Università

  • L’UE stanzia 4,3 miliardi di € per Erasmus+ 2024

    La Commissione ha pubblicato l’invito a presentare proposte del 2024 nell’ambito di Erasmus+, il programma dell’UE per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport in Europa. Con un bilancio di 4,3 miliardi di € per il prossimo anno, Erasmus+ continuerà a sostenere le esperienze transnazionali di alunni e studenti dell’istruzione superiore e dell’istruzione e formazione professionale. Il programma offre inoltre opportunità ai discenti adulti, agli educatori e al personale, nonché ai giovani nell’ambito di programmi di apprendimento informale.

    Per attenuare gli effetti dell’inflazione sui partecipanti che studiano all’estero e consentire un’ampia partecipazione, il programma aumenterà gli importi delle borse di mobilità. Seguendo lo stesso approccio adottato per l’invito del 2023, gli importi delle borse individuali per gli studenti all’estero saranno adeguati del 5,9% per la maggior parte delle azioni di mobilità dell’invito del 2024. Nel 2024 il programma offrirà maggiori incentivi a favore dei viaggi sostenibili. Per la prima volta saranno offerte sovvenzioni di viaggio anche per la mobilità all’interno dell’UE nell’ambito dell’istruzione superiore.

    Erasmus+ continuerà a sostenere l’Ucraina mediante numerosi progetti, come la promozione dell’integrazione dei rifugiati in un nuovo sistema di istruzione.

  • Dalla Fondazione Italia USA 200 borse di studio per il master online “Leadership per le relazioni internazionali e il made in Italy”

    La Fondazione Italia USA ha rinnovato per il 2024 il bando che offre 200 borse di studio Next Generation per il master online “Leadership per le relazioni internazionali e il made in Italy”, allo scopo di sostenere concretamente i giovani nel loro ingresso nel mondo del lavoro globale e delle sfide internazionali.

    Il sito del master da cui presentare la candidatura è masteritaliausa.org, sezione Borse di Studio Next Generation.

    Il master è svolto in collaborazione con Agenzia ICE e GEDI Gruppo Editoriale che commissionano il project work, è diretto dall’ex ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca prof. Stefania Giannini, presieduto dall’ambasciatore Umberto Vattani, presidente della Venice International University, e si avvale di un panel didattico di prestigio internazionale formato da oltre 35 docenti. Il master opera all’interno del programma accademico delle Nazioni Unite, UNAI – United Nations Academic Impact del quale la Fondazione Italia USA fa parte.

    “Sono i giovani – ha indicato il ministro dell’Università Anna Maria Bernini nel suo messaggio agli studenti del master – che hanno il compito di immaginare e realizzare l’Italia del futuro. Auspico che questa esperienza formativa contribuisca a formare menti aperte, visionarie, coraggiose ed internazionali. Il Paese ha bisogno della vostra tenacia, del vostro entusiasmo e della vostra creatività”.

  • L’università e la banda dei quattromila

    Risulta sempre molto difficile individuare la corretta definizione di cultura, in quanto molto spesso questa si può più agevolmente identificare  attraverso l’individuazione di  “comportamenti elevanti” dei singoli più che  da generiche  figure retoriche.

    La cultura, per propria natura, rappresenta un valore aggiunto e fornisce gli strumenti idonei per adottare  comportamenti i quali trascendano dai banali interessi di schieramenti politici ed ideologici. La sua acquisizione, quindi, dovrebbe sempre assicurare il conseguimento dell’obiettivo principale di questo valore, rappresentato dalla possibilità di un confronto umano e dialettico anche tra esponenti con posizione  opposte ed anche estreme.

    Al tempo stesso risulta assai facile accorgersi della sua assenza, basti ricordare la recente follia massimalista  espressa con il  divieto opposto all’esibizione di concertisti ed artisti in quanto nel DNA presentavano una  “russa” colpa,  cioè di rappresentare il paese  di Putin.

    Una scelta anticulturale e contemporaneamente un esempio classico di come in quei momenti la politica si sia dimostrata assolutamente incapace di assicurare anche il minimo flusso culturale garantito dalla stessa performance dell’artista.

    Tuttavia, la peggiore versione dell’anticultura (la negazione di tutti i valori che la cultura invece dovrebbe assicurare) viene ora rappresentata da quel mondo universitario impregnato di ideologia e massimalismo politico il quale chiede di interrompere ogni rapporto culturale e di confronto con le università israeliane.

    In questo contesto andrebbe ricordato ai quattromila (4.000) eruditi docenti universitari come un qualsiasi mondo accademico nazionale non possa venire identificato con l’indirizzo politico dello Stato, sia esso  dislocato tanto in Corea del Nord, Cina.  Israele o Stati Uniti.

    Al contrario, l’università, se veramente democratica, può talvolta venire definita come la rappresentazione,  anche se  parziale, di una variegata cultura contemporanea, ma non certo l’espressione di una realtà politica e governativa  nazionale.

    Questa degradante richiesta si rivela come la classica affermazione di quella anticultura, per di più in ambito accademico, e si conferma come l’antitesi di quel “comportamento elevante”  a cui si faceva riferimento prima. Un comportamento che, proprio grazie alla disponibilità di strumenti culturali, dovrebbe permettere alle persone di elevarsi a latitudini ben superiori rispetto alle terrene contrapposizioni politiche ed ideologiche espresse dalla “banda dei quattromila”.

    Mai come ora questa porzione del mondo accademico si rivela come una  mediocre espressione di quella anticultura nella sua forma più mediocre in quanto questa dimostra di non possedere il livello minimo di strumenti culturali i quali permetterebbero il mantenimento di un canale aperto e praticabile all’interno del quale valorizzare la possibilità di un confronto dialettico rispetto al contesto politico ed  ideologico.

    Il declino di un paese trova le proprie conferme proprio là dove dovrebbe regnare la cultura come valore aggiunto, ed invece si rivela il terreno di conquista di una qualsiasi “banda dei quattromila”.

  • Londra aggira la Brexit su scienza e ricerca

    Il Regno Unito non vuole rischiare di segnare il passo nel settore della ricerca d’avanguardia, né tanto meno di ridurre le potenzialità di collaborazione internazionale delle sue prestigiose università e così ha deciso di rimanere legata, almeno nell’ambito scientifico, all’Unione europea. A inizio settembre infatti è arrivata un’ulteriore conferma dell’approccio pragmatico adottato dal premier conservatore Rishi Sunak rispetto ai rapporti con Bruxelles nel post-Brexit con l’annuncio del rientro britannico in due ambiziosi programmi europei: Horizon, il più grande al mondo in ambito civile per la ricerca e l’innovazione, e Copernicus, creato per l’osservazione della Terra tramite i satelliti e leader di settore a livello globale.

    Londra ne era stata esclusa negli ultimi tre anni a causa dei dissidi sorti con l’Ue sul Protocollo per l’Irlanda del Nord e poi risolti di recente grazie all’intesa nota come Windsor Framework. Sempre Sunak aveva giocato anche in quel caso la carta del dialogo nei rapporti con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, rispetto alle dimostrazioni muscolari dei suoi due predecessori Tory, Liz Truss e Boris Johnson, cercando sempre di portare a casa risultati utili. «Abbiamo lavorato con i nostri partner dell’Ue per garantire che questo sia l’accordo giusto per il Regno Unito, sbloccando opportunità di ricerca senza precedenti, e anche per i contribuenti britannici», ha dichiarato Sunak facendo un riferimento, non casuale, alle casse dello Stato.

    Sì perché Londra accetta di pagare piuttosto salato la sua quota – stimata in un esborso annuo di 2,2 miliardi di sterline (più di 2,5 miliardi euro) – per partecipare ai 2 programmi da partner esterna all’Unione. La mossa può rientrare, a seconda dei punti di vista, in un nuovo esempio di ‘Bregret’, il neologismo creato per definire il rimpianto britannico dopo l’addio all’Ue e le contromisure introdotte per mitigarne gli effetti negativi; ma anche in un approccio piuttosto lucido da parte del Regno nel mantenere legami con l’Unione nei dossier considerati più strategici. Allo stesso tempo, pure Bruxelles saluta le intese di questo tipo come dei successi e lo ha fatto anche stavolta: «L’Ue e il Regno Unito sono partner e alleati strategici fondamentali e l’accordo di oggi lo dimostra. Continueremo a essere all’avanguardia nella scienza e nella ricerca globale», ha affermato la presidente Von der Leyen.

    I più soddisfatti sono comunque gli scienziati, a partire dal professor Paul Nurse, 74enne premio Nobel per la medicina nel 2001, che in un rapporto inviato nei mesi scorsi al governo Tory aveva lanciato l’allarme sui rischi rispetto a un abbandono britannico di Horizon. Oggi si è detto «entusiasta» per la notizia dell’accordo. Mentre in un comunicato congiunto l’Academy of Medical Sciences, la British Academy, la Royal Academy of Engineering e la Royal Society hanno salutato «un grande giorno per i ricercatori nel Regno Unito e in tutta Europa». In base all’intesa gli scienziati britannici potranno chiedere sovvenzioni e partecipare ai tanti progetti del programma Horizon. E’ esclusa invece la collaborazione di Londra all’interno di Euratom per lo sviluppo di tecnologia nucleare, in quanto il Regno vuole portare avanti la propria strategia nazionale.

  • Guinean cycles across six countries for spot at Egypt’s Al-Azhar University

    A student has cycled 4,000km (2,500 miles) across West Africa, enduring arrests and blazing heat, for a spot at his dream university.

    Mamadou Safayou Barry set off from Guinea for Egypt’s prestigious Al-Azhar in May, hoping he would be accepted.

    The 25-year-old cycled for four months through countries wracked by Islamist militants and coups.

    He told the BBC he was “very, very” happy to have been given a scholarship when he finally reached Cairo.

    The married father of one said although he could not afford the Islamic Studies course at Al-Azhar, or flights to Egypt, the university’s reputation spurred him to take his chances on the epic trek through Mali, Burkina Faso, Togo, Benin, Niger and Chad.

    Al-Azhar is one of the most influential centres for Sunni Islamic learning in the world. It’s also one of the oldest, having been founded in the year AD670.

    Mr Barry set off from his home “seeking Islamic knowledge” but experienced suspicion and adversity in some of the countries he biked through.

    In Mali, Burkina Faso and Niger, attacks by Islamist militants on civilians are frequent and recent coups have led to political instability.

    “To travel through these countries is very hard because they don’t have security at this time,” he said.

    “They have so many problems and people there are very scared – in Mali and Burkina Faso people were looking at me like I am a bad man. All over I was seeing the military with their big guns and cars,” Mr Barry said.

    He said that he was arrested and detained three times for no good reason – twice in Burkina Faso and once in Togo.

    However, Mr Barry’s luck took a turn when he reached Chad. A journalist interviewed Mr Barry and posted his story online, prompting some good Samaritans to fund a flight to Egypt for him.

    This meant he avoided cycling through Sudan, parts of which are currently war-zones.

    On 5 September, he finally arrived in Cairo. His determination earned him a meeting with the Dean of Islamic studies, Dr Nahla Elseidy. After speaking to Mr Barry, Dr Elseidy offered him a place on Al-Azhar’s Islamic Studies course, with a full scholarship.

    The dean said on her social media channels that the university was keen to offer its knowledge to students worldwide and that this philosophy “not only covers international students in Egypt but also extends abroad. Al-Azhar receives students from all countries, takes care of them, and offers them grants”.

    Mr Barry said he was “very, very happy” to have received the scholarship.

    “I cannot tell you how happy I was. I thanked God,” he said.

    Mr Barry added that the trials of his expedition are long forgotten – erased by the joy of being able to call himself an al-Azhar scholar.

  • ‘Sex for grades’ outlawed by Nigeria’s parliament

    Nigeria’s outgoing parliament has finally passed a bill that aims to prevent the sexual harassment of university students.

    Once it is signed into law by newly elected President Bola Tinubu it will be illegal for lecturers to make any sexual advances towards students.

    Those who do have sexual relationships with their students could face up to 14 years in jail.

    The anti-sexual harassment bill was originally introduced in 2016 but did not pass both houses of parliament.

    It was reintroduced by the senate in 2019 following a BBC investigation that uncovered alleged sexual misconduct by lecturers in Nigeria and Ghana.

    BBC Africa Eye’s Sex for Grades documentary prompted outrage, but the bill was further delayed as the house of representatives wanted some changes – and two parliamentary committees had to come to an agreement on the final wording.

    Outgoing lawmakers are trying to wrap up business before newly elected MPs are sworn in next week.

    A student told BBC news she was happy about the development and hoped President Tinubu would pass it into law soon.

    Earlier in the month, a group of students had issued a statement to express their displeasure that the National Assembly had failed to pass it in time for his predecessor – President Muhammadu Buhari – to assent to it before leaving office.

  • Il calo demografico espone gli atenei del sud al rischio di chiusura

    Il calo demografico mette a rischio la sopravvivenza di molti atenei italiani: a certificarlo è Talents Venture, società di consulenza specializzata in istruzione universitaria, secondo la quale il declino demografico può mettere in crisi molti corsi sia per motivi numerici che finanziari: nell’anno accademico 21/22, il 18% dei corsi di laurea aveva 20 iscritti o meno al primo anno, con una concentrazione dei corsi a numerosità ridotta nel Mezzogiorno.

    Inoltre se il gettito relativo ai corsi di laurea registrasse una contrazione pari a quella della popolazione di 18-21 anni, le minori entrate nel 2040 rispetto al 2020 potrebbero ammontare a oltre 600 milioni, un valore prossimo a quello che oggi realizzano i 7 atenei statali con il gettito maggiore dai corsi di laurea. “Parlare di declino demografico significa discutere dell’esistenza stessa di molte sedi didattiche oggi attive. Le preoccupazioni riguardano soprattutto i territori più fragili, come quelli del Mezzogiorno, in cui gli atenei dovrebbero essere fondamentali leve di sviluppo. Si pensi che le 15 sedi didattiche presenti nei territori che registreranno il declino demografico più severo entro il 2030 sono tutte situate nel Mezzogiorno, e 6 di queste avevano già meno di 100 studenti iscritti al primo anno nell’anno accademico 2021/22”, commenta Pier Giorgio Bianchi, Ceo e Co-Founder di Talents Venture. Gli atenei che potrebbero vedere ridursi maggiormente in termini percentuali gli immatricolati “in sede” (cioè senza considerare i “fuori sede”, che arrivano nelle sedi didattiche da altre province) sono Enna Kore, Basilicata, Foggia, Sannio e Federico II. Questi atenei – secondo il report – potrebbero assistere a una riduzione degli immatricolati “in sede” nelle proprie sedi didattiche tra il 15% e il 24% entro il 2030 rispetto all’anno accademico 2021/22.

    La riduzione demografica del Mezzogiorno riguarderà direttamente anche i grandi atenei del Centro-Nord, che dalle regioni del Sud e dalle Isole attraggono molti fuori sede. L’università La Sapienza, per esempio, potrebbe registrare riduzioni degli immatricolati fuori sede provenienti da altre regioni al 2030 del 6% rispetto ai valori dell’anno accademico scorso, a causa della diminuzione della popolazione di 18-21enni che in questi anni riguarderà Sicilia, Puglia, Campania, Calabria e Basilicata.

    Nel 2040, tutti i 10 grandi atenei che oggi attraggono il maggior numero di immatricolati da altre regioni – Bologna, La Sapienza, Ferrara, Politecnico di Milano, Milano Cattolica, Perugia, Padova, Parma, Torino Politecnico e Trento – secondo Talents Venture potrebbero registrare contrazioni nelle immatricolazioni di fuori sede da altre regioni superiori al 20%.

    Nelle conclusioni, gli economisti di Talents Venture sottolineano da una parte la necessità di un coordinamento a livello nazionale, che accompagni gli atenei nelle sfide legate ai trend demografici, evitando l’ingenerarsi di squilibri non governati interni al sistema universitario ed assicurando risorse finanziarie destinate ad investimenti, a partire da quelle del Pnrr destinate alle residenze universitarie. Dall’altra la necessità di iniziative specifiche a livello di singoli atenei e territori, volte all’analisi dei trend demografici in atto presso i propri “bacini” di riferimento e al rafforzamento della sostenibilità della propria offerta formativa.

  • Il diritto allo studio ed il desiderio abitativo

    La fortuna si manifesta in diverse forme, e durante il periodo studentesco sicuramente la vicinanza della propria abitazione al proprio liceo o all’università rappresentata una di quelle più gradite in quanto assolutamente gratuite.

    Il pendolarismo studentesco rappresenta una delle domande più importanti nella movimentazione delle persone, alla quale il sistema pubblico si trova con grande difficoltà a dovere rispondere, per di più con risorse sempre più limitate. In questo contesto le disponibilità economiche familiari rappresentano un plus fondamentale non solo nell’opera di finanziare i viaggi studenteschi, ma soprattutto prima ancora nella scelta della facoltà desiderata anche in location universitarie distanti dal luogo di residenza.

    In altre parole, una volta individuata la facoltà successivamente la sede universitaria viene scelta anche tenendo conto dei costi da sostenere. Questa è la prassi nel mondo familiare quotidiano.

    Viceversa il desiderio, anche se legittimo, di ottenere una residenza nella città di studio rappresenta per molte famiglie degli universitari una soluzione economicamente insostenibile e quindi viene esclusa. Le limitate risorse familiari si traducono nella scelta di un’altra sede universitaria alla quale sia possibile accedere attraverso il fenomeno del pendolarismo giornaliero.

    La pretesa, ora, di ottenere degli alloggi per gli studenti fuori sede a dei costi “amministrati” rappresenta semplicemente un legittimo desiderio ma altrettanto impossibile da esaudire e soprattutto un ribaltamento delle priorità cittadine.

    Andrebbe innanzitutto evidenziato, infatti, in primo luogo che dovrebbero essere i sindaci di queste città ed i vertici accademici i quali, più del governo in carica, rappresentano i veri destinatari di tali proteste e pretese per una situazione come quella attuale in quanto frutto di sottovalutazione dei desideri studenteschi.

    Del resto la pretesa di una assoluta autonomia accademica non può né deve escludere la presa di coscienza da parte dei medesimi vertici della difficile congiuntura di molte famiglie in Italia e conseguentemente avviare delle strategie adeguate.

    In secondo luogo andrebbe ricordato a questi studenti come l’emergenza abitativa rappresenti uno degli allarmi sociali più drammatici all’interno delle realtà urbane. Senza nulla togliere alle istanze studentesche, nella priorità di sindaci e governo le aspettative di queste famiglie in difficoltà, e dei loro figli, rappresentano sicuramente un problema molto più incalzante e che richiede una attenzione ma soprattutto una risposta più immediata.

    Andrebbe poi ricordato come un desiderio, anche se legittimo, non sempre si può trasformare in un diritto riconosciuto.

    Quindi, in considerazione che tutto sommato la vita del pendolare non è poi così terribile, risulta sacrosanto riconoscere la priorità alle aspettative delle famiglie colpite dall’emergenza abitativa anche per la crisi economica, rispetto ai desideri delle “tendine” studentesche.

  • A Bologna l’Università dell’Onu per studiare clima

    Il dipartimento dell’Università delle Nazioni Unite che attraverso i big data e l’intelligenza artificiale studierà il cambiamento climatico e il riscaldamento globale, nascerà a Bologna. A fine 2022 il consiglio dell’Università delle Nazioni Unite ha infatti accettato la proposta arrivata da Regione Emilia-Romagna e Ministero degli Esteri per istituire a Bologna il dipartimento Ibahc dell’ateneo internazionale: si tratta del 12esimo aperto nel mondo, il primo nell’area Mediterranea.

    La Regione Emilia-Romagna, come ha annunciato il presidente della Regione Stefano Bonaccini, ha già stanziato 5 milioni nel triennio necessari a garantire l’avvio dell’istituto e mettergli a disposizione una sede che sarà nel tecnopolo di Bologna, dove già ci sono il centro di calcolo con il supercomputer Leonardo (il quarto più potente del mondo) e il Centro meteo dell’Unione Europea. Le tre realtà del tecnopolo agiranno in sinergia, come pure con l’Università di Bologna che sarà un partner tecnico, ma metterà a disposizione anche la sua rete. Bonaccini ne ha già parlato con il Ministro degli Esteri Antonio Tajani, visto che la Farnesina dovrà impegnarsi per altri 40 milioni, per dare continuità al progetto realizzato con il precedente governo.

    Quella che sorgerà a Bologna sarà un’Università vera e propria, con corsi di laurea specifici, docenti e ricercatori che verranno selezionati per approfondire le questioni del cambiamento dell’habitat umano grazie alle tecnologie che si trovano al tecnopolo. Il rettore dell’ateneo delle nazioni unite David M. Malone ha inviato una lettera non solo per approvare, ma anche per elogiare il progetto che si occuperà, appunto, di indagare i cambiamenti climatici attraverso i big data e l’intelligenza artificiale. Il prossimo passaggio formale sarà un accordo bilaterale fra l’Onu e le autorità italiane nel quale si formalizzerà l’accordo e si darà il via operativo alla nascita dell’Ibahc (acronimo dell’istituto che sta per Big Data e Intelligenza artificiale per la gestione del cambiamento dell’habitat umano).

    «A Bologna e in Italia – ha detto Bonaccini – arriveranno ricercatori, esperti e conoscenze davvero uniche, che si aggiungeranno a infrastrutture già oggi di portata internazionale assoluta come il supercomputer Leonardo e il Data Center del Centro Meteo europeo. Un risultato di squadra, raggiunto grazie all’approfondito lavoro svolto con le tante istituzioni coinvolte e con il fondamentale supporto dell’United Nations University, e che conferma ancora una volta l’Emilia-Romagna come centro d’eccellenza a livello internazionale per le attività di ricerca, scienza, intelligenza artificiale e big data. E con la nostra regione il Paese».

  • La lingua inglese sta colonizzando il sapere e la cultura?

    Chi non parla inglese può scordarsi di trovare un lavoro, perché la lingua di Shakespeare è data per scontata anche in un Paese in cui non è poi così diffusa come l’Italia, dove i bambini incominciano la studiarla dai 6 anni ma dove il programma Intercultura, che consente agli adolescenti di trascorrere un anno all’estero imparando anche la lingua e la cultura del luogo, continua  a non prevederla come un requisito, nonostante sia richiesta per gli studenti che vogliano recarsi nei Paesi anglofoni. E se all’università, Erasmus ha contribuito a espandere l’uso dell’inglese per favorire gli scambi internazionali, molti atenei in Paesi non anglofoni hanno introdotto corsi in inglese.

    A dispetto della sua importanza, l’insegnamento dell’inglese anziché essere sollecitato continua a suscitare resistenze. Se in Olanda è lingua ufficiale insieme a quella originale del posto, nel Belpaese Claudio Marazzini, storico della lingua italiana e presidente dell’Accademia della Crusca, osserva che «La convivenza fra due lingue implica un equilibrio da perseguire con attenzione» e ammonisce che «l’inglese non deve diventare l’assassino dell’italiano» ricordando che ogni due settimane sparisce una delle circa 6800 lingue del pianeta. A difesa della biodiversità linguistica, peraltro, prende posizione anche Patricia Ryan, docente di inglese nei Paesi del Golfo per oltre 30 anni: «Se si usa un’unica lingua, il pensiero si può bloccare su una questione che diventa superabile, magari, ragionando in un idioma differente».

    La spinta a privilegiare l’inglese ha portato il Politecnico di Milano al centro di una lunga diatriba. Nel 2012 l’ateneo decide che i corsi per le lauree magistrali e i dottorati per ingegneri e architetti devono svolgersi solo in inglese. Ne deriva una battaglia legale a colpi alterni, in cui sono coinvolti Tar, Corte Costituzionale e Consiglio di Stato, che nel 2017 ha riconosciuto la libertà d’insegnamento in inglese, purché affiancato da un numero adeguato di corsi in italiano, il cui numero resta a discrezione dell’ateneo. Attualmente al Politecnico i corsi di dottorato sono tutti in inglese, mentre dei 48 corsi della magistrale 35 sono solo in inglese, 4 solo in italiano e 9 in entrambe le lingue. Marazzini rimane critico: «La nostra classe dirigente non ha capito come dovrebbe essere il rapporto fra italiano e inglese, che dovrebbe affiancare e non sostituire la nostra lingua. Eppure, il bando ministeriale per il Fondo Italiano per la Scienza (del 2021, ndr) chiede di presentare le domande solo in inglese, e a eventuali colloqui è bandito l’italiano. Capirei in presenza di commissari stranieri, ma altrimenti perché non usare la nostra lingua?».

    Lo stesso scenario si ripete nel mondo delle pubblicazioni degli studiosi. «L’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) considera superiori quelle in inglese, senza tenere conto che in materie come la letteratura o la filosofia è una forzatura».

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