Con poco meno di 46 milioni di aventi diritto hanno votato poco più di 14 milioni, cioè il 30,6%. Ma già sono cominciati i teatrini politici tra chi si considera vincitore e chi un non perdente.
Ancora una volta si assiste al miserevole tentativo di appropriazione indebita dei risultati elettorali oggi referendari, ad ulteriore conferma della attribuzione di un ulteriore valore politico al referendum.
Alcuni rappresentanti già ora, tra i non perdenti, avanzano la necessità di una nuova iniziativa referendaria finalizzata alla abolizione del quorum, a dimostrazione di come questi soggetti in cerca solo di un nuovo palcoscenico mediatico non abbiano neppure le basi culturali minime relative all’asset istituzionale del nostro Paese.
La Repubblica italiana è una democrazia parlamentare delegata, all’interno della quale l’istituto del referendum è stato concepito dai costituenti come unico e timido elemento spurio di democrazia diretta, finalizzato solo ed esclusivamente alla abrogazione di una legge esistente (art.75) o di ratifica di una modifica costituzionale.
Questa limitazione del referendum indica senza dubbio la scarsa considerazione che i costituenti avevano nella capacità di scelta degli elettori italiani la cui lontananza dal ceto politico viene confermata ancora oggi da una discutibile ed obsoleta “assenza del vincolo di mandato”.
Viceversa, in una democrazia diretta come quella svizzera, la quale rappresenta il vero ed unico modello di democrazia contemporanea rispetto anche alla oligarchia europea, i cittadini vengono chiamati ad esprimere il loro parere attraverso il voto postale su diverse materie di interesse pubblico, quindi anche fiscali ed economiche, tematiche invece escluse dai costituenti italiani nella definizione dell’istituto del referendum abrogativo.
In questo elvetico contesto evidentemente il quorum non ha ragione di esistere in quanto l’esito elettorale rappresenta la democratica espressione di una volontà popolare esattamente come avviene in Italia per le elezioni politiche. In Italia, infatti, il risultato delle elezioni non è legato alla percentuale di affluenza degli elettori. La pretesa, quindi, della abolizione del quorum risulta assolutamente priva di assetto istituzionale e rende ridicola ogni equiparazione tra il numero di votanti del referendum e la maggioranza che sostiene il governo.
In più, entrambi gli schieramenti cercano di appropriarsi del numero degli aventi diritto che abbiano o meno esercitato appunto quanto costituzionalmente garantito, “partiamo dai quindici milioni di votanti”, hanno detto molti leader tra i non perdenti. Un’operazione decisamente impropria in quanto, ad esempio, al quesito relativo ai tempi per ottenere la cittadinanza italiana andrebbero tolti quasi cinque milioni di elettori che hanno votato No alla modifica legislativa.
In questo ambito, in più, sembra incredibile come nessuno abbia avvertito come impropria la decisione della Corte Costituzionale relativa alla ammissibilità del quesito referendario sulla cittadinanza, in quanto la Corte di fatto ha avallato un referendum che proponeva non solo la volontà di abrogare la legislazione vigente ma, contemporaneamente, proponeva i “nuovi tempi” per vedere riconosciuto lo stesso diritto, quindi in immediata sostituzione della normativa vigente, spingendosi molto al di là dei confini di una semplice abrogazione attribuita e riconosciuta dalla Costituzione italiana.
Qualora l’esito elettorale fosse stato positivo avrebbe comunque limitato l’attività legislativa del Parlamento, indicando al suo interno già il termine di cinque anni al quale attenersi, esautorandone di conseguenza i poteri costituzionalmente garantiti come la sua stessa autonomia. In pratica il potere legislativo esercitato dal Parlamento sarebbe stato limitato nella definizione della nuova normativa anche rispetto ai tempi dallo stesso quesito referendario, trasformando in modo improprio il carattere abrogativo del referendum in addirittura propositivo e legislativo tipico di una democrazia diretta, ma in forte contraddizione quindi con l’asset istituzionale italiano.
Ancora una volta il quadro che ne esce di fronte a questa operazione di appropriazione indebita degli esiti elettorali definisce il senso di inadeguatezza dell’intera classe politica ma anche insinua un senso di parzialità di organi ed istituzioni che dovrebbero esercitare un ruolo terzo.