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Il pericolo nutrie si sconfigge con la sterilizzazione e non con l’abbattimento

Sono arrivate in Italia, importate dal Sud America, intorno alla metà degli anni cinquanta del secolo scorso perchè il loro pelo era adoperato per confezionare pellicce per signore. Elegantemente venivano chiamate ‘castorini’, un nome che destava simpatia, ma in realtà erano nutrie, animali roditori e assai riproduttivi. Poi, come tutte le mode, anche quella del castorino passò per fare posto a visoni, volpi, lapin, peli più pregiati, e così questi animaletti, che non avevano alcuna altra funzione, furono lasciati al loro destino: alcuni abbattuti, altri lasciati liberi, spesso in prossimità di corsi d’acqua. Non essendo specie autoctona ma proveniente da posti in cui ogni giorno le nutrie dovevano sopravvivere a se stesse sfuggendo ad anaconde, giaguari, puma e simili, fauna praticamente inesistente in Italia, dovettero adattarsi al nuovo territorio. Diffuse soprattutto nel nord Italia, più precisamente nell’area della pianura padana, pian piano hanno cominciato a trovare casa lungo i rigagnoli adoperati per irrorare i campi, e quindi sotto pontili, zattere, grossi fusti di alberi ecc. che con il loro continuo rodere si sono assottigliati fino a rompersi e a far realizzare a contadini e abitanti del luogo la pericolosità della permanenza della specie in quelle zone. Un pericolosità accentuata non solo dal fatto che le nutrie possono spostarsi e lasciare gli spazi scavati sotto il legno ad altri gruppi di animali che li adopereranno per il letargo ma anche dalla prolificità delle femmine che possono riprodursi anche 2-3 volte l’anno. La prima soluzione alla quale si è pensato, e che in alcuni casi ha trovato realizzazione, è stato l’abbattimento, garantito anche dalla presenza di cacciatori nella zona. Da qualche tempo però la situazione ha cominciato a prendere un’altra piega, grazie anche al nuovo Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, sensibile a questi temi, che ha preso in considerazione gli studi effettuati sulle nutrie che dimostrano come l’abbattimento sia una soluzione inutile  sbagliata perché le femmine, per difendere i piccoli, scavano buche nel terreno per nascondersi insieme lasciando così all’esposizione solo i maschi che vengono uccisi. I piccoli, crescendo, si riprodurranno accoppiandosi tra di loro. La soluzione migliore è quella della sterilizzazione che, sebbene impedisca alla specie di riprodursi, garantirebbe la vita degli animali finché consentito loro dalla natura e permettendo ai territori, nel tempo, di vedere estinguersi la specie. Gli studi sono stati già messi in atto nell’Oasi di Crava Morozzo, grazie ad un progetto, pioniere in Europa, patrocinato dal Comune di Torino e sostenuto dalla Città Metropolitana di Torino. I veterinari hanno sperimentato la sterilizzazione in laparoscopia su Mililiqu, prima nutria torinese catturata con gabbia  trappola, la quale, dopo appena due ore dall’intervento, è ritornata nei laghetti della Falchera. Non più abbattimento, quindi, ma rispetto per l’animale e per la scelta che ha fatto di abitare in un determinato luogo.

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