monete

  • La rupia indiana sta assumendo un ruolo alternativo

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su ItaliaOggi il 17 maggio 2023

    L’India sta accelerando il processo verso l’utilizzo delle monete locali, ovviamente anche della sua valuta, la rupia, nei commerci internazionali. Poiché l’India non è vista come un nemico, come la Russia, né un pericoloso concorrente, come la Cina, ciò potrebbe, e dovrebbe, essere da stimolo per l’Unione europea e per i singoli Paesi europei, Italia in primis, a immaginare e proporre una possibile riforma del sistema monetario globale, basato appunto su un paniere di monete importanti. Ci sarebbero dei forti alleati.

    Secondo esperti politici indiani «le sanzioni hanno creato un nuovo mondo di paesi che cercano di commerciare utilizzando le proprie valute invece del dollaro Usa». Essi affermano anche che le sanzioni hanno danneggiato paesi terzi, come l’India, responsabili soltanto di avere dei rapporti commerciali con chi, per svariati motivi, è stato oggetto di sanzioni.

    Ad esempio, il Venezuela e l’Iran sono ricchi di petrolio e in passato sono stati i principali fornitori dell’India. Il commercio fu di fatto fermato a causa delle sanzioni statunitensi. Anche il Myanmar ha subito diverse sanzioni, inasprite dopo il recente colpo di stato. A pagarne le spese è stato anche il commercio indiano.

    L’India fa sapere di essere stata anch’essa colpita dalle sanzioni occidentali dopo i test nucleari del 1974 e del 1998. Com’è noto, le sanzioni vietano a persone fisiche e società (comprese le banche) di fare determinate transazioni con controparti nei paesi target. Poiché gran parte del commercio globale è in dollari, le società e i paesi sanzionati non possono più accedere al sistema bancario statunitense e sono, quindi, esclusi dal commercio globale. Ciò rende le aziende diffidenti nel fare affari con paesi sanzionati e rende efficaci le sanzioni statunitensi, anche se molti governi non le riconoscono.

    Una valuta legale si basa sulla fiducia nel governo che la emette. Molti indiani affermano che il governo Usa ha abusato di questa fiducia. Non solo per le sanzioni ma anche per la creazione di denaro eccessivo attraverso l’aumento del proprio debito pubblico.

    L’India riconosce che Pechino desiderava da tempo che la sua moneta sostituisse il dollaro come mezzo di scambio internazionale. Nel 2016 lo yuan è stato aggiunto al paniere di valute utilizzate dal Fmi per calcolare i Diritti Speciali di Prelievo. Nello stesso anno ha creato l’Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), la versione cinese delle istituzioni guidate dall’Occidente come la Banca mondiale e l’Asian Development Bank. L Aiib ha il supporto di oltre 90 paesi e l’India ne è il secondo maggiore azionista.

    Sebbene la sua economia sia più piccola di quella cinese, l’India ha maggiori possibilità di internazionalizzare la sua valuta rispetto alla Cina in quanto è ritenuta più orientata al mercato e più trasparente. L’India sostiene che le sanzioni occidentali contro Russia, Iran e Myanmar rimarranno a lungo e che in futuro altri paesi potrebbero essere presi di mira. Questo timore la sta spingendo a preparare sistemi di pagamento alternativi. L’obiettivo è creare sistemi paralleli che possano consentire il commercio, piuttosto che “sostituire” il dollaro.

    La rupia indiana può fornire uno di questi meccanismi. Lo ha già fatto in passato anche se in modo limitato. Infatti, fino al 1971 essa è stata utilizzata come valuta da molti stati del Golfo Persico, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrain, ecc. Poi, ripetute svalutazioni hanno spinto questi paesi a creare le proprie monete.

    Si presume erroneamente che l’imperialismo britannico abbia introdotto la rupia nel commercio internazionale, ma essa era una valuta commerciale già liberamente circolante molto prima dell’arrivo delle compagnie europee sulle coste indiane. Gli storici indiani hanno dimostrato che la rupia è stata utilizzata per 500 anni nel commercio con il subcontinente indiano, anche grazie alla presenza di un’influente diaspora commerciale indiana. La storia della rupia dal XVII all’inizio del XX secolo non ha esempi paragonabili nella Cina imperiale di quel periodo.

    Oggi, la United Payment Interface dell’India, un sistema di pagamento in tempo reale sviluppato dalla National Payments Corporation per facilitare le transazioni interbancarie e regolato dalla Reserve Bank of India, consente ai titolari di conti di effettuare pagamenti in rupie in diversi paesi: Singapore, Emirati Arabi Uniti, Mauritius, Nepal e Bhutan. L’India incoraggia attivamente il commercio bilaterale con il Bangladesh e lo Sri Lanka utilizzando la rupia. La banca statale, UCI Bank, che in passato ha facilitato il commercio con l’Iran, programma di espandere le sue attività nell’intera regione asiatica.

    Una nota conclusiva che riguarda l’Europa. Secondo una recente analisi pubblicata da Bloomberg, dall’inizio della guerra in Ucraina e dell’inasprimento delle sanzioni che hanno drasticamente ridotto le importazioni europee di gas e di petrolio dalla Russia, l’India è diventata in primo fornitore di prodotti petroliferi dell’Europa. Non dovrebbe sorprendere che Nuova Delhi importa petrolio principalmente dalla Russia. Resta ancora una domanda: come sono pagate le fatture, in euro, in rupie o ancora in dollari?

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Cresce nel mondo l’alternativa all’uso del dollaro

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su ItaliaOggi il 15 aprile 2023

    Il fronte economico e monetario internazionale è molto più attivo di quanto si pensi o si ammetta. Poca attenzione è stata data alla dichiarazione di Vladimir Putin quando, durante i colloqui di Mosca con il presidente cinese Xi Jinping, ha affermato che «la Russia è favorevole all’uso dello yuan negli accordi con i Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina». Putin ha fatto notare che due terzi delle transazioni tra Russia e Cina sono già regolati in rubli e yuan. Adesso Mosca si impegna ad impiegare la moneta cinese anche nei pagamenti con altre nazioni. Chiaramente è uno stimolo verso molti altri Paesi a sostituire il dollaro nelle loro transazioni e nei loro commerci.

    L’effetto internazionale di tali scelte monetarie non può essere sottovalutato anche perché i timori suscitati dalle recenti turbolenze bancarie negli Usa stanno rendendo meno attraenti gli asset basati sul dollaro. Certo esso continua a mantenere la sua centralità rispetto alle valute dei Paesi cosiddetti avanzati e a quelle dei mercati emergenti. È ancora utilizzato per il 41% nel commercio globale. Il mondo, però, percepisce che è in corso un cambiamento tettonico.

    Persino Jim O’Neill, l’ex economista di Goldman Sachs, sostiene che «il dollaro gioca un ruolo troppo dominante nella finanza globale» e invita i mercati emergenti a ridurre i propri rischi al riguardo.

    Notevole disagio aveva creato la propensione dell’Arabia Saudita all’utilizzo della moneta cinese nei pagamenti delle sue esportazioni di petrolio verso la Cina. Vi sono anche nuovi accordi tra la Cina e il Brasile per commercializzare in yuan e in real soprattutto nel campo minerario e in quello alimentare e delle tecnologie. Durante un recente seminario organizzato dall’Agenzia brasiliana per la promozione del commercio e degli investimenti, ApexBrasil, si è concordato che il Banco Bocom Bbm, nato dall’incontro di una banca brasiliana con una cinese, aderisca al Cips (China Interbank Payment System), l’alternativa cinese allo Swift, che è il sistema internazionale più usato per trasferire denaro. Inoltre, la filiale brasiliana della Banca industriale e commerciale della Cina diventerebbe l’hub di compensazione in yuan. Si noti che il commercio tra i due Paesi ha già superato i 170 miliardi di dollari.

    I ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali dell’Asean, l’associazione che coinvolge dieci nazioni del sud-est asiatico, riuniti a Bali, in Indonesia, hanno proposto l’utilizzo delle monete locali nei loro commerci e di ridurre la dipendenza dalle principali valute. Il presidente dell’Indonesia, Joko Widodo, ha sostenuto la necessità di proteggersi da «possibili ripercussioni geopolitiche». Da ultimo, il primo ministro della Malesia, Anwar Ibrahim, dopo la sua recente visita in Cina, porta avanti la creazione di un Fondo monetario asiatico per ridurre la dipendenza dal dollaro e per aumentare l’uso delle monete nazionali nel commercio.

    L’India è un caso a parte. Essa si reputa troppo grande per accodarsi alle iniziative di altri, in particolare della Cina. Nella dirigenza indiana è in corso da parecchio tempo una discussione su come trasformare la rupia in una moneta internazionale per i suoi commerci e per quelli di altri Paesi interessati.

    Più sorprendente è l’accordo in yuan tra l’impresa petrolifera cinese, la China National Offshore Oil Company, con la francese TotalEnergies su 65 mila tonnellate di gas naturale liquefatto importato dagli Emirati Arabi. L’operazione è gestita attraverso la Shanghai Petroleum and Natural Gas Exchange, la borsa creata anche per favorire i pagamenti in yuan. Sarà interessante conoscere gli accordi economici stipulati dal presidente francese Macron durante la sua recente visita in Cina.

    Si ricordi anche che, nonostante l’opposizione americana, il cancelliere tedesco Scholz pochi mesi fa ha guidato una folta delegazione di industriali a Pechino. Degli incontri e degli accordi si conosce veramente poco. Chissà come saranno saldate le fatture commerciali: in euro, in yuan, in dollari o un mix? La Germania è il primo partner commerciale europeo con la Cina, con un volume di scambi bilaterali pari a circa 300 miliardi di euro.

    Sono iniziative prettamente nazionali ma interessanti. Quale sia l’atteggiamento dell’Unione europea, non è chiaro. D’altra parte l’Ue non ha una sua precisa politica d’interesse europeo su molte, troppe, questioni strategiche importanti.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

Pulsante per tornare all'inizio