Retribuzioni, tra fantasie ideologiche e realtà oggettiva
La concorrenza per una economia, specialmente se non in crescita come quella italiana, determina un abbassamento del valore dei fattori che contribuiscono alla formazione del PIL. Il primo fattore che subisce tale abbassamento del valore è sicuramente quello professionale legato al mondo del lavoro. A fronte quindi di una crescente offerta di lavoro, intesa nello specifico come persone che cercano un’occupazione in un periodo di stabilità o peggio ancora come quello che sta vivendo il nostro paese dal 2007-2008, in un periodo di crisi o crescita inferiore persino al tasso di inflazione, inevitabilmente il valore del fattore professionale subisce un abbassamento nella sua quotazione generale: nello specifico nella retribuzione media.
Questo principio vale per il mondo del lavoro come per qualsiasi altro mercato complesso e quindi estendibile a qualsiasi tipologia anche di servizi, un principio economico semplice e documentato in tutti i testi i cui concetti base vengono insegnati negli istituti seri.
Viceversa, da oltre quindici anni si assiste increduli alla recitazione della teoria economica in base alla quale all’interno del mercato del lavoro buona parte delle persone che provengono dall’esterno dei confini italiani assumono incarichi che gli italiani non vorrebbero più, una tendenza da attribuirsi ad aspirazioni professionali superiori. In altre parole, a parte qualche caso particolare e reale (come nella provincia di Padova), risulterebbe evidente che tali lavori vengano attribuiti, in gran parte, a personale extracomunitario che compenserebbero una lacuna motivazionale della manodopera italiana.
Queste superficiali e banali dottrine non più economiche ma ideologiche vengono distrutte dall’ultima relazione dell’Ocse. Questo organo internazionale afferma come in Italia i salari reali risultino diminuiti a causa della maggiore concorrenza tra i singoli lavoratori, quindi come logica conseguenza della accresciuta percentuale di lavoratori in cerca di occupazione.
Contemporaneamente poi viene valutato come fondamentale anche un valore finora assolutamente negato ed invece legato al fattore “incertezza” relativamente al rapporto di lavoro (quindi le varie tipologie di contratti a termine) che spinge i lavoratori di ogni extracomunitari ad accettare incarichi a retribuzioni sempre più basse. In altre parole, mentre tutte le dottrine economiche sciorinate negli ultimi quindici/vent’anni abbinavano la scelta di un’economia dei servizi ad una moltitudine di contratti a tempo determinato come la via maestra per lo sviluppo italiano, da questo rapporto OCSE vengono irrimediabilmente ridicolizzate.
Si aggiunga poi che il fattore flessibilità non viene utilizzato da queste dottrine come la possibilità di impiego in molteplici forme della stessa “capacità” lavorativa all’interno della location operativa avanzata ma semplicemente ed esclusivamente come la possibilità di entrare ed uscire dal sistema economico e professionale con contratti a tempo determinato.
Teorie e dottrine economiche che partono dalla posizione ideologica e politica già smentite dal continuo calo dei consumi e dalla polarizzazione degli stessi che già da soli bocciano tali ridicole posizioni politiche e non più economiche che non hanno portato alcun miglioramento economico.
Nello specifico poi si inserisce anche la possibilità all’interno delle imprese più grandi di ottenere manodopera da cooperative come fornitrici di servizi le quali abbassano ulteriormente la retribuzione degli operai che poi entrano in fabbrica. In più, in questo contesto in continua modificazione delle normative legate al mondo del lavoro, le aziende che vivono l’incertezza normativa come vero e proprio costo che blocca gli investimenti ovviamente rimangono abbastanza “corte” preferendo investire in tecnologia la quale, quantomeno, ha un apporto costante nel medio lungo termine.
L’ultima ricerca dell’Ocse di fatto annulla ed azzera queste teorie economiche recitate nei media televisivi e della carta stampata, ormai divenuti espressioni monoculturali.
Questa ricerca invece dimostra ancora una volta come la concorrenza rappresenti un sistema ed un’applicazione inevitabile in un mercato globale (che dovrebbe invece avere la tutela della filiera produttiva) che abbassa il valore il valore dei diversi fattori che intervengono nella creazione del valore stesso a tutto beneficio del consumatore. Accrescerla in un sistema economico in difficoltà determina inevitabilmente un abbassamento del valore di tutti i fattori economici che contribuiscono alla formazione del Pil. Una realtà talmente semplice da venire negata dal mondo dei nuovi guru economici quando basterebbe possedere un minimo di umiltà e leggere il riporto dell’Ocse senza la velatura dell’ ideologia e del proprio collocamento politico.