L’insostenibilità di un sistema circolare
Sembra incredibile come in relazione al numero degli iscritti all’Università del 2018 due tra i maggiori quotidiani nazionali affermino il primo che si assista una notevole diminuzione e il secondo che ci si trovi di fronte ad un aumento. Ciò dimostra, ancora una volta, la faziosità ed anche una scarsa professionalità della stampa nazionale. A puro titolo di cronaca l’errore clamoroso nasce dall’aver calcolato, da parte di una redazione, non solo le nuove matricole ma anche quelli iscritti al primo anno di laurea già immatricolati. Queste due diverse posizioni dimostrano “matematicamente” come l’approccio alla individuazione di un semplice parametro numerico due tra le maggiori testate italiane arrivino a conclusioni diverse quando sarebbe stato sufficiente consultare i dati del Miur.
Le considerazioni comunque che possono scaturire da questo semplice confronto dimostrano come ormai l’acquisizione di notizie non possa più basarsi sulla lettura di un’unica testata perché espressione di parzialità o quantomeno di posizioni viziate da influenze ideologiche e politiche.
Tornando alla questione centrale è evidente che anche un settore come quello universitario non possa sottrarsi ad una analisi, e conseguente valutazione, approfondita attraverso l’utilizzo di parametri economici ed aziendali per valutarne la propria efficacia sia a livello qualitativo che quantitativo del servizio offerto, in modo da offrire una valutazione relativa alle strategie e alle decisioni degli ultimi anni, in relazione soprattutto a quelle future, non sintonizzandosi neanche con il momento economico del nostro paese.
Conseguenza di questo approccio è come il sistema universitario (come vedremo in seguito) rappresenti un perfetto sistema circolare completamente svincolato da ogni parametro economico e, ancor peggio, da ogni relazione con il momento complessivo economico. Un’azienda infatti in un’ottica di una strategia del breve medio come lungo termine decide di prefiggersi come obiettivo la crescita dei propri profitti attraverso l’abbattimento o quantomeno all’abbassamento della soglia economica di accesso al proprio bene o servizio. L’obiettivo del maggior fatturato in questo caso viene conseguito attraverso un aumento dell’accesso di potenziali utenti precedentemente esclusi dalla soglia stessa. L’ultima rilevazione statistica relativa al sistema universitario italiano vede l’Italia come il Paese con il più basso numero di laureati. Al tempo stesso il nostro paese risulta in grado di scalare la classifica delle tasse universitarie più care d’Europa fino al terzo posto. Logica conseguenza quindi che il numero dei laureati risulti ma soprattutto continui ad essere in continua decrescita come espressione della scelta di alzare la soglia economica di accesso all’università. Per altro, anzi, una scelta con l’aggravante di non tenere in assoluto conto il momento storico che dal 2008 investe l’Italia nella sua complessità, non riconoscendo quindi una crisi economica. Un ulteriore elemento a conferma dell’assoluto svincolamento della realtà universitaria dal contesto economico nazionale.
Se poi un’azienda per vendere il proprio prodotto o servizio crea attraverso degli investimenti propri oppure utilizzando delle risorse pubbliche al fine di un abbassamento della “soglia tecnologica di accesso” al servizio (si pensi ad esempio all’importanza della alfabetizzazione informatica che ha permesso a molti utenti di accedere ai servizi web) i risultati appaiono immediatamente evidenti, confermati dall’aumento dell’utenza potenziale, nel breve o medio termine, anche del fatturato. Un incremento del fatturato espressione diretta della maggiore platea di clienti ed utenti potenziali.
Viceversa il mondo universitario continua nella strategia di innalzare la soglia tecnologica-culturale di accesso attraverso i test di ingresso che hanno ulteriormente diminuito e scremato il numero degli iscritti e quindi, in prospettiva, dei potenziali laureati. Risulta evidente che il prodotto come il servizio subirà un ulteriore restringimento della base potenziale di utilizzo da parte dei potenziali clienti o, nel caso universitario, degli studenti. In questo senso infatti va interpretata la percentuale di oltre il 40% dei corsi universitari che avviene attraverso un test d’ingresso che rappresenti un indiscusso innalzamento della soglia culturale di accesso. Quest’ultimo poi trova la propria “giustificazione” nella selezione degli studenti che dovrebbero portare a compimento il proprio percorso di laurea. Un dato che viene sonoramente smentito dal fatto che l’Italia, come sempre, risulta fanalino di coda proprio nella produzione di laureati in Europa.
Tale scelta supportata dalla classe politica e dai rettori per il test d’ingresso avrebbe dovuto assicurare una migliore preparazione ed un migliore sfruttamento delle poche risorse e di conseguenza un miglioramento dei contenuti dei corsi di laurea. Una tesi che dovrebbe venire confermata da una minore dispersione durante gli anni del corso di laurea degli studenti, fino dall’obiettivo della laurea stessa. I miseri dati relativi al numero di laureati dell’Italia rispetto all’Europa dimostra invece esattamente il contrario.
Paradossale poi che nonostante oggi l’Italia presenti la più bassa percentuale di laureati questi invece di essere ricercati vengano obbligati ad una emigrazione culturale. Non va dimenticato infatti che molti laureati fanno parte di quella pattuglia di 215mila giovani, assieme ai diplomati, che lasciano ogni anno l’Italia a causa dell’impossibilità di trovare un posto di lavoro adeguato al proprio titolo di studio e conseguentemente una retribuzione adesso adeguata. Inserendo anche in questo contesto una valutazione prettamente economica, considerando che allo Stato un diploma rappresenta mediamente un investimento di circa 92.000 euro di risorse pubbliche investite (fonte Ocse) e ed ogni anno di laurea viceversa 30.000, le risorse pubbliche che annualmente vengono disperse risultano circa di 23 miliardi alle quali vanno anche aggiunti 10 miliardi di mancato Pil.
Potrà sembrare arbitrario o ingeneroso nei confronti di quella che dovrebbe essere la “eccellenza della produzione culturale italiana” ma quando gli iscritti e il numero dei laureati risultano in costante e continua diminuzione è evidente che il problema deve essere individuato nella gestione e nella attuazione del progetto culturale come nella gestione della struttura stessa.
Emerge evidente quindi, in ultima analisi, come il sistema circolare dell’Università risulti assolutamente svincolato da ogni logica di mercato e di riscontro nei confronti dell’utenza e rappresenti un lusso per il solo corpo docente universitario ed un costo insostenibile per la collettività.
La conseguenza è un’apertura dell’Università ad un contesto di confronto internazionale nel quale i fattori economici intervengono a determinare una base di parametri fondamentali per ottimizzare la gestione finalizzata ad arricchimento dei contenuti come all’aumento della platea degli studenti interessati, con il conseguente riconoscimento del valore delle lauree stesse che attualmente in Italia non trova assolutamente riscontro.