interessi

  • A chi giova?

    Tutti coloro che hanno a cuore la vita umana, non solo la propria ma anche altrui, non possono che essere preoccupati, angosciati, per ì civili che sono morti e moriranno a Gaza. Sperando che provino gli stessi sentimenti per i morti israeliani.

    Ciascuno dovrebbe chiedersi perché è cominciato tutto questo sapendo bene che l’inizio è stato il 7 ottobre quando Hamas è entrato in Israele trucidando ragazzi, persone normali e tanti bambini, anziani e donne inermi.

    Se Hamas non fosse entrato in Israele, se non avesse ucciso, secondo le stime attuali, ma sembra non ancora finito il riconoscimento, più di 1400 persone, se Hamas non avesse rapiti 240 ostaggi, se non avesse lanciato un numero enorme di razzi contro Israele, dimostrando di avere a disposizione una grande potenza di fuoco e una moderna tecnologia, come i droni, oggi non ci sarebbero tanti morti e feriti palestinesi.

    Se Hamas avesse usato i forti finanziamenti, arrivati sia dall’Europa che da alcuni paesi arabi, per rendere più giusta la vita degli abitanti di Gaza, mentre invece scavava, da anni, tunnel lunghi chilometri e vere e proprie roccaforti sotterranee per arrivare in territorio israeliano e commettere atrocità delle quali troppo poco si è parlato, se Hamas avesse voluto quella mediazione politica necessaria per raggiungere l’accordo: due popoli, due Stati, oggi, con buona pace di tutti quelli che sfilano bruciando le bandiere israeliane, i morti non ci sarebbero stati, né a Gaza né in Israele

    Se Hamas non avesse avuto da tempo l’obiettivo di cercare di distruggere Israele, Stato che, secondo alcuni, non esiste, non è neppure sulle loro carte geografiche di certi paesi musulmani, se avesse aperto la strada al reciproco riconoscimento, se non fosse collegato con l’Iran, finanziato dal Qatar, blandito dai russi di Putin, se, se, con i se non andiamo da nessuna parte.

    La verità è come una coperta corta che ciascuno tira dalla sua parte ma, con buona pace di Guterres e di quel personale dell’Onu che non si è mai accorto dei tunnel o delle condizioni miserrime dei palestinesi, nonostante i molti sostanziosi aiuti economici, la realtà è inconfutabile: Hamas è entrata in Israele per uccidere, fare più male possibile sapendo che vi sarebbe stata la ovvia reazione dell’esercito israeliano, con le conseguenze che tutti conosciamo.

    La realtà, che non può essere più di tanto manipolata dalle false notizie, è che il piano, concordato non solo con l’Iran, era di cercare di attirare Israele in una strada senza uscita e la Russia ne era ben contenta sia perché è noto il suo antisemitismo sia perché sperava di distogliere l’attenzione dalla turpe guerra che da quasi due anni ha portato in Ucraina.

    Gli antichi romani avrebbero detto: cui prodest? A chi giova?

    Non certo ai civili palestinesi usati come scudi umani, non certo agli israeliani che, in un attimo, si sono trovati meno forti e sicuri ed hanno visto, in gran parte, vanificare i faticosi progressi fatti con l’accordo di Abramo, certo giova ai nemici del diritto, della democrazia, della pacifica convivenza ed anche ai propugnatori di un nuovo ordine mondiale.

    Certo il diritto alla difesa non può portare a perpetrare uccisioni indiscriminate ma se i miliziani di Hamas si nascondono tra i civili ed i miliziani di Hamas continuano a lanciare razzi ed a fare incursioni in territorio israeliano, tenendo prigionieri 240 cittadini, non solo israeliani, cosa deve fare Israele, concedere una tregua per ritrovarsi come al 7 ottobre attaccata proditoriamente!

    Quella parte di comunità internazionale che tanto si agita a condannare Israele, partendo dal ras turco Erdogan, cosa ha fatto o intende fare per rendere inoffensivo Hamas, quando si deciderà a condannarlo?

    Mentre vediamo manifestazioni pro Hamas e contro Israele ci chiediamo perché queste sfilate e prese di posizione, Onu compresa, non le abbiamo viste e non le vediamo per le persone uccise, seviziate, rimaste senza nulla in Ucraina dove i bombardamenti hanno raso al suolo, completamente, numerose città e dove gran parte del terreno ucraino non potrà essere coltivato per anni, portando lo spetro della fame non solo per la popolazione locale ma per i paesi più poveri nel mondo.

    Ma di questo la piazza non parla, non urla e l’Onu è non solo inutile ma pericoloso se non sarà cambiato radicalmente.

    La verità appartiene alla visione della vita che noi o la nostra idea politica o religiosa ci suggerisce, la realtà si basa sui fatti ed è incontrovertibile che Hamas è entrato in Israele per uccidere e per trascinare Israele in guerra, i palestinesi che da anni non hanno avuto la capacità, il coraggio, la volontà di liberarsi di Hamas ne pagano le conseguenze, ma c’è una chiamata di correo per tutti quelli che oggi non condannano Hamas ed ogni terrorismo.

  • Due più due

    Putin si reca dal presidente cinese lanciando un messaggio criptico: ”Il piano cinese per la pace può essere un buon punto di partenza”, peccato che nessun altro, oltre a loro due, lo conosca e che tutti invece conosciamo molti degli interessi comuni che legano i due paesi, interessi che ovviamente non corrispondono ai diritti del popolo ucraino.

    Dopo le stragi di Hamas Il presidente cinese ha annunciato al mondo arabo la sua vicinanza ed il suo sostegno alla causa palestinese.

    Abu Mazen proclama che i palestinesi non sono Hamas, ma i palestinesi di Gaza hanno scelto Hamas già dal lontano 2007.

    Hamas ha usato i soldi della cooperazione internazionale per armarsi sempre di più senza migliorare di un millimetro la vita degli abitanti della striscia di Gaza, ha come obiettivo principale la distruzione di Israele, ha condotto in modo militare un’operazione terrorista di violenza inaudita, che ha portato alle morte, per ora accertata, di più di 1300 cittadini israeliani, migliaia di feriti, almeno 200 ostaggi, e ben sapendo che ci sarebbe stata una violenta e legittima reazione da parte di Israele.

    L’Isis ha proclamato la Jihad, il che non è una novità visto che non l’aveva mai ritirata, e nei paesi occidentali stanno ricominciando gli attentati, documenti e volantini del cosiddetto stato islamico sono stati ritrovati dai soldati israeliani nei luoghi delle stragi.

    Gli hezbollah si uniscono alla guerra contro Israele mentre i paesi musulmani più moderati, anche se carenti di democrazia sostanziale, rischiano rivolte interne da parte dei fratelli musulmani.

    L’Iran gioca le sue carte per ottenere via libera per l’atomica e ancor maggiore peso nell’area o per scatenare una guerra non solo contro Israele o altri paesi musulmani nemici da sempre, ma anche per dare una svolta alle proteste interne che continuano e l’amicizia, la collaborazione tra Iran e Hamas è nota da sempre.

    Non ci sarebbe da stupirsi se ricominciassero, con più violenza, anche le azioni degli al Shabaab non solo nel corno d’Africa ma in tutti quei paesi africani nei quali i governi sono impegnati a combattere  il terrorismo.

    Molti paesi africani hanno al loro interno guerre e sommosse nelle quali la mano della Russia è presente, anche dopo la scomparsa di Prigozhin, mentre la Cina tiene in pugno altri paesi del continente africano per gli enormi prestiti fatti e che questi non avranno mai modo di restituire, i gravi problemi del continente africano rientrano nello scenario di un conflitto che rischia di essere sempre più esteso.

    La Russia con la battaglia del grano sta portando alla fame paesi africani musulmani le cui democrazie agli albori si sono dimostrare  troppo fragili.

    L’attenzione dei media da alcuni giorni si è spostata quasi completamente dalla guerra in Ucraina con il rischio che l’opinione pubblica se ne disinteressi e che possano crescere le più o meno palesi simpatie di alcuni per Putin e per il suo progetto, condiviso con il presidente cinese e non solo, di un nuovo ordine mondiale.

    Non è un mistero la convinzione, che troppi hanno, che i sistemi autoritari funzionino meglio delle democrazie, democrazie che rischiano quando metà della popolazione non si reca al voto.

    La reazione di Israele, se sarà portata avanti fino alla distruzione, almeno di gran parte di Hamas, rischia di scatenare un altro conflitto senza precedenti, se si fermerà Israele rischia la propria esistenza e il rischio è anche del mondo occidentale che non potrà più pensare di vivere in pace come negli anni seguiti al secondo conflitto mondiale.

    Sono solo alcune considerazioni, molte altre se ne potrebbero fare, esaminando gli errori degli uni e degli altri e la debolezza, la quasi inesistenza, da tempo, delle Nazioni Unite ma lasciamo questo lavoro ai tanti che in televisione parlano, spesso a ruota libera, mentre abbiamo, anche in questi giorni, visto bruciare in piazza le bandiere di Israele e gridare morte ai sionisti.

    La sofferenza dei civili palestinesi sotto le bombe, che doveva portare a più tempestivi aiuti umanitari, non deve lasciare indifferenti ma non può farci dimenticare che Hamas usa i civili come scudi umani mentre continua a lanciare missili su Israele, due errori non fanno mai una ragione, ciascuno si prenda  responsabilità e conseguenze
    Vogliamo solo ricordare che 1) è difficile fare i fluire maggiormente la diplomazia dopo che la si è ignorata per anni basandoci invece su qualche  improvvido Twitter, 2) se si vuole salvare Gaza bisogna eliminare Hamas, 3) se si vuole fermare la guerra Abu Mazen e i paesi arabi devono subito riconoscere Israele, solo con il pieno riconoscimento di Israele, e a seguire dello stato palestinese, si potrà sperare di costruire un Medio Oriente che guardi al futuro e continuare nelle azioni necessarie a distruggere il terrorismo. Resta fermo il fatto che Gerusalemme è la culla delle tre religioni monoteiste.

    In sintesi due più due non fanno quattro se chi conta ha obiettivi diversi dalla pace.

  • Un conflitto locale e grandi interessi geostrategici internazionali

    L’arte della guerra è l’arte di distruggere gli uomini, la politica è l’arte d’ingannarli

    Jean Le Rond D’Alembert, da “Zibaldone di letteratura e filosofia”

    Nonostante si stia svolgendo nel territorio della Striscia di Gaza, quel conflitto, scoppiato il 7 ottobre scorso, con delle drammatiche conseguenze, con ogni probabilità fa parte di una strategia ben più ampia, internazionale. Una strategia che avrebbe come obiettivo il raggiungimento di determinati interessi geostrategici ben più grandi di quelli che riguardano la Striscia di Gaza. Fatti accaduti e che stanno accadendo in questi ultimi dieci giorni alla mano, risulterebbe che quel conflitto, diventato ormai una guerra vera e propria, con ogni probabilità, potrebbe avere anche delle gravi ripercussioni economiche, finanziarie, ma anche di fornimento delle materie prime, dei generi alimentari ed altro. Quanto è accaduto dal 24 febbraio 2022, quando la Russia diede inizio all’aggressione contro l’Ucraina, ne è una eloquente e significativa testimonianza.

    E quanto sta accadendo ormai da circa venti mesi in Ucraina dovrebbe aiutare a capire meglio quanto sta accadendo anche in altri Paesi coinvolti in altri conflitti in queste ultime settimane. Le conseguenze a livello locale ed internazionale della guerra, che per il dittatore russo continua ad essere “un’operazione speciale militare”, sono ormai di dominio pubblico. Così come sono ormai di dominio pubblico l’immediato sostegno e coinvolgimento, a fianco dell’Ucraina, di molti Paesi occidentali ed altri in tutto il mondo. Ma anche le alleanze della Russia con determinati Paesi arabi ed asiatici, dopo il fallimento del raggiungimento degli obiettivi posti dal dittatore russo e dagli strateghi che lo consigliano. Loro, nel tentativo di impedire alla NATO (acronimo di North Atlantic Treaty Organization – Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord; n.d.a.) di espandersi verso l’Est con l’Ucraina, hanno però avviato un processo di allargamento della NATO verso nord ovest, con la Finlandia e la Svezia. Perciò si sono dati la zappa sui propri piedi. In più, durante questi venti mesi di guerra, la Russia è stata costretta ad indietreggiare da diverse aree che aveva prima conquistato. E nonostante la Russia sia una grande potenza militare, risulterebbe che ormai stia cercando sostegno e rifornimenti dai suoi alleati. Tenendo perciò presente una simile e non facile situazione in cui si trova la Russia, allora non si potrebbe escludere neanche l’attuazione di una strategia di attivare conflitti in altre aree, per spostare l’attenzione da quello che sta accadendo dal 24 febbraio 2022 in Ucraina. Ma anche e soprattutto per far diminuire l’appoggio dato con il sostegno ufficiale ed i tanto necessari rifornimenti all’Ucraina con mezzi e materiale bellico.

    Prima che iniziasse l’attacco contro l’Israele con dei razzi dai militanti dell’organizzazione Hamas (l’acronimo di Harakat al-Muqawwama al-Islamiyya – Movimento Islamico di Resistenza; n.d.a.) il 7 ottobre scorso, ci sono stati due altri conflitti locali. Il primo nel Nagorno-Karabakh (Caucaso meridionale). Il secondo, soltanto alcuni giorni dopo il primo, nel nord del Kosovo. E poi, soltanto due settimane dopo, l’attacco dei militanti di Hamas nella Striscia di Gaza. Chissà se sia stato per caso, oppure si è trattato di una ben ideata ed attuata strategia diversiva?! Ma guarda caso però, ci sono anche delle similitudini in tutti questi conflitti. Compresa la guerra in Ucraina, tenendo presente anche cosa successe e perché il conflitto finì nel marzo 2014 con l’annessione della Crimea. Si tratta di similitudini che hanno a che fare con l’origine e la causa dei conflitti. Si tratta però, fatti accaduti e documentati, fatti che tutt’ora stano accadendo alla mano, anche della presenza diretta e/o indiretta della Russia, ma non solo, in tutti questi conflitti locali.

    Nella regione del Nagorno Karabakh, che si trova dentro il territorio dell’Azerbaigian, nel Caucaso meridionale, la popolazione è di maggioranza armena. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nell’agosto del 1991 sia l’Armenia che l’Azebaigian, che fino ad allora erano delle repubbliche dell’Unione, diventarono degli Stati indipendenti. Ma già dal 1988, dopo delle votazioni svolte nel Nagorno Karabakh, si era affermata la volontà degli abitanti della regione di unirsi con l’allora repubblica dell’Armenia. Un risultato quello che, ovviamente, ha generato una forte reazione da parte dell’Azerbaigian e degli scontri etnici tra le due popolazioni. Ma approfittando dalle leggi in vigore in quel periodo, nel Nagorno Karabakh si svolse un referendum nel gennaio 1992, dopo che, nel settembre 1991, il Nagorno Karabakh aveva annunciato la sua secessione dall’Azerbaigian. Ebbene, il risultato referendario affermò proprio la proclamazione dell’autonomia della regione di Nagorno Karabakh dalla repubblica di Azerbaigian. Ma, de facto, più di un’autonomia, fatti accaduti alla mano, era un’indipendenza. Da allora sono stati continui gli scontri armati tra gli armeni e gli azeri, fino al 1994, quando, il 5 maggio di quell’anno è stato firmato un accordo di “cessate il fuoco” tra i due Paesi. Ma i contenziosi e le avversità tra le parti continuarono anche negli anni successivi. Dal 2016 però sono ricominciati di nuovo gli scontri armati. E sono stati sempre gli azeri ad attaccare gli armeni del Nagorno Karabakh. Così è stato nell’aprile 2016, nel settembre 2020 e, di nuovo, nel settembre 2022. Bisogna sottolineare che durante tutti questi anni la Russia sosteneva Nagorno Karabakh, mente la Turchia è stata una dichiarata sostenitrice della repubblica di Azerbaigian. Nello scorso luglio però le forze armate azere hanno bloccato l’unica strada che permetteva il collegamento tra il Nagorno Karabakh e l’Armenia. E poi, il 19 settembre scorso l’Azerbaigian attacca di nuovo e sconfigge gli armeni. Un attacco determinato quello degli azeri per annientare definitivamente l’autonomia della regione di Nagorno Karabakh. Ma, altresì, per far capire chiaramente anche all’Armenia che si è  dimostrata debole e vulnerabile nelle sue reazioni, di subire direttamente. Grazie però alla diretta mediazione della Russia, un giorno dopo, il 20 settembre, è stato raggiunto un nuovo accordo di “cessate il fuoco” tra le parti. Un accordo che per gli analisti risulta essere in realtà una chiara vittoria dell’Azerbaigian ed una capitolazione per gli armeni. Secondo loro il presidente russo ha volutamente provocato una crisi tra gli azeri e gli armeni, consapevole della debolezza di quest’ultimi, per poi causare la sconfitta ed il successivo allontanamento degli armeni dal Nagorno Karabakh. E, guarda caso, nello stesso tempo che gli azeri attaccavano, il ministro russo della Difesa si trovava in una visita ufficiale nella capitale dell’Iran, per discutere ed accordarsi con il suo omologo iraniano su temi di “comune interesse”. E si sa quali siano tali interessi in questo periodo per i due Paesi, la Russia e l’Iran. Gli analisti hanno evidenziato altresì che, durante gli ultimi scontri tra il 19 e il 20 settembre, il contingente russo che doveva garantire gli accordi precedentemente raggiunti tra le parti in conflitto ha dimostrato una certa indifferenza, permettendo così agli azeri di raggiungere gli obiettivi. Mentre il presidente russo, diversamente dal suo solito, il 20 settembre scorso ha auspicato che il contenzioso tra le parti si potesse “risolvere in modo pacifico”. Ma “l’indifferenza” della Russia ed il comportamento del dittatore russo sono state anche una “punizione” per il presidente armeno che, durante gli ultimi mesi, aveva dimostrato un’atteggiamento critico nei confronti della Russia ed un avvicinamento con gli Stati Uniti d’America e con l’Unione europea. Invece quest’ultima ha scelto di essere non critica nei confronti dei massimi dirigenti istituzionali dell’Azerbaigian. Le recenti dichiarazioni pubbliche del presidente del Consiglio europeo, durante la prima metà dello scorso settembre, dimostrano e testimoniano questa “scelta diplomatica” e questo “blando comportamento” non solo suo, ma anche di altri alti rappresentanti istituzionali dell’Unione europea. Quello che è accaduto dal 1988 e fino al 20 settembre scorso tra gli azeri e gli armeni della regione di Nagorno Karabakh ha delle somiglianze e degli elementi in comune con quello che è successo e sta tutt’ora succedendo tra gli israeliani e i militanti palestinesi di Hamas. Ma anche tra i serbi e la popolazione di etnia albanese del Kosovo.

    Nel frattempo il nostro lettore è stato informato degli scontri, nel nord del Kosovo, tra le forze paramilitari serbe e le forze di sicurezza del Kosovo e del KFOR (acronimo di Kosovo Force, un contingente militare internazionale a guida NATO; n.d.a.). Sia degli scontri di alcuni mesi fa, che di quelli recenti, dopo il conflitto armato nelle primissime ore del 24 settembre scorso (Pericolose somiglianze espansionistiche, 26 agosto 2022; Non c’è pace nei Balcani, 5 giugno 2023; Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze, 12 giugno 2023; La ragione del più forte e anche del più influente, 19 giungo 2023; Ciarlatani disposti a tutto, anche a negare se stessi, 3 luglio 2023; Si sentono responsabili alcuni rappresentanti internazionali?, 25 Settembre 2023; Le preoccupanti conseguenze degli interessi geopolitici, 2 ottobre 2023). Forse di nuovo si tratta di un caso, ma l’ultimo conflitto armato però tra le forze paramilitari serbe e le forze di sicurezza del Kosovo è scoppiato soltanto quattro giorni dopo quello tra gli azeri e gli armeni nella regione di Nagorno Karabakh. E si sa ormai, essendo da anni di dominio pubblico il rapporto di amicizia e di stretta collaborazione tra la Serbia e la Russia. Si sa anche che la Serbia è l’unico Paese che ha avviato la procedure per l’adesione all’Unione europea, ma non ha però partecipato alle sanzioni poste dalla stessa Unione alla Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio 2022. E come nel caso della regione autonoma di Nagorno Karabakh, anche nel caso del Kosovo, ormai una repubblica indipendente dal 2008 e riconosciuta da 117 Paesi del mondo, i massimi rappresentanti istituzionali dell’Unione europea hanno sempre “preso con le buone” il presidente della Serbia. Proprio colui che è stato il ministro della propaganda e stretto collaboratore di Slobodan Milošević, ex presidente della repubblica federale di Jugoslavia. È pubblicamente noto che quest’ultimo è stato accusato di crimini di guerra contro l’umanità e di pulizia etnica in Croazia, in Bosnia ed Erzegovina ed in Kosovo. Il processo a suo carico, avviato dal Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia, è stato però interrotto nel 2006 dopo la sua morte e poco prima che si esprimesse la sentenza. Ebbene, dopo l’ultimo conflitto del 24 settembre scorso, proprio gli stessi massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea, che fino ad alcuni giorni prima “coccolavano” il presidente serbo, hanno cambiato un po’ il loro atteggiamento. Ma mai però a dire le vere verità e a prendere le dovute e necessarie decisioni. Il nostro lettore è stato informato anche di tutto ciò (Si sentono responsabili alcuni rappresentanti internazionali?, 25 Settembre 2023; Le preoccupanti conseguenze degli interessi geopolitici, 2 ottobre 2023). L’ambiguità nelle loro dichiarazioni pubbliche e, non di rado, anche l’irresponsabilità delle loro scelte e decisioni sembrerebbero siano ormai, nolens volens, delle loro “preferenze comportamentali”. Chissà perchè?! Si sa però, fatti accaduti alla mano, che anche come nel caso dell’attuale guerra in corso nella Striscia di Gaza, le scelte fatte dall’Unione europea non sono state quelle dovute e necessarie.

    Nel frattempo però nella Striscia di Gaza si sta combattendo e, purtroppo, altre vite umane si stanno perdendo, bambini compresi, sia ebrei che palestinesi. I media stanno diffondendo, dal 7 ottobre scorso ed in continuazione quanto sta accadendo lì dove si sta combattendo. Così come stanno rapportando anche gli schieramenti delle massime autorità dei singoli Paesi e delle istituzioni internazionali. Sia quelli che condannano gli attacchi dei miliziani del Hamas, che degli altri che si schierano contro l’Israele. E da quanto sta realmente accadendo nella Striscia di Gaza, purtroppo si presume che i combattimenti continueranno, con tutte le drammatiche conseguenze.

    Chi scrive queste righe è convinto che tutti i conflitti locali si svolgono per degli interessi, piccoli o grandi che siano. Compresi anche i grandi interessi geostrategici internazionali. Chi scrive queste righe trova significativo quanto scriveva nella metà del diciottesimo secolo D’Alembert. E cioè che l’arte della guerra è l’arte di distruggere gli uomini, la politica è l’arte d’ingannarli.

  • La ragione del più forte e anche del più influente

    La ragione del più forte è sempre la migliore.

    Jean de La Fontaine; dalla favola “Il lupo e l’agnello”

    “Il lupo e l’agnello” è una favola scritta più di venticinque secoli fa da Esopo, uno tra i più celebri scrittori dell’antichità. Una favola con un significato sempre attuale, dalla quale bisogna trarre lezione. Come da tutte le favole d’altronde. Questa favola è stata riscritta circa venti secoli fa dal noto scrittore romano Fedro, Ma il contenuto della favola “Il lupo e l’agnello” non poteva non attirare l’attenzione di Jean de La Fontaine, un altro noto scrittore di favole che, nella seconda metà del diciasettesimo secolo la inserì nella sua celebre raccolta intitolata Fables choisis mises en vers (Favole scelte messe in versi; n.d.a.). “La ragione del più forte è sempre la migliore”. (La raison du plus fort est toujours la meilleure). Così comincia il testo originale della favola in versi “Il lupo e l’agnello” scritta da La Fontaine. Il contenuto della favola, in tutte le successive versioni, rimane sempre lo stesso, quello concepito e scritto da Esopo. I due personaggi della favola sono, ovviamente, il lupo e l’agnello. E si sa, un lupo, quando trova di fronte a se un agnello, non fa altro che saltargli addosso, azzannarlo e poi mangiarlo. Un cibo prelibato per il lupo. E si sa, nel mondo delle favole, anche gli animali ragionano e parlano. “Un lupo vide un agnello che beveva ad un torrente sotto di lui e gli venne voglia di mangiarselo”. Così cominciava la versione originale della favola scritta da Esopo. Mentre Fedro scrive: “Allora il malvagio, incitato dalla gola insaziabile, cercò una causa di litigio”. Il lupo, che voleva trovare una qualsiasi scusa per incolpare l’agnello e poi mangiarlo, gli grida pieno di rabbia: “E chi ti ha detto/d’intorbidar la fonte mia così?”. Questo ci racconta Jean de La Fontaine. E poi prosegue con le parole dell’agnello, che chiama maestà il lupo: “… s’ella guarda, di subito vedrà/ch’io mi bagno più sotto la sorgente/d’un tratto, e che non posso l’acque chiare/della regal sua fonte intorbidare”. Ma il lupo non voleva sentir ragione e continuò ad accusare l’innocente agnello di cose mai accadute. “Tu sei l’agnello che l’anno scorso ha insultato mio padre, povera anima”, scriveva Esopo. Sei mesi fa hai parlato male di me!”. Un’altra infondata accusa come ci racconta Fedro. Si, perché l’agnello non era nato ne l’anno prima e neanche sei mesi prima. Glielo disse, ma il lupo sapeva quello che voleva. E allora gridò al povero e tremante agnello: “Di voi, dei vostri cani e dei pastori/vendetta piglierò”. Questa ferma determinazione del lupo ce lo testimonia Jean de La Fontaine. Affamato com’era, il lupo smise di inventare altre infondate accuse. Tanto lui lo sapeva; si trattava semplicemente di scuse, prima di portare a compimento quello che non vedeva l’ora di farlo. Perciò il lupo, che aveva dalla sua parte la ragione del più forte, “…saltò addosso al povero agnellino e lo mangiò”. Così scriveva Esopo e con questa frase la favola finisce. Ma si sa, dalle favole devono imparare non solo i bambini. La saggezza millenaria del genere umano ci insegna che i messaggi pervenuti dalle favole sono utili per tutti, bambini ed adulti.

    Il monito trasmesso dalla favola “Il lupo e l’agnello” rimane sempre attuale e dovrebbe servire da lezione a chi di dovere. Si, perché i “forti del mondo”, pur non avendo né ragione e neanche diritto, approfittano dalle “circostanze”, dalle congiunture e cercano di sopraffare i più deboli. Una valida ed utile lezione che ci da la storia, fatti accaduti da millenni sul nostro pianeta alla mano. E anche quanto sta accadendo in queste ultime settimane tra la Serbia ed il Kosovo ne è una significativa testimonianza. Purtroppo le decisioni che hanno preso e che stanno prendendo “i grandi del mondo” evidenziano anche l’irresponsabilità e la loro convinzione che “la ragione è dalla parte del più forte”. Non sono valse a niente le drammatiche conseguenze delle loro scelte fatte e decisioni prese in diverse precedenti occasioni, in altre parti del mondo, durante questi ultimi decenni. In nome della “stabilità” hanno volutamente ignorato e calpestato i principi base della democrazia. In nome della “stabilità” hanno chiuso occhi, orecchie e cervello ed hanno consapevolmente appoggiato degli autocrati i quali, in seguito, hanno generato tante sofferenze e hanno consolidato i loro regimi che con la democrazia non avevano/hanno niente in comune. Purtroppo quanto sta accadendo in Ucraina dal 24 febbraio 2022 testimonia proprio il fallimento delle scelte fatte dai “grandi del mondo” nel 2014, dopo l’annessione della Crimea alla Federazione Russa ed il referendum nella regione di Donbass. Il dittatore russo, l’attuale presidente, convinto di essere “il più forte”, ha deciso ed ha messo in atto quello che voleva. Come il lupo della favola. Mentre i “grandi del mondo” hanno formalmente “protestato e condannato” e, allo stesso tempo però, hanno anche collaborato con lui, beneficiando delle “opportunità” che offriva/offre la Russia, idrocarburi e grano inclusi. Ma non è solo questo fallimento subito dai “grandi del mondo”. Quanto è accaduto in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria, in alcuni Paesi dell’America centrale e quella Latina lo testimonia. Perché hanno scelto di appoggiare “il più forte” a scapito dei principi della democrazia. Principi che però pretendevano di difendere e di garantire. Chissà perché non ci sono riusciti?!

    La saggezza secolare del genere umano ci insegna che dagli errori fatti bisogna sempre trarre delle lezioni. Ma sembrerebbe che i “grandi del mondo” non riescano a farlo. Chissà perché?! Quanto sta accadendo in queste settimane nel nord del Kosovo lo sta dimostrando. Hanno scelto e deciso di appoggiare il presidente della Serbia, l’ormai loro “amico ed alleato”, ignorando le vere, vissute e ben note realtà. Ignorando anche il passato politico dell’attuale presidente della Serbia come ministro ed uno degli stretti collaboratori di Slobodan Milošević, inserito allora nella Black List (Lista nera; n.d.a.) dell’Unione europea. Si, proprio lui che ormai è, addirittura, “un partner che diventa sempre migliore” (Sic!), come affermava alcuni giorni fa l’ambasciatore statunitense in Serbia. L’appoggio che i “grandi del mondo”, compresi anche i massimi rappresentanti della Commissione europea, stanno dando al presidente della Serbia dagli ultimi giorni del maggio scorso, quando sono iniziati di nuovo gli scontri violenti nel nord del Kosovo, è palese. Ovviamente, anche in questo caso si tratterebbe di un affermato appoggio per delle “ragioni di stabilità” nella regione dei Balcani occidentali. Un appoggio condizionato da determinati sviluppi dopo l’inizio dell’agressione russa contro l’Ucraina e legato a degli “interessi geopolitici e geostrategici”. Un appoggio dato ad una persona che ha dimostrato sempre di non rispettare la “parola data” e gli accordi presi. Accordi che il presidente della Serbia non a caso preferisce non firmare però. Come nel caso dei due accordi con il Kosovo il primo a Bruxelles, il 27 febbraio scorso ed il secondo ad Ohrid, il 18 marzo scorso. Accordi che il primo ministro del Kosovo era dichiaratamente pronto a firmare in qualsiasi momento. Il nostro lettore è stato informato su quanto sta accadendo nel nord del Kosovo dal fine del maggio scorso e sulle ragioni che hanno portato a questo nuovo conflitto tra la Serbia ed il Kosovo (Non c’è pace nei Balcani, 5 giugno 2023; Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze, 12 giugno 2023). Allora come ci si potrebbe fidare di una simile persona, qual è il presidente della Serbia?! Non sono valse ancora le lezioni dei precedenti fallimenti del passato, causati proprio dalle scelte sbagliate delle persone da appoggiare?! E come sempre nel passato, le conseguenze sono state e spesso ancora continuano ad essere drammatiche. Questo accade quando i “grandi del mondo” decidono, in base a delle determinate congiunture internazionali e a degli interessi di parte, chi sono “i più forti” ed in seguito considerano e trattano le loro ragioni come “le ragioni migliori”, perciò da prevalere sulle altre e da essere prese in considerazione. Ma la storia, questa grande ed infallibile maestra, ci insegna che la “ragione del più forte” spesso non è anche la dovuta ragione che genera i necessari sviluppi i quali, a loro volta, portano e garantiscono la pace duratura, i principi della democrazia e la giustizia. Spessoi più forti” non pensano alle conseguenze a medio e lungo termine; pensano soltanto ai “successi effimeri”, nonché agli interessi, “condizionati” dagli interventi lobbistici di certi raggruppamenti occulti internazionali. Ma spesso però a scapito di intere popolazioni. Quanto purtroppo è successo e sta ancora succedendo in Afghanistan, dopo il ritiro vergognoso delle truppe militari internazionali da Kabul nella seconda metà di agosto 2021 ed il preoccupante ritorno al potere dei talebani, ne è una chiara testimonianza. E non solo in Afghanistan. La storia, anche quella di questi due ultimi decenni lo dimostra. Così come dimostra e testimonia anche le barbarie, le sanguinose violenze che hanno subito le popolazioni in Croazia, in Bosnia ed Erzegovina ed in Kosovo in seguito alle operazioni di pulizia etnica dell’esercito jugoslavo. L’attuale presidente della Serbia era il ministro dell’informazione proprio quando in Kosovo si stavano attuando delle atroci crudeltà e si svolgeva un vero e proprio genocidio contro la popolazione di etnia albanese.

    Quanto sta accadendo adesso tra la Serbia ed il Kosovo è parte integrante di una strategia resa pubblica molto prima, già nel lontano 1844. Strategia che è stata in seguito elaborata e ripresentata nel 1937 da un noto professore universitario serbo. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito del contenuto di questa strategia (Drammatiche conseguenze dell’indifferenza; 3 febbraio 2020). Una strategia che prevedeva la colonizzazione dei territori abitati dagli albanesi che “…dev’essere l’unico elemento costante dei governi serbi. Tutto può dividere i serbi tra di loro, ma mai e poi mai il comportamento contro gli albanesi”! Compresa la “soluzione finale”. Una soluzione che prevedeva anche l’uso della violenza per raggiungere l’obiettivo strategico. Ma quella non è l’unica strategia che si sta attuando nei Balcani occidentali. Nel 1999, dopo la fine della guerra tra la Serbia ed il Kosovo, è stato pubblicato un articolo che presentava i punti cardini di quella strategia. L’autore dell’articolo era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense e fondatore delle Fondazioni della Società Aperta (Open Society Foundations). Lui, riferendosi alla regione, ribadiva che i Balcani occidentali “non si possono ricostruire sulle basi degli Stati nazionali”. In più lui suggeriva che la regione dei Balcani occidentali “…deve essere più vasta dell’ex Jugoslavia … e deve comprendere anche l’Albania.”! Anche di questa nuova strategia il nostro lettore è stato informato a tempo debito (Preoccupanti avvisaglie dai Balcani; 8 novembre 2021). Bisogna sottolineare che sono ben noti all’opinione pubblica gli stretti rapporti di “collaborazione e di amicizia” di George Soros sia con il presidente della Serbia che con in primo ministro albanese. Rapporti passati in questi ultimi anni in “eredità” da Soros padre a suo figlio. E sono altresì ben noti all’opinione pubblica anche gli stretti rapporti di “collaborazione e di amicizia” che i Soros, padre e figlio, hanno con molti “potenti” negli Stati Uniti e in altri paesi, compresi alcuni massimi dirigenti dell’Unione europea. Ma nei Balcani occidentali si incrociano anche altri interessi. Sono presenti quelli della Russia, che gode della lunga e provata amicizia con la Serbia. I suoi interessi sono soprattutto geostrategici, ma non solo. Anche la Turchia è interessata ai Balcani occidentali, sia dovuta alla “Dottrina Davutoğlu” (il nostro lettore è ormai informato), che per interessi economici. I Paesi del Golfo Persico sono interessati e presenti nella regione. Così com’è interessata anche la Cina per degli interessi economici, parte del loro noto progetto “La nuova via della seta” (Belt and Road Initiative; n.d.a.).

    Chi scrive queste righe sta seguendo l’evolversi della situazione nel nord del Kosovo perché valuta che si tratta di sviluppi geopolitici, geostrategici e di interessi economici che vanno oltre quelli tra la Serbia ed il Kosovo. Egli è convinto che i “grandi del mondo” stanno sbagliando di nuovo, pensando, come scriveva La Fontaine all’inizio della sua favola “Il lupo e l’agnello”, che “La ragione del più forte è sempre la migliore”.

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