioni del sistema di giustizia albanese. L’imprenditore italiano, invece, aveva presentato nel frattempo una richiesta per l’avvio di un procedimento arbitrale contro lo Stato albanese presso l’ICSID (International Centre for Settlement of Investment Disputes – Centro internazionale per il regolamento delle controversie relative ad investimenti; che è un’istituzione della Banca mondiale con sede a Washington D.C.; n.d.a.). Ebbene l’ICSID ha dato ragione all’imprenditore italiano. In seguito anche l’Interpol ha ritirato il mandato d’arresto contro l’imprenditore italiano. Mentre nell’aprile 2019 l’ICSID ha condannato il governo albanese al pagamento all’imprenditore della somma di 110 milioni di euro in risarcimenti e spese. In seguito, contro quella decisione, il governo albanese ha presentato ricorso. Mentre il primo ministro albanese tuonava e giurava che l’imprenditore italiano non avrebbe ricevuto niente, nessun centesimo da parte dello Stato albanese. Lui si è scatenato contro tutti quelli che sostenevano il contrario. Anche sui media internazionali che citavano le decisioni del tribunale londinese Westminster Magistrates Court e dell’ ICSID. Anzi, secondo il primo ministro albanese, sarebbe stato proprio l’imprenditore italiano a dover pagare dei milioni. Una ben nota retorica che da tempo non convince più nessuno. Il 29 marzo scorso è arrivata la decisione definitiva dell’ICSID sul sopracitato ricorso del governo albanese. Ebbene, quel ricorso è stato di nuovo rigettato ed è stata rinnovata la condanna per il governo albanese a pagare all’imprenditore italiano i danni a lui causati. Danni che ammontano a circa 110 milioni di euro, più gli interessi bancari e delle ingenti spese per le procedure giudiziarie.
Chi scrive queste righe è convinto che l’ingente somma da pagare dai poveri cittadini albanesi è il costo milionario del vizio di un primo ministro irresponsabile. Proprio di colui che adesso, dopo aver fallito con le sue ingannatrici retoriche, le sue promesse e le sue minacce, sta facendo un’altra proposta “originale”. Quella di far uscire l’Albania dall’ICSID, con tutte le gravi conseguenze. Ad oggi lo hanno fatto solo la Bolivia, il Venezuela e l’Ecuador. Paesi che sono noti per delle realtà preoccupanti nei rispettivi territori. Chi scrive queste righe, trova anche delle somiglianze tra il primo ministro albanese e i due compari della favola di Jean de La Fontaine. Ed egli è convinto, come Marcel Proust, che l’irresponsabilità aggrava le colpe e persino i crimini, checché se ne dica.