soldi

  • La Commissione europea emette obbligazioni per 7 miliardi di euro

    Nel quadro della sua seconda operazione sindacata del 2024, la Commissione europea ha raccolto 7 miliardi di euro di fondi tramite obbligazioni dell’Ue. Si tratta di una somma simile a quella raccolta nell’ambito della prima operazione dello stesso generale, effettuata alla fine di gennaio e che ha trovato un’accoglienza sui mercati giudicata molto soddisfacente a Bruxelles.

    L’operazione di febbraio è consistita in una nuova tranche unica di 7 miliardi raccolti tramite un’obbligazione dell’Ue in scadenza il 4 dicembre 2034. L’obbligazione a 10 anni ha raggiunto un rendimento di riofferta del 3,028%, equivalente ad un prezzo di 99.754 (per la prima emissione di eurobond a gennaio il rendimento si era attestato tra il 2,781% e il 3,687% a seconda della durata dei singoli titoli emessi). Le offerte ricevute hanno raggiunto un importo di 67 miliardi di euro, generando così un tasso di sottoscrizione eccedente pari a 9.

    I proventi dell’operazione saranno utilizzati per finanziare i programmi strategici dell’Unione, anzitutto il piano NextGenerationEU (che è quello che consente il Pnrr all’Italia). Sia gli Stati, per voce del presidente francese Emanuel Macron, che la Commissione europea, tramite il commissario Paolo Gentiloni, hanno fatto appello al ricorso degli eurobond per consentire investimenti che favoriscano politiche di sviluppo dei Paesi dell’Unione.

    Per il primo semestre del 2024, la Commissione ha già emesso obbligazioni per circa 24 miliardi di euro a fronte del suo obiettivo complessivo di finanziamento di 75 miliardi.

    I trattati dell’Ue conferiscono alla Commissione europea il potere di contrarre prestiti sui mercati internazionali dei capitali per conto dell’Unione europea. La Commissione gode di un’ottima reputazione nei mercati dei titoli di debito grazie alle numerose emissioni di obbligazioni coronate da successo nell’arco di 40 anni. Tutte le emissioni della Commissione europea sono denominate esclusivamente in euro. L’assunzione di prestiti dell’Ue è garantita dal bilancio dell’UE e i contributi al bilancio dell’Unione costituiscono un obbligo giuridico incondizionato per tutti gli Stati membri a norma dei trattati della stessa Ue.

  • Quasi 3 italiani su 10 hanno bisogno di aiuto economico da parenti

    L’Osservatorio Mensile Findomestic (Gruppo Bnp Paribas) ha rilevato che negli ultimi anni quasi 3 italiani su 10 (29%) hanno ricevuto un aiuto economico dalla propria famiglia, la maggior parte (23%) in modo ricorrente, soprattutto per pagare le bollette e la spesa alimentare; il 10%, invece, ha ricevuto un sostegno economico una tantum dai propri familiari sotto forma di prestito, donazione di denaro o di beni importanti. Sono soprattutto i genitori (60%) a prestare aiuto e in percentuale minore (13%) fratelli o sorelle. «L’analisi di febbraio – commenta Claudio Bardazzi, Responsabile Osservatorio Findomestic – evidenzia una situazione economica che per il 40% delle famiglie italiane continua a essere “molto” o “abbastanza” problematica. Oltre la metà (52%) negli ultimi 3 mesi non è riuscita a risparmiare nulla del reddito guadagnato e l’inflazione rimane saldamente la preoccupazione principale di 6 italiani su 10. In questo quadro, secondo la nostra ultima indagine, l’aiuto familiare, spesso intergenerazionale, si rileva fondamentale per 3 famiglie su 10».

    Gli ecoincentivi per le auto a motore termico a basse emissioni (i più utilizzati dagli italiani) si sono esauriti in poche settimane frenando le intenzioni d’acquisto di auto nuove (-11,5%) e trascinando al ribasso (-8,3%) la propensione media all’acquisto degli italiani per i prossimi 3 mesi. Come rilevato dall’Osservatorio Findomestic, quello della mobilità (anche la propensione all’acquisto di auto usate e motoveicoli è in calo, rispettivamente del 16,5% e 18,2%) non è l’unico settore che soffre: nell’ambiente domestico flessione a doppia cifra per impianti di isolamento termico (-19,5%) e piccoli elettrodomestici (-11,4%). Arretrano anche i grandi elettrodomestici (-6,3%), i mobili (-4,5%), gli infissi (-2,4%) e le caldaie a condensazione e biomassa (-0,9%). Al contrario risultano in crescita pompe di calore (+8,3%) e impianti fotovoltaici/solari termici (+6,5%). Segno “meno” per la propensione agli acquisti nel comparto tecnologico: fotocamere (-4,7%), tablet (-4,9%), TV (-6,5%), telefonia (-10,2%) e PC (-13,5%). «I consumatori – ha aggiunto Bardazzi – sono proiettati verso la bella stagione: le intenzioni d’acquisto di monopattini (+28%) ed e-bike (6%) crescono così come quelle dei viaggi (+10,8%) che compensano gli andamenti negativi di altri segmenti del settore “tempo libero”: -8,4% per le attrezzature sportive e -6,4% per il fai da te».

  • Gli anziani non autosufficienti crescono e le risorse sono ancora ferme a 530 euro al mese e 18 ore di infermiere all’anno

    Bastano 530 euro al mese per una badante? Calcolando che la badante, ove non sia in nero, è una dipendente a tutti gli effetti, e percepisce quindi la tredicesima, i contributi previdenziali, le ferie pagate (durante le quali va sostituita con altra badante, a sua volta remunerata), la cifra appare piuttosto scarsa. Ma tant’è, questo è quello che passa il convento: l’indennità di accompagnamento corrisposta dallo Stato a chi non è in grado di alzarsi, lavarsi e vestirsi da solo e non sia ricoverato presso una struttura per anziani è questa. Anche nel caso in cui anziano da assistere sia afflitto da demenza e debba essere monitorato 24 ore su 24.

    Come riporta Simona Ravizza in un reportage su Sette del Corriere della Sera, le badanti in Italia sono 1 milione e 6 volte su 10 non sono in regola. Ma peggio ancora sta l’anziano che vive a casa e che abbia bisogno di assistenza infermieristica. Sottolinea ancora Ravizza: «Gli 858.722 che oggi hanno un infermiere che va a casa per la cosiddetta assistenza domiciliare integrata (Adi) finanziata dal servizio sanitario nazionale ce l’hanno per un massimo di 18 ore l’anno». Fatti due conti, chi ha bisogno di un infermiere può averlo per 1 ora e 15 minuti al mese. E infatti, si legge ancora nel reportage di Sette, «Adesso il Pnrr ci dà 2,72 miliardi di euro per raddoppiare (o quasi) il numero di anziani assistiti di qui al 2026. Ma se parallelamente non viene aumentato il monte-ore dell’assistenza, il problema resta. Non risolve la situazione neppure che 131mila beneficino dei servizi sociali del Comune che mandano qualcuno che aiuta ad alzarsi, mangiare e vestirsi (Sad). La frammentazione e la duplicazione dei servizi porta con sé l’inefficacia degli interventi. Come se non bastasse per ricevere gli aiuti è necessario fare ogni volta una domanda diversa con un’odissea tra sportelli e commissioni anche se l’ente statale che li eroga è sempre lo stesso, l’Inps».

    Il sistema potrebbe cambiare, perché il governo ha recentemente predisposto il decreto di attuazione della riforma del settore approvata nel 2023. Intanto però la situazione è questa: «Il riconoscimento dell’invalidità civile al 100% per chi è cieco, sordo o ha un’ autonomia limitata serve per accedere ai benefici economici come le pensioni, ma anche per l’esenzione dal ticket sanitario, le protesi e gli ausili. Ebbene, una volta ottenuta, l’invalidità civile non dà automaticamente diritto all’indennità di accompagnamento (indipendente dal reddito). Così, come già ricostruito per la rubrica ‘Dataroom’ sempre del Corriere della Sera, dopo avere fatto la trafila all’Inps per ottenere l’invalidità, per avere anche i 530 euro mensili bisogna: rivolgersi al medico di famiglia che fa una certificazione; inviarla all’Inps per ottenere un codice identificativo; fare una visita medica all’Asl; presentare la domanda (via web o patronato). Il caso viene poi esaminato da una commissione presieduta da un medico Inps che rilascia il verbale di indennità civile; segue infine la compilazione del modulo AP70 che consente di ricevere dalla stessa Inps l’indennità di accompagnamento. Altro giro infernale di giostra, nuovi documenti da presentare per ottenere i benefici collegati alla legge 104, cioè i permessi o i congedi per chi ha un familiare disabile a carico». Va da sé che tutto questo postula a monte una dimestichezza col digitale che non è così scontata, neanche tra i figli di chi è anziano e dunque a sua volta non è proprio un millennio nato e cresciuto col web. Ma non finisce qui: «Per gli aiuti di competenza locale che sono l’infermiere a casa (Adi), l’accesso a strutture semidiurne, le protesi e pannoloni bisogna fare ancora altre domande a commissioni diverse anche se il referente è sempre l’Asl; e per i voucher per l’assistenza domiciliare del Comune (Sad) è necessario rivolgersi ai Servizi sociali». L’implementazione della riforma dovrebbe portare all’introduzione «di una ‘Valutazione nazionale unica’ che garantisce l’accesso simultaneo a tutte le prestazioni di competenza statale di cui un non autosufficiente ha diritto in base alla sua gravità» e che «sarà anche trasmessa in via informatica alle nuove ‘Unità di Valutazione Multidimensionale locali’ senza ulteriori adempimenti. Per attivare i servizi il cittadino si rivolgerà a presidi territoriali ben identificabili, tipo le Case della Comunità».

    Per gli anziani che non vengono mandati in apposite strutture, la riforma prevede ancora maggiori risorse pubbliche: «Il Consiglio dei ministri ha proposto una sperimentazione per il 2025-2026 rivolta a persone 80+ con bisogni gravi e ridotte disponibilità economiche che avranno a disposizione 850 euro mensili da impiegare per acquistare assistenza (da badanti o cooperative). Li potranno ricevere 29.400 anziani nel 2025 (1,9% dei beneficiari indennità) e 19.600 nel 2026 (1,2%)».

    Per quel che riguarda gli anziani non tenuti a casa, invece, la situazione ad oggi è questa: «Nelle case di riposo in Italia ci sono all’incirca 200-250 mila posti. Il costo dipende dal grado di autosufficienza dell’anziano: dai 2.400 agli oltre 4.000 euro al mese, a seconda delle Regioni, e le cifre delle rette mensili sono in aumento costante. La metà del costo è coperto dal finanziamento pubblico (fermo da anni), l’altra metà a carico dell’ospite. Business in eterna espansione per le società private profit, colpo letale ai risparmi di una vita per l’ospite e i suoi familiari. La degenza media è di 12 mesi: si porta la persona anziana nella casa di riposo quando non è proprio più possibile gestirla fuori».

    Infine, qualche dato prospettico, sempre tratto dal reportage di Sette: «Nei prossimi 30 anni il numero di over 80 andrà quasi al raddoppio: dai 4,4 milioni di oggi ai 7,9 milioni del 2050. Chi curerà così tanti anziani, i figli del babyboom degli Anni 60? Allora le nascite erano 900 mila l’anno. I figli e i nipoti in grado di aiutarci in vecchiaia saranno molti di meno. Le nascite tra il 1990 e il 2000 scendono intorno ai 550 mila l’anno: e i figli dei figli sono ancora meno perché nel 2020 i neonati crollano a 400 mila».

  • L’inflazione, questa entità negata

    Piano piano stanno emergendo i dati relativi al 2023, non solo afferenti la crescita economica ma soprattutto rispetto all’andamento dell’inflazione la quale, va ricordato, determina comunque un impoverimento, cioè una perdita di valore di tutti gli asset, dal risparmio agli immobili del Paese.

    Il dato generale parla di un aumento dell’inflazione del +5,7% accolto, oltretutto, con entusiasmo dal governo. Il dato veramente allarmante, però, riguarda quello relativo all’andamento dei prezzi alimentari che segna un +9,2% il quale determina sostanzialmente un crollo dei consumi a retribuzioni sostanzialmente costanti. Le vendite al dettaglio a dicembre staccano di un -0,1% in valore e -0,5% in volume su novembre, ed ancora di un +0,3% in valore e -3,2% in volume su base annua. Nel 2023, infine, ad una crescita +2,8% in valore corrisponde un drammatico -3,7% in volume rispetto all’anno precedente.

    Ecco quindi spiegate con pochi dati le conseguenze del fenomeno inflattivo che si manifesta con una maggiore spesa in valore alla quale corrisponde una diminuzione nei volumi.

    La crescita quasi doppia dell’inflazione nel settore alimentare è determinata anche dall’effetto devastante della sospensione degli sconti sulle accise per i carburanti i quali incidono molto di più nei costi dei trasporti di altri beni a maggiore valore aggiunto.

    In questo contesto quindi il carrello tricolore e la diminuzione del cuneo fiscale non hanno determinato, a differenza di quanto affermato dal ministro Urso, nessun effetto se non addirittura hanno peggiorato la situazione.

    La stessa inflazione, da troppi ancora oggi considerata come un fattore competitivo e di sostegno alla crescita delle nostre esportazioni, non ha conseguito gli effetti desiderati, come dimostrano gli ultimi dati relativi all’export dell’ultimo trimestre ed ancora di più quelli recenti del 2024 (https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/pelletteria-la-frenata-del-lusso-allarme-rosso-per-il-distretto-d4cfd74c).

    Questi numeri di economia reale stridono con le affermazioni del governo in carica tanto per la battaglia contro l’inflazione quanto per la presunta crescita economica. Si pensi, infatti, al medesimo effetto nel calcolo del Pil del 2023 il quale segna un segno positivo solo per l’aumento dei prezzi in quanto viene calcolato a prezzi correnti, per di più drogato dall’effetto dei finanziamenti a debito del PNRR.

    In questo contesto di estrema difficoltà dei cittadini e delle imprese, quindi, risulterebbe vitale per la stessa sopravvivenza di un livello di vita decente il totale abbandono di determinati capitoli di spesa quali non garantiscono l’effetto immediato di benessere per i cittadini.

    L’annullamento del faraonico progetto del ponte sullo Stretto di Messina, per esempio, come la rinuncia a determinati fondi destinati alla realizzazione di opere urbanistiche finanziate con il PNRR rappresenterebbero una delle strategie che un buon padre di famiglia adotterebbe in un momento di crisi piuttosto che continuare a ricorrere al debito ormai arrivato alla spaventosa cifra di 2.864 miliardi (quasi mille in più dal novembre 2011 quando segnava 1.987 miliardi il debito pubblico).

    Gli ultimi dodici anni (2012-2024) hanno dimostrato come l’aumento della spesa pubblica e del debito non abbiano determinato nessun effetto positivo. Queste riduzioni di spesa pubblica dovrebbero parallelamente corrispondere a delle riduzioni sulle accise di carburanti e non tanto del cuneo fiscale quanto dell’IVA.

    Tutte le politiche degli ultimi trent’anni hanno determinato congiuntamente un impoverimento del reddito disponibile di oltre il -2,7% per i cittadini italiani a fronte di una crescita in Germania del +34,7 ed in Francia del +27,2.

    Sarebbe un atto di estrema intelligenza dimostrarsi in grado di comprendere come sia arrivato il momento di cambiare strategie economiche, ritornando a considerare come centrale il sostegno alla domanda interna e, contemporaneamente, supportare la competitività delle imprese, non tanto attraverso la compressione dei salari ma con un miglioramento dei servizi offerti dalla macchina burocratica e con una pressione fiscale meno opprimente.

    Questi piccoli numeri definiscono senza ombra di dubbio il fallimento di gran parte della classe politica di economisti ed accademici che si sono succeduti negli ultimi trent’anni anni alla guida del nostro Paese e che ancora oggi stanno facendo pagare ai cittadini normali quella che, per non dire di peggio, è stata la loro incompetenza.

  • Fleximan e l’analisi statistica

    Come sempre l’Italia per ogni argomento si divide tra Guelfi e Ghibellini ed inevitabilmente questo avviene anche per il serial killer degli autovelox. Persino un procuratore della Repubblica ha avuto l’ardire di definire la simpatia di alcune persone nei confronti di Fleximen espressa soprattutto sui social come una possibile apologia di reato

    Nello specifico, tuttavia, la statistica potrebbe aiutare a dipanare la situazione attuale e magari offrire una lettura della attuale situazione.

    Nel nostro Paese sono operativi circa 11.000 autovelox (*) mentre in Francia ve ne sono circa 3.700 ma istallati all’interno di un territorio superiore del 45% a quello dell’Italia. In considerazione del fatto che le comparazioni statistiche andrebbero fatte per sistemi omologhi, la comparazione tra Francia e Italia in su rilevatori e velocità ci porta a considerare i numeri come se in nostro Paese avesse la stessa superficie della Francia.

    In questo caso, allora, gli autovelox sarebbero oltre 15.400, mentre se la Francia avesse la nostra superficie i rilevatori di velocità diventerebbero circa 2500.

    In questa rinnovata analisi gli ultimi dati disponibili indicano come in Francia ci siano 2.947 morti, contro i 2.875 deceduti sul territorio italiano.

    La differenza tra i dati fa emergere quindi come siano poco più del +2,5% i decessi nel paese transalpino. Al contrario, la presenza di rilevatori di velocità in Italia è superiore del +75% rispetto a quanto avviene in Francia.

    Queste due differenze percentuali tra decessi e numero di autovelox dimostra come viene meno l’effetto sui decessi in quanto l’infrazione non viene rilevata istantaneamente da una pattuglia.

    Non è difficile comprendere se anche un ‘auto passa ad una velocità superiore al limite alla guida, gli effetti disastrosi causati da una persona alla giuda oltre i limiti consentiti di alcool, droga, ‘auto non revisionata e senza assicurazione rimangono tali e quali.

    In ultima analisi, la simpatia che Fleximen ottiene non è per una sostanziale anarchia dei cittadini italiani, quanto nata dalla consapevolezza di un utilizzo speculativo del concetto di sicurezza stradale complessivo di cui questi rilevatori sono espressione.

    Le sanzioni erogate da ogni rilevatore di velocità rappresentano una riedizione contemporanea della medioevale decima applicata non sul raccolto ma sul semplice “transito”.

  • In arrivo dalla Commissione UE 551,2 milioni di euro come prefinanziamento REPowerEU

    La Commissione ha erogato all’Italia 551,2 milioni di euro a titolo di prefinanziamento relativi ai fondi REPowerEU nell’ambito del dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF).

    Tale prefinanziamento contribuirà ad avviare l’attuazione delle principali misure di investimento e riforma delineate in ciascun capitolo dedicato al piano REPowerEU. Ciò accelererà gli obiettivi di REPowerEU in materia di risparmio energetico, produzione di energia pulita e diversificazione dell’approvvigionamento energetico, al fine di rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili russi alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina.

  • Il Wall Street Journal rimprovera a Musk di fare uso di droghe

    Il Wall Street Journal riconduce a cocaina, ecstasy, funghi allucinogeni e ketamina alcuni comportamenti di Elon Musk. Secondo la testata, tra dirigenti e membri del consiglio di amministrazione delle aziende del tycoon – da Tesla a SpaceX – vi è il timore che l’uso di droghe da parte del tycoon possa avere conseguenze non solo sulla sua salute personale, ma anche sulle sei società e i miliardi di asset che supervisiona: «Musk è parte integrante del valore delle sue aziende e potrebbe influire sulla fiducia degli investitori, mettendo a rischio decine di migliaia di posti di lavoro».

    Il quotidiano riferisce di testimonianze dirette di persone che affermano di aver visto Musk consumare droghe come LSD, cocaina, ecstasy e funghi psichedelici durante feste private. I partecipanti sarebbero tenuti a sottoscrivere accordi di riservatezza e a spegnere i loro telefoni cellulari all’ingresso, al fine di evitare la registrazione di video o la cattura di foto compromettenti. Nel mirino, in particolare, un evento a Los Angeles, nel 2018, in cui Musk avrebbe assunto «diverse compresse», e uno nel 2019, in Messico, durante il quale avrebbe «festeggiato» con funghetti. “Musk è noto per partecipare a feste ed eventi al Burning Man, il festival artistico e musicale del Nevada dove si fa largo uso di droghe, per sfogarsi, secondo quanto riferito da persone a lui vicine”, dichiara il WSJ.

    Uno degli aspetti più controversi è l’uso di ketamina, una sostanza nota per i suoi effetti psichedelici. Musk dichiara di avere una prescrizione medica e di utilizzarla per combattere la depressione, ma il suo consumo potrebbe costituire una violazione delle politiche federali, mettendo a repentaglio i miliardi di dollari di SpaceX in contratti governativi: i contratti federali, infatti, obbligano le imprese a rispettare il Drug-Free Workplace Act, una normativa del 1988 secondo cui chi si aggiudica un appalto dal governo federale od ottiene sovvenzioni federali deve assicurare ambienti di lavoro privi di droghe come condizione preliminare. L’eventuale violazione della legge, si legge sul Wall Street Journal, potrebbe far saltare i contratti di SpaceX.

    Il WSJ rivela ancora che anche Steve Jurvetson, attuale membro del consiglio di amministrazione di SpaceX, avrebbe condiviso il consumo di droghe illegali con il tycoon. Elemento, questo, che solleva ulteriori preoccupazioni tra i dirigenti delle società dell’imprenditore sudafricano.

  • La flat detax

    Una riduzione della tassazione rappresenta sempre un evento importante e positivo, specialmente in un paese con una pressione fiscale assolutamente insostenibile assieme ad un sistema burocratico sempre più invasivo come quello italiano.

    Nel recente passato una manovra fiscale simile fu attuata dal governo Draghi ed aveva procurato un vantaggio in termini di riduzione del cuneo fiscale stabile, quindi anche per gli anni a venire, di circa 29 euro per i redditi sotto i 27.000 euro mentre erano 35 per quelli superiori.

    La manovra del governo in carica, pur avendo una copertura finanziaria di solo un anno e finanziata ancora una volta attraverso l’aumento anche delle accise sui tabacchi, quindi a carico della fiscalità generale, presenta degli effetti decisamente superiori. Anche se, si ribadisce, questi saranno limitati ad un solo anno con l’effetto paradossale di un vantaggio limitato all’anno fiscale successivo ed un aumento della fiscalità generale invece permanente.

    Quello, tuttavia, che lascia perplessi riguarda le modalità di distribuzione di tali vantaggi fiscali.

    Si poteva scegliere per una riduzione del cuneo più cospicuo ma uguale per ogni fascia di reddito (flat detax) la quale, sulla base del principio inverso della marginalità decrescente al crescere della fascia di reddito, sarebbe stata percepita molto più alta dai percettori di redditi inferiori.

    Oppure applicare il principio inverso di proporzionalità al reddito, e quindi determinare un maggior vantaggio fiscale inversamente proporzionale alle fasce di reddito.

    Viceversa, si è scelto il principio della proporzionalità per fasce di reddito, se non proprio della progressività, cioè un maggiore vantaggio fiscale in rapporto al reddito.

    Una scelta legittima ma che rappresenta la negazione della dottrina fiscale del centrodestra e lascia ancora una volta il ceto medio abbandonato a se stesso nella ricerca di un sostegno alla domanda interna.

  • Autunno caldo per la sanità, mancano 4 miliardi

    La ripresa delle trattative per il rinnovo del contratto dei medici, le nomine dei vertici degli enti pubblici vigilati, il payback sui dispositivi, la mai sopita polemica sulle Case di Comunità previste dal Pnrr. Non mancano motivi per definire caldo l’autunno che attende il mondo della sanità, con i sindacati medici che si dicono “sul piede di guerra” e “pronti alla mobilitazione” in vista della partita più importante, quelle della risorse per la sanità in Manovra.

    Riprendono all’Aran le trattative per il contratto della dirigenza medica 2019-2021. I nodi da sciogliere sono ancora l’orario di lavoro e i fondi contrattuali. Ma, stretto tra risorse contingentate e carenza di personale, il contratto non esaurisce le rivendicazioni dei sindacati. “Per la sopravvivenza del Servizio sanitario nazionale servono 4 miliardi aggiuntivi, di cui 2,7 miliardi solo per il rinnovo del contratto dei medici e veterinari per il triennio 2022-2024», spiega Pierino di Silverio, segretario dell’Anaao Assomed. I 4 miliardi, rivendicati anche dalle regioni e chiesti dal ministro della Salute Schillaci al Mef, però, non bastano. “Occorre aumentare dell’1,5% – precisa di Silverio – la percentuale della spesa sanitaria pubblica sul Pil. Se non ci sono risposte non resteremo con le mani in mano”.

    Il Def scritto dal Governo pochi mesi fa, aggiunge Michele Vannini, segretario nazionale della Fp Cgil con delega alla sanità, “programma di portare la spesa pubblica rispetto al Pil al 6,2% nel 2025, inferiore ai livelli pre pandemia”. Il tutto mentre cresce il costo della vita, le spese di tasca propria e la rinuncia alle cure. “Va rovesciata la scelta di disinvestire sulla sanità pubblica – precisa Vannini – o il Governo si dovrà assumere la responsabilità di averla affossata”.

    Tra i temi caldi, la partita, la cui conclusione dovrebbe essere imminente, per la nomina del successore di Silvio Brusaferro alla presidenza dell’Istituto Superiore di Sanità, il cui incarico scade il prossimo 11 settembre. Anche l’Agenzia Italiana del Farmaco attende il nuovo direttore generale che, dopo la riforma, succederà alla facente funzione Anna Rosa Marra, nominata da Schillaci. Ma il decreto attuativo sulle modalità di nomina non ha ancora concluso l’iter di approvazione.

    Intanto questa settimana riprendono i lavori nelle Commissioni parlamentari, con l’obiettivo di chiudere quel che è possibile prima della sessione di bilancio. La Affari sociali del Senato, presieduta da Franco Zaffini (FdI), prosegue l’esame del ddl per l’istituzione della contestata commissione d’inchiesta sull’emergenza Covid-19 e incardinerà il ddl sul diritto all’oblio per le persone guarite da tumore: entrambe hanno già avuto il via libera della Camera. A sua volta, la dodicesima Commissione di Montecitorio, presieduta da Ugo Cappellacci (FI), riprenderà i lavori sull’istituzione dello psicologo di base e sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse.

    Le Commissioni saranno chiamate anche a dare un parere allo stato di attuazione del Pnrr che alla Missione Salute destina 15 miliardi, puntando su telemedicina e nuovi macchinari per la diagnostica ma anche sulle Case di Comunità, che rischiano di essere scatole vuote, se non si assumono infermieri e medici di famiglia.

    Con tutta questa carne al fuoco sembra lontana la scadenza della proroga, il 30 ottobre, del pagamento del payback sui dispositivi medici. “La speranza delle imprese è che nella legge di bilancio – spiegano da Confindustria Dispositivi medici – si trovino risorse, stimate intorno al miliardo, per mitigare gli effetti della discussa norma. In attesa della sua eliminazione».

  • La Commissione eroga il terzo pagamento di 18,5 miliardi di € all’Italia nell’ambito del dispositivo per la ripresa e la resilienza

    Il pagamento di 18,5 miliardi di € in sovvenzioni e prestiti è stato reso possibile dal conseguimento da parte dell’Italia dei 54 traguardi e obiettivi connessi alla terza rata. Tali traguardi e obiettivi comprendono diverse riforme fondamentali nei settori della concorrenza, della giustizia, dell’istruzione, del lavoro sommerso, della gestione delle risorse idriche e degli investimenti trasformativi nella digitalizzazione, in particolare per quanto riguarda la pubblica amministrazione e la cibersicurezza, le energie rinnovabili, le reti elettriche, le ferrovie, la ricerca, il turismo, la rigenerazione urbana e le politiche sociali.

    Come per tutti gli Stati membri, i pagamenti nell’ambito del dispositivo per la ripresa e la resilienza, lo strumento chiave al centro di NextGenerationEU, sono basati sui risultati e subordinati all’attuazione da parte dell’Italia degli investimenti e delle riforme delineati nel piano per la ripresa e la resilienza.

    Il 30 dicembre 2022 l’Italia ha presentato alla Commissione la terza richiesta di pagamento nell’ambito del dispositivo. Il 28 luglio 2023 la Commissione ha approvato una valutazione preliminare positiva della richiesta di pagamento. Il parere favorevole del comitato economico e finanziario del Consiglio sulla richiesta di pagamento ha gettato le basi per l’adozione da parte della Commissione di una decisione definitiva sull’erogazione dei fondi.

    A seguito dell’adozione da parte del Consiglio di una modifica mirata del piano italiano per la ripresa e la resilienza, il 19 settembre 2023, un obiettivo originariamente collegato alla terza richiesta di pagamento è stato sostituito da un traguardo e trasferito alla quarta richiesta di pagamento. La modifica non incide sull’ambizione complessiva della misura.

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