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  • L’aumento dei tassi non frena i prestiti personali

    L’aumento dei tassi d’interesse non frena il ricorso degli italiani al credito al consumo che ha visto un forte aumento negli ultimi anni. Nel 2016 il loro ammontare era di poco inferiore ai 107 miliardi di euro, nel 2023 siamo arrivati quasi a 154 miliardi: un aumento del 44% in soli 7 anni. L’analisi sul credito al consumo condotta dalla Fondazione Fiba di First Cisl su dati di Bankitalia avvisa però anche sui rischi di sovraindebitamento che colpiscono le fasce più deboli della popolazione e mette in guardia sulla necessità che i consumatori siano consapevoli dei costi, in trasparenza, di queste formule di prestiti personali.

    La stratta avviata dalla Bce non ha avuto, a differenza dei mutui, un effetto significativo. Come rileva l’analisi “i tassi applicati al credito al consumo sono rimasti sostanzialmente stabili da giugno 2016 a giugno 2022, hanno cominciato a muoversi al rialzo dopo le decisioni della Bce” ma gli aumenti decisi da quest’ultima da luglio 2022 sono stati incorporati solo in misura parziale. “Ciò si spiega probabilmente con un livello iniziale già molto alto dei tassi sul credito al consumo. Emerge inoltre una forte penalizzazione per gli importi più piccoli e quindi per le fasce più deboli della popolazione”.

    La Bce ha infatti alzato i tassi da 0% al 3,5% del marzo 2023, mentre il Taeg sul credito al consumo è passato da 8,34% di metà 2022 al 10,12% del marzo 2023. “La crescita molto significativa del credito al consumo è da valutare con molta attenzione -, sottolinea il segretario generale di First Cisl, Riccardo Colombani -. Il più alto rapporto col reddito disponibile rispetto alla media europea induce ad ipotizzare che molte famiglie finanzino in questo modo la spesa corrente per mantenere il proprio stile di vita o per far fronte a situazioni di difficoltà. Nonostante i tassi alti, infatti, la corsa a indebitarsi non rallenta: è probabile che la rapidità nella concessione dei finanziamenti finisca per prevalere su qualsiasi altra considerazione, anche sull’effettiva convenienza del finanziamento”.

    E il sindacato bancario evidenzia anche un altro punto che deriva da una delle ultime innovazioni della finanza che sta avendo molto successo: le nuove formule di credito al consumo caratterizzate da poche rate e zero interessi come il ‘buy now, pay later’. “Invogliano le persone a consumare, ma rischiano di determinare situazioni di sovraindebitamento” rileva.

  • Tassi negativi sui depositi delle banche alla Bce: nel 2018 hanno reso 7,5 miliardi a Francoforte

    L’11 giugno 2014, la Bce ha introdotto un tasso di interesse negativo sui depositi presso la Banca Centrale e questo, secondo un’analisi condotta da Deposit Solutions, ha fatto sì che nel solo 2018, le banche della eurozona abbiano trasferito alla BCE circa 7,5 miliardi di euro sulle giacenze liquide, ossia 21 milioni di euro al giorno, con un impatto medio sugli utili del -4.3% nel solo 2018. La maggior parte di questi pagamenti è stata effettuata da banche tedesche, francesi e olandesi che, nel periodo 2016-2018, hanno pagato rispettivamente 5,7, 4,1 e 2,5 miliardi di euro, con un impatto sugli utili compreso tra il -9.1% della Germania e il -4% della Francia. Nello stesso intervallo di tempo, le banche Italiane hanno rappresentato il 5.2% dei trasferimenti, per un controvalore di circa 900 milioni di euro di interessi negativi. Con un impatto sul profitto del -2,4%, le banche italiane hanno versato meno tassi di interesse negativi di quelle francesi e tedesche, ma più delle controparti spagnole, che negli ultimi tre anni hanno pagato 764 milioni.
    I pagamenti dei tassi di interesse negativi continuano a crescere anno dopo anno, ma non in Italia. I pagamenti annuali di interessi delle banche tedesche sono quasi raddoppiati negli ultimi tre anni e sono aumentati di anno in anno anche in Francia, Paesi Bassi e Lussemburgo. L’aumento è stato particolarmente oneroso per le banche spagnole che nel 2016 hanno versato circa 125 milioni di euro di tassi di interesse negativi, e nel 2018 più di tre volte tanto, attestandosi sui circa 400 milioni di euro. In controtendenza, l’Italia è stata l’unico paese dell’Eurozona ad aver registrato un calo dei pagamenti di anno in anno.

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