propaganda

  • L’arma di tutte le armi: la propaganda

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Dario Rivolta apparso su NOTIZIEGEOPOLITICHE.NET

    Non è un fenomeno nuovo dovuto allo sviluppo dei media o alla diffusione dei social: la propaganda di guerra esiste da quando gli uomini si combattono. Mentire, inventare cose che non esistono, citare fatti mai accaduti, smerciare sconfitte per vittorie, attribuire al nemico crimini disumani connaturati alla sua anima malvagia e via di questo passo sono procedimenti giudicati indispensabili da chi conduce guerre. Ben 2.500 anni orsono il geniale Sun Tzu, generale e filosofo cinese, lo teorizzava necessario per motivare la propria popolazione e demoralizzare i nemici. Inoltre le guerre devono sempre avere una motivazione il più possibile credibile e la colpa dello scoppio del conflitto deve sempre essere altrui. Durante lo scorrere dei secoli i motivi per giustificare la guerra sono cambiati, adattandosi a ciò che la cultura del momento e del luogo suggeriscono. A volte si è stati obbligati ad iniziare le ostilità per difendere un alleato, altre volte per tutelare i nostri valori politici (chessò? la democrazia?) o, più genericamente, quelli “umanitari”. Si è arrivati perfino a teorizzare come “giusta” la “guerra preventiva” per anticipare qualche cattiveria che il possibile nemico probabilmente si sta apprestando a fare. Ovviamente ciascuno di noi vive in un certo territorio ed è cittadino di un qualche Stato ed è così naturale che la “verità” che noi conosciamo è quella somministrataci dai media che fiancheggiano i nostri governi. Va da sé che tutto quanto il nemico afferma siano “fake news” e, per essere sicuri di stare dalla parte giusta, è bene che i media del nemico siano censurati per “proteggerci” dalle falsità. Noi italiani, noi europei, noi Occidentali avremo (forse) accesso a versioni differenti da quelle ufficiali solo a guerra finita ma chi si azzarda ad ascoltare e credere a qualche nuova “Radio Londra” mentre il conflitto è in corso è certamente un traditore, magari prezzolato dal nemico. D’altronde succede così anche dall’altra parte.
    Comunque sia, le nostre guerre sono sempre più che giustificate perché noi siamo “il bene” e i nostri nemici sono sempre e soltanto “il male”. Così è stato quando i giapponesi attaccarono Pearl Harbour. Non importa sottolineare che lo fecero perché da anni era in atto nei mari del Pacifico uno strangolamento del Giappone da parte della marina americana (che controllava tutto, fino alle Filippine comprese) e che Washington non voleva che la propria egemonia su quell’oceano fosse insidiata dalla crescente potenza di Tokyo. Quanto i giapponesi fossero cattivi e spietati e buoni, invece i militi americani ce lo hanno dimostrato le decine di film che abbiamo visto. Il fatto che fossero tutti prodotti di Hollywood è insignificante.
    Così è stato quando i nostri amici a stelle e strisce hanno invaso il Vietnam: si trattava di difenderci dall’avanzata comunista e non esisteva una ragione più ragionevole. Che poi si sia persa quella guerra, magari abbandonando vergognosamente gli amici in loco, è solo la dimostrazione che il bene non sempre trionfa a questo mondo.
    Così è stato quando abbiamo bombardato la Serbia. Fu (chi poteva contraddirlo con tutte quelle immagini satellitari di fosse comuni?) per impedire il genocidio dei poveri kossovari e poco importa che fossero dei terroristi senza scrupoli e il loro capo si finanziasse vendendo organi prelevati ai prigionieri serbi che catturava. Poco importa anche che quel genocidio, come fu dimostrato poi, non esisteva (e le fosse comuni erano solo terra appositamente smossa). Ciò che conta è che, finalmente, abbiamo dato ai kossovari la possibilità di costituire un loro Stato e in cambio (generosamente e volontariamente) hanno consentito di realizzare sul loro territorio la più grande base militare americana che esiste in Europa.
    Così è stato quando abbiamo attaccato l’Iraq per “esportare la democrazia” e prevenire l’uso di “armi di distruzione di massa”. Che Saddam Hussein fosse uno spietato dittatore nessuno lo mette in dubbio e l’unico cruccio è che, pur sapendolo, lo abbiamo aiutato e finanziato per anni spingendolo a fare guerra contro gli altrettanto dittatoriali ayatollah iraniani (che pure abbiamo aiutato in quella loro guerra dando anche a loro, però di nascosto, le nostre armi). Se a guerra finita nessuna arma per distruggere le masse è stata ritrovata sarà perché non si è cercato bene. Se poi anziché la democrazia abbiamo fatto nascere l’ISIS e l’Iraq è oggi tanto corrotto da essere secondo solo all’Ucraina è perché loro non sono ancora maturi per il bene che esportiamo.
    Così è oggi nella guerra in corso in Ucraina. Noi, naturalmente, non siamo in guerra contro la Russia anche se stiamo cercando di soffocarla economicamente, purtroppo senza riuscirci. Agli ucraini che stiamo mandando al macello continuiamo a dare armi di tutti i generi, ma lo facciamo perché “difendiamo la democrazia” e non conta che a Kiev non sappiano nemmeno cosa sia. Di certo poi, magari molto poi, lo scopriranno grazie a noi occidentali, generosi e altruisti. Lo facciamo perché “loro” hanno deciso di voler entrare a far parte della NATO e della UE e se questa è la “loro” volontà nessuno deve poterglielo impedire. D’altra parte, se non ricordo male, quando i cubani decisero di “ospitare” basi missilistiche russe noi occidentali non reagimmo e se in seguito vi rinunciarono fu una loro scelta, non la nostra. A questo proposito, qualcosa di simile sembra stia accadendo anche ai nostri giorni: questa volta non si tratta di missili russi ma di “centrali di ascolto” cinesi. Ce ne informa Voice of America (2 luglio 2024) che non è certo la voce del nemico: “Nuove immagini satellitari di Cuba mostrano segni che il Paese stia installando capacità avanzate di intelligence in quattro basi militari con legami sospetti con la Cina. Ciò potenzialmente consentirebbe a Pechino un network di impianti che potrebbero essere usati per spiare gli Stati Uniti”. La stessa testata cita anche un report dell’anno scorso apparso sul Wall Street Journal che affermava che la Cina stesse pagando all’Havana alcuni miliardi di dollari per poter costruire sull’isola un impianto di spionaggio. Gli USA, il Paese più democratico del mondo, non hanno alcunché da obiettare a che un altro Stato sovrano possa liberamente fare le proprie scelte e la difesa dell’Ucraina lo dimostra. Purtroppo, in ogni Paese c’è sempre qualcuno che, sbagliando, va oltre le righe. Non abbiamo avuto anche noi in Italia (vedi cosa ne diceva il PCI) dei “compagni che sbagliano”? In America l’addetto stampa del Pentagono, il Maggior Generale Pat Ryder, dimentico del nostro rispetto delle volontà sovrane ha dichiarato:” Sappiamo che la Repubblica Popolare di Cina sta continuando a cercare di rafforzare la sua presenza a Cuba e noi continueremo a far di tutto per impedirlo”. Un report del Center for Strategic and International Studies di Washington precisava: “Raccogliere dati sulle attività quali esercitazioni militari, test missilistici, lancio di razzi, e manovre sottomarine potrebbe permettere alla Cina di sviluppare una conoscenza più sofisticata delle pratiche militari americane”. Timori infondati, evidentemente, come sappiamo essere ugualmente infondati i dubbi dei russi a proposito della presenza NATO in Ucraina.
    Sempre a proposito dell’Ucraina, qualcuno continua a sospettare che chi vuole che quella guerra (e altre) duri a lungo sino alla vittoria siano le industrie degli armamenti che così possono continuare a remunerare riccamente i loro azionisti. Che ingenui! Può darsi che i fabbricanti d’armi si portino a casa qualche miliardino di dollari in più ma il loro benessere è condiviso da molti altri perché loro non sono egoisti né esclusivisti. Che dire delle varie corporation che si occupano della logistica della macchina bellica? E di chi si intasca privatamente i tanti dollari in arrivo? E di chi fa investimenti speculativi sulle aree di guerra? Di là della nostra disinteressata volontà di “esportare la democrazia” e di “punire” la Russia, non dimentichiamo che molte società finanziarie stanno già prendendo piede per il futuro di quel disgraziato Paese. Costoro sono più convinti di chiunque che all’Ucraina non deve essere permesso di perdere la guerra: Blackrock e J.P. Morgan sin dall’estate 2022 hanno firmato con l’eccezionale attore Zelensky contratti che daranno a loro il compito di occuparsi della futura ricostruzione che implicherà più di mille miliardi di dollari di “donazioni”. Anche molte società polacche sono pronte ma i più accorti e veloci per sostenere la democrazia sono state la Cargill, la Dupont e la Monsanto che hanno già comprato i diritti per lo sviluppo della futura agricoltura in terreni della dimensione dell’Italia e molto fertili. Sono solo disinformati o putinisti quelli che chiedono subito una pace negoziata con i russi: abbiate un po’ di pazienza e sopportate qualche altro migliaio di morti ma, come ha detto Biden: “Noi staremo con l’Ucraina fino a che vincerà questa guerra”. Noi possiamo accontentarci disciplinatamente delle notizie incoraggianti che i nostri media liberi ci forniscono.

  • Autocrate irresponsabile, corrotto, bugiardo, delirante e vigliacco

    Un tiranno troverà sempre un pretesto per la sua tirannia

    Esopo

    Si dice che una ciliegia tira l’alta. Un noto proverbio questo che, nonostante qualche piccola differenza nelle parole usate, come significato rimane comune in diversi Paesi del mondo. Un proverbio che si riferisce alla tentazione di non riuscire a fermarsi di mangiare, una dopo l’altra, le stuzzicanti, saporite e dolci ciliege. Comunque si tratta di ciliege che non fanno male, anzi! Ma c’è anche un altro detto, purtroppo di uso sempre più comune nell’attuale realtà quotidiana in diversi Paesi del mondo, che si riferisce a fatti clamorosi, dannosi e condannabili, sia moralmente che penalmente. Il detto è “uno scandalo tira l’altro”. Da anni purtroppo quanto è accaduto e sta accadendo in Albania, fatti noti, documentati e denunciati alla mano, permette di acconsentire che uno scandalo tiri l’altro. E più passa il tempo e più frequenti sono gli scandali. Scandali che hanno a che fare con l’abuso di potere a tutti i livelli, da parte dei rappresentanti politici ed istituzionali. Scandali derivanti dalla diffusa e molto preoccupante corruzione. Scandali milionari legati allo sperpero, con la consapevole appropriazione della cosa pubblica in uno dei Paesi più poveri dell’Europa. Sì, in Albania purtroppo, uno scandalo tira l’altro. E si tratta di scandali che, nolens volens, non ci si riesce a nasconderli. Ma anche di scandali che si generano “volutamente”, per spostare l’attenzione da altri, ben più gravi e clamorosi. Proprio quelli che non ci si riesce a nascondere, che sfuggono di mano e che coinvolgono i rappresentanti politici ed istituzionali ai massimi livelli, primo ministro in testa.

    In Albania, da alcune settimane, lo scandalo dei tre inceneritori, sta attirando tutta l’attenzione politica, mediatica e pubblica. Il nostro lettore è stato informato anche in queste tre ultime settimane, come lo è stato anche nei mesi e negli anni precedenti, di questi clamorosi sviluppi che stanno creando un forte grattacapo al primo ministro, ad alcune persone a lui molto vicine, nonché a molte altre coinvolte in questo scandalo tra i più abusivi di questi tre decenni, dopo il crollo della dittatura comunista (Governo che funziona come un gruppo criminale ben strutturato, 17 luglio 2023; Inganna per non ammettere che è il maggior responsabile, 24 luglio 2023; Continua ad ingannare per coprire una grave e scandalosa realtà, 31 luglio 2023). Ma mentre continuano ad uscire nuovi significativi, inconfutabili e clamorosi dati che testimoniano il diretto coinvolgimento del primo ministro e di altre persone in questo scandalo, due altri scandali, sono stati resi noti nello stesso giorno, sabato scorso, 5 agosto. Scandali che, comunque, nonostante la loro gravità e molto altro, non riescono ad offuscare e, magari, annientare l’eco dello scandalo dei tre inceneritori.

    Il primo scandalo reso noto sabato scorso, 5 agosto, riguarda la coltivazione di una grande quantità di piante di cannabis dentro il territorio di una delle basi militari più sicure e più importanti dell’esercito albanese. Una base delle forze scelte dell’esercito. Ed essendo l’Albania, dall’aprile 2009, un Paese membro della NATO (North Atlantic Treaty Organization, l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord; n.d.a.), allora la base è anche una base della NATO. Ed in realtà in quella base di alta sicurezza, che si trova molto vicino alla capitale, sono state organizzate in precedenza delle esercitazioni comuni dei contingenti dell’esercito albanese e quelli degli altri Paesi membri dell’organizzazione. Ebbene, proprio dentro il territorio di questa base sono state coltivate piante di cannabis. E per il momento non si sa da quanto continuava questa attività illecita. Si sa però, come viene confermato da molti rapporti di strutture internazionali specializzate, che l’Albania da anni è diventato uno dei Paesi con la maggiore quantità di cannabis prodotta. Il nostro lettore è stato informato della diffusa coltivazione della cannabis su tutto il territorio nazionale, soprattutto dal 2015 in poi. Così come è stato informato del ministro degli Interni dal settembre 2013, da quando fu costituito il primo governo dell’attuale primo ministro, fino a marzo 2017, quando lui ha “presentato” le sue dimissioni, perché era direttamente coinvolto, con alcuni suoi cugini, proprio nella coltivazione e nel traffico illecito del cannabis. E tutto è stato scoperto ed indagato non in Albania, ovviamente, bensì in Italia, dalle apposite istituzioni del sistema della giustizia. E anche la scoperta della coltivazione della cannabis all’interno di un territorio di una delle poche basi militari di alta sicurezza in Albania non è stata fatta dalle strutture della polizia di Stato, neanche dai servizi segreti locali e/o dalle strutture del sistema “riformato” della giustizia. Tutto è stato scoperto dal personale della Guardia di Finanza, presente da molti anni in Albania, come previsto da accordi comuni bilaterali. Mentre il nuovo ministro degli Interni, nominato poche settimane fa, guarda caso ha “dimenticato” questo particolare e, di fronte ad un simile scandalo, ha dichiarato che tutto era dovuto alle forze della polizia di Stato albanese! Ma mentire ormai è normale, visto che lo fa sempre il primo ministro, mentre gli altri suoi subordinati lo imitano. Soprattutto quando bisogna affrontare situazioni difficili, come lo scandalo della coltivazione della cannabis nella base militare di alta sicurezza molto vicina alla capitale albanese. Nel frattempo anche il ministro della Difesa ha fatto una breve dichiarazione, affermando che tutto era dovuto alla “collaborazione tra la polizia di Stato e la polizia militare”! Proprio lui, che almeno moralmente, doveva presentare le sue dimissioni, come avrebbero fatto i suoi simili in qualsiasi Paese normale e democratico.

    Il secondo scandalo reso noto sempre sabato scorso, 5 agosto, ha a che fare con un intervento del tutto abusivo ed illecito nel sistema TIMS (Total Information Management System; Sistema di gestione delle informazioni generali; n.d.a.); un importante e sensibile sistema gestito da strutture specializzate della polizia di Stato. Da credibili fonti mediatiche si è saputo che un alto dirigente della polizia di Stato, nominato, guarda caso, solo pochissime settimane fa come direttore del dipartimento della tecnologia dell’informazione della stessa polizia, è responsabile di un simile atto. Chissà perché e chissà chi ha nominato in quella importante posizione istituzionale una simile persona, visto che proprio lui prima era stato accusato di aver rubato dati sensibili dal sistema fiscale albanese. Non solo, ma circa un anno fa è stato costretto a dare le dimissioni, dopo che molti dati personali e sensibili, gestiti dall’Agenzia nazionale della società d’informazione, dove lui lavorava, sono stati resi pubblici. Una persona perciò, specializzata in simili interventi. E chi lo aveva scelto e poi nominato, solo pochissime settimane fa, come direttore del dipartimento della tecnologia dell’informazione presso la Direzione generale della polizia di Stato ne sapeva molto e sapeva anche cosa si doveva fare. Si è saputo in seguito che il dirigente aveva ordinato ad alcuni suoi dipendenti di entrare nel sistema TIMS e di esportare tutti i dati del sistema in una potente memoria esterna. Un ordine quello suo che è stato contestato da alcuni suoi colleghi, ma non da tutti. Perciò il dirigente incriminato è riuscito ad impossessarsi dei dati del sistema TIMS. Ma mentre lo faceva è stato fermato da altri poliziotti. Per il momento non si sa per conto di chi aveva fatto un simile intervento criminale. Dalle stesse fonti mediatiche viene confermato che lo stesso giorno presso le redazioni di alcuni media, nonché presso la Direzione generale della polizia di Stato e dei servizi segreti è stata mandata una e-mail con la quale si avvertiva dell’accaduto. Ma i dirigenti della polizia hanno deciso di mantenere il massimo silenzio e hanno chiesto anche alle redazioni dei media, elencati nella mail come destinatari, di fare lo stesso. Ma per fortuna che alcuni giornalisti coraggiosi hanno reso noto tutto. Nel frattempo le cattive lingue vanno un po’ oltre e cercano di collegare la nomina del dirigente ladro con la nomina del nuovo ministro degli Interni, che sono state fatte quasi nello stesso tempo. Bisogna sottolineare però che il nuovo ministro degli Interni è una persona che è stata denunciata spesso per i suoi legami con alcuni capi della criminalità organizzata in Albania. Si sa però anche che nonostante simili e pesanti accuse il diretto interessato non ha contestato niente. La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato che il nuovo ministro degli Interni era “…il capo del gruppo parlamentare del partito/clan del primo ministro, una persona a lui “fedele”, per quanto un leccapiedi possa essere fedele”. In seguito l’autore di queste righe aggiungeva che quella nomina aveva fatto scalpore soprattutto “…perché lui, la persona scelta, fatti documentati e denunciati alla mano, è molto legato a certi gruppi della criminalità organizzata. Ebbene dal 13 luglio lui è diventato il nuovo ministro degli Interni!”. (Continua ad ingannare per coprire una grave e scandalosa realtà; 31 luglio 2023).

    La scorsa settimana il nostro lettore veniva informato della pubblicazione del rapporto annuale del Dipartimento di Stato statunitense per l’anno 2022. In quel rapporto c’era anche il capitolo sull’Albania. L’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che “… quanto si legge in quel capitolo del rapporto è diverso da ciò che cercano di far credere e di convincere il primo ministro albanese e la sua propaganda governativa”.  E poi evidenziava che “… diversamente da tutti i precedenti rapporti, quest’ultimo, reso pubblicamente noto la scorsa settimana, considera la corruzione in Albania come “sistemica” e non più come “endemica”, termine che è stato usato nei precedenti rapporti”. Nel sopracitato rapporto veniva sottolineato che “Gli investitori (stranieri; n.d.a.) rapportano frequentemente dei casi di corruzione a livello governativo che tardano o impediscono gli investimenti in Albania” (Continua ad ingannare per coprire una grave e scandalosa realtà; 31 luglio 2023).

    Circa un mese fa, il 12 luglio, il Parlamento europeo approvava il rapporto sull’Albania per il 2022. Tra le tante constatazioni riguardo il problematico percorso europeo dell’Albania come Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, si potrebbero evidenziare alcune affermazioni. Nel comma 6 del rapporto si chiede al governo albanese di “…intensificare i suoi sforzi per migliorare il funzionamento dello Stato di diritto e del sistema giudiziario, combattere la corruzione e la criminalità organizzata, garantire la libertà dei media, responsabilizzare la società civile…”. Solo in questo paragrafo sono stati sintetizzate molte delle gravi problematiche in Albania. Problematiche che il primo ministro e la sua potente e ben organizzata propaganda governativa hanno sempre cercato di camuffare con bugie ed inganni. E che spesso ha avuto anche il beneplacito ed il supporto di alcuni alti rappresentanti della Commissione europea. Le cattive lingue dicono che sono stati usati anche ingenti somme di denaro per riuscirci. Una realtà questa, della quale il nostro lettore è stato spesso informato in questi ultimi anni. Ma sono tante, molto serie e spesso gravi e di dominio pubblico le problematiche con le quali ci si affronta quotidianamente in Albania che, guarda caso, neanche il rapporto per il 2022 sull’Albania della Commissione europea, reso noto la scorsa settimana, non poteva non evidenziare. Come mai prima in questi ultimi anni, dal 2014 in poi, quando i rapporti della Commissione europea sull’Albania erano tutti sempre “rose e fiori”. Rapporti dei quali si vantava il primo ministro e che la sua propaganda governativa li usava per coprire la preoccupante e pericolosa realtà albanese, vissuta e sofferta quotidianamente. Nel rapporto, anche se con un linguaggio “diplomaticamente corretto”, si afferma che “…Le misure contro la corruzione continuano ad avere, in generale un limitato impatto”. E poi si elencano anche i settori colpiti dalla corruzione.

    Chi scrive queste righe tratterà questo argomento anche nel prossimo futuro. Egli però è convinto, sempre fatti accaduti, documentati, denunciati alla mano e mai smentiti dal diretto interessato, che il primo ministro albanese è un autocrate irresponsabile, corrotto, bugiardo e delirante. Ma è anche un vigliacco. Esopo però ci insegna che un tiranno troverà sempre un pretesto per la sua tirannia.

  • La Ue studia multe per i siti web che non rimuovano appelli all’odio

    Il web, dai grandi social ai siti più piccoli, dovrà rimuovere entro un’ora dalla notifica delle autorità i contenuti di propaganda terroristica o potrà incorrere in una multa. E’ la proposta a cui sta lavorando la Commissione Ue e che sarà presentata a settembre, segnando così un cambio di rotta rispetto all’autoregolamentazione che Bruxelles ha finora seguito nei confronti dei giganti del web, da Facebook a Twitter. E’ quanto ha annunciato il commissario Ue alla sicurezza Julian King in un’intervista al Financial Times, dopo aver notato “progressi insufficienti” da parte dei social nell’applicazione delle linee guida volontarie pubblicate da Bruxelles lo scorso marzo. Questi contenuti infatti, ha spiegato King, “continuano a proliferare attraverso internet, ricomparendo da un’altra parte una volta cancellati dall’altra, e diffondendosi da piattaforma a piattaforma”. I dettagli precisi della nuova proposta legislativa di Bruxelles sono ancora in corso di definizione, la versione ufficiale dell’iniziativa dovrebbe essere presentata nella seconda metà di settembre.

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