
La compiaciuta sordità politica
Indipendentemente dall’esito elettorale, sia per quanto riguarda il referendum che per le amministrative, risulta evidente come il problema legato all’affluenza alle urne venga sostanzialmente sottovalutato se non addirittura ignorato perché considerato come possibile istigatore di dubbi sulla legittimità delle elezioni dal ceto politico. L’astensionismo viene comunque inquadrato all’interno di un fenomeno di disaffezione verso le istituzioni politiche ed i partiti in particolare del quale neppure le cariche istituzionali sembrano preoccuparsi e tantomeno porvi rimedio pur essendo queste ultime garanti della stessa democrazia.
In questo contesto, poi, le reazioni tanto a parole quanto nei comportamenti di tutte le dirigenze dei partiti dimostrano da oltre trent’anni, attraverso i propri comportamenti e la selezione della classe dirigente, la perseverante propria autodistruzione reputazionale, determinando una sempre maggiore disaffezione presso i cittadini con una inevitabile costante diminuzione dei votanti, tanto da rendere corretta la definizione di questa compiaciuta sordità come una vera e propria strategia.
Va ricordato infatti come, quando alle urne si recano poco più del 50% degli aventi diritto, inevitabilmente il valore del voto dei propri iscritti, dei simpatizzanti e dei sostenitori per un determinato schieramento politico acquisisca statisticamente un valore maggiore rispetto all’ipotesi di una affluenza del 100% degli iscritti alle liste elettorali.
Per conseguire questo sordido obiettivo la stessa classe politica opera in modo da essere percepita come sempre più distante e suscita di conseguenza l’allontanamento dalla politica stessa di una parte di elettori attraverso il mancato esercizio del voto. Cosi viene diminuito il quoziente elettorale e contemporaneamente si accresce il valore del voto sicuro degli scritti, dei simpatizzanti, dei sostenitori ed, in ultima analisi, delle segreterie dei partiti.
Questo semplice dato statistico assicura un ruolo sempre più centrale e determinante nella vittoria politica al partito ed alla sua segreteria i quali da soli, a fronte di una scarsa affluenza, possono determinare con il voto dei propri sostenitori l’esito stesso delle urne.
Questo spiega, di conseguenza, il perché di fronte ad un fenomeno di disaffezione verso lo strumento del voto le istituzioni statali e gli stessi partiti non abbiano mai dimostrato nessuna attenzione e tantomeno modificato il proprio comportamento per cercare di ovviare a questa problematica. Una lontananza siderale che se si manifestasse all’interno di un contesto economico vedrebbe le aziende investire risorse finanziarie e professionali con l’obiettivo di riacquisire la centralità della propria posizione.
La sordità dei partiti, di tutti i partiti, esprime invece un ragionamento ed una bieca strategia la quale intende rendere sempre più marginale l’espressione di opinione che il voto assicura e così renderla semplicemente una manifestazione di vicinanza ideologica dei propri iscritti ed affezionati elettori e sostenitori.
Questa classe politica, in altre parole, sta svuotando di ogni significato una delle massime espressioni democratiche come il voto, determinando, con i propri comportamenti e la propria sordità verso le più importanti aspettative dei cittadini, in alcuni casi persino ridiccolizzandole rispetto a quelle di minoranze di genere, l’inevitabile progressivo allontanamento e disaffezione al voto.
La democrazia, in altre parole, non può certamente essere rappresentata da una classe politica italiana impegnata solo al conseguimento del proprio interesse il quale può essere raggiunto con maggiore facilità attraverso la disaffezione al voto dei cittadini stessi.
Mai come ora il nostro Paese si sta lentamente allontanando dal modello democratico occidentale.