Missing in action
Il clima di incertezza internazionale ha determinato un forte rallentamento della crescita economica e paradossalmente risulta ancora una volta (esattamente come nel 2008 nel caso della crisi finanziaria Made in Usa dei “subprime”) successivo ad un periodo di politica monetaria fortemente espansiva negli Stati Uniti operata dalla Fed per sostenere la crescita dell’economia americana.
Così in Europa il rallentamento, e per fortuna ancora non la crisi conclamata, emerge alla fine del quantitative easing che ha rappresentato, assieme ai Tltro, un sostegno alla ripresa economica europea da parte della Bce.
Quindi la crisi mondiale finanziaria Usa, se non causata, quantomeno viene favorita dall’eccesso di liquidità immessa dalla Fed come strumento di sostegno e di sviluppo per l’economia statunitense, all’interno di un mercato globale contraddistinto da una maggiore incertezza legata soprattutto alla politica di forte contrapposizione tra gli Stati Uniti e la Cina e nella definizione delle politiche commerciali presenta forti similitudini con il rallentamento della crescita.
La storia economica, in altre parole, dimostra ancora una volta, inequivocabilmente, che le sole politiche monetarie utilizzate come strumento di sviluppo se non opportunamente finalizzate alla ripresa del settore manifatturiero e industriale rappresentano semplicemente un veicolo per creare le perfette condizioni per una crisi economica scaturita sia da problematiche proprie interne che da contesti internazionali come la contrapposizione tra i due colossi Stati Uniti e Cina.
Il clima di incertezza complessivo, quindi, contribuisce a creare le condizioni di un rallentamento della crescita nel mercato globale ed interconnesso. Per quanto riguarda il nostro paese, invece, l’Italia è tra gli unici cinque (5) paesi del mondo in recessione economica assieme alla Corea del Nord, alla Guinea Equatoriale, Porto Rico e Venezuela. Questa triste e indegna situazione economica dimostra l’assoluta incapacità gestionale operativa e strategica di chi ha gestito le politiche economiche nel nostro paese a partire dal 1992 in poi, l’anno del prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti degli italiani operato dal governo Amato nella notte tra il 9 e 10 di luglio: nel caso qualche mente infantile ancora pensasse ad un ritorno alla lira per risollevare le condizioni della nostra economia.
In questo contesto avvilente si rileva a puro titolo di cronaca come tre termini economici (che hanno riempito le cronache economiche degli ultimi anni) risultino assolutamente spariti dal lessico odierno di economisti, politici, accademici e media da quando la crisi sta manifestando i propri effetti particolari per l’economia italiana.
Negli ultimi cinque anni infatti buona parte del dibattito che ha investito le migliori “intelligenze nazionali ed internazionali” troppo spesso risultava concentrato su tematiche di sviluppo economico che indicavano nel valore di volano dei servizi, ed in questi individuati soprattutto dalla sharing/app/gig Economy. Queste tre definizioni di Economia ora risultano letteralmente “missing in Action“!
Ancora oggi non si riesce a comprendere come i servizi individuati come fattore fondamentale di sviluppo invece verranno spazzati via nel giro di pochi anni da un semplice algoritmo. Potranno sopravvivere, invece, solo ed esclusivamente se legati ad un forte settore manifatturiero all’interno del quale contribuiranno ad aumentare il valore aggiunto del prodotto. Viceversa l’intero mondo economico nazionale e internazionale ha sempre individuato in queste tre tipologie di “economia” la via maestra per lo sviluppo. Queste invece risultano assolutamente ridicole sotto il profilo del loro peso economico ma soprattutto, e ripeto soprattutto, per la “ricaduta occupazionale risibile”, il parametro di riferimento fondamentale nella valutazione di un qualsiasi politica di sviluppo economico .
A queste ridicole visioni si aggiungono, poi, la sopravvalutazione degli effetti delle politiche di deregolamentazione dei servizi stessi (https://www.ilpattosociale.it/2019/03/07/perche-non-si-cresce/).
Il fatto ora che il nostro Paese risulti nel terribile gruppo delle uniche cinque nazioni del mondo in recessione economica dimostra inequivocabilmente il fallimento clamoroso della nostra classe politica, dirigente ed accademica dimostratasi ancora una volta assolutamente autoreferenziale ed incapace nell’elaborazione di una strategia economica del medio come del lungo termine. Una inadeguatezza che condanna il nostro paese ad un inesorabile declino culturale di cui quello economico ne risulta semplicemente un effetto.