Polizia

  • Attenzione alla mail che ci avvisa di un pacco in consegna, è una nuova truffa on line

    Attenzione alle mail che vi avvisano di non essere riusciti a consegnare un pacco e di cliccare per scegliere l’orario in cui riceverlo. Si tratta di #phishing e quindi cliccando vi verranno rubate le informazioni personali”. Il monito arriva via Twitter dalla Polizia di Stato che ha svelato un nuovo tentativo di truffa on line, il phishing. Come rivela Wall Street Italia “Si tratta di una particolare tipologia di truffa realizzata sulla rete Internet attraverso l’inganno degli utenti e si concretizza principalmente attraverso messaggi di posta elettronica ingannevoli. Attraverso un’e-mail, solo apparentemente proveniente da istituti finanziari (banche o società emittenti di carte di credito) o da siti web che richiedono l’accesso previa registrazione (web-mail, e-commerce ecc.). Il  messaggio invita, riferendo problemi di registrazione o di altra natura, a fornire i propri riservati dati di accesso al servizio. Solitamente nel messaggio, per rassicurare falsamente l’utente, è indicato un collegamento (link) che rimanda solo apparentemente al sito web dell’istituto di credito o del servizio a cui si è registrati.  In realtà, il sito a cui ci si collega è  stato artatamente allestito identico a quello originale. Qualora l’utente inserisca i propri dati riservati, questi saranno nella disponibilità dei criminali.

    Con la stessa finalità di carpire dati di accesso a servizi finanziari on-line o altri che richiedono una registrazione, un pericolo più subdolo arriva dall’utilizzo dei virus informatici. Le modalità di infezione sono diverse. La più diffusa? Il classico allegato al messaggio di posta elettronica; oltre i file con estensione .exe, i virus si diffondono celati da false fatture, contravvenzioni, avvisi di consegna pacchi, che giungono in formato .doc .pdf. Nel caso si tratti di un ‘financial malware’ o di un ‘trojan banking’, il virus si attiverà per carpire dati finanziari. Altri tipi di virus si attivano allorquando sulla tastiera sono inseriti ‘userid e password’. Si parla in tal caso ‘keylogging’, quando i criminali sono in possesso delle chiavi di accesso ai vostri account di posta elettronica o di e-commerce”.

    Le banche non chiedono mai dati personali per mail e questo basterebbe a far comprendere al malcapitato utente di essere davanti ad una e-mail dubbia sulla cui provenienza è sempre opportuno contattare il proprio istituto di credito e chiedere informazioni.

    La Polizia di Stato ha stilato 7 consigli per evitare di cadere vittime delle truffe online:

    1. Gli istituti di credito o le società che emettono carte di credito non chiedono mai la conferma di dati personali tramite e-mail ma contattano i propri clienti direttamente per tutte le operazioni riservate. Diffidate delle e-mail che, tramite un link in esse contenute, rimandano ad un sito web ove confermare i propri dati.
    2. Nel caso riceviate una e-mail, presumibilmente da parte della vostra banca, che vi fa richiesta dei riservati dati personali, recatevi personalmente presso il vostro istituto di credito.
    3. Se credete che l’e-mail di richiesta informazione sia autentica, diffidate comunque del link presente in questa, collegatevi al sito della banca che l´ha inviata digitando l’indirizzo internet, a voi noto, direttamente nel browser.
    4. Verificate sempre che nei siti web dove bisogna immettere dati (account, password, numero di carta di credito, altri dati personali), la trasmissione degli stessi avvenga con protocollo cifrato.
    5. Controllate, durante la navigazione in Internet, che l’indirizzo URL sia quello del sito che si vuole visitare, e non un sito “copia”, creato per carpire dati.
    6. Installate sul vostro computer un filtro anti-spam.
    7. Controllate che, posizionando il puntatore del mouse sul link presente nell´e-mail, in basso a sinistra del monitor del computer, appaia l’ indirizzo Internet del sito indicato, e non uno diverso.
  • New York City names first female police chief

    New York City’s police force will be led by a woman for the first time in its 176-year history, Mayor-elect Eric Adams announced on Wednesday.

    Keechant Sewell, 49, is a 23-year veteran of the Nassau Police Department in nearby Long Island, where she became chief of detectives in September 2020.

    For Mr Adams, the move fulfils a campaign pledge to name a female commissioner.

    The NYPD is the largest police force in the US.

    Speaking to media on Wednesday morning, Mr Adams – a former NYPD captain- said that women often are “sitting on the bench” and “never allowed to get in the game” when it comes to policing.

    “That is stopping today,” he said.

    Ms Sewell, who is originally from the New York borough of Queens, previously served in New York’s Nassau County narcotics and major case units, and as a hostage negotiator.

    When she takes over the department in January, Ms Sewell will also become only the third black commissioner to take helm of the NYPD.

    Ms Sewell said she was “mindful of the historic nature of this announcement” and hopes to improve relations between the police and New York City’s residents.

    “I bring a different perspective to make sure the department looks like the city it serves, and making the decision, just as Mayor Adams did, to elevate women and people of colour to leadership positions,” she said.

    She added that as commissioner she plans to be “laser focused” on violent crimes particularly gun crimes.

    Bill de Blasio, the outgoing mayor, often had a difficult relationship with the NYPD. In 2015, for example, officers turned their backs on Mr de Blasio at the funeral of a police officer killed in the line of duty.

    The decision to name Ms Sewell as commissioner was praised by Patrick Lynch, the president of the largest police union in the city, the Police Benevolent Association of New York.

    “New York City police officers have passed our breaking point. We need to fix that break in order to get our police department and our city back on course,” he said in a statement. “We look forward to working with her to accomplish that goal.”

    The NYPD employs nearly 35,000 police officers, of whom approximately 18% are women.

  • In attesa di Giustizia: vigilando redimere

    Il titolo riprende il motto che compariva nello stemma degli Agenti di Custodia prima che venissero smilitarizzati e trasformati in Corpo della Polizia Penitenziaria: più comprensibile a chiunque, ancorché in latino, dell’attuale (sempre in latino) dice tutto di quella che dovrebbe essere la missione di questi servitori dello Stato, e cioè contribuire all’attuazione del principio costituzionale di finalità rieducativa della pena.
    Nei confronti degli appartenenti a questa Forza dell’Ordine si deve nutrire rispetto per il sacrificio che impone il loro ruolo: una vita trascorsa per gran parte in carcere, in sostanza dei semi liberi, con doveri, responsabilità e sacrifici che meritano di essere valorizzati. A tacere della quotidiana esposizione al rischio.
    La gran parte di loro merita questi apprezzamenti e contribuisce ad offrire a noi tutti maggiore sicurezza non meno che – nei limiti del possibile – dignitose condizioni di vivibilità ai reclusi negli istituti penitenziari. La gran parte, appunto…forse non proprio tutti anche se è fisiologico che – come in tutte le categorie – tra loro ci siano anche personalità di minore statura umana e morale.
    Nel mondo della informazione globalizzata accade che sulla pagina Facebook della rivista “Polizia Penitenziaria – Società, giustizia & sicurezza” sia stato pubblicato un rapporto dell’Autorità Garante delle Persone detenute: si tratta di un organismo statale indipendente, composto da un collegio di tre esperti in materia, in grado di monitorare, visitandoli, i luoghi di privazione della libertà (oltre al carcere, i luoghi di polizia, i centri per gli immigrati, ecc.) con lo scopo di individuare eventuali criticità e, in un rapporto di collaborazione con le autorità responsabili, trovare soluzioni per risolverle. Dopo ogni visita, il Garante nazionale redige un rapporto contenente osservazioni ed eventuali raccomandazioni e lo inoltra alle autorità competenti.
    Quello di cui trattiamo, pubblicato sul social network, evidentemente non è piaciuto per i rilievi fatti su alcune condizioni detentive di “carcere duro” registrate come inadeguate e, con il metodo di confronto e dialogo tipico di Facebook, i commenti rivolti al Garante, Prof. Mauro Palma – presumibilmente, almeno in parte, di Agenti e certamente di simpatizzanti – sono stati di questo tenore: “spero ti ammazzino un figlio, ammazzati indegno, non mi stupirei se questo fosse uno stipendiato dalle mafie, ma chi lo ha messo questo stupido?” . Solo alcuni esempi per fermarsi alle considerazioni più garbate.
    A seguito di una vasta riprovazione che ha avuto come protagonisti tanto il Sindacato di categoria della Polizia Penitenziaria che il Ministero della Giustizia passando per la Procura Nazionale Antimafia e l’Unione delle Camere Penali, il post è stato cancellato e prese le distanze dagli intervenuti.
    Non sappiamo se, prima di eliminare tutto, siano stati registrati i nominativi degli autori dei commenti: certamente sarebbe stato opportuno perché qualora si tratti di dipendenti dal Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria nei loro confronti si dovrebbero avviare azioni disciplinari e in taluni casi anche denunce penali.
    Non è stato decisamente un momento alto di espressione di democrazia, sensibilità umana e giuridica; allarma piuttosto pensare che – se così fosse – alligni ancora nelle Istituzioni la figura dello sbirro: pessimo esempio per le reclute del Corpo della Polizia Penitenziaria di cui infanga l’immagine, custode delle peggiori tradizioni carcerarie, memoria storica di un tempo che è da augurarsi come trascorso del tutto, mentre ciò che non deve dimenticarsi è l’insegnamento di quel motto: Vigilando redimere.

  • Fermati a Lecco sei appartenenti al ‘call center’ della cocaina

    La Polizia di Stato di Lecco ha eseguito 6 misure cautelari, delle quali 3 custodie in carcere e 3 obblighi di dimora, nell’ambito di un’attività di contrasto allo spaccio di cocaina. I provvedimenti restrittivi sono stati emessi a conclusione di un’attività d’indagine partita nel 2016, grazie ad una fonte confidenziale.

    I poliziotti della Squadra Mobile hanno sgominato una consolidata rete di spaccio condotta da personaggi già noti, facenti capo ad un soggetto, soprannominato “Ronni“, punto di riferimento dello spaccio di cocaina per tutta la provincia. Il gruppo di spacciatori utilizzava l’ormai noto modus operandi del “call center“, ed era in possesso di un vero e proprio parco auto che consentiva agli spacciatori di non destare sospetti alle forze dell’ordine. Gli indagati, si scambiavano il telefono nella ricezione delle chiamate degli acquirenti ed utilizzavano vetture sempre diverse per gli spostamenti, auto intestate a prestanome, risultando difficilmente monitorabili e permetteva loro di offrire un servizio continuativo ed a domicilio.

    Nel periodo esaminato durante le indagini, dal 2016 ad aprile 2018, è stato accertato uno spaccio complessivo di circa 3.000 dosi di droga, per un volume di denaro di circa 120.000 euro.

  • Una ragazza orfana violentata anche dallo Stato

    Tutte le luci della verità purtroppo nulla possono per arrestare la violenza. Ma tutti gli sforzi della violenza non indeboliscono la verità, anzi, la rafforzano

    Blaise Pascal

    Succedeva nella seconda metà del luglio scorso in Albania. Una ragazza orfana, che vive soltanto con la madre e la sorella ad una trentina di chilometri dalla capitale, è stata spietatamente stuprata e violentata fisicamente e psicologicamente dal suo fidanzato, una persona problematica e riconosciuta in zona per le sue bravate. La ragazza, appena ha potuto, è andata a denunciare tutto presso il commissariato di Polizia più vicino. Ma il poliziotto di turno, appena ha sentito il nome dello stupratore, ha desistito di trattare il caso. Sì, perché il ragazzo stupratore è il figlio del deputato di zona, rappresentante della maggioranza governativa. Allora la ragazza orfana e senza difesa, tranne il suo coraggio, la sua rabbia e la sua disperazione, ha provato in un altro commissariato. La stessa cosa. Poi è andata in un commissariato a Tirana, dove finalmente ha ufficializzato la sua denuncia. Ma la pratica è stata rinviata, per competenza, presso il primo commissariato. Poi tutto si chiuse lì. Questo per quanto riguarda la cronaca.

    Il caso è stato denunciato allora dall’ex primo ministro. Ma la propaganda governativa, messa subito in moto, ha offuscato tutto. Poi altri scandali politici quotidiani, come sempre, hanno attirato l’attenzione, cosicché il caso della ragazza orfana avrebbe avuto la triste e drammatica sorte di chissà quanti altri casi. Ma grazie alla denuncia di un coraggioso ispettore di polizia il caso è stato riaperto la settimana scorsa. Si tratta dell’ispettore che aveva ricevuto la ragazza, dopo il trasferimento della sua pratica presso il commissariato di competenza. Lui, dopo aver sentito la ragazza, aveva contattato la procura e ha avuto l’ordine di arrestare lo stupratore. Ma niente ha potuto fare perché subito all’ufficio dell’ispettore sono piombati il padre deputato e suo fratello, insieme con il capo del gruppo parlamentare della maggioranza governativa e il sindaco della città. Mentre fuori attendevano altre persone armate. Tutto questo in un commissariato della polizia di Stato! Lo zio dello stupratore ha minacciato senza mezzi termini l’ispettore mostrandoli una pistola, se avesse cercato di arrestare suo nipote. L’ispettore ha informato subito dell’accaduto il suo superiore. Poi, non avendo avuto risposta o reazione alcuna, ha fatto lo stesso con i funzionari della Direzione Generale della Polizia di Stato. Ma anche da quegli uffici nessuna risposta o reazione. Sono arrivate ripetute, però, le minacce di morte all’ispettore. Al che egli ha scritto, chiedendo protezione per se e per la sua famiglia, al direttore generale della polizia di Stato, al ministro e al primo ministro. Come sempre, nessuna risposta. Allora l’ispettore ha deciso di fare quello che non avrebbe mai voluto fare. Avendo contro non solo il clan criminale del deputato di zona, ma anche le strutture dello Stato, egli è stato costretto il 14 settembre scorso a lasciare l’Albania, chiedendo asilo all’estero.

    Questi fatti e altri ancora sono stati resi noti dall’ispettore durante un’intervista televisiva la scorsa settimana. Una dettagliata intervista fatta da un professionista. Da sottolineare che l’ispettore non è un poliziotto qualsiasi. Risulta essere una delle pochissime persone della polizia di Stato che sono state addestrate per essere infiltrate in operazioni speciali di polizia. Cosa che lui ha fatto con successo in precedenza. Ed è stato grazie alla sua professionalità, alla sua integrità morale e al suo coraggio, che il caso della ragazza orfana e indifesa è stato riaperto, attirando tutta la dovuta attenzione pubblica e mediatica.

    I rappresentanti della maggioranza governativa, la sua potente propaganda insieme con i soliti opinionisti mercenari, trovandosi impreparati di fronte a tutto ciò, hanno reagito in maniera disordinata. Il primo a farlo è stato il capo del gruppo parlamentare della maggioranza, allo stesso tempo anche segretario generale del partito guidato dal primo ministro. Lo ha fatto perché l’ispettore lo ha nominato come una delle persone presenti mentre veniva minacciato nel suo ufficio. Come suo solito, lui ha mentito spudoratamente, per poi negare, senza batter ciglio, la sua precedente dichiarazione pubblica con un’altra successiva che non reggeva. Perché una data in un suo status, portato come prova, non lasciava dubbi. Si è verificato per l’ennesima volta quanto dice la saggezza popolare, secondo la quale chi si scusa si accusa. Poi sono entrati in gioco la propaganda governativa con i suoi pezzi grossi. Ma non potevano nascondere la verità e non potevano annebbiare i fatti documentati che non lasciavano dubbi. Durante questi ultimi giorni sono state tante le agghiaccianti novità, dalle quali risulta che la ragazza orfana è stata stuprata non solo dal figlio del deputato, ma anche dallo Stato. Costretti dagli sviluppi degli ultimi giorni, domenica scorsa finalmente hanno arrestato lo stupratore. Ma soltanto per molestia. E, tutto sommato, hanno già preparato la sua liberazione. Proprio lui che nel frattempo girava indisturbato e armato, nonostante dovesse essere arrestato. Perché si sentiva intoccabile. E lo era, se non fosse stato per le dichiarazioni del coraggioso ispettore, ora in esilio.

    Ma quello che irrita e offende l’intelligenza, in tutto questo caso, è l’atteggiamento del primo ministro. Dopo un silenzio iniziale, ha attaccato con la sua solita arroganza il coraggioso ispettore, chiamandolo farabutto. Proprio come ha fatto tre anni fa, il 16 settembre 2015, con un altro coraggioso commissario di polizia, anche lui ora in esilio all’estero, perché minacciato di morte. Proprio quel commissario che per primo ha denunciato il coinvolgimento diretto dell’ex ministro degli Interni, delfino del primo ministro, nel traffico internazionale degli stupefacenti. Adesso quel ministro è indagato. Il primo ministro ha fatto lo stesso come quando l’ex primo ministro denunciava in Parlamento l’uso degli aerei per il trasporto delle droghe. Alloro il primo ministro ha cercato di ridicolizzare, chiamando zanzare gli aerei. Il tempo però ha dimostrato che le “zanzare” del primo ministro trasportavano veramente e indisturbate droga verso le coste italiane. E l’elenco delle bugie del primo ministro, smentite in seguito, è lungo. Ma lui, per il momento, se ne infischia altamente, perché sa di controllare tutto e tutti, grazie alla connivenza con la criminalità organizzata. Chissà però fino a quando?!

    In questi giorni chi scrive queste righe ha pensato, tra l’altro, anche agli inchini mafiosi in Italia, con i quali la mafia pretende rispetto e devozione dai cittadini. Ma in quei casi le forze dell’ordine intervengono e fanno il loro dovere. Mentre in Albania sono le forze dell’ordine che si inchinano di fronte al potere occulto. Si inchina lo Stato! L’inchino in Albania assume, perciò, un aspetto diverso. Quello in cui le forze dell’ordine si mettono al servizio dei potenti, familiari e parenti compresi, per coprire le loro malefatte di ogni genere. Grazie al coraggio di un ispettore di polizia, questa grave realtà si è evidenziata di nuovo. Ma purtroppo questa volta una ragazza orfana e indifesa è stata violentata anche dallo Stato. Dallo stesso Stato che doveva proteggerla e che invece ha protetto il suo stupratore.

  • Chi va là? Altolà! Fermo o sparo!

    Era, ed è, questa la formula che le sentinelle delle nostre Forze Armate devono impiegare prima di aprire il fuoco contro un intruso sospetto avvistato nelle vicinanze di una installazione militare e, in caso di mancata risposta o disobbedienza, il fuoco deve essere aperto innanzitutto in direzione delle gambe e non verso parti vitali del corpo.

    Ora, in via sperimentale e in una dozzina di città, Polizia di Stato, Guardia di Finanza e Carabinieri sono stati dotati di TASER, acronimo con cui si identificano i cosiddetti dissuasori elettrici: un’arma da fianco ritenuta non letale rispetto ad una da fuoco ma perfettamente idonea agli impieghi della polizia di prevenzione potendo garantire l’immobilizzazione del soggetto attinto di cui fa contrarre i muscoli.

    In realtà, lo strumento, non è così innocuo come può sembrare: a prescindere dal fatto che l’ONU lo ha inserito tra gli strumenti di tortura per l’uso distorto cui può essere destinato, le morti a seguito di scarica elettrica da TASER sono oltre un migliaio solo negli Stati Uniti dove è in dotazione da più tempo; ciò dipende dal fatto che condizioni psico-fisiche non conosciute né conoscibili dall’utilizzatore possono rendere micidiale la scarica ad alto voltaggio…e tanto è vero che le regole di ingaggio declinate ai nostri agenti cui è stato, per ora, fornito unitamente ad apposito addestramento prevedono che solo dopo un quarto avvertimento (contro i tre delle sentinelle ricordati all’inizio) e solo se attaccato l’operatore può dirigere l’arma contro l’aggressore.

    Arma a tutti gli effetti tanto è vero che la vendita è consentita solo a chi sia dotato di licenza, potenzialmente micidiale e come tale da impiegare con la cautela destinata a una pistola tradizionale.

    Tutto sommato e nonostante le premesse, se impiegato senza eccessiva disinvoltura e in casi estremi come previsto dal nostro regolamento, uno strumento non suscettibile di eccessive critiche.

    Però…c’è un però: uno dei sottosegretari alla Giustizia ne ha ipotizzato la dotazione agli agenti della Polizia Penitenziaria lasciando intendere che il TASER dovrebbe essere portato anche all’interno degli istituti di pena. In verità, l’Ordinamento Penitenziario vigente vieta che gli agenti siano armati solo se di servizio sugli spalti o all’esterno, in casi limite – per esempio una sommossa – solo su ordine e responsabilità del Direttore; la ragione è ovvia: inferiori per numero ai detenuti è inopportuno metterli a rischio che vengano sopraffatti e disarmati con conseguenze immaginabili.

    Ma questo il sottosegretario dovrebbe saperlo: viene da domandarsi se non si sia al cospetto di un mero esercizio “muscolare” da parte di esponenti del Governo volto a rappresentare una svolta che soddisfi le istanze securitarie dei cittadini e che fa il paio con altri interventi preannunziati. Il carcere non può restarne fuori: tanto è vero che il nuovo Capo Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria ha già parlato di un programma che critica aspramente le linee guida della riforma sulle misure alternative alla detenzione studiata nella precedente legislatura ma fatta abortire all’esordio di quella attuale. Più carcere, più carceri, meno trattamenti premiali e – quindi – minor rispetto di principi costituzionali di ispirazione illuminista e liberale a dispetto delle statistiche che parlano di abbattimento significativo della recidiva rispetto a coloro che hanno goduto di rieducazione adeguata inframuraria e benefici. In compenso più armi, fossero solo i TASER, a dimostrare il dato che si sta “buttando via la chiave”, come se si possa pensare che un condannato senza un tentativo adeguato di recuperarlo una volta tornato libero – perché prima o poi ci ritorna – sia migliore e non piuttosto ancora più disperato e incattivito verso il sistema, quel sistema che resta disperatamente in attesa di Giustizia.

  • Polizia di Stato e MM S.p.A. siglano accordo su prevenzione e contrasto dei crimini informatici

    Siglato a Roma l’accordo tra Polizia di Stato e MM S.p.A. per la prevenzione e il contrasto dei crimini informatici che hanno per oggetto i sistemi e servizi informativi di particolare rilievo per il Paese.

    La convenzione, firmata dal Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, Franco Gabrielli, e dal Presidente di MM S.p.A., Davide Corritore, rientra nell’ambito delle direttive impartite dal Ministro dell’Interno per il potenziamento dell’attività di prevenzione alla criminalità informatica attraverso la stipula di accordi con gli operatori che forniscono prestazioni essenziali.

    La Polizia Postale e delle Comunicazioni è infatti quotidianamente impegnata a garantire l’integrità e la funzionalità della rete informatica delle strutture di livello strategico per il Paese attraverso il Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche.

    MM S.p.A., è una delle più grandi e diversificate società d’ingegneria in Italia, in grado di fornire soluzioni su misura nella progettazione e riqualificazione degli ecosistemi urbani e, pertanto, la protezione dei suoi sistemi informatici è da considerarsi necessaria per assicurare il pieno compimento della mission aziendale.

    L’accordo rappresenta una tappa significativa nel processo di costruzione di una fattiva collaborazione tra pubblico e privato: un progetto che, in considerazione dell’insidiosità delle minacce informatiche e della mutevolezza con la quale esse si realizzano, risulta essere strumento essenziale per la realizzazione di un efficace sistema di contrasto al cybercrime, basato quindi sulla condivisione informativa e sulla cooperazione operativa.

    Alla firma della convenzione erano presenti, per il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, il Direttore Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato Roberto Sgalla e il Direttore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni Nunzia Ciardi, mentre per MM S.p.A. il Direttore IT Nicola Rivezzi.

     

    Fonte: Comunicato stampa di MM Spa del 9 luglio 2018

  • Spanish police dismantle Ukrainian-Russian ATM jackpot gang

    Police in Spain have broken up a cybercrime gang made up of Ukrainians and Russians that allegedly stole more than 1 billion euros from financial institutions worldwide in a five-year spree.

    According to statements issued by the Spanish police and Europol, the leader of the gang, a Ukrainian named “Denis K.” and his three suspected accomplices of Russian and Ukrainian origin, have been identified and arrested in the Spanish city of Alicante. In Ukraine, police said that an unidentified 30-year-old man linked to the gang was cooperating with authorities.

    The hackers — whose activities have long been tracked by security researchers — used malware to target more than 100 financial institutions worldwide, sometimes stealing up to 10 million euros in each heist. Almost all of Russia’s banks were targeted, and about 50 of them lost money in the electronic robberies, authorities said. The gang used well-worn techniques such as booby trapped emails to break into banks and compromise the networks controlling ATMs, effectively turning the machines into free cash dispensers.

    Authorities said that the gang converted its illicit gains into bitcoins and used the cryptocurrency to purchase big ticket items, including houses and vehicles, in Spain. In each attack, the hackers’ modus operandi followed a familiar formula: bank workers would be targeted with emails claiming to come from legitimate companies, but carrying a malicious attachment. Once executed, the malware would give the remote hackers control over the compromised computer, granting them access to the bank’s internal network, and able to infect servers used to control ATMs.

     

  • Branco di criminali o polizia di Stato?

    Potete ingannare tutti per qualche tempo, o alcuni per tutto il tempo.
    Ma non potete prendere per i fondelli tutti per tutto il tempo.

    Abraham Lincoln
    Finalmente l’8 gennaio scorso, in Albania è stato rimosso dall’incarico il direttore generale della Polizia di Stato. Era ora! Con un comunicato ufficiale, il ministero degli interni informava che “Il Consiglio dei Ministri ha deciso…di interrompere il mandato del direttore generale della Polizia di Stato”. Nel comunicato si sottolineava comunque che il ministro degli interni “apprezza il contributo, il coinvolgimento e la devozione [del direttore] nel dirigere la Polizia di Stato durante gli ultimi anni”. Poi, nello stesso comunicato, si spiegava la ragione per la quale il direttore è stato rimosso. Il motivo era che “…la realizzazione degli obiettivi… nel campo dell’ordine e della sicurezza pubblica, le sfide che riguardano la Polizia di Stato richiedono un ritmo più veloce e una grande dinamica di lavoro…. Perciò è indispensabile un nuovo dirigente, con nuove energie per motivare e portare avanti il lavoro della Polizia di Stato”.
    Chiunque conosca la problematica realtà albanese e si riferisce poi a questo comunicato ufficiale non può non accorgersi che anche nel presente caso l’ipocrisia governativa non ha deluso! Una doppia ipocrisia nella dichiarazione del ministero degli interni. Da una parte si elogia il direttore generale rimosso dall’incarico, mentre durante il suo mandato è stato consumato, tra l’altro, tutto lo scandalo della massiccia coltivazione e del traffico illecito di ingenti quantità di cannabis che, altrettanto massiccio e frequente, continua tuttora. Lo sanno bene le forze dell’ordine e le procure anche in Italia, mentre dalla parte albanese le azioni punitive sono scarsissime e colpiscono soltanto gli ultimi della catena criminale. Dall’altra parte, nella comunicazione sopracitata, si afferma che nonostante tanti successi del direttore, lui viene comunque rimosso dall’incarico! Tutti in Albania capiscono facilmente la farsa e l’ipocrisia governativa, presumendo anche le vere ragioni che possano aver finalmente costretto il primo ministro a prendere una simile e sofferta decisione. Ragioni che comunque, si pensa, siano legate e si riferiscano a degli interessi occulti e malsani.
    L’ormai rimosso dall’incarico direttore generale della Polizia di Stato doveva, egli stesso, lasciare il mandato da tempo. Le occasioni non sono mancate e non sono state poche, anzi! Consegnare le dimissioni sarebbe stato un suo dovere e obbligo istituzionale e morale. Ma non lo ha fatto. Non lo ha fatto lui, il direttore generale della Polizia di Stato, il quale aveva firmato, personalmente e a più riprese, gli ordini ufficiali per destituire tutti, o quasi tutti, i dirigenti e i commissari della polizia in tutte le regioni del Paese, a causa dei continui scandali evidenziati e denunciati! Non lo ha fatto, mentre la coltivazione della cannabis invadeva tutto il territorio e il suo traffico illecito diventava un serio problema anche per i paesi confinanti! Non lo ha fatto neanche quando erano stati evidenziati, dai servizi segreti stranieri e/o quelli albanesi, tanti casi che provavano il coinvolgimento attivo di determinati e ben noti segmenti della Polizia di Stato, sia nella fase della coltivazione massiccia, che durante la fase del traffico illecito di enormi quantità di cannabis! Non lo ha fatto nemmeno un anno fa, quando un rapporto confidenziale dei servizi segreti albanesi, a conoscenza anche del primo ministro e dello stesso direttore, evidenziava 127 ufficiali della polizia di Stato che risultavano coinvolti direttamente nella massiccia coltivazione e/o dei traffici illeciti della cannabis e altre droghe pesanti. Alcuni di loro, risultano tuttora irreperibili, dopo che la procura e il tribunale hanno chiesto il loro arresto. Scappati all’estero, oppure ancora in Albania, forse protetti e/o minacciati, perché sanno molte cose, fatti accaduti e nomi illustri. E tutto ciò i dipendenti dell’ormai dimesso direttore generale della polizia lo hanno fatto, ovviamente, dietro profitti milionari, in contanti, azioni e/o altre forme di rimunerazione. Da sottolineare che la cannabis è stata ed è tuttora solo una delle serie problematiche che doveva e deve affrontare la polizia in Albania.
    A questo punto vengono naturali le domande: perché il direttore generale della Polizia di Stato non ha dato le dimissioni a tempo debito? E, non avendolo fatto, perché non è stato rimosso allora dall’incarico da chi di dovere, primo ministro per primo? Proprio da lui che si sa che dal 2013 ad oggi decide su tutto e fa il buono e il cattivo tempo. Anche, e soprattutto, a scapito degli interessi dei poveri cittadini albanesi. Perché non è stato mai fatto?! Una risposta a queste domande è obbligatoria. Comunque è un punto di riflessione per tutte le persone responsabili, cittadini albanesi e rappresentanti internazionali, che vogliono il bene del Paese.
    Invece il primo ministro, uno dei principali ideatori e attuatori della propaganda governativa e senz’altro il più interessato ai risultati concreti di questa propaganda, per tutti questi anni, dal 2013 ad oggi, ha coniato e si è servito dello slogan “La polizia che vogliamo”, a scopo puramente propagandistico. La polizia che voleva il primo ministro e il suo “più virtuoso ministro” degli interni, adesso indagato per traffico di stupefacenti in seguito a lunghe intercettazioni della procura di Catania (Patto Sociale n. 285 ecc.), purtroppo era ed è ancora una polizia che convive e si mette al servizio della criminalità organizzata, in palese ed evidente contrasto con i suoi obblighi istituzionali e contro gli interessi dei cittadini albanesi.
    Entusiasta dei risultati della sua propaganda per la “Polizia che vogliamo [leggi voleva]”, il primo ministro ha coniato un altro slogan durante la campagna elettorale dell’anno scorso, e tuttora parte della propaganda. Il nuovo slogan è “L’Albania che vogliamo”! Tenendo presente ormai quanto è successo e sta succedendo con la Polizia di Stato, tutto fa presagire al peggio per l’Albania, se non si reagisce responsabilmente e in tempo.

    Il 13 gennaio scorso occorreva il 105° anniversario della costituzione della Polizia di Stato. Un anniversario che trova questa polizia in una situazione veramente deplorevole. Mentre il primo ministro, durante un discorso propagandistico all’occasione, dichiarava che “…la Polizia di Stato è oggi l’istituzione con la più alta credibilità pubblica” (Sic!). L’ennesima assurdità propagandistica, che suscita una sgradevole e irritante sensazione. Perché più a una Polizia di Stato, fatti alla mano, sembrerebbe ad un branco di criminali. Questa è e dovrà essere per tutti un’allarmante realtà, che non si può nascondere a lungo, neanche da colui che adesso governa in Albania.

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