voto

  • Il Presidente del Consiglio chiede agli italiani “volete scegliere voi o far scegliere ai partiti?”

    Alla domanda di Giorgia Meloni rispondiamo con chiarezza: vogliamo scegliere noi, ovviamente, e vogliamo scegliere prima di  tutto chi ci deve rappresentare al Parlamento.

    Nessuna riforma costituzionale, per eleggere il premier, può essere incardinata ed attuata se prima non si da risposta all’esigenza espressa da tempo dagli italiani di tornare, con la preferenza, a votare direttamente chi dovrà rappresentarli, esigenza inascoltata che ha portato ad una sempre maggior astensione dal voto.

    Da troppo tempo sono i capi partito a scegliere chi andrà al Parlamento a rappresentare i cittadini: l’aver esautorato gli elettori dal loro diritto di scelta li ha allontanati dalle urne e ha consentito ai leader di nominare parlamentari a loro vicini e spesso signorsì.

    I deputati, con l’attuale sistema elettorale, non hanno nessun obbligo, interesse, a occuparsi del territorio di elezione mentre sono tesi ad accontentare i capi partito sperando di essere confermati anche nella prossima tornata elettorale. Anche per questo il Parlamento ha sempre minor peso.

    Se i cittadini sono degni di eleggere il premier a maggior ragione lo sono per eleggere i parlamentari.

    Se di pari passo all’elezione diretta del premier non ci sarà il diritto di preferenza per i cittadini ci troveremmo di fronte ad una menzogna, ad un nuovo violento vulnus della democrazia.

    Se è legittimo un premio di maggioranza alla coalizione che vince le elezioni, ripetiamo coalizione e non singolo partito con più voti, crediamo che il primo problema da porsi sia quello di quanti elettori hanno partecipato al voto. Risulta difficile infatti pensare che chi, eventualmente, ha vinto con il 26% del 50%, o poco più, degli aventi diritto al voto possa ottenere il 55% dei seggi.

    Ancora oggi né le forze di governo né quelle di opposizione si sono  poste il problema di quanto sia pericoloso, per la democrazia e la stessa stabilità, il costante aumento dell’astensionismo.

    La risposta a Giorgia Meloni perciò è semplice: vogliamo scegliere noi partendo dal diritto di eleggere chi riteniamo più idoneo a rappresentarci in parlamento, così potremo anche valutare il suo operato a Roma  e sul territorio.

    Vogliamo una riforma che garantisca il sistema democratico, al di là di chi vince le elezioni, il ruolo del parlamento deve rimanere centrale e perciò non si può più accettare che sia composto dai parlamentari nominati dalle oligarchie dei partiti.

    Non riteniamo garanzia di stabilità e trasparenza che un premier possa essere sostituito da un altro leader della sua coalizione, questo sistema si presta a ricatti e ad indebite pressioni e in pochi potrebbero decretare la fine di un presidente del Consiglio eletto  per meri interessi di corrente.

    Se il cuore della riforma è avere un premier eletto dai cittadini come si concilia l’eventuale sostituzione del  premier eletto, e sfiduciato dalla sua maggioranza, con un altro personaggio, della stessa maggioranza, che il popolo non ha votato? E’ una palese contraddizione di quello che il governo dice essere lo spirito della riforma.

    Giorgia Meloni, con la sua domanda posta anche via social, sembra individuare nei partiti l’ostacolo alla pienezza della democrazia e si appella al popolo, ma i partiti non sono forse stati la cinghia di trasmissione tra i cittadini e le istituzioni?

    E se i partiti sono oggi invece diventati puri centri di interesse e di potere, scegliendo anche chi deve essere parlamentare, la colpa non è forse di quel leaderismo che imperversa da troppi anni in Italia e al quale anche la Meloni non si è mai opposta?

    E la colpa non è anche di coloro che hanno impedito che all’interno dei partiti vi fosse quel minimo di ragionamento, confronto, dibattito, contrapposizione che è proprio il sale della democrazia? Non per nulla tutt’ora non si è dato seguito a quanto la Costituzione chiede per partiti e sindacati. E sono state chiuse quelle sedi periferiche che furono luogo di incontro e confronto tra cittadini, dirigenti ed eletti.

    La maggioranza degli elettori può essere favorevole a riforme per aumentare i poteri del presidente del Consiglio se, contemporaneamente, il parlamento tornerà ad essere autentica espressione dei cittadini e non come ora delle oligarchie di partito.

    Rispetto alle notizie fino ad ora circolate, questo non sembra essere il senso della proposta per la quale Giorgia Meloni ci chiede se vogliamo scegliere noi il capo del governo o vogliamo lasciarlo scegliere ai partiti.

    Suona per altro  strano che proprio un indiscusso leader di partito, come è la Meloni, al di là dei congressi ritenuti inutili perché di esito scontato (come se non fossero utili allargati dibattiti interni), dia agli elettori un segnale così critico e negativo proprio sui partiti.

    In ultimo ricordiamo a tutti che la stabilità non è un valore in sé ma un obiettivo da perseguire con leggi rispettose degli elettori e con azioni politiche volte a riconquistare la fiducia dei cittadini.

  • Facebook sotto accusa anche in Australia: distorce le scelte di chi vota

    Il social media Facebook è stato nuovamente accusato di manipolare deliberatamente l’opinione pubblica dell’Australia. Facebook, protagonista sin dallo scorso anno di un braccio di ferro con le autorità di Canberra per la presunta politicizzazione della piattaforma, e per la richiesta dei regolatori di remunerare i media per i contenuti editoriali rilanciati dal social media, è al centro stavolta di un’inchiesta di “Sky News Australia”.

    L’emittente televisiva, in particolare, accusa la società di Mark Zuckerberg di aver preso segretamente accordi con 2 tra le maggiori università del Paese al fine di influenzare il primo referendum di riforma costituzionale organizzato nel Paese da 24 anni a questa parte, per dare una “voce” alle popolazioni aborigene australiane. Secondo l’emittente televisiva australiana, Meta – la società che controlla Facebook e Instagram – ha consentito al Royal Melbourne Institute of Technology (Rmit) di bollare come contrarie alle linee guida e censurare dalla piattaforma utenze giornalistiche che esprimevano posizioni sgradite in merito alla imminente consultazione pubblica. Quel che è peggio, Meta avrebbe siglato col Rmit un “accordo commerciale segreto” per la moderazione dei contenuti da 740mila dollari l’anno, pagati direttamente da una controllata della società in Irlanda. “Entrambe le circostanze – sottolinea l’emittente televisiva – violano i termini degli accordi assunti da Zuckerberg con le autorità australiane per assicurare l’indipendenza dei moderatori di contenuti su Facebook”.

    “Sky News” sottolinea che il Rmit era stato certificato come organo di moderazione indipendente dalla International Fact-Checking Network (Ifcn), l’organo internazionale dell’Istituto Poynter che si occupa di redigere un codice etico per le organizzazioni che si occupano di verifica dei fatti. Tale certificazione, però, è scaduta lo scorso dicembre; quel che è peggio, il Royal Melbourne Institute of Technology sarebbe solo una delle 55 organizzazioni internazionali che non hanno ottenuto il rinnovo delle credenziali dell’Ifcn, ma di cui Meta continua spesso a servirsi per la moderazione di contenuti. “Sky News” denuncia che i contenuti della sua pagina web sono stati bollati come “falsa informazione” proprio dal Rmit in molteplici occasioni dall’inizio del 2023. I moderatori dell’ateneo si sarebbero macchiati inoltre di diverse violazioni del codice etico e deontologico, ad esempio usando profili personali per bollare come “razzista” il leader dell’opposizione conservatrice australiana Peter Dutton, contrario all’approvazione del referendum.

    “Sky News Australia” punta l’indice anche contro un’altra università del Paese, l’Università di Adelaide, che starebbe sfruttando i propri contatti con Facebook per organizzare una “campagna di censura a guida accademica” tesa a influenzare l’esito del referendum. L’ateneo starebbe collaborando con “un gruppo attivista” per pubblicare “statistiche fallaci in merito alla copertura d’informazione” del referendum, a sostegno della tesi secondo cui la consultazione sarebbe oggetto di una campagna giornalistica ostile. Sulla vicenda è intervenuto ieri anche Elon Musk, proprietario di X (Twitter), che commentando l’inchiesta dell’emittente televisiva australiana ha nuovamente accusato Mark Zuckerberg, suo rivale in affari, di utilizzare Facebook per “manipolare quasi quotidianamente l’opinione pubblica su scala globale”.

    Il referendum “The Voice”, che verrà calendarizzata entro la fine del 2023, chiederà ai cittadini australiani se approvare un emendamento alla Costituzione per creare un nuovo organismo pubblico, la “Voce aborigena e degli abitanti delle isole dello Stretto di Torres”. L’approvazione del referendum aprirebbe la strada al riconoscimento delle popolazioni aborigene come “Primo popoli” del Paese, e la Voce agirebbe come organo consultivo indipendente a tutela degli interessi di queste comunità.

    Già lo scorso anno, Facebook era stato accusato dal quotidiano “Wall Street Journal” di aver causato danni deliberati ai siti d’informazione e agli account di ospedali e servizi di emergenza dell’Australia nel 2021, per influenzare l’iter di un disegno di legge che avrebbe costretto i colossi del web a retribuire i contenuti pubblicati sulle loro piattaforme dalle società d’informazione. Il quotidiano Usa era giunto in possesso di documenti interni e di testimonianze presentate alle autorità statunitensi e australiane, da cui emergeva che Facebook progettò ed eseguì un’offensiva contro profili social australiani di alto profilo: un vero e proprio “attacco preventivo” per ottenere la massima leva negoziale possibile con i legislatori di quel Paese. Oscurando i profili di editori e organi d’informazione australiani sulla propria piattaforma, Facebook avrebbe agito nella consapevolezza di danneggiare servizi essenziali e organizzazioni caritatevoli.

    Dai documenti interni emergeva anche che alcuni dipendenti di Facebook sollevarono la questione coi vertici della società, che però misero tutto a tacere. I documenti consultati dal quotidiano rivelavano inoltre che l’amministratore delegato di Facebook in persona, Mark Zuckerberg, si era congratulato coi suoi collaboratori per la riuscita dell’offensiva contro Canberra. I cinque giorni di caos informatico arrecato da Facebook all’Australia nel 2021 si risolsero in una sostanziale resa del parlamento australiano, che accettò di emendare il disegno di legge esentandone di fatto Facebook e la sua società madre Meta Platforms Inc.

  • Dittature ed elezioni libere come il diavolo e l’acquasanta

    La resistenza al totalitarismo, sia esso imposto dall’esterno

    o dall’interno, è questione di vita o di morte.

    George Orwell, da “Letteratura e totalitarismo”

    Riferendosi al diavolo, la saggezza secolare, tramite i tanti detti popolari, ci mette sempre in guardia. “Il diavolo si nasconde nei dettagli” recita un noto proverbio. Così come ci fa riflettere quanto hanno scritto molti scrittori, filosofi ed altre persone note. Il famoso scrittore francese Charles Baudelaire scriveva: “La più grande astuzia del diavolo è farci credere che non esiste”. Anche Johann Wolfgang von Goethe, il noto scrittore tedesco, ha trattato il rapporto tra il diavolo e Dio. La sua ben nota opera Faust, che si basa su una legenda locale, sulla quale lo scrittore lavorò per diversi decenni, tratta proprio l’accordo tra il personaggio principale, il dottor Faust, con Mefistofele (il diavolo, il maligno). Arricchito però dalle tante esperienze durante il suo viaggio con Mefistofele, in cerca di piaceri e delle bellezze del mondo, il dottor Faust, ci trasmette la sua ferma convinzione. “Hanno voluto scacciare il maligno e ci sono restati tutti i mascalzoni più piccoli!”. Una preziosa lezione questa per tutti. Perché non è solo il diavolo, ma ci sono anche molti altri mascalzoni, in carne ed ossa, che sono sempre presenti e fanno molti danni. Come il diavolo.

    La saggezza secolare del genere umano si tramanda di generazione in generazione. Una saggezza trasmessa oralmente e tramite documenti scritti da varie civiltà, in diverse parti del mondo. Comprese anche le Sacre Scritture. E da quella saggezza millenaria bisogna sempre imparare. Dalle tantissime esperienze vissute e sofferte risulta che ci sono delle realtà, esseri che non possono realizzarsi, convivere insieme, essendo inconciliabili tra loro. Per esempio, nelle Sacre Scritture si fa riferimento al diavolo, usando diversi denominazioni, ma comunque sempre contrapposto a Dio. Si fa riferimento anche a Giovanni Battista, il quale con l’acqua del fiume Giordano battezzava tutti coloro che credevano in Dio. E proprio riferendosi al battesimo con l’acqua, da allora questa, adoperata per i battesimi nelle chiese e benedetta dai sacerdoti, si chiama acquasanta. Ed è proprio l’acquasanta che teme più di tutto il diavolo. Ragion per cui vedendola, il diavolo scappa. Perciò lui e l’acquasanta sono inconciliabili e quell’inconciliabilità ha generato la ben nota espressione “essere come il diavolo e l’acquasanta”. Un’espressione questa, che viene usata per indicare due cose/persone che non possono essere insieme allo stesso tempo e posto.

    La saggezza umana, maturata nel tempo, ci insegna che le dittature, sotto le varie forme con le quali esse si presentano, non permettono mai delle elezioni libere, oneste e democratiche. Perché la dittatura e la democrazia sono due forme di organizzazione della società e dello Stato che, per definizione, sono ben contrapposte. Ragion per cui la dittatura e le elezioni libere, oneste e democratiche sono inconciliabili tra di loro. Sono come il diavolo e l’acquasanta. Quanto è accaduto prima, durante e dopo le elezioni amministrative del 14 maggio scorso in Albania ne è una palese ed inconfutabile testimonianza. Il nostro lettore è stato informato, in queste ultime settimane, di tutto ciò, sempre con la dovuta e richiesta oggettività. Sempre fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, risulta che ormai in Albania, dove da alcuni anni è stata restaurata una nuova dittatura sui generis, il risultato di quelle che si cerca di far passare per elezioni è sempre controllato, condizionato e manipolato per garantire la “vittoria” del primo ministro e della sua alleanza con la criminalità organizzata, con gli oligarchi e con determinati raggruppamenti occulti internazionali. Questa realtà è stata verificata e dimostrata anche con le “elezioni” amministrative del 14 maggio scorso. Si è trattato, fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, di un vero e proprio preannunciato massacro elettorale. Una realtà questa nota ormai anche al nostro lettore (Autocrati che stanno facendo di tutto per mantenere il potere, 8 maggio 2023; Cronaca di un massacro elettorale preannunciato, 15 maggio 2023; A mali estremi, estremi rimedi, 22 maggio 2023). Ed ogni giorno che passa altri fatti si stanno rendendo pubblici.

    Durante la riunione dell’allora CSCE (Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa; n.d.a.), svoltasi a Copenaghen dal 5 al 29 giugno 1990, è stato approvato quello che ormai è noto come il Documento di Copenaghen. L’articolo 6 del Documento prevede e stabilisce: “Gli Stati partecipanti dichiarano che la volontà del popolo, liberamente e correttamente espressa mediante elezioni periodiche e oneste, costituisce la base dell’autorità e della legittimità di ogni governo”. L’Albania è diventata membro della CSCE il 19 giugno 1991, durante la riunione di Berlino dei ministri degli affari Esteri dei Paesi membri della Conferenza. Durante il vertice di Budapest nel dicembre 1994, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa hanno deciso di cambiare il nome della CSCE. A partire dal 1° gennaio 1995 diventò attiva l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) con 57 Paesi membri del Nord America, dell’Europa e dell’Asia. Albania compresa. Perciò il governo albanese ha l’obbligo di rispettare gli Atti e i Documenti dell’allora CSCE ed dell’attuale OSCE. Compreso anche l’articolo 6 del Domunento di Copenaghen. La scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che “…purtroppo, durante questi ultimi anni, dal 2013 ad oggi, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, i tre governi albanesi, capeggiati dallo stesso primo ministro, quello attuale, hanno violato e spesso anche consapevolmente calpestato quanto sanciscono quei Documenti. Compreso anche l’articolo 6 del Documento di Copenaghen”. E poi aggiungeva: “…Durante le cinque elezioni generali, quelle parlamentari e locali ed altre elezioni parziali locali, i tre governi dell’attuale primo ministro, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, compresi anche i rapporti finali dell’OSCE, risulta purtroppo che si è passati dal male al peggio” (A mali estremi, estremi rimedi; 22 maggio 2023). Sì proprio di male in peggio. Come lo stanno dimostrando anche le ulteriori testimonianze e denunce pubbliche, depositate presso le dovute istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. Ma tutto fa pensare, anzi è quasi una certezza, che quelle istituzioni avranno tutt’altro da fare, tranne che occuparsi, in rispetto della Costituzione e delle leggi in vigore, delle tante denunce riguardanti il massacro elettorale prima e durante le elezioni amministrative del 14 maggio scorso.

    Ormai è stato testimoniato e dimostrato che la criminalità organizzata è stata schierata in appoggio ai candidati sindaci del primo ministro sul tutto il territorio nazionale. Così come, purtroppo, è stato testimoniato e dimostrato che spesso la polizia di Stato, nonostante sia stata avvertita, non è intervenuta. Se non, addirittura, in determinate occasioni, abbia agevolato il compito della criminalità. Dimostrando così che è diventata una polizia agli ordini del primo ministro e/o di chi per lui. Sia prima e durante, ma anche dopo le elezioni, è stato testimoniato e dimostrato che a tanti cittadini con il diritto al voto è stato cambiato il seggio elettorale, senza informarli. Durante il giorno delle “elezioni”, si sono verificati e sono stati denunciati molti casi dell’attuazione di quella che è nota come la frode elettorale denominata “carosello”, oppure “il treno bulgaro”. Una frode basata sull’uso, al inizio, di una scheda elettorale contraffatta, Poi la scheda elettorale regolare, fatta uscire fuori dal seggio, viene compilata da “chi di dovere” e poi consegnata a molti selezionati cittadini che “votano” con le schede precompilate. Loro stessi, uscendo dal seggio, consegnano la scheda vuota per essere di nuovo usata. E così via.

    Ma non sono state solo queste le violazioni e le irregolarità compiute prima e durante le “elezioni” del 14 maggio scorso. È stato testimoniato e dimostrato che in molti seggi elettorali, sul tutto il territorio nazionale, sono state palesemente violate la legislazione in vigore e le apposite ordinanze della Commissione Centrale Elettorale, l’istituzione che ha il compito costituzionale di gestire, in tutte le fasi, le elezioni. Sia prima che durante le elezioni amministrative del 14 maggio scorso sono stati evidenziati e denunciati molti casi in cui ministri, sottosegretari, alti funzionari dell’amministrazione pubblica centrale e/o locale hanno consapevolmente violato quanto prevedono le leggi in vigore. Così come si sono verificati e sono stati evidenziati e denunciati molti, moltissimi casi di compravendita del voto. Ma anche dell’impedimento ad andare a votare dei cittadini i quali, con molta probabilità, non avrebbero votato per i candidati del primo ministro. Ed era stato proprio lo stesso primo ministro il quale, durante la campagna elettorale, in palese e consapevole violazione della legislazione, “consigliava” alle donne di “chiudere in casa i propri mariti che potevano votare contro”. Prima e durante le elezioni la criminalità organizzata e determinati oligarchi, “amici personali” del primo ministro e, allo stesso tempo, clienti del governo, hanno messo in circolazione ingenti somme di denaro per condizionare il voto dei cittadini, sia nelle grandi città, che nelle aree rurali, Dovrebbero essere stati tanti milioni messi in circolazione che hanno causato, secondo gli specialisti, il crollo dell’euro nel cambio con la moneta locale. Il nostro lettore è stato informato di questo fatto la scorsa settimana (A mali estremi, estremi rimedi; 22 maggio 2023). Durante il giorno delle “elezioni” del 14 maggio scorso, è stato evidenziato e verificato che i detenuti delle carceri hanno votato quasi tutti per i candidati del primo ministro! Chissà perché?! Così come è risultato che gli abitanti di un paese vicino alla capitale, i quali da alcuni mesi stanno protestando contro una decisione abusiva del governo che riguarda le loro proprietà, abitazioni e/o terreni, abbiano votato a “grande maggioranza” il candidato del primo ministro! Bisogna sottolineare che i seggi dove loro hanno votato erano parte integrante di una delle tre municipalità dove, per la prima volta ed in modo sperimentale, è stata applicata la numerazione elettronica del voto. E, guarda caso, in tutte quelle tre municipalità si sono verificate e sono state denunciate molti “malfunzionamenti” del sistema elettronico. Così come sono state verificate e denunciate molte irregolarità dovute alla presenza di persone, soprattutto giovani, che “aiutavano” a votare altre persone, non pratiche con il sistema. E in tutte quelle tre municipalità hanno vinto in modo “molto convincente” i candidati del primo ministro! Chissà perché e come?! Ma tutte le sopracitate violazioni delle leggi in vigore sono soltanto una parte di quello che è stato un vero e proprio massacro elettorale. Ogni giorno che passa l’elenco aumenta.

    Adesso però, dopo quel preannunciato massacro elettorale, dopo le tante denunce fatte, dopo tante inconfutabili testimonianze, il primo ministro, colto in flagranza, sta parlando di “errori” dei rappresentanti dell’amministrazione pubblica in passato, ma mai durante le elezioni, come si sta inconfutabilmente dimostrando. Il primo ministro sta parlando ormai, dopo lo “spettacolare risultato elettorale”, di “doveri” che lui ed i suoi eletti hanno nei confronti dei cittadini che hanno “votato” per loro. Lui sta ringraziando anche coloro che “non sono usciti di casa per andare a votare contro” (Sic!) E tutto questo il primo ministro lo sta facendo solo e soltanto per tergiversare l’attenzione pubblica dalle tante inconfutabili testimonianze e denunce riguardanti la ben ideata, programmata e altrettanto ben attuata “strategia” del massacro elettorale.

    Chi scrive queste righe è da tempo convinto che le dittature e le elezioni libere sono come il diavolo e l’acquasanta. E condivide quanto scriveva George Orwell; cioè che la resistenza al totalitarismo, sia esso imposto dall’esterno o dall’interno, è questione di vita o di morte. Chi scrive queste righe, vista la vissuta, sofferta e drammatica realtà albanese è convinto che la dittatura sui generis in Albania si rovescia solo con delle proteste a oltranza. Egli ripete, per l’ennesima volta, una nota e molto significativa frase di Benjamin Franklin: “Ribellarsi ai tiranni significa obbedire a Dio.”.

  • Elezioni regionali: 2010/2023

    Se venisse, come sembra, confermato il trend relativo all’affluenza inferiore di oltre il 50% rispetto alle precedenti Elezioni Regionali, allora saremo di fronte alla evidente rottura del “giocattolo democratico” nel nostro Paese.

    Questa percentuale, infatti, nasce senza ombra di dubbio dalla percezione per i cittadini della sostanziale inutilità del proprio voto, anche se all’interno di una istituzione regionale e quindi nella visione del federalisti italiani intesa come più “vicina” alle legittime aspettative degli elettori e perciò in grado di risolvere le complesse problematiche dei cittadini.

    Adesso arriva l’ennesima conferma della disaffezione verso le istituzioni, e regionali in particolare, le quali vengono invece percepite come lontane ed espressione di un ulteriore blocco normativo burocratico esattamente come lo stato centrale.

    In secondo luogo, la sostanziale diserzione delle urne azzera il valore anche solo a livello propagandistico e relativo ad una facile ricetta la quale individua ogni possibile ripartenza del nostro Paese semplicemente Introducendo maggiore autonomia delle regioni, pur mantenendo invariata la classe politica e dirigente.

    Questa risibile affluenza, poi, dimostra, senza possibilità di equivoci, la stanchezza degli elettori i quali, dopo tre anni caratterizzati dalle conseguenze disastrose della pandemia alle quali si aggiungono quelle legate alla guerra in Ucraina, si ritrovano con il disarmante risultato di avere, unici in Europea, il tasso di inflazione a doppia cifra e contemporaneamente l’aumento della pressione fiscale.

    In altre parole, quando all’interno di un periodo così difficile come quello dal 2020 ad oggi si reca alle urne meno di un elettore su tre allora, differentemente da quanto sostenuto da accademici aderenti alla deriva del sistema, viene meno la stessa legittimazione del mandato elettorale sulla base del quale un parlamento o un governo credono di potere esercitare la propria funzione istituzionale.

    Il paradosso, poi, di questa rottura democratica raggiunge la sua massima espressione, trasformandosi in farsa, quando con queste minime percentuali di affluenza il potere dei partiti viceversa aumenta, grazie al maggiore peso dei propri iscritti e simpatizzanti sull’esito elettorale finale.

    Un sistema politico trae la propria legittimazione dal consenso elettorale, attraverso il quale si esprime la volontà degli elettori.

    Quando, invece, in soli tredici anni, dal 2010 al 2023, esistenti tra i due appuntamenti elettorali regionali non abbinati alle elezioni politiche, si perde oltre il 30% del rapporto fiduciario degli aventi diritto – nel 2010 l’affluenza fu del 58,76% a fronte del 37% della odierna tornata elettorale –  allora viene meno la stessa rappresentanza elettorale democratica: un quadro ormai evidente nel nostro Paese.

  • A botta calda

    A botta calda il risultato elettorale premia, giustamente, Giorgia Meloni per come ha saputo crescere politicamente portando avanti il suo partito ma anche aprendosi alla società e dimostra, non solo con le incredibili esternazioni di Berlusconi, che il pericolo maggiore per il governo sono proprio gli alleati di Fratelli d’Italia.

    Il meritato successo non deve distrarre i vincitori, e neppure i vinti, dall’analisi approfondita della sempre maggior disaffezione al voto di tanta parte degli italiani.

    Qualcuno può anche sostenere che lo stesso astensionismo si è verificato in altre democrazie ma in questo periodo storico, nel quale proprio il concetto di democrazia è messo in discussione dai vari presidenti dittatori che governano in troppi paesi, è necessario che chi governa e chi è all’opposizione analizzi e comprenda come l’astensionismo, nato dalla mancanza di credibilità dei partiti, sia un grave pericolo in e per l’Italia.

    Salvini può anche dirsi soddisfatto di aver preso più o meno il 16% ma è il 16% del misero 41% che è andato a votare!

    Se poi vogliamo parlare del peso dell’Italia in Europa le dichiarazioni di Berlusconi non incoraggiano certo le istituzioni europee a fidarsi del nostro Paese nonostante i lodevoli sforzi della Presidente del Consiglio.

    Finita la conta dei voti bisognerà cominciare a fare altri conti e nuove riflessioni.

  • L’inopportuna “tutela etica” europea

    Le elezioni rappresentano una delle espressioni più evidenti di una democrazia compiuta in quanto ai cittadini viene riconosciuto il diritto fondamentale di esprimere il proprio orientamento politico. Questo diritto, che costituisce l’essenza stessa della democrazia, talvolta è oggetto di complicazioni o di limitazioni attraverso l’applicazione di sistemi elettorali complessi ed articolati all’interno dei quali il computo complessivo dei voti spesso rappresenta un’isola della salvezza stessa di partiti, ma soprattutto una zona franca di completa ingerenza delle segreterie dei partiti stessi.

    Nonostante questo ed i sistemi elettorali adottati, l’esercizio del voto rappresenta la democrazia stessa in quanto tale ed ovviamente indipendentemente dai risultati che le urne possano esprimere.

    In altre parole, i risultati elettorali rappresentano, a prescindere dallo schieramento politico vincitore, l’essenza stessa di uno Stato democratico, a maggior ragione se aderente ad un’unione come quella Europea, in quanto una istituzione politica sovranazionale come quella rappresentata dall’Unione Europea non può né deve mettere in discussione lo stesso esercizio democratico ed espressione di un diritto in rapporto all’esito dello stesso.

    Viceversa, a meno di ventiquattro ore dalla chiusura delle urne, due esponenti europei, come la Presidente della Bce e il primo ministro francese, hanno affermato come il nostro Paese dovrà essere posto sotto tutela con l’obiettivo di salvaguardare i diritti fondamentali democratici proprio in rapporto all’esito elettorale.

    In altre parole, l’esercizio di un diritto democratico non è più sufficiente a dimostrare, e contemporaneamente, confermare la democraticità del sistema istituzione nazionale, come lo stato italiano che, proprio in rapporto all’esito elettorale, deve essere posto sotto tutela con l’obiettivo di “salvaguardare” quegli stessi diritti democratici espressi dallo stesso esercizio del voto.

    Quindi l’Italia, uno degli Stati fondatori prima della Ceca (Comunità del carbone e dell’acciaio europea) e poi della stessa UE, oggi non rappresenta, agli occhi di queste esponenti europee, una democrazia compiuta in virtù dell’esercizio democratico del voto, ma può essere considerata tale solo ed esclusivamente in rapporto a dei parametri elaborati dalla stessa Unione europea. Quindi solo sulla base della aderenza a determinati schemi ideologici uno Stato può venire considerato democratico, altrimenti deve essere posto sotto la tutela europea per la salvaguardia dei diritti fondamentali.

    In questo contesto, allora, la stessa definizione della Istituzione europea dovrà essere completamente rivista, in quanto si sta trasformando in una istituzione etica all’interno della quale lo stesso riconoscimento dei singoli Stati viene sottoposto ad una valutazione, anche solo in rapporto agli esiti elettorali espressi nell’esercizio democratico del diritto al voto.

    Un passaggio questo cruciale nella stessa definizione degli ambiti democratici riconosciuti ai singoli Stati ormai ridotti a semplici sostenitori di una prigione etica europea “superiore”.

    Mai come ora dovrebbe venire proprio dallo schieramento politico uscito perdente dal confronto elettorale una decisa presa di posizione a favore del nostro Paese nella quale venisse esplicitamente espressa l’assoluta contrarietà a questo tipo di ingerenza espressa dalle due esponenti europee e contemporaneamente confermata la assoluta democrazia del nostro Paese in quanto la democrazia italiana rappresenta un modello compiuto, anche se ovviamente migliorabile, e di certo non può essere messa in discussione nella tutela dei diritti fondamentali, o  dall’orientamento politico della compagine risultata vincente alla tornata elettorale.

    Proprio questo silenzio, invece, rappresenta uno dei motivi per i quali al nostro Paese non viene riconosciuto in ambito europeo quel ruolo fondamentale e costituente che invece la storia gli dovrebbe riconoscere.

    A causa del provincialismo e della pochezza intellettuale della nostra classe politica, priva di ogni senso comune di stato, ancora una volta il nostro Paese viene considerato non come una degna espressione di una democrazia ma come un sistema da sottoporre al controllo etico dell’Unione Europea.

  • Il diritto di scegliere i propri rappresentanti

    La lettera aperta dell’Associazione Europa Nazione dimostra come sia sempre più forte il sentimento di condanna ad un sistema elettorale che, con leggi diverse e sempre più liberticide, ha tolto ai cittadini elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti e di avere parlamentari e senatori legati effettivamente al territorio che dovrebbero rappresentare.

    Da troppo tempo le leggi elettorali hanno consegnato ai capi partito ed ai capi corrente l’esclusivo potere di scegliere, stabilire, chi sarà eletto al Parlamento ed al Senato garantendosi così parlamentari di loro esclusiva dipendenza anche al di là della affettiva competenza.

    Il sempre più forte astensionismo dimostra la ormai radicata mancanza di fiducia degli elettori verso i partiti che non rappresentano più, come sarebbe loro dovere, gli interessi della collettività ma operano per costruire piccole oligarchie.

    Qualunque sarà il risultato elettorale è bene che fin da ora tutti coloro che credono in una reale democrazia comincino a lavorare insieme per ottenere una riforma del sistema dei partiti e per una legge elettorale rispettosa degli elettori.

    La strada sarà lunga ma se non si parte non si arriva, da oggi il cammino sarà meno impervio perché, come dimostrano molti articoli apparsi in questi giorni e la lettera aperta dell’Associazione Europa Nazione cominciamo ad essere in molti a chiedere un totale cambiamento.

  • Lettera aperta dell’Associazione Europa Nazione ai leader dei partiti italiani

    Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta dell’Associazione ‘Europa Nazione’ 

    L’Associazione Europa Nazione, che ha lasciato libertà di voto ai propri soci, in quanto ha deciso di non prendere posizione ufficiale per nessun partito che concorre alle elezioni legislative del 25 settembre 2022, esprime il suo disappunto e sconcerto per l’indegno spettacolo offerto in merito alle modalità e ai criteri attuati per la formazione delle liste dei candidati.

    Ancora una volta, partiti divisi su tutto e incapaci di confronti sereni, hanno confermato il “patto di ferro” dell’intesa tra loro di continuare l’esproprio del diritto costituzionale dei cittadini italiani di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento.

    E’ dal 2005, con il varo della legge elettorale definita “Porcellum”, fino all’attuale normativa “Rosatellum”, che la politica si fa beffe dei diritti degli elettori e della rappresentanza dei territori e riduce la scelta dei candidati al Parlamento a decisioni discrezionali e arbitrarie di parenti, coniugi e amici personali, spesso inadeguati al ruolo, che vengono incredibilmente paracadutati in territori a loro del tutto estranei.

    Una sagra di nomine che non hanno nulla di politico e di rappresentativo, fondate sul principio dell’appartenenza fiduciaria ai leader, senza alcun legame con il popolo elettore.

    Un meccanismo prepotente e offensivo della sovranità popolare, che per quanto attiene specificatamente al Senato, potrebbe assurgere a vera e propria violazione della costituzione, atteso che per la Camera Alta il principio di rappresentanza è fondato su base Regionale.

    I candidati dovrebbero quindi essere residenti nella Regione e non sconosciuti esterni che poi si dileguano all’indomani delle elezioni.

    Ma come si può ancora impunemente consentire ai partiti di esercitare poteri che violano la Costituzione? Come si possono ancora ritenere libere elezioni, attività di finta espressione del voto, limitato unicamente ad una scelta di simboli di partito e non di persone, senza più alcun legame con gli interessi popolari e territoriali?

    Ma cosa di diverso si può pretendere dagli attuali partiti, ridotti a comitati elettorali, che non hanno mai adottato regole interne che garantissero gestioni e decisioni democratiche?

    Aveva ragione Piero Calamandrei quando alla Assemblea Costituente dichiarò: “una democrazia non può essere tale se non sono democratici anche i partiti”.

    Anche per questo la politica ha perso ogni credibilità e competenza e subisce il commissariamento di Premier “tecnici”.

    Per queste ragioni Europa Nazione si rivolge a tutti i leader dei partiti in corsa alle elezioni anticipate e chiede una dichiarazione pubblica di impegno, subito dopo le elezioni, ad approvare una legge elettorale che restituisca i diritti negati ai cittadini e ai territori.

    Solo così i cittadini potranno valutare quali leader saranno disponibili ad uscire dalla congrega degli usurpatori dei diritti costituzionali del popolo elettore italiano, così come potranno giudicare i leader che continueranno ad ignorare la richiesta di ripristino delle garanzie democratiche.

    Non è più tempo di egoismi e prepotenze, ma di scelte per il ritorno all’etica e al rispetto della Carta Costituzionale, nel primario interesse del Paese.

    Viva la democrazia e viva l’Italia.

    Europa Nazione

    I firmatati: Nicola Bono, Alfonso Amaturo, Alessandro Arancio, Nadia Barattucci, Corrado Cammisuli, Enrico Facco, Renato Giovannelli, Giorgio Holzmann, Salvo La Porta, Gennaro Malgieri, Dino Melluso, Silvio Meloni, Silvano Moffa, Enzo Molettieri, Pippo Monaco, Mimmo Nania, Adriano Napoli, Oronzo Orlando, Walter Pepe, Maria Rosaria Perdicaro, Rosario Polizzi, Francesco Rubera, Manuela Ruggieri, Noemi Sanna, Rosario Trotta, Roberto Visentin, Vittorio Delogu

  • La compiaciuta sordità politica

    Indipendentemente dall’esito elettorale, sia per quanto riguarda il referendum che per le amministrative, risulta evidente come il problema legato all’affluenza alle urne  venga sostanzialmente sottovalutato se non addirittura ignorato perché considerato come possibile  istigatore di dubbi sulla legittimità delle elezioni  dal ceto politico. L’astensionismo viene comunque inquadrato all’interno di un fenomeno di disaffezione verso le istituzioni politiche ed  i partiti in particolare del quale neppure le cariche istituzionali sembrano preoccuparsi e tantomeno porvi rimedio pur essendo queste ultime garanti della stessa democrazia.

    In questo contesto, poi, le reazioni tanto a parole quanto nei comportamenti di tutte le dirigenze dei partiti dimostrano da oltre trent’anni, attraverso i propri comportamenti e la selezione della classe dirigente, la perseverante propria  autodistruzione reputazionale, determinando una sempre maggiore disaffezione presso i cittadini con una inevitabile costante diminuzione dei votanti, tanto da rendere corretta la definizione di questa compiaciuta  sordità  come una vera e propria strategia.

    Va ricordato infatti come, quando alle urne si recano poco più del 50% degli aventi diritto, inevitabilmente il valore del voto dei propri  iscritti, dei simpatizzanti e dei sostenitori per un determinato schieramento politico acquisisca statisticamente un valore maggiore rispetto all’ipotesi di una affluenza del 100% degli iscritti alle liste elettorali.

    Per conseguire questo sordido obiettivo la stessa classe politica opera in modo da essere percepita come sempre più distante e suscita di conseguenza l’allontanamento dalla politica stessa di una parte di elettori attraverso il mancato esercizio del voto. Cosi viene diminuito il quoziente elettorale e contemporaneamente  si accresce il valore del voto sicuro degli scritti, dei simpatizzanti, dei sostenitori ed, in ultima analisi, delle segreterie  dei partiti.

    Questo semplice dato  statistico assicura un ruolo sempre più centrale e  determinante nella vittoria politica al partito ed alla sua segreteria i quali da soli, a fronte di una scarsa affluenza, possono determinare con il voto dei propri sostenitori l’esito stesso delle urne.

    Questo spiega, di conseguenza, il perché di fronte ad un fenomeno di disaffezione verso lo strumento del voto le  istituzioni statali e gli stessi  partiti non abbiano mai dimostrato nessuna attenzione e tantomeno modificato il proprio comportamento per cercare di ovviare a questa problematica. Una lontananza siderale che se si manifestasse all’interno di un contesto economico vedrebbe le aziende investire risorse  finanziarie e professionali con l’obiettivo di riacquisire la centralità della propria posizione.

    La sordità dei partiti, di tutti i partiti, esprime invece un ragionamento ed una bieca strategia la quale intende rendere sempre più marginale l’espressione di opinione che il voto assicura e così  renderla semplicemente una manifestazione di  vicinanza ideologica dei  propri iscritti ed affezionati elettori e sostenitori.

    Questa classe politica, in altre parole, sta svuotando di ogni significato una delle massime espressioni democratiche come il voto, determinando, con i propri comportamenti  e la propria sordità verso le  più importanti aspettative dei cittadini, in alcuni casi persino ridiccolizzandole rispetto a quelle di minoranze di genere, l’inevitabile progressivo allontanamento e disaffezione al voto.

    La democrazia, in altre parole, non può certamente essere rappresentata da una classe politica italiana impegnata solo al conseguimento del  proprio interesse il quale può essere raggiunto con maggiore facilità attraverso la disaffezione al voto dei cittadini stessi.

    Mai come ora il nostro Paese si sta lentamente allontanando dal modello democratico occidentale.

  • L’istituto del referendum

    L’istituto del referendum rappresenta, in una democrazia delegata, l’unica occasione per permettere ai cittadini esprimersi in merito ad un determinato argomento.

    Nel nostro ordinamento ha delle limitazioni essendo prevista solo la possibilità di abrogare una legge già in vigore, escludendo invece determinate materie come quella fiscale.

    Tuttavia, di fronte al  senso di inadeguatezza che questa classe politica  è riuscita a trasmettere ai propri deleganti nella storia recente del nostro Paese, va anche sottolineato come lo stesso istituto del referendum abbia inevitabilmente acquisito anche le caratteristiche di strumento di pressione politica proprio nei confronti di quel  Parlamento istituzionalmente indicato a legiferare per materie di forte rilevanza politica e sociale.

    I referendum sulla giustizia nascono proprio da questa ultradecennale incapacità della classe politica di riformare il settore della giustizia avendo, e con un grande ritardo, percepito il senso di sfiducia dei cittadini stessi nei confronti del complesso sistema giudiziario italiano. Il referendum rappresenta l’ultima arma democratica in mano ai cittadini.

    Esiste un’altra limitazione relativa alle tematiche oggetto del referendum, come già detto, che esclude la materia fiscale mentre all’interno delle democrazie dirette come, per esempio la Svizzera, si possono  proporre anche  quesiti referendari  relativi alla introduzione di un limite agli stipendi degli amministratori delegati.

    In questo contesto, allora, proponendo un referendum relativo all’abrogazione del reddito di cittadinanza si entra  all’interno di una quanto mai complessa materia sociale ed economica in quanto si  contrappongono fasce di popolazione con redditi diversi ed interessi contrapposti il cui esito potrebbe influire sulla disponibilità economica di una delle parti interessate.

    In altre parole, la contrapposizione politica in ambito referendario non dovrebbe mai scendere sul piano della sussistenza economica e della possibilità di fornire o limitare gli  strumenti finanziari di cui una fascia di popolazione ne beneficia. Viceversa una classe politica consapevole dovrebbe spendersi per trovare gli strumenti legislativi per la sua corretta applicazione o per un’eventuale modifica se non addirittura abrogazione ma  in sede parlamentare come limpida espressione del potere legislativo.

    Ecco quindi, ancora una volta, il referendum, il quale andrebbe assolutamente riformato non tanto nel numero necessario per ottenere l’approvazione quanto nelle materie oggetto dello stesso per porre le basi normative finalizzate ad un avvicinamento del  nostro sistema, ormai impantanato da 111.000 leggi, ad un modello il più possibile vicino ad una democrazia diretta.

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