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Il riso italiano non tiene il passo della concorrenza asiatica

Alla vigilia dell’entrata in vigore a febbraio dell’etichetta di origine per il riso, in Italia nell’ultimo anno sono aumentate del 736% le importazioni dalla Birmania raccolto anche sui campi della minoranza Rohingya costretta a fuggire a causa della violenta repressione da parte del governo che ha causato 6.700 vittime secondo Medici senza Frontiere.

E’ quanto ha denunciato la Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi ai primi 10 mesi del 2017 in occasione Forum sul Riso europeo a Bruxelles nel chiedere l’immediata adozione di misure di salvaguardia europee nei confronti dell’importazione di riso greggio asiatico che gode del regime particolarmente favorevole praticato nei confronti dei Paesi Meno Avanzati (accordo EBA), che prevede la possibilità di esportare verso l’Unione Europea quantitativi illimitati di riso a dazio zero.

Se in Birmania con la repressione sanguinaria dei Rohingya sono stati espropriati decine di migliaia di ettari coltivati a riso che rischia di finire inconsapevolmente sulle tavole degli italiani, la metà del riso importato arriva dall’Asia, in particolare da India, Pakistan, Thailandia e Cambogia che gode come la Birmania delle agevolazioni. Il risultato è che un pacco di riso su 4 venduto in contiene prodotto straniero con le quotazioni del riso italiano per gli agricoltori sono crollate dal 58% per l’Arborio e il Carnaroli al 37% per il Vialone nano mentre al consumo i prezzi sono rimasti sostanzialmente stabili. Un inganno che sarà finalmente possibile smascherare con l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza che scatta a febbraio.

«Non è accettabile che l’Unione Europea continui a favorire con le importazioni lo sfruttamento e la violazione dei diritti umani nell’indifferenza generale», ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo, sottolineando anche che «è invece necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri a tutela della dignità dei lavoratori, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri in vendita sugli scaffali ci sia un percorso di qualità che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro».

In questo senso una svolta è rappresentata dall’obbligo di indicare l’etichetta di origine che consente di fare scelte di acquisto consapevoli e decidere se comperare il riso ottenuto in Paesi lontani con lo sfruttamento delle persone e dell’ambiente o quello coltivato in modo sostenibile in Italia con il lavoro di generazioni di agricoltori. L’Italia è il principale produttore europeo di riso con oltre 4.000 aziende su poco meno di 230mila ettari, per un fatturato al consumo di circa un miliardo di euro all’anno.

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