populismo

  • La crisi libica è la prova del Fallimento del Sovranismo e del Populismo

    Il Sovranismo e il populismo di cui sembra intrisa la politica in questi anni, per quanti sforzi dialettici facciano i loro sostenitori, non riescono a farsi carico con equilibrio ed efficienza del governo di una società complessa come quella attuale, a causa di evidenti carenze di analisi dei problemi economici e sociali, oltre che del contesto internazionale, nei cui confronti infatti difettano chiaramente sia di idee che di proposte.

    In tutto questo mix di pulsioni e aspettative liberatorie, si fa una gran confusione tra patriottismo e sovranismo, tra tutela effettiva del popolo e populismo e si insiste molto sulla sovranità popolare, senza chiarire in cosa realmente consista e senza capire che nei fatti si opera contro di essa.

    La gestione di maggioranza e opposizione della crisi Libica, con tutte le conseguenze ed i pericoli che comporta, di cui l’aumento dei flussi migratori è certamente il minore, ne costituisce la prova più lampante.

    Infatti l’assenza di una strategia unitaria dell’UE è la causa principale della presenza in Libia di Turchia e Russia, venuti a colmare un vuoto politico e a spartirsi l’ex colonia Italiana, in una dinamica che rischia di emarginare non solo l’Italia, ma tutta l’Europa violata nel suo cortile di casa, quale è il mediterraneo, non più “mare nostrum”, inteso in senso Europeo.

    Se il sovranismo e il populismo fossero davvero soluzioni, quale migliore occasione per dimostrarlo? Se l’Italia, stanca delle imposizioni e delle incertezze dell’UE, voleva dimostrare le proprie capacità per difendere i suoi interessi e favorire una soluzione alla crisi della nostra ex “quarta sponda”, sarebbe stato questo il caso offerto dalla storia.

    E anche se si potrebbe convenire che l’attuale governo presenta limiti oggettivi di capacità e autorevolezza, che certamente riducono le possibilità di rivestire con successo ruoli delicati specie in politica internazionale, quali sono state le proposte dei sovranisti di casa nostra in merito al ruolo dell’Italia?  Il silenzio più assordante! A parte gli attacchi alle ripetute gaffe di Conte e Di Maio sulla questione degli incontri con i due contendenti libici, quali sarebbero le proposte sovraniste che hanno avanzato? Lo zero più assoluto. Salvini e Meloni, portatori dell’immaginifico mondo senza UE, capace di servire i veri interessi del popolo in quanto finalmente sovrano a casa propria, mentre i turchi si posizionavano in Tripolitania, ed i Russi in Cirenaica, di cosa parlavano? A si, di elezioni in Emilia e Romagna, leggi elettorali e referendum di “Tarzan” però senza Cita, la sua inseparabile scimmia.

    E Di Maio, con il suo appello alla “UE che parli con una voce sola”, cos’altro voleva dire, se non evidenziare una inconsistenza assoluta del nostro Paese e la necessità di un recupero del ruolo del vecchio continente?

    Ed è questa la prova del fallimento di sovranismo e populismo, nel silenzio indecente di chi scopre di non avere soluzioni, o nell’invocare nel momento del pericolo l’intervento dell’UE, dopo averla demonizzata per anni e incolpata di tutti i mali che invece erano il frutto delle “male politiche” dei governi nazionali che, senza UE, ci avrebbero già da tempo portato al definitivo default.

    Peccato che “la voce sola dell’UE” non c’è e non ci potrà essere semplicemente perché, contrariamente alle presunte prepotenze di cui blaterano i sovranisti, l’UE è né più né meno che una associazione culturale, non certo una entità statuale o federale, che si caratterizza appunto per una gestione unitaria della politica estera, che può essere credibilmente supportata da un esercito unico e da un governo unico che decide nell’interesse di tutto il continente.

    I sovranisti e populisti non possono continuare a ignorare che in un mondo che si avvia alla gestione tripolare di USA, Russia e Cina, oltre che della possibile aggiunta dell’India, l’unico modo per garantire la sovranità degli europei è l’urgente e non più rinviabile battaglia per la costituzione degli Stati Uniti d’Europa, perché nessun stato europeo, Germania compresa, rimanendo da solo potrà godere di una sola sovranità e cioè quella di scegliersi l’impero di cui diventare colonia.

    Si può e si deve evitare questo destino a partire dalla presa di coscienza che l’unico sovranismo che può garantire i popoli europei è quello che esce dalle logiche piccole e misere delle dimensioni nazionali e si rivolge all’intera Europa dei popoli uniti e ai loro valori che hanno plasmato l’umanità intera grazie alla storia del nostro vecchio continente che, pur con i tanti errori commessi, è stato e continua ad essere fucina di civiltà, progresso, democrazia e libertà.

    * già sottosegretario per i Beni e le attività culturali

  • Sovranismo vs Populismo, il master organizzato dalla Fondazione FareFuturo

    Farefuturo promuove un master di formazione, (https://farefuturofondazione.it/corso-di-formazione-sovranismo-vs-populismo/) introduttivo rispetto al Corso generale in previsione per il prossimo anno. Il master sarà dedicato a Sovranismo vs Populismo, con l’intenzione di individuare le differenze tra chi ha una visione sovranista e quindi anche populista  e chi, invece, si limita ad agitare il populismo, come fosse davvero solo demagogia, rivendicazioni senza limiti.

    Il master ha sessioni di apertura e di chiusura: il9 novembre, anniversario della caduta del muro di Berlino si svolgerà un incontro sul tema La nuova Europa rifonda l’Europa?, a Roma, alle ore 15 nella Sala del Refettorio in via del Seminario (https://farefuturofondazione.it/meeting-di-farefuturo-la-nuova-europa-rifonda-leuropa/), con la partecipazione dei rappresentanti della altre Fondazioni di centrodestra di Paesi Visegrad, con cui FareFuturo sta realizzando un Rapporto di ricerca internazionale.

    Il corpo docente del corso selezionerà i migliori partecipanti, cui sarà chiesto di coadiuvare i ricercatori nel progetto Visegrad+Italia. I paper dei partecipanti al Corso giudicati migliori, anche ai fini di divulgazione, saranno pubblicati nella rivista Chartaminuta ed i loro autori saranno inseriti tra i collaboratori stabili della rivista.

    Al corso possono partecipare tutti coloro che si iscriveranno, le sessioni di studio sono, comunque, aperte agli uditori che vorranno di volta in volta parteciparvi. Solo gli iscritti al corso potranno, però, partecipare al programma di ricerca e diventare collaboratori continuativi della rivista Chartaminuta.

  • La vulnerabilità dei sistemi democratici

    Molti si chiedono se con l’avvento al potere in diversi paesi dell’Unione europea di partiti detti populisti, i regimi democratici siano diventati più vulnerabili, con la riduzione di un certo tasso di democrazia. Le risposte, come è ovvio, non sono unanimi, ma è interessante il contributo al dibattito offerto dall’Istituto europeo di Relazioni internazionali di Bruxelles (INRI), che qui riportiamo.

    La teoria della società di massa – afferma l’INRI – adotta due spiegazioni opposte per identificare la vulnerabilità dei sistemi democratici, una oligarchica e l’altra democratica. La prima pone l’accento, come causa del populismo, sulla perdita dell’esclusività del potere da parte delle élites, un potere che passa di mano, di cui se ne appropriano delle personalità antisistema, la seconda spiegazione attribuisce l’avvento della partecipazione popolare all’autonomizzazione della società e alla mobilitazione di individui isolati sotto l’influenza di nuove élites, che accede al sistema politico attraverso una larga riforma ed un forte interventismo statale.

    La vulnerabilità dei sistemi post-democratici proviene dall’assenza di fondamenti dell’integrazione dei gruppi che compongono le società occidentali moderne. Il problema centrale di queste società è l’alienazione culturale che nello stesso tempo è sociale, razziale e religiosa. Nel contesto di queste società, l’alienazione delle élites è mondialista, quella delle classi medie è burocratica, quella delle classi popolari è statalista e quella degli esclusi e degli emarginati delle periferie è nichilista. E’ una alienazione sprovvista di valori d’appartenenza comuni, dovuta alla mancanza d’influenza delle gerarchie tradizionali, incapaci di unificare e di gestire la frammentazione dei gruppi. Ai fini degli obiettivi sociali, l’azione di massa delle classi intermedie è condannata al riformismo, quella delle élites mondialiste all’integrazione sopranazionale, l’orientamento delle élites antisistema al populismo e l’inerzia degli esclusi ai solidarismi altermondialisti in rivolta, invaghiti di tentazioni sinistro-djihadiste. Ai giorni nostri la vita urbana e delle periferie smembrano i gruppi sociali tradizionali, individualizzano le classi medie impiegatizie, eliminano la partecipazione sociale e annichiliscono le capacità di direzione delle élites mondialiste, sconnesse da ogni legame sociale, rendono vana e illusoria ogni solidarietà universale. L’umanitarismo filosofico incorona questa alienazione generale delle società e dei gruppi, con la decostruzione critica del razionalismo illuminista e con l’abbandono di ogni politica liberale, che rinvia alla filosofia universalista dei diritti umani. Su questo insieme disperso regna il concetto di competizione, di spoliticizzazione e di Stato assistenziale in difficoltà. L’idea di uguaglianza e di democrazia, come convergenza etica, inspirata da una finalità comune o da una volontà generale alle appropriazioni contese, definisce un ideale sorpassato, che appartiene ormai alla letteratura sociale del XIX e del XX secolo. L’autoesclusione delle comunità immigrate dall’insieme del “popolo”, come corpo politico della nazione e la resilienza di queste comunità come influenze straniere di lingua, di spirito, di costumi e di religione, trasforma queste comunità in riserva di ribelli, in una vera “quinta colonna” del nemico, pronta all’esplosione e alla violenza.

    Il richiamo agli interessi del popolo e la vulnerabilità sociale

    La vulnerabilità sociale ed etica più importante dei sistemi democratici odierni è l’immigrazione, che ha per origine la finzione dell’uguaglianza, per modo d’esistenza l’apartheid e per correlato solidarista l’assistenza. Essa ha anche per fondamento una utopia teocratica, che predica la fusione dell’unità tra potere e religione, sotto l’autorità di quest’ultima. E’ l’auto-istituzione immaginaria delle periferie nel mito del “Califfato”. Se la nozione di “popolo” designa correntemente una delle tre componenti dello Stato (popolo, governo, territorio), ogni comunità che condivide il sentimento di una durevole appartenenza, deve disporre di un passato comune, d’un territorio comune, d’una religione comune e di un comune sentimento d’identità, per potersi definire, ai fini dell’avvenire, come “comunità di destino”. Questo gruppo sociale può considerarsi come “nazione” o come entità sovrana, se rivendica il diritto politico specifico di erigersi in Stato o in Repubblica.  Niente di tutto ciò, per le masse immigrate, non integrate, straniere alla città politica e a ogni forma di governo o di regime politico, salvo a quello, ugualitario per principio, che promette loro vantaggi e risorse e che si identifica , salvo eccezioni, alla sinistra. Queste masse incolte, reagenti e violente, rivendicano una solidarietà senza reciprocità, apatiche al lavoro, invischiate nel loro ambiente di residenza nei traffici illeciti, combattendo per altri Dei, sono a carico della comunità dei cittadini in maggioranza ostili alla loro presenza.

    Se la politica privilegiata del “popolo” (“demos”) è la democrazia, il richiamo demagogico ai “veri” interessi del “popolo” si chiama populismo, un’apparente forma di salvezza, contro i mali della società e una specie di salvaguardia contro le élites corrotte.

     

     

  • Sovranismo, populismo, eurosceticismo: tre mali che danneggiano l’Italia

    Abbiamo l’impressione che qualcosa stia cambiando in Italia. E’ un cambiamento fatto in punta di piedi, quasi non si volesse lasciare traccia. E’ una modifica della tradizionale linea di politica estera ed europea, fatta senza parlarne troppo, nel timore di sollevare opposizioni serie e ragionate. Nemmeno il Parlamento ne discute. Eppure, in una democrazia parlamentare, quale riteniamo sia ancora quella che vige in Italia, è il Parlamento che definisce le politiche che devono essere praticate sul piano internazionale e, in particolare, su quello europeo. L’Italia, fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ha sempre perseguito una politica filo-atlantica ed è sempre stata, dopo aver partecipato alla fondazione delle Comunità europee, favorevole all’integrazione europea. L’attuale governo invece, con dichiarazioni, più che con atti, con mugugni, più che con proposte chiare, pare intenzionato a mettere in forse la nostra appartenenza all’Unione europea e alla zona euro. Se c’è qualcosa che non funziona, o che non giova direttamente agli interessi del nostro Paese, la colpa è sempre attribuita all’Europa, responsabile di tutti i nostri mali e, in subordine, alla Germania di Angela Merkel, colpevole di essere la prima potenza economica dell’Unione, a scapito degli interessi di tutti gli altri Paesi membri e, in particolare, della zona euro. Anche la recente vicenda della nave della guardia costiera Diciotti è stata trattata dal nostro governo con lo stesso tono di critica nei confronti dei partner europei per la mancata solidarietà, facendo riferimento ad una serie di informazioni false e minacciando ritorsioni impossibili. Tono e vuote minacce, che sono stati poi mantenuti nel comunicato del 25 agosto, che ha annunciato la fine dell’isolamento dei naufraghi eritrei e dell’equipaggio del pattugliatore italiano, grazie all’intervento della Chiesa, dell’Irlanda e dell’Albania. Con una dose notevole di presunzione, il Presidente del Consiglio ha dichiarato che «è noto a tutti che l’Italia sta gestendo da giorni, con la nave Diciotti, una emergenza dai risvolti molto complessi e delicati». Che la situazione fosse delicata, dato il coinvolgimento di 177 persone, fra cui bambini, donne ed ammalati, nessuno lo mette in dubbio, che fosse anche complessa lo si deve al titolare del ministero degli Interni e ad altre personalità della maggioranza governativa che avevano posizioni contrapposte sulla vicenda: chi non voleva lo sbarco in Italia dei migranti e chi, invece, lo auspicava e lo riteneva necessario. Posizioni divergenti nello stesso governo, che contribuivano a rendere meno credibile l’Italia e a presentarla inconcludente agli occhi dell’opinione pubblica europea e mondiale. Quella stessa opinione che è in grado di sapere che i migranti non arrivano soltanto in Italia, ma anche in altri Paesi dell’Unione, e con cifre che in diversi casi superano quelle riferite al nostro Paese. E’ l’opinione che sa che i Paesi di Visegrad, tanto elogiati dal nostro ministro degli Interni, non si prenderanno mai nemmeno un emigrato proposto dall’Italia. L’emergenza poi, citata dal Presidente del Consiglio, è una pura opinione. Di emergenze simili se ne contano parecchie ogni settimana, ma l’attenzione è attratta soltanto su alcune di esse ed in particolare su quelle che mostrano aspetti e tratti molto sensibili per il sistema mediatico e per gli interessi elettoralistici del ministro di turno, che è sempre quello dell’Interno e che manda in bestia il suo concorrente pentastellato per lo spostamento dei consensi che avviene per motivi inconsci. La non credibilità italiana è corroborata inoltre da accordi europei che l’Italia ha sottoscritto e che i partiti che formano il governo italiano hanno contribuito a non cambiare, votando contro alle proposte di modifica del Regolamento di Dublino, che disciplina la materia dell’immigrazione nell’Unione europea. Assumere atteggiamenti inutilmente minacciosi, quando alle minacce non seguono i fatti, è controproducente e rischia di minare alla base la credibilità italiana, di qualsiasi argomento si tratti.
    Già questa scelta politica di confliggere con l’Europa ci sembra un puro pretesto per raccogliere consensi, ma ciò che una democrazia parlamentare non dovrebbe consentire è che questa scelta venga fatta senza l’accordo del Parlamento. Quando c’è stato un dibattito su questi argomenti? Come il governo si può permettere di saltare a piè pari questo momento politico che è la riprova democratica della sua esistenza? Non considerare più l’Europa come riferimento naturale e normale delle nostre politiche ci sembra un cambiamento che dovrebbe essere sanzionato dalla volontà esplicita del Parlamento. Anche i nuovi rapporti delle forze di governo con la Russia di Putin e con l’America di Trump in funzione anti UE, ci sembrano mancanti di un assenso parlamentare. Non parliamo poi degli indirizzi di politica economica, che avranno un impatto importante sulle possibilità di crescita e sugli investimenti, sull’avvenire delle imprese e sull’occupazione, oppure dell’atteggiamento negativo nei confronti delle infrastrutture, del libero mercato, della scienza e quindi della ricerca. Tutti argomenti che necessiterebbero un dibattito in Parlamento e non soltanto dichiarazioni su Facebook o squittii su Twitter . Sono tutti atteggiamenti e scelte che preoccupano, e non perché sono “cambiamenti”, come ripetono le forze di governo, ma perché preludono a sconfitte e disastri. Lo scenario che si evince dalle dichiarazioni, oltre che dalle parziali scelte già effettuate, non ci lascia tranquilli. L’indebolimento dell’Europa non porta vantaggi a nessuno, la perdita di affidabilità sui mercati finanziari prelude a crisi difficilmente gestibili, non essere creduti a livello internazionale significa perdere peso e qualsiasi influenza. A chi dovrebbero giovare questi orizzonti negativi e senza speranza? Non certamente al popolo italiano, che nonostante tutto, non merita l’avvenire che gli si prepara. Ha ragione il Movimento federalista europeo a lanciare l’allarme, a mobilitarsi per contrastare questa pericolosa deriva e a invitare le forze vive del Paese a contrastare questo andazzo, organizzando un’opposizione ragionata e persuasiva. Il sovranismo è un falso mito, il populismo è un’avventura deleteria, l’euroscetticismo non porta da nessuna parte e fa perdere tutti i vantaggi acquisiti con l’istituzione delle Comunità europee. Perché sostenerli allora? L’unica scelta intelligente è combatterli.

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