mercato

  • Trump realizzerà un resort di ville e campi da golf da 1,5 miliardi di dollari in Vietnam

    Il primo ministro del Vietnam, Pham Minh Chinh, ha partecipato il 21 maggio alla cerimonia di posa della prima pietra del complesso “Trump International Hung Yen”, un progetto da oltre 1,5 miliardi di dollari che sorgerà nella provincia settentrionale di Hung Yen, nel delta del Fiume Rosso. Alla cerimonia hanno preso parte anche Eric Trump, vicepresidente della Trump Organization e figlio del presidente statunitense Donald, l’ambasciatore degli Stati Uniti a Hanoi Marc Knapper e altri funzionari di alto livello dei due Paesi. Il progetto, il primo in Vietnam a portare il marchio Trump, si estenderà su quasi mille ettari e includerà un campo da golf esclusivo da 54 buche, ville di lusso, un moderno complesso urbano e strutture ricettive di standard internazionale. L’iniziativa è frutto di una collaborazione strategica tra la Trump Organization e la Hung Yen Company, affiliata del gruppo vietnamita Kinh Bac City Development. Nel suo intervento, il premier Chinh ha sottolineato il valore simbolico del progetto per il rafforzamento del partenariato strategico globale tra Vietnam e Stati Uniti. Ha evidenziato l’importanza della presenza di Eric Trump e di sua moglie, un “segnale positivo” per gli investimenti statunitensi nel Paese. Chinh ha inoltre invitato le autorità locali a fornire il massimo sostegno per completare l’opera entro due anni, in tempo per il vertice Apec del 2027 che si terrà in Vietnam.

    Il capo del governo ha ricordato che durante il suo primo mandato presidenziale Donald Trump ha visitato il Vietnam due volte, e ha espresso l’auspicio di nuove visite nell’ambito dell’approfondimento della cooperazione bilaterale. Eric Trump, da parte sua, ha definito il Vietnam uno dei mercati più promettenti al mondo e si è detto orgoglioso di portare il marchio Trump in un Paese in rapida crescita. Ha assicurato l’impegno degli investitori a completare il progetto entro due anni, affinché diventi “l’invidia dell’Asia e del mondo”. Il presidente del gruppo Kinh Bac, Dang Thanh Tam, ha infine dichiarato che l’obiettivo è trasformare Hung Yen in una delle principali destinazioni asiatiche per il golf e il turismo di alto livello.

  • Un terzo degli europei ha fatto uso di stupefacenti in vita sua

    L’Europa è invasa più che mai dalle droghe. Un terzo degli europei le ha provate, con cannabis e cocaina in testa. In particolare, il 15% dei giovani adulti nell’Ue ha fatto uso di cannabis (la pianta della marijuana) nell’ultimo anno, mentre il 2,5% ha fatto uso di cocaina. Lo rivela lo ‘European Drug Report 2024: Trends and Developments’ (Relazione europea sulla droga 2024: tendenze e sviluppi) che presenta l’ultima analisi dell’EMCDDA (il centro di informazione sulle droghe dell’Unione europea) sugli Stati membri dell’Ue più Turchia e Norvegia, recentemente pubblicato.

    Quello che i dati restituiscono è che l’impatto delle droghe illecite è ormai visibile quasi ovunque: praticamente tutto ciò che ha proprietà psicoattive ha il potenziale per essere usato come droga, perciò, sottolinea il rapporto, chiunque, direttamente o indirettamente, può essere colpito dall’uso di droghe illecite e dai problemi connessi.

    Innanzitutto quelli di salute e dunque sanitari – tra cui la gestione dei disturbi psichiatrici – ma anche quelli politici, come i senzatetto, e di sicurezza, con un aumento segnalato della criminalità in particolare giovanile. Su quest’ultimo aspetto, l’analisi sottolinea i maggiori livelli di violenza e corruzione guidati dal mercato della droga in alcuni Paesi e i contraccolpi su governance e sviluppo in molte Nazioni a basso e medio reddito, che vanno ad aggiungersi alle già considerevoli sfide di salute pubblica e sicurezza da affrontare.

    Un altro elemento critico messo in luce dall’analisi è che la disponibilità di droghe rimane elevata per quasi tutti i tipi di sostanze, anzi addirittura si amplia rispetto al passato la gamma di sostanze reperibili sul mercato, oltretutto spesso disponibili ad alta potenza o in purezza o in nuove forme, miscele o combinazioni. Tra queste rientrano sostanze nuove, delle quali consumatori e studiosi ancora non hanno ancora molti dati sui rischi per salute.

    Il consumo simultaneo di più droghe, anche involontariamente, è sempre più comune, aumentando il rischio di overdose e complicando le risposte sanitarie. Inoltre, la diversificazione dei prodotti, come edibili e tecnologie di svapo, rende più difficile prevedere i rischi associati al consumo.

    Le droghe sintetiche, come i cannabinoidi e gli stimolanti prodotti in laboratorio, sono motivo di particolare preoccupazione perché è difficile per le autorità nazionali identificare i composti problematici, quindi vietarli e fermare i trafficanti abbastanza rapidamente.

    La cannabis, in particolare sotto forma di erba o resina, rimane la droga illegale più consumata in Europa, con una prevalenza stimata di consumo circa cinque volte superiore a quella dell’altra sostanza più vicina. Secondo i dati dell’Ue, tra tutti gli adulti il consumo è più alto nella Repubblica Ceca, in Italia, in Francia e in Spagna, e più basso a Malta, in Turchia e in Ungheria.

    Nel 2023 l’uso di cannabis tra la popolazione Ue di età compresa tra 15 e 34 anni è stimato al 15% (15,1 milioni), con un’incidenza doppia tra gli uomini. Tra i 15 e i 24 anni, si stima che il 18,6% (8,8 milioni) abbia fatto uso di cannabis nell’ultimo anno e il 9,7% (4,6 milioni) nell’ultimo mese.

    Si stima inoltre che circa l’1,3% (3,7 milioni) degli adulti di età compresa tra 15 e 64 anni e il 2% (2 milioni) tra i 15 e i 34 anni siano consumatori di cannabis giornalieri o quasi giornalieri (ovvero hanno fatto uso della droga per 20 giorni o più nell’ultimo mese).

    Alcuni Stati europei stanno sperimentando nuove politiche per regolare l’uso ricreativo di questa droga. Germania, Malta e Lussemburgo hanno introdotto leggi per consentirne la coltivazione domestica. I Paesi Bassi, dove la coltivazione, la vendita e il possesso di cannabis rimangono reati penali ma dove la vendita di piccole quantità nei ‘coffeeshop’ è stata tollerata per decenni, stanno testando una filiera di approvvigionamento legale per superare la dipendenza dal mercato illegale. La Repubblica ceca ha annunciato piani per un sistema di distribuzione regolamentato e tassato, mentre la Svizzera ha iniziato ad autorizzare sperimentazioni pilota di vendite o altri sistemi di distribuzione per residenti specifici in determinate città.

    La cocaina è la seconda droga illecita più consumata, con differenze tra i Paesi: il consumo è più alto nei Paesi Bassi, in Spagna e in Irlanda, e più basso in Turchia, Portogallo, Polonia e Ungheria. Secondo i dati, 2,5 milioni di giovani tra i 15 e i 34 anni (il 2,5% di questa fascia di età) l’hanno usata nel 2023. Sebbene i livelli di prevalenza e i modelli di consumo differiscano notevolmente tra gli Stati, la disponibilità di questa droga è in aumento da diversi anni, come conferma il sequestro nel 2022 di 323 tonnellate, un record per il sesto anno consecutivo.

    Allo stesso modo, è cresciuta la preoccupazione che i costi sanitari e sociali associati a questa droga stiano aumentando in modo significativo. Anche perché, sottolinea il rapporto, l’uso di cocaina, e in particolare quello di crack, sembra diventare più comune, soprattutto tra alcune comunità emarginate. Il che contrasta con la percezione pubblica di una droga utilizzata da persone socialmente integrate e benestanti, e pone nuovi problemi.

    Quanto alle altre sostanze, l’anfetamina, la metanfetamina e i catinoni sintetici sono largamente presenti in Europa, con una produzione sempre più localizzata, in particolare in Polonia: si tratta di una minaccia in crescita.

    Una menzione a parte va per l’MDMA, il secondo stimolante illecito più comunemente utilizzato in Europa, chimicamente correlato alle anfetamine ma con effetti leggermente diversi. La sua particolarità sta nel fatto che viene assunto principalmente in modo episodico, nel contesto della vita notturna e degli ambienti di intrattenimento: in pratica è la droga della vita notturna. Infatti il suo uso è diminuito in pandemia per poi rimbalzare con la fine delle restrizioni. A differenza di altri tipi di droghe, l’Europa – soprattutto nei Paesi Bassi o nei dintorni – è un polo di produzione di questa sostanza, sia per il consumo interno che per l’esportazione verso mercati extra-Ue. Lo conferma il maggior numero di laboratori di MDMA smantellati nell’Unione: 48 nel 2022, erano 25 nel 2021.

    Altra particolarità è che le compresse di MDMA sono solitamente disponibili in molti design, spesso repliche colorate dei loghi dei marchi e in formati più innovativi, come gli edibili (caramelle, gelatine e lecca-lecca): si tratta di prodotti che pongono difficoltà nella regolazione del dosaggio e aumentano il rischio di consumo involontario, in particolare se vengono consumati da minorenni.

    Non si possono poi tralasciare gli oppioidi, che restano una delle principali cause di overdose in Europa: su tutti l‘eroina è ancora il più comunemente utilizzato ed è responsabile di una quota consistente del carico sanitario attribuito al consumo di droghe illecite. Si stima che lo 0,3% della popolazione adulta dell’Ue, ovvero circa 860mila persone, abbia fatto uso di oppioidi nel 2022.

    E se da una parte la sua disponibilità potrebbe calare a causa della diminuzione della produzione in Afghanistan, dall’altra si teme un aumento degli oppioidi sintetici, come i nitazeni, che rappresentano un rischio significativo per la salute pubblica.

    Non mancano poi le nuove sostanze psicoattive (NPS), in continua evoluzione: i produttori continuano a crearne di nuove per eludere i controlli legali, ad esempio nel 2022 sono state rilevate 400 nuove sostanze. Tra queste, i cannabinoidi sintetici rappresentano una preoccupazione particolare, perché spesso sono venduti come cannabis adulterata, aumentando il rischio di avvelenamenti acuti.

    In Europa inoltre vengono utilizzate numerose altre sostanze con proprietà allucinogene, anestetiche, dissociative o depressive: tra queste, LSD, funghi allucinogeni, ketamina, GHB e protossido di azoto, comunemente noto come gas esilarante.

    Alcune di queste sostanze sembrano essersi consolidate in alcuni Paesi, città o popolazioni specifiche, sebbene nel complesso la loro prevalenza relativa possa rimanere bassa rispetto ad altre classi di droghe più note. La ketamina ha rappresentato il 9% della quantità di nuove sostanze psicoattive sequestrate.

  • La Cina balza al secondo posto mondiale per le riserve di litio

    La Cina ha compiuto notevoli progressi nell’esplorazione dei depositi di litio, emergendo come il secondo maggiore detentore di riserve di litio al mondo. Il China Geological Survey, alle dipendenze del ministero delle Risorse naturali cinese, ha riferito oggi che le riserve di litio nazionali sono aumentate dal 6 al 16,5 per cento del totale globale, portando il Paese dalla sesta alla seconda posizione nella classifica mondiale. Il balzo riflette la stata scoperta una cintura di depositi di litio spodumene di classe mondiale che si estende per 2.800 chilometri nell’ovest della Cina.

    Le risorse di litio note nei laghi salati dell’altopiano Qinghai-Tibet sono aumentate a loro volta in misura sostanziale, posizionando la Cina come la terza più grande base di risorse di litio da laghi salati a livello globale. Inoltre, i ricercatori cinesi hanno superato importanti sfide tecniche nell’estrazione del litio dalla lepidolite, un minerale ad alto contenuto di litio che finora ha presentato sfide in termine di costi di lavorazione. Il litio è un elemento cruciale per una vasta gamma di settori emergenti, tra cui veicoli elettrici, sistemi di stoccaggio energetico, comunicazioni mobili, trattamenti medici e combustibile per reattori nucleari.

  • Il mercato smart

    Nel “lontano” 2007 Apple reinventò completamente il telefono, destinato a diventare in pochi anni uno strumento di connessione globale anche attraverso l’introduzione della tastiera touch.

    In pochi anni i due leader del mercato di inizio millennio, Nokia e BlackBerry, incapaci di leggere le potenzialità della nuova tecnologia, hanno visto ridursi in poche stagioni la propria quota di mercato, fino alla loro inevitabile uscita dal mercato.

    Attualmente, nel solo primo trimestre del 2024,le spedizioni globali di smartphone sono aumentate del 7,8% rispetto allo stesso periodo del 2023, con 289,4 milioni di dispositivi, e  sono Samsung ed Apple a detenere le maggiori quote del mercato globale.

    Nel 1997, Toyota lanciò la Prius, prima autovettura elettrica in pochi anni diventata una icona del politicamente corretto e delle forze politiche che amano definirsi “progressiste e moderne”. Del successo “naturale” (inteso come semplice scelta dei consumatori), ad oltre ventisette anni dall’inizio di una potenziale elettrificazione della mobilità su gomma, la quota di mercato detenuta dalla trazione elettrica si aggira attorno al 10% delle vendite globali.

    Tuttavia questa quota di mercato (10%) è stata raggiunta unicamente attraverso l’impegno di migliaia di miliardi dei bilanci pubblici, finalizzati a favorirne la produzione da una parte e dall’altra la vendita di queste autovetture.

    Paradossale, poi, se si considera che buona parte della produzione di autoveicoli elettrici provenienti dalla Cina veda non solo le prime cinque aziende partecipate direttamente dallo Stato, ma soprattutto l’utilizzo di quella energia necessaria per la produzione direttamente fornita dalle centrali a carbone.

    Prova ne  sia che attualmente alla Repubblica cinese venga attribuita una quota di emissioni superiore a tutta quella del mondo occidentale.

    Risulta quindi, non solo finanziariamente, suicida continuare in questo cieco ed ideologico sostegno, e con risorse pubbliche, a favore di una transizione elettrica in quanto aumentano le emissioni globali, una follia che vede la propria massima espressione nel divieto nel 2035 imposto dalla Comunità europea della vendita dei motori endotermici.

    Per di più, uno sforzo che ha come ridicolo obiettivo quello di ridurre una quota già risibile dell’inquinamento totale, cioè il solo 1% che viene imputato all’autotrazione (*). Prova ne è che il punto di pareggio in relazione alle emissioni tra il ciclo produttivo delle auto elettriche e quelle a motore endotermico trova il punto di equilibrio solo una volta raggiunti i 100/120.000 km. Senza dimenticare come la composizione di queste emissioni da autotrazione risulti per lo più attribuibile  soprattutto alla resistenza al rotolamento dei pneumatici ed all’utilizzo dei freni piuttosto che alle emissioni dei motori endotermici.

    Tornando, quindi, al quadro comparativo queste semplici considerazioni relative ai diversi esiti nelle scelte del mercato sulle due tipologie di innovazione (ammesso e non concesso che l’auto elettrica rappresenti una innovazione) dimostrano come il processo di elettrificazione della mobilità risulti solo l’espressione di un disegno politico ed ideologico al quale si aggiunge quello speculativo.

    Un processo che ha fatto della auto elettrica l’icona di  una parte dello schieramento politico europeo, quello stesso orfano da decenni di una ideologia massimalista di riferimento dopo la caduta del muro e Berlino, e della quale si è appropriata.

    In altre parole, in rapporto alle risorse pubbliche utilizzate a favore di questa elettrificazione (sia per quanto riguarda la produzione che l’acquisto) e gli esiti del mercato probabilmente la sanità sarebbe stata un settore molto più strategico verso il quale dirottare queste ingenti risorse pubbliche, le quali stanno continuando a diminuire, specialmente del nostro Paese.

    Questa deriva elettrica assolutamente ideologica e priva di una sostenibilità economica, la cui produzione non fa che aumentare le emissioni, porterà inoltre ad una ulteriore desertificazione industriale e conseguente perdita del posto di lavoro in quelle economie occidentali le quali ancora oggi detengono i piu importanti primati nei motori endotermici e che assicurano oltre 1.000 miliardi di tasse e milioni di posti di lavoro.

    Il mercato, in altre parole, non avendo recepito la visione ideologica e politica di una classe politica in relazione alla mobilità elettrica e falsamente sostenibile, ha già dimostrato di essere molto più “smart” dell’intera classe politica italiana ed europea.

    (*) https://amp24.ilsole24ore.com/pagina/AE8MlslB

  • La delocalizzazione intellettuale

    Dagli anni ‘90 l’intera classe accademica, ed in particolare quella bocconiana, affermava come le delocalizzazioni produttive verso i paesi a basso costo di manodopera rappresentassero la soluzione ideale in quanto le professioni ad alto valore aggiunto sarebbero rimaste all’interno dei paesi occidentali più evoluti.

    Questa banale strategia ideologica ha aperto le porte ad un’infinita possibilità di posizioni speculative, come conferma l’attuale scelta di Stellantis, perfettamente in linea con quella di Google e di altre grandi aziende internazionali che smentiscono clamorosamente la infantile dottrina accademica e definiscono quello che potrebbe essere chiamato il ritardo culturale ed economico dell’intero mondo accademico e politico italiano.

    Il lavoro e il suo prodotto, indipendentemente dal contenuto tecnologico, rappresentano una sintesi di molteplici apporti professionali complessivi e proprio per questo la loro tutela non può che risultare complessiva.

    La esternalizzazione di determinate produzioni o servizi ha rappresentato sicuramente il modo per ridurre i costi fissi e parallelamente aumentare la flessibilità in rapporto alla complessità dei mercati.

    Tuttavia, questo processo ha creato anche delle filiere talmente complesse e distribuite nel mondo le quali ora, all’interno di una crisi legata agli eventi bellici come la guerra russo-ucraina e nel medio oriente, risultano insostenibili anche economicamente.

    A queste problematiche si aggiunge ora anche l’opportunità fornita dalla digitalizzazione dei sistemi nel loro complesso, la quale, di fatto, favorisce l’avvio di un processo di delocalizzazione intellettuale relativa a quelle professionalità che il miope mondo accademico aveva assicurato sarebbero rimaste all’interno dei paesi evoluti occidentali.

    In altre parole, la stessa definizione e distinzione delle diverse fasi di realizzazione di un prodotto o di un servizio in rapporto ad un diverso valore aggiunto nella fase di realizzazione di per sé rende impossibile la tutela complessiva del prodotto finale e quindi delle medesime professionalità utilizzate nel ciclo produttivo.

    La complessità di un prodotto, infatti, si rivela come l’espressione di articolate fasi e rappresenta, come si diceva prima, una sintesi di diverse professionalità ognuna delle quali assolutamente meritevole di tutela giuridica e normativa, in quanto espressione dei più diversi contributi professionali.

    L’inconsistenza strategica dimostrata dalla classe politica e da quella accademica che hanno, invece, sempre sostenuto questa “valutazione” del lavoro e in base a questa decidere quale fosse meritevole di una tutela, si rivela come il più grande fallimento economico e strategico nel mondo occidentale in relazione al proprio futuro.

    Il mercato globale può rappresentare un’occasione di sviluppo se e solo se i diversi attori che vi partecipano si dimostrano in grado di tutelare la propria cultura industriale ed economica.

    Viceversa, senza queste tutele ogni traguardo culturale e sociale delle singole Nazioni viene azzerato e con loro lo stesso futuro economico, favorendo così le posizioni speculative.

  • Quale scenario di guerra

    L’escalation delle tensioni internazionali ha introdotto il concetto di “economia di guerra” nel lessico istituzionale all’interno del quale cambiano radicalmente le priorità di spesa dei governi, le quali si orientano ovviamente a favore del rafforzamento degli arsenali e all’aggiornamento degli armamenti uniti al mantenimento dell’esercito quali principali settori da finanziare attraverso le spesa pubblica.

    All’interno del contesto attuale a questo tipo di economia e soprattutto alle sue difficoltà si possono aggiungere le difficoltà di rifornimento e di approvvigionamento delle materie prime essendo venute meno proprio le filiere energetiche e produttive.

    Tuttavia, la leggerezza con la quale viene introdotto tanto dai politici quanto dai media il concetto di una inevitabile metamorfosi dell’economia attuale ad una ben più complessa da scenario di guerra non tiene assolutamente in conto della situazione che per i cittadini italiani una guerra sia decisamente cominciata oltre trent’anni addietro.

    Andrebbe ricordato come l’Italia rappresenti ad oggi l’unico Paese in Europa che ha visto ridurre il proprio reddito disponibile del -2,9% mentre contemporaneamente in Germania lo stesso risulti cresciuto del +33,7 ed in Francia di oltre +31%.

    Un andamento così disastroso delle retribuzioni, confermato anche della ennesima diminuzione del -0,1% nell’ultima rilevazione relativa all’ultimo trimestre 2023, espressione di una sintesi essenzialmente individuabile in due determinati e precisi motivi.

    Il primo è rappresentato dalla scelta monetaria che ha visto affidarsi sempre e solamente per la crescita dei fatturati alla svalutazione competitiva la quale ha favorito le esportazioni ma non i redditi come la domanda interna e tantomeno gli asset economici. Il secondo è individuabile nella scellerata strategia di abbandono di ogni politica industriale (definita old economy) negli ultimi trent’anni a favore di un’illusoria visione di economia dei servizi e legata al turismo.

    Il principale effetto di questa differenza dell’andamento delle retribuzioni determina, in più, una forbice tra le diverse tariffe e costi nei Paesi che può raggiungere il +40% a sfavore dell’utenza nazionale italiana.

    A questo scenario già di per sé drammatico si aggiungano i dati relativi alla povertà assoluta che è cresciuta dello +0,2% nel 2023, raggiungendo la cifra dell’8,5% di famiglie che vivono in assoluta povertà, cioè circa 5,7 milioni di italiani.

    Una crescita che ha come cause aggiuntive probabilmente l’annullamento di determinati ammortizzatori sociali ma soprattutto l’esplosione dei costi energetici, i quali, con la soppressione delle tariffe del mercato agevolata e lo scellerato aumento dell’Iva dal 5 al 22% (*), porteranno ad un maggiore costo di 1.700 euro a famiglia. Questi dati sono l’espressione di una economia di guerra all’interno della quale la spesa pubblica quanto il debito pubblico sono stati utilizzati non certo per rendere fruibili servizi alle fasce di reddito più basse, ma come sostegno delle diverse riserve elettorali sostenute finanziariamente da ogni governo dei più diversi orientamenti politici.

    Ora, qualsiasi possa dimostrarsi l’evoluzione della crisi internazionale sarebbe opportuno ricordare come l’Italia non abbia più risorse, in quanto una guerra la cittadinanza italiana la sta già combattendo contro la propria classe politica e dirigente da oltre trent’anni.

    (*) sconto Iva introdotto dal governo Draghi, come quello sulle accise per i carburanti anche questo azzerato dal governo in carica

  • La Ferrari raddoppia le vendite di auto a Taiwan

    Le vendite del marchio automobilistico Ferrari a Taiwan sono raddoppiate negli ultimi quattro anni, sostenute dalla crescente ricchezza delle imprese di chip e semiconduttori e dal ritorno di capitale dovuto alla diversificazione delle catene di approvvigionamento.

    L’amministratore delegato di Ferrari, Benedetto Vigna, ha affermato che la domanda a Taiwan sta crescendo più rapidamente che in Cina o Hong Kong a causa di un forte aumento delle vendite di vetture ai cittadini sempre più ricchi di Taiwan. “La Cina cresce ma meno di Taiwan”, ha dichiarato Vigna al quotidiano “Financial Times”, aggiungendo: “A Taiwan ci sono più imprenditori e l’industria dei chip è in forte espansione”.

    Il mese scorso Ferrari ha registrato guadagni annuali record. E sebbene la maggior parte dei suoi guadagni provenga dall’Europa e dagli Stati Uniti, la casa automobilistica ha riferito che le spedizioni verso la Cina continentale e Taiwan sono aumentate dal 5% del totale nel 2020 a quasi l’11% nel 2023. Ferrari sta sfruttando un’impennata della ricchezza privata che ha reso Taiwan al quinto posto nel mondo, in parte grazie anche alla forte espansione del settore dei semiconduttori.

  • Brics. Avanza il processo di de-dolarizzazione

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su notiziegeopolitiche.net il 5 febbraio 2024

    Gli Usa non possono più ignorare la de-dollarizzazione che i Brics stanno conducendo da qualche tempo. Le sue conseguenze globali non possono più essere sottovalutate, anche dall’Europa. Ostacolare tale processo vorrebbe dire accentuare lo scontro tra blocchi; osservarlo semplicemente, con distacco e supponenza, significherebbe assistere allo sfaldamento dell’attuale sistema globale. Occorrono delle idee coraggiose di riforma dell’attuale sistema e una nuova visione cooperativa e multilaterale, come il progetto di un paniere globale di monete di cui abbiamo più volte anche noi scritto.
    Il commercio dell’energia, petrolio e gas, è effettuato sempre più con l’utilizzo delle monete locali. Non si tratta solo degli accordi in yuan e rubli tra Cina e Russia di cui si parla da anni. Nel 2023 un quinto di tutto il commercio petrolifero mondiale è stato fatto con monete diverse dal dollaro. In generale l’utilizzo del dollaro nei commerci dei paesi Brics è in forte diminuzione, appena il 28,7% nel 2023.
    In Nigeria, futuro membro dei Brics, gli operatori petroliferi, comprese le raffinerie, hanno deciso di utilizzare la naira, e non il dollaro, anche nelle loro operazioni interne sul petrolio e il gas.
    L’India ha firmato un accordo sul petrolio in rupie con gli Emirati arabi uniti (Eau). E’ il secondo partner commerciale degli Eau. Il totale dei loro scambi raggiungerà presto 100 miliardi di dollari. Gli Eau lavorano con 15 paesi per promuovere scambi in monete locali.
    Nuova Delhi intende pagare in rupie anche il petrolio importato dall’Arabia Saudita e opera intensamente per regolare i suoi commerci internazionali con le monete nazionali. Presentata come una grande democrazia, in contrasto con Cina e Russia, e come amica e alleata dell’Occidente, l’India, però, non è seconda a nessuno nel processo di de-dollarizzazione dei suoi commerci.
    Non c’è solo l’utilizzo delle monete locali. Si stima che il gruppo Brics abbia oggi una quota del 22% delle esportazioni globali di merci e servizi. Tuttavia, la maggior parte degli accordi nel commercio internazionale è effettuata nelle valute del G7 attraverso il sistema interbancario Swift.

    Nel settembre 2023 le quote del dollaro, dell’euro e della sterlina, usate nel sistema Swift, si attestavano rispettivamente al 45,58%, 23,6% e 7,32%. Lo yuan è solo la quinta valuta di pagamento su detto sistema (3,71%), appena dietro lo yen giapponese (4,2%). Nel 2020, tramite Swift sono stati trasmessi messaggi finanziari per un valore di 140 trilioni di dollari per eseguire i pagamenti. Invece, meno dello 0,5% del volume delle transazioni è passato attraverso il sistema di pagamento interbancario transfrontaliero (Cips) della Cina.
    Pertanto, la reale indipendenza dei Brics dall’infrastruttura di pagamento internazionale controllata dall’Occidente può essere garantita solo dal proprio sistema di regolamenti multilaterali nelle valute nazionali. Dal 2018 essi lavorano per un progetto, il Brics Pay, che si prefigge anche l’uso di nuove tecnologie come il blockchain e le valute digitali delle banche centrali. Non si tratta di criptovalute. E’ studiato in modo tale da poter utilizzare qualsiasi valuta usata dai membri del gruppo.
    Il Brics Pay ha diversi scopi, principalmente per i pagamenti transfrontalieri nel commercio internazionale tra aziende, banche d’investimento e micro finanza. Esso è stato adottato da diverse istituzioni e aziende nei paesi Brics ed è in costante crescita. La State Bank of India, la russa Sberbank, la Bank of China, la Petrobras e molti altri la utilizzano. Anche l’inglese Standard Chartered Bank ha integrato il Brics Pay nella sua piattaforma di pagamento digitale. Alla base del Brics Pay c’è poi la Nuova Banca per lo Sviluppo, la banca dei Brics, dove sono elaborate tutte le transazioni finanziarie tra le nazioni del gruppo.
    Si ricordi che i Brics rappresentano anche il 15% delle riserve globali di oro. Non poco, anzi una cifra significativa tanto da indurre il gruppo a studiare altri strumenti monetari dove l’oro dovrebbe avere un ruolo importante.
    Non crediamo che il G7 sia pronto ad affrontare riforme radicali come questo tempo richiederebbe.

    * Mario Lettieri, già sottosegretario all’Economia; Paolo Raimondi, economista

  • La Commissione chiede pareri sugli impegni proposti da Apple

    La Commissione europea invita a presentare osservazioni sugli impegni proposti da Apple per rispondere alle riserve in materia di concorrenza relative alle restrizioni di accesso a una tecnologia standard utilizzata per i pagamenti senza contatto con dispositivi mobili nei negozi (Near-Field Communication — “NFC”).

    La Commissione ha concluso in via preliminare che Apple gode di un potere notevole sul mercato dei dispositivi mobili intelligenti e di una posizione dominante sui mercati dei portafogli mobili. Apple Pay è l’unica soluzione di portafoglio mobile che può accedere su iOS all’hardware e al software necessari (“input NFC”) per consentire pagamenti mobili nei negozi fisici, e Apple non lo mette a disposizione degli sviluppatori di applicazioni di portafogli mobili di terzi.

    Il 2 maggio 2022 la Commissione ha informato Apple del suo parere preliminare secondo cui tale comportamento preclusivo potrebbe limitare la concorrenza sul mercato dei portafogli mobili su dispositivi iOS, in violazione dell’articolo 102 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”).

    Per rispondere alle riserve della Commissione in materia di concorrenza, Apple ha proposto una serie di impegni, che rimarrebbero in vigore per dieci anni.

    La Commissione invita tutte le parti interessate a presentare il loro parere sugli impegni proposti da Apple entro un mese dalla pubblicazione di una sintesi di tali impegni nella Gazzetta ufficiale dell’UE.

  • Il Tour del mercato unico europeo parte da Trieste

    Venerdì 1 e sabato 2 settembre, a Trieste, in Piazza della Borsa, si svolgerà il Tour del mercato unico.

    Il Tour è un evento multinazionale europeo organizzato dalla Direzione generale del Mercato interno, dell’industria, dell’imprenditoria e delle PMI della Commissione europea, che celebra il 30° anniversario del mercato unico europeo. A partire dall’Italia, nel 2023 il Tour visiterà sette Paesi europei (Ungheria, Romania, Bulgaria, Spagna, Portogallo e Francia), per discutere dei vantaggi del mercato unico nella vita quotidiana delle persone.

    Dalla sua creazione nel 1993, il mercato unico ha contribuito a rendere più semplice la vita quotidiana di persone e imprese, creando posti di lavoro e alimentando la crescita in tutta l’UE. Garantisce la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone in un unico mercato interno europeo ed è considerato uno dei più grandi successi dell’UE.

    Con 447 milioni di cittadini europei e 23 milioni di imprese, il mercato unico dell’UE è considerato il più grande mercato unico al mondo. In occasione del suo 30° anniversario, desideriamo cogliere l’opportunità per riflettere sui progressi compiuti e sulle nuove sfide da affrontare.

    I cittadini dell’UE possono studiare, vivere, fare acquisti, lavorare e andare in pensione in qualsiasi Paese dell’Unione, oppure godere di un’ampia scelta di prodotti provenienti da tutta Europa. È essenziale perfezionare e migliorare continuamente il funzionamento del mercato unico, dato il suo ruolo strumentale nell’affrontare le sfide presenti e future dell’Europa. Durante la pandemia di COVID-19, il mercato unico ha dimostrato la sua resilienza consentendo all’Europa di intensificare la produzione di vaccini.

    Il mercato unico dell’UE protegge le persone e le imprese, aprendo la strada a un’Europa più equa, responsabile e sostenibile. Ad esempio, una nuova legge prevede che, entro la fine del 2024, tutti i telefoni cellulari, i tablet e le fotocamere venduti nell’Unione europea siano dotati di una porta di ricarica USB Tipo-C. Questo rientra nel più ampio impegno dell’UE a ridurre i rifiuti elettronici e consentire ai consumatori di compiere scelte più sostenibili.

    Alcuni dati chiave:

    • 447 milioni di cittadini europei beneficiano del mercato unico;
    • Il mercato unico ospita 23 milioni di imprese che danno lavoro a quasi 128 milioni di persone;
    • 17 milioni di europei vivono o lavorano in un paese dell’UE diverso dal proprio;
    • Il 15% degli scambi mondiali di merci proviene dall’UE.
Pulsante per tornare all'inizio