Islam

  • La Tunisia proroga per l’intero 2025 lo stato d’emergenza antiterrorismo

    In Tunisia lo stato d’emergenza per i rischi legati al terrorismo è stato prorogato fino alla fine del 2025, in virtù del decreto numero 74 del 29 gennaio 2025, pubblicato in Gazzetta ufficiale. Una misura introdotta per la prima volta nel 2015 a seguito degli attentati che hanno preso di mira un autobus della guardia presidenziale in Avenue Mohamed V a Tunisi, un gruppo di turisti a Sousse e al museo del Bardo, e da allora regolarmente estesa. Lo scorso dicembre lo stato d’emergenza era stato prorogato per un mese. La sera del 24 gennaio scorso, una persona si è data fuoco e ha aggredito alcuni membri delle forze di sicurezza di stanza nei pressi della Grande Sinagoga di Tunisi, in via Lafayette. L’operazione si è conclusa con la morte dell’uomo e il ferimento di un secondo agente di polizia che ha poi aperto il fuoco per proteggere il collega, rimasto ferito per le ustioni ed è stato trasportato in ospedale. Il ministero dell’Interno di Tunisi non ha parlato di attacco terroristico, ma bensì di “incidente”, affermando che a darsi alle fiamme sarebbe stato un tunisino con problemi di salute mentale. L’ultimo vero e proprio attentato nel Paese nordafricano risale al maggio 2023, quando diverse persone sono state uccise e ferite in un attacco a una sinagoga nella località turistica di Djerba, patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Almeno due attacchi con coltello sono stati registrati nel 2022 che hanno avuto come target agenti di sicurezza o civili. Operazioni delle forze di sicurezza contro organizzazioni terroristiche hanno luogo regolarmente nei governatorati di Kasserine, Le Kef, Jendouba, Beja e Sidi Bouzid, ma rimane il rischio di attentati anche in altre zone del paese, compresa la capitale.

    Il 26 dicembre 2024, un poliziotto è rimasto ferito in modo grave a Moknine, governatorato nordorientale di Monastir, durante un’operazione di sicurezza. Secondo fonti giudiziarie, il giovane fratello di un ricercato, classificato come terrorista, ha accoltellato l’agente durante il tentativo di arresto. Il 20 dicembre un’altra operazione antiterrorismo è stata condotta invece dalla Guardia nazionale tunisina, che ha catturato due soggetti considerati elementi di spicco di organizzazioni estremiste. A Douz, nella regione meridionale di Kebili, le unità speciali hanno catturato un uomo ricercato dalle autorità giudiziarie di Tunisi. L’arrestato, condannato in contumacia a 52 anni di carcere, era accusato di far parte di un’organizzazione estremista. Altri due individui, invece, sono stati arrestati a Kasserine il 12 dicembre 2024 per aver sostenuto pubblicamente gruppi terroristici e per aver incitato alla violenza dopo la caduta di Bashar Al Assad in Siria. Le autorità hanno agito in seguito a indagini di intelligence. Secondo il portavoce dei tribunali di Kasserine, Imed Laamari, le due persone arrestate inneggiavano a gruppi terroristici come Al Qaeda, auspicando che lo scenario in Siria con l’ascesa di Hayat Tahrir Al Sham, possa ripetersi in Tunisia e Algeria. L’azione della polizia e della Guardia nazionale, in collaborazione con le forze armate, si inserisce in un contesto più ampio di lotta al terrorismo, che vede la Tunisia impegnata in prima linea con il sostegno dei suoi partners regionali come Italia e Stati Uniti.

    Trentadue minori tunisini sono stati coinvolti in attività terroristiche, reclutati e radicalizzati attraverso la rete nel 2024, come ha riferito il tenente colonnello Mohamed Lazhar Khelifi, a capo delle operazioni tecniche della direzione antiterrorismo della Guardia nazionale. Secondo il tenente colonnello Khelifi, i terroristi sfruttano i social media per reclutare e indottrinare i più giovani, trasformandoli in potenziali minacce. E’ stata anche smantellata una rete criminale che operava all’interno di aziende locali. Il brigadiere generale Houssem Eddine Jebabli, portavoce della gendarmeria tunisina, ha confermato che il gruppo era coinvolto in attività di phishing su larga scala e in altre frodi informatiche. Le indagini, ancora in corso, hanno portato alla luce legami con movimenti sociali e tensioni interne al Paese, equiparabili ad “attività terroristiche”. Gli inquirenti hanno anche accertato altri reati, tra cui l’intercettazione di chiamate internazionali che normalmente transiterebbero attraverso le reti nazionali. In particolare, sarebbe stato scoperto un reato elettronico che ha causato un malfunzionamento durante i pagamenti a distanza (Tpe) e i trasferimenti di denaro, senza lasciare traccia nel trattamento e consentendo così l’appropriazione indebita di ingenti somme.

  • Il velo e la sigaretta

    Sui nostri media si parla e si scrive spesso della ribellione di alcune donne iraniane nei confronti dell’obbligo di portare un velo che nasconda i capelli. Quando ne riferiscono, tutti i nostri giornalisti (cui si aggiungono alcuni politici) criticano con vigore le repressioni violente attuate dal Regime contro la volontà di quelle figlie o mogli di scegliere liberamente come abbigliarsi. Purtroppo, va da sé che le capacità intellettive di noi giornalisti (e della maggior parte dei politici) non siano particolarmente brillanti e confesso di non stupirmi se anche in questo caso non si sia capita la vera sostanza del problema e cioè il semplice desiderio di chi ha la responsabilità di governare di evitare che la società diventi una palude immorale. Cercherò allora di spiegarlo.

    Tutti concorderanno che gli omniscienti Ayatollah di Teheran e dintorni sappiano interpretare il Corano in modo corretto e se hanno deciso che il dettame che impone alle donne di non “sedurre” artatamente gli uomini imponga loro di coprirsi il capo ciò deriva certamente dagli studi approfonditi sull’argomento che hanno approfonditamente sviluppato. Qualcuno tuttavia continuerà a domandare: perché le reprimono, le picchiano, le imprigionano e non le lasciano libere di vestirsi come vogliono?

    Le risposte sono due. La prima: lo fanno per impedire loro di peccare e, quindi, per il loro bene. Scoprirsi il capo, oltreché un atto inutile e magari foriero di danneggiare la salute, è agire contro la volontà del profeta e di chi lo ha ispirato. È naturale che chi è stato chiamato a governare su tutti i cittadini faccia di tutto per garantire loro, se non proprio l’attuale, almeno un futuro benevolo per dopo la morte. La seconda: la religione è sempre stata in ogni parte del mondo il modo migliore per ottenere una società ordinata, coesa e soprattutto “morale”. Consentire pubblicamente a delle invasate anticonformiste di infrangere le regole che mantengono “puro” l’ambiente in cui vivere significherebbe aprire all’anarchia e fare un danno gravissimo a tutti gli altri cittadini rispettosi delle regole e amanti del proprio benessere spirituale. Cosa conta, dunque, una misera libertà individuale davanti al pregevole compito di chi comanda di occuparsi del bene individuale e collettivo?

    La giunta Sala di Milano non è, lo presumiamo, orientata religiosamente ma, almeno alla pari dei benemeriti Ayatollah, si preoccupa del benessere fisico e spirituale dei propri cittadini. Nessuno invochi lo “Stato etico” o la violazione di qualche libertà quando il Sindaco ha preso la decisione di impedire a qualche incallito tabagista di fumare all’aperto in qualunque posto pubblico. Si tratta di una misura doverosa al fine di tutelare gli individui e tutta la comunità. Così come in Iran lo si fa per garantire la moralità pubblica, a Milano ci si preoccupa della salute dei singoli fumatori e delle conseguenze di ciò che viene chiamato “fumo passivo”. Già la città è quotidianamente inquinata dagli scarichi dei riscaldamenti e delle auto, perché aggiungervi anche il fumo di sigaretta? Come ha ben spiegato una assessora di quella altruistica giunta si tratta anche di evitare l’ascesa in cielo di sostanze inquinanti che sicuramente contribuiscono in maniera determinante al cambiamento climatico. È la scienza che ce lo dice, visto che qualcuno ha perfino calcolato (lo afferma sempre l’assessora) che il fumo di tabacco contribuisce almeno al 7% dell’aria inquinata che circola a Milano (È vero, qualche miscredente dubita di chi e come abbia fatto questi calcoli ma io sono certo che un’assessora non menta mai). Chi vuole continuare a delinquere lo faccia dunque in casa, ma con le finestre chiuse per non ammorbare l’aria esterna. Tutti sappiamo che, se non aiutato nelle proprie scelte, il milanese è per natura immaturo e masochista e, per quanto compito ingrato, è un dovere di chi comanda indirizzarlo sulla retta via. Non lo si fa anche coi bambini?

    D’altra parte, Sala e i suoi non fanno che adeguarsi a una politica sempre più diffusa in tutta Europa. Se il suddito  cittadino non ha la maturità e l’intelligenza di fare da solo ciò che è vero e giusto, è compito di chi governa di spiegargli e, se necessario, imporgli di fare ciò che deve. E non basta! Se un singolo è talmente stupido da rimanere vittima di propaganda di chi l’Occidente ha deciso di definire come nemico (per esempio la Russia), è bene censurare tutti i media di quest’ultimo e annunciare la verità chiamando fake news tutto ciò che non collima con essa.  Comunque, la società sana non perde nulla di importante eliminando le voci diverse da quella che è, e non può che essere, la Verità! Mi auguro, sempre per il bene comune e per sottolineare la nostra appartenenza al benemerito Occidente, che chi ha il dovere di comandare ci liberi definitivamente da quella sotto-cultura affatto europea che arriva da Mosca da fin troppo tempo attraverso i vari Tchaikovsky, Rimskij-Korsakov, Gogol, Dostoevskij, Puskin e via dicendo.

    Già che si è all’opera, credo sia condivisibile anche la giusta eliminazione (mi raccomando: non fisica – almeno per ora) di tutti i negatori delle cause antropiche del cambiamento climatico. Se poco più di cento pazzi professori universitari (e qualche premio Nobel) scrivono che il cambiamento climatico non è causato dall’attività umana è giusto, per il bene collettivo e in nome della Vera scienza, emarginarli e mai menzionarli, affinché si chiuda così la loro immeritata carriera.

    Certamente ci sarà sempre qualche irriducibile anti-sociale che si lamenterà, ma con tali malvagi peccatori insensibili ai sacrifici di chi vuole solo tutelarli, basta continuare con il già applicato metodo della rana bollita: aumentare la temperatura (vedi repressione) poco per volta senza che nemmeno se ne possano accorgere.

    Approviamo, dunque, l’esempio degli Ayatollah e ben vengano i benefattori, gli altruisti, i dolci dittatori. Se noi non siamo abbastanza intelligenti per gestirci da soli ci obblighino loro a prenderci cura di noi stessi. Noi sappiamo che non lo fanno per ubriacatura da comando bensì per il bene nostro e di tutta l’umanità.

  • Il Comune di Ancona accetta il ripudio di una moglie in base alla formula del rito islamico

    Il Comune di Ancona ha registrato come valido il ripudio che un marito bengalese ha formulato secondo il rituale islamico, il talaq, nei confronti di una moglie che accusava di tradimento. La vicenda è stata scoperta dagli avvocati ai quali la donna si era rivolta per ottenere il divorzio secondo i crismi della legge italiana.

    L’uomo aveva ottenuto già dal 2013 documentazione tradotta e certificata dall’ambasciata a Dhaka che certificava la fine dell’unione secondo la volontà dell’uomo stesso e in accordo con quanto prevede la religione islamica, la quale tuttavia non ha valore ai fini del diritto di famiglia italiano.

    A dispetto del fatto che tale ripudio non sia riconosciuto dalla normativa italiana, il Comune di Ancona aveva riconosciuto come valida la documentazione fornita dall’uomo e aveva quindi riconosciuta come cessata l’unione tra l’uomo e la moglie già prima che quest’ultima chiedesse, nelle forme previste dalla legge italiana, lo scioglimento del vincolo matrimoniale.

    I legali della donna hanno fatto ricorso contro il ripudio stesso, anche perché quest’ultimo non prevede obblighi di mantenimento a carico dell’uomo, quali invece possono scaturire dalle procedure di rescissione matrimoniale previste dalla legge italiana. Il Comune di Ancona intanto, tramite il dirigente dei servizi anagrafici ha dichiarato legalmente insussistente «la possibilità di rifiutare un’annotazione perché contraria all’ordine pubblico italiano» e ha pure aggiunto che «se troverà una formula legittima per annullare l’annotazione del ripudio, lo farà». La spiegazione non ha convinto i legali della donna, secondo i quali l’accettazione del ripudio viola i principi internazionali, il municipio ha insistito nel dichiarare che «il Comune non ha il potere di discernere o rifiutarsi di annotarlo. Tocca al governo normare, ma intanto lo status della residente cambia».

  • China changed village names ‘to erase Uyghur culture’

    China has changed the names of hundreds of villages in Xinjiang region in a move aimed at erasing Uyghur Muslim culture, Human Rights Watch (HRW) says.

    According to a report by the group, hundreds of villages in Xinjiang with names related to the religion, history or culture of Uyghurs were replaced between 2009 and 2023.

    Words such as “sultan” and “shrine” are disappearing from place names – to be replaced with terms such as “harmony” and “happiness”, according to the research, which is based on China’s own published data.

    The BBC contacted China’s embassy in London about the allegations.

    In recent years, Chinese authorities have been radically overhauling society in Xinjiang in an attempt to assimilate its minority Uyghur population into mainstream Chinese culture.

    Researchers from HRW and Norway-based organisation Uyghur Hjelp studied the names of villages in Xinjiang from the website of the National Bureau of Statistics of China over the 14-year period.

    They found the names of 3,600 of the 25,000 villages in Xinjiang were changed during this time.

    While the majority of these name changes “appear mundane”, HRW said, around one fifth – or 630 changes – remove references to Uyghur religion, culture or history.

    Words freighted with meaning for China’s Uyghur population – including Hoja, a title for a Sufi religious teacher, and political or honorific titles such as Sultan and beg – have been replaced with words HRW claims reflect “recent Chinese Communist Party ideology”, including “harmony” and “happiness”.

    In one example highlighted by the report, Aq Meschit (“white mosque”) in Akto County, a village in the southwest of Xinjiang, was renamed Unity village in 2018.

    growing body of evidence points to systematic human rights abuses against the country’s Uyghur Muslim population. Beijing denies the accusations.

    Most of China’s Uygur Muslims live in the north-west of the country, in areas such as Xinjiang, Qinghai, Gansu and Ningxia.

    There are roughly 20 million Muslims in China. While China is officially an atheist country, the authorities say they are tolerant of religious freedom.

    However, in recent years observers say they have witnessed a crackdown on organised religion across the country.

    According to HRW, while the renaming of villages and towns appears ongoing, most of the place names were changed between 2017 and 2019.

    The group claims this coincides with an escalation in hostilities against the Uyghur population in Xinjiang.

    China has used the threat of “violent terrorism, radicalisation and separatism” in the past to justify the mass detention of the country’s minority Uyghur population.

    Maya Wang, the acting China director at Human Rights Watch, said: “The Chinese authorities have been changing hundreds of village names in Xinjiang from those rich in meaning for Uyghurs to those that reflect government propaganda

    “These name changes appear part of Chinese government efforts to erase the cultural and religious expressions of Uyghurs,” she added.

    The research follows a report published last year in which HRW accused the Chinese state of closing, destroying and repurposing mosques in an effort to curb the practise of Islam in China.

  • Per 7 giovani arabi su 10 in Germania il Corano viene prima della legge

    Il Corano è più importante della legge tedesca secondo un sondaggio tra i giovani arabi pubblicato dalla ‘Bild Zeitung’ e rilanciato da Italia Oggi. I ragazzi che hanno partecipato al sondaggio, condotto dal Kriminologische Forschung Institut, l’Istituto di ricerca criminologica, nel Land della Bassa Sassonia, hanno in media 15 anni, frequentano dunque il ginnasio o una scuola professionale, conoscono la lingua, non sono profughi giunti da poco.

    “Quasi la metà dei ragazzi, il 45,8%, è convinta che uno Stato Islamico sia la miglior forma di governo – si legge su Italia Oggi – Il 35,3 ha comprensione per atti di violenza contro coloro che hanno offeso Allah o il profeta Maometto. Per il 31,3% è giustificata la reazione violenta contro il mondo occidentale che minaccia i musulmani. Il 67,8%, quasi i due terzi, ritiene che le regole dettate dal Corano siano più importanti delle leggi tedesche. Per il 51,5% solo l’Islam è in grado di risolvere i problemi del nostro tempo”.

    Christoph de Vries, cristianodemocratico, esperto per le questioni interne, ha dichiarato che “la ricerca dimostra che l’Islam ha lasciato tracce profonde nella nostra società. Gli adolescenti hanno queste convinzioni perché sono indottrinati. L’illusione del multiculturalismo si è dimostrata sbagliata. Bisogna accettare la realtà”.

  • In Congo 23 persone uccise dagli islamisti ugandesi

    Almeno 23 civili sono stati uccisi in un attacco da parte di ribelli armati nella travagliata regione orientale della Repubblica Democratica del Congo. Il sindaco di Oicha, cittadina nella regione di Beni, ha attribuito gli omicidi alle Forze Democratiche Alleate (ADF).

    L’ADF, gruppo armato ugandese con sede nella Repubblica Democratica del Congo orientale, ha giurato fedeltà allo Stato islamico e perpetrato frequenti attacchi. A giugno, i militanti dell’ADF hanno ucciso 42 persone, tra cui 37 studenti di una scuola superiore nell’Uganda occidentale. Anche la morte di due turisti e della loro guida in un parco nazionale nel sud-ovest dell’Uganda la scorsa settimana è stata attribuita alle ADF.

    Due anni fa l’Uganda e la Repubblica Democratica del Congo hanno lanciato un’operazione militare congiunta per cercare di sradicare gli insorti. L’esercito dell’Uganda ha dichiarato il mese scorso di essere riuscito a uccidere più di 560 combattenti e a distruggere alcuni dei loro accampamenti.

  • Kenyan publisher recalls book after uproar over Prophet Muhammad image

    A Kenyan publisher has withdrawn a school book that included a drawing depicting Prophet Muhammad following an outcry by Muslim leaders and parents.

    They complained that it was blasphemous to draw the prophet and to ask pupils to colour in the illustration.

    Mentor Publishing Company said it regretted the “grave” mistake in the book on Islamic studies for pupils in the second year of primary school.

    About 11% of Kenyans are Muslims, the second largest religious group.

    Depictions of the Prophet Muhammad can cause serious offence to Muslims, with most of Islamic religious leaders saying that tradition explicitly forbids images of Prophet Muhammad and Allah (God).

    A Muslim scholar from the coastal city of Mombasa, Sheikh Rishard Rajab Ramadhan, told the BBC that the book “dangerously” misled young children.

    “No-one should imagine, leave alone attempt, to draw Prophet Muhammad. This can even cause war,” Mr Ramadhan said.

    In a letter to the Muslim community, the publisher said it had come to its attention that the content in one of its books, Mentor Encyclopaedia Grade 2, was “sacrilegious to the Islamic faith”.

    The drawing had been “inadvertently inserted” in the book, and “mistakenly identified it as the image of Prophet Muhammad”, said Mentor director Josephine Wanjuki.

    “We sincerely and wholeheartedly apologise for the error and we commit to ensure that such an error will never be repeated,” she added.

    The publisher said it would immediately remove the offensive drawing from all subsequent editions and has committed to work with the Muslim Education Council to review all its books.

    All teachers, students and school administrators holding copies of the book have been advised to return them to the publisher.

    Mr Ramadhan welcomed the move to recall copies of the book, but urged publishers to consult Muslim leaders before publishing Islamic books.

    Religious studies are part of the curriculum in Kenyan schools.

    The issue of depicting Prophet Muhammad has been a long-running controversy and has inflamed tensions, especially in Europe.

    In 2020, a school teacher in France’s capital, Paris, Samuel Patywas was beheaded after using cartoons of the Prophet Muhammad during a lesson about freedom of speech.

    In 2021, a teacher at a school in the British town of Batley was suspended after protests from Muslim parents for showing an “inappropriate” cartoon of Prophet Muhammad.

    The teacher was later reinstated. An investigation found the teacher did not intend to cause offence by showing the image.

    There is no specific or explicit ban in the Quran, the holy book of Islam, on images of Prophet Muhammad.

    But there is a reference to not depicting Allah and many Muslims believe the same applies to Prophet Muhammad.

  • In Iran tornano le pattuglie per il controllo del decoro

    A meno di un anno dalla morte Mahsa Amini, la giovane uccisa in Iran perché non indossava
    correttamente l’hijab, le pattuglie della polizia morale, istituite dopo la Rivoluzione islamica del 1979, potranno nuovamente sanzionare coloro che non portano il velo correttamente nei luoghi pubblici.

    L’assurdo omicidio aveva portato moltissime persone a manifestare in maniera veemente contro il regime, la maggior parte erano donne che avevano tolto il velo e tagliato i capelli in segno di ribellione. Dopo centinaia di arresti e condanne a morte, l’Iran aveva sospeso le forze della polizia morale poiché gli agenti di sicurezza, durante le proteste, avevano picchiato, torturato, ucciso e fatto sparire delle persone. Nonostante il regime iraniano, le proteste sono andate avanti a lungo. Adesso però gli agenti ripristineranno il controllo capillare sui civili, in particolare sul corretto utilizzo dell’hijab da parte delle donne, avvalendosi anche di
    telecamere in strada.

  • Taliban conduct first public execution since return to power

    The Taliban have carried out what is thought to be their first public execution since their return to power in Afghanistan last year.

    A Taliban spokesperson said a man was killed at a crowded sports stadium in south-western Farah province after he confessed to murder.

    Dozens of the group’s leaders, including most top ministers in their government, attended the hanging.

    It comes weeks after judges were instructed to fully enforce Sharia law.

    The Taliban’s supreme leader Haibatullah Akhundzada issued the edict last month, ordering judges to impose punishments that may include public executions, public amputations and stoning.

    However, the exact crimes and corresponding punishments have not been officially defined by the Taliban.

    While several public floggings have been carried out recently – including that of a dozen people before a crowded football stadium in Logar province last month – it marks the first time the Taliban have publicly acknowledged carrying out an execution.

    According to their spokesperson Zabihullah Mujahid, the execution was attended by several Supreme Court justices, military personnel and senior ministers – including the justice, foreign and interior ministers.

    Mohammad Khaled Hanafi, charged with imposing the Taliban’s strict interpretation of Islamic law as minister for vice and virtue, was also present. However, Prime Minster Hasan Akhund did not attend, the statement said.

    According to the Taliban, the executed man named Tajmir, a son of Ghulam Sarwar and a resident of Herat province, had stabbed a man named Mustafa about five years ago.

    He was subsequently convicted by three Taliban courts and his sentence was approved by Mullah Akhundzada.

    Before the execution, a public notice was issued publicising the event and “asking all citizens to join us in the sport field”.

    The murdered man’s mother told the BBC that Taliban leaders had pleaded with her to forgive the man, but she had insisted upon his execution.

    “Taliban came to me and begged me to forgive this infidel,” she said. “They insist me to forgive this man in sake of God, but I told them that this man must be executed and must be buried the same as he did to my son.

    “This could be a lesson to other people,” she added. “If you do not execute him he will commit other crimes in the future.”

    A listener to the BBC’s Afghan radio service in Farah said his son had witnessed the execution.

    “The victim was executed by the father of the man who was killed five years ago,” the man said.

    During their rule from 1996-2001, the Taliban were condemned for regularly carrying out punishments in public, including executions at the national stadium in Kabul.

    The Taliban vowed that they would not repeat the brutal repression of women. Since they seized power, women’s freedoms have been severely curbed and a number of women have been beaten for demanding rights.

    At present, no country has recognised their new government and the World Bank has withheld around $600m (£458m), after the Taliban banned girls from returning to secondary schools.

    The US has also frozen billions of dollars held by Afghanistan’s central bank in accounts around the world.

  • L’estrema destra dà fuoco al Corano, s’infiamma la Svezia

    L’estrema destra provoca e la Svezia si infiamma nel weekend di Pasqua. Vi partecipano poche centinaia di persone, ma l’immagine che trasmettono al mondo è di una sommossa: da Örebro a Norrköping e Linköping, da Malmö a Stoccolma, tre giorni e tre notti violenti scontri oppongono polizia e manifestanti che lanciano sassi e bottiglie molotov e bruciano auto, pneumatici, cassonetti della spazzatura e tutto quanto capita loro a tiro, con un bilancio provvisorio di almeno 26 poliziotti e una quindicina di manifestanti feriti, alcuni colpiti di rimbalzo da proiettili di avvertimento sparati dagli agenti, varie decine di arresti. Il tutto in risposta a un ‘tour’ del leader di estrema destra danese Rasmus Paludan, che brucia pubblicamente copie del Corano, il testo sacro dell’Islam, in ogni centro della Svezia dove risieda una forte comunità di musulmani.

    La polizia svedese non ha per ora descritto la provenienza politica dei manifestanti, che però dalle testimonianze che si accumulano sui media appaiono comprendere cittadini musulmani, militanti antirazzisti e, in alcuni casi, dice la polizia, anche delinquenti comuni.

    Dopo essere iniziati venerdì a Örebro, nella domenica di Pasqua gli scontri sono tornati per la seconda volta a Norrköping, dopo essersi spostati nella vicina Linköping sabato, seguendo l’itinerario delle provocazioni di Paludan, ma approdando anche alla capitale Stoccolma.

    Domenica il leader di estrema destra ha rinunciato polemicamente al pubblico rogo del Corano dopo che la polizia lo ha obbligato a spostarlo a un luogo isolato, come aveva già fatto sabato, relegando la sua provocazione dal centro della cittadina di Lanskroma alla periferia della vicina città di Malmö, la terza più grande della Svezia, nel sud, in un parcheggio recintato da barriere. Su Facebook Paludan ha scritto polemicamente che la polizia e il governo svedesi “hanno dimostrato di essere assolutamente incapaci di proteggere se stessi e me. Se io venissi ferito gravemente o ucciso per colpa dell’inadeguatezza dell’autorità di polizia, sarebbe veramente triste per gli svedesi, i danesi e altri popoli del Nord”.

    Politico e avvocato danese di 40 anni, ma anche con passaporto svedese, Rasmus Paludan vuole lanciarsi in politica in Svezia nelle elezioni di settembre con il partito di estrema destra anti-immigrati e islamofobo Stram Kurs (Linea Dura) da lui fondato nel 2017, che si autodefinisce il “partito più patriottico della Danimarca”.

    Il governo socialdemocratico svedese della premier Magdalena Andersson ha duramente condannato tanto le dimostrazioni di Paludan, quanto le violenze di reazione, tenendo fermo il punto che uno dei principi fondanti della democrazia svedese è la libertà totale di espressione. Principio che Stoccolma ha difeso di fronte alla grandinata di proteste provenienti dai Paesi a maggioranza islamica del mondo contro “l’offesa deliberata al sacro Corano”, dall’Iraq all’Egitto, dagli Emirati arabi alla Giordania. Chi scatena la violenza nelle strade, ha fatto capire Andersson, si presta al gioco dell’estremista Paludan e della sua agenda razzista. Il ministro della Giustizia, Morgan Johansson, si è rivolto ai dimostranti invitandoli ad “andare a casa”, dopo aver definito Paludan un “buffone di estrema destra il cui unico fine è la violenza e la divisione”, ma ricordando come la Svezia sia una democrazia e che in democrazia “anche i buffoni hanno libertà di parola”.

Pulsante per tornare all'inizio