lavoro

  • In Italia deficit di 23.000 colf all’anno

    Sempre più famiglie sono in difficoltà nel trovare badanti, baby sitter e colf. Servono fino a 23mila lavoratori domestici non comunitari in più all’anno per rispondere ai bisogni di una popolazione sempre più anziana, secondo le stime di Assindatcolf. L’associazione dei datori di lavoro domestico chiede al governo di tenere conto di queste esigenze nella programmazione annuale dei decreti flussi.

    Una ricerca, realizzata per l’associazione dal centro studi e ricerche Idos e presentata alla Camera, prevede che sempre più persone avranno bisogno, per l’assistenza familiare, di personale di Paesi extra Ue: nel 2025 saranno oltre 1.400.000 i datori di lavoro che vi punteranno, dai circa 1.328.000 del 2022. In 687mila necessiteranno di badanti e 715mila di colf e altri profili.

    A partire da questi numeri, lo studio calcola un fabbisogno di manodopera aggiuntiva che oscillerebbe, nel triennio 2023-2025, tra 74mila lavoratori, nell’ipotesi mediana, e 89mila lavoratori, nell’ipotesi massima, che tiene conto anche di quanti colf e badanti che andranno in pensione nel frattempo.

    Al netto dei lavoratori di paesi dell’Unione europea, il fabbisogno di manodopera aggiuntiva non comunitaria si attesta tra circa 57mila e 68mila persone per l’intero triennio, per una media annua di 19-23mila nuovi inserimenti dall’estero. Del resto su 961mila lavoratori domestici regolari nel 2021, 672mila erano stranieri (circa il 70%) e tra di loro 514mila provenivano da paesi non comunitari. A questi si aggiungono quelli degli irregolari.

    Il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon ha detto, a margine dell’evento, che è allo studio “un abbassamento delle tasse affinché si ottenga l’emersione del lavoro nero nel settore dei lavoratori domestici». Sul decreto flussi, la richiesta del presidente di Assindatcolf, Andrea Zini, è che “questi numeri, che bene descrivono il fabbisogno familiare, e non quello delle imprese, possano trovare spazio nell’annunciata nuova programmazione triennale, da cui il comparto domestico è rimasto escluso negli ultimi 12 anni”.

  • C’è più lavoro che prima del Covid: in due anni un milione di posti

    Il lavoro cresce più del pre-Covid ed è stabile. La ripresa dell’occupazione, nonostante il rallentamento alla fine dell’anno scorso, riesce così a “riassorbire completamente” la caduta causata dalla pandemia: tanto che in due anni, tra il 2021 e il 2022, conta quasi un milione di nuovi posti. A certificare il bilancio positivo è il rapporto sul mercato del lavoro realizzato da ministero del Lavoro, Banca d’Italia e Anpal.

    I dati dicono che nel solo 2022 sono stati creati più di 380mila posti, un valore superiore a quello registrato nel 2019, prima dell’emergenza sanitaria, quando si erano toccati i 308mila. E questa crescita occupazionale è legata quasi esclusivamente alle assunzioni a tempo indeterminato: oltre 400mila i posti di lavoro stabili in più, a fronte di una sostanziale stazionarietà dei contratti a termine e di un calo di oltre 50mila dei contratti di apprendistato. Aggiungendo i risultati del 2021, con oltre 600mila posizioni lavorative in più, ecco che nell’ultimo biennio il settore privato ha creato quasi un milione di nuovi posti.

    Tuttavia si conferma il rallentamento del mercato del lavoro a fine dell’anno scorso. La domanda, sottolinea il rapporto, “è rimasta sostenuta fino all’inizio dell’estate, riportando l’occupazione sul sentiero di crescita pre-pandemico. Nei mesi successivi la dinamica è rimasta positiva ma si è indebolita”.

    E comunque non va allo stesso modo per tutti. Tra i settori, la ripresa occupazionale dell’ultimo biennio è stata infatti eterogenea. Il comparto del turismo, che maggiormente ha risentito della crisi sanitaria, malgrado il buon andamento della stagione estiva, rimane ancora sotto i livelli pre-Covid. Meglio, invece, per le costruzioni che, anche sulla spinta del Superbonus, hanno registrato tassi di crescita molto elevati a partire dall’estate del 2020; nonostante il più recente rallentamento, la domanda di lavoro in questo settore dovrebbe rimanere sostenuta, viene evidenziato, anche grazie ai piani di investimento previsti dal Pnrr. Un rallentamento che ha pesato nella seconda metà dell’anno scorso particolarmente sul Sud, dove di più il comparto edile aveva spinto l’occupazione. In generale comunque la crescita si è concentrata nel Centro Nord. A dicembre il numero dei contratti a termine ha ripreso a salire.

    A novembre, intanto, è risalito il fatturato dell’industria: dopo due mesi di flessioni, come indicato dall’Istat, è tornato a crescere su base mensile mettendo a segno un +0,9% con una dinamica positiva sul mercato interno (+0,6%) e su quello estero (+1,3%). Su base annua, la crescita è dell’11,5% (+10,1% sul mercato interno e +14,3% su quello estero). Tra i raggruppamenti principali di industrie, l’aumento tendenziale più alto si registra per l’energia (+19,5%) che, però, su base mensile scende dell’1,8%.

    Sul fronte delle imprese, restano in territorio positivo ma rallentano le nascite di nuove attività. Dopo il brusco stop del 2020 (quando il saldo si fermò a solo +19mila) e il rimbalzo del 2021 (+87mila), con il 2022 il bilancio tra aperture e chiusure si attesta a 48mila attività in più (+0,8%) rispetto all’anno precedente, come emerge dai dati Movimprese, elaborati da Unioncamere e InfoCamere sulla base del Registro delle imprese delle Camere di commercio. Anche in questo caso, il contributo più rilevante al risultato annuale arriva dal settore delle costruzioni (+21mila). Nel confronto con il 2021 si vede però che le nuove aperture diminuiscono del 6% e invece aumentano le chiusure (+7,5%): in valori assoluti sono rispettivamente 313mila e 265mila.

  • Cresce richiesta laureati ma uno su due non si trova

    Non solo i ricercatissimi esperti di materie Stem, ingegneri, fisici, matematici e informatici: in generale in Italia continua a crescere la richiesta di laureati da parte delle imprese ma quasi uno su due non si trova. E tra i profili più ricercati ci sono economisti ed insegnanti. Secondo i dati di Unioncamere e Anpal infatti nel 2022 la domanda di personale laureato è cresciuta ancora superando le 780mila unità, il 15,1% del totale dei contratti e l’1,4% in più rispetto all’anno precedente ma il 47% di questi profili, è risultato difficile da trovare, richiedendo un ricerca che può impegnare anche 4-5 mesi. Tradotto in numeri, 2 milioni di assunzioni nel 2022 per le quali le imprese hanno riscontrato difficoltà, circa 600mila in più rispetto all’anno scorso e quasi il doppio di prima della pandemia.

    E se nell’anno appena trascorso i più difficili da trovare sono stati i laureati in indirizzo sanitario paramedico (con una difficoltà di reperimento del 65%), quelli in ingegneria elettronica e dell’informazione (61%) e scienze matematiche, fisiche e informatiche (60%) l’indirizzo economico si attesta saldamente in cima alla classifica tra le lauree maggiormente ricercate dalle imprese: sono quasi 207mila le entrate previste lo scorso anno. Non solo, al secondo posto l’indirizzo insegnamento e formazione con 116mila ingressi previsti, poi l’indirizzo sanitario e paramedico (oltre 76mila), quello di ingegneria civile ed architettura (57mila) scienze matematiche, fisiche e informatiche (54mila).

    «Il mancato incontro tra domanda e offerta è una delle grandi strozzature del mercato del lavoro italiano”, sottolinea il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, che ricorda la piattaforma excelsiorienta per aiutare gli studenti a conoscere ed orientarsi meglio nel mondo del lavoro, “in modo da scegliere il percorso di studi più adeguato alle proprie attitudini e alle esigenze delle imprese».

  • La Commissione promuove l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare nell’UE

    Per salvaguardare il diritto all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare in tutti gli Stati membri, la Commissione europea ha deciso di proseguire le procedure di infrazione nei confronti di Belgio, Repubblica Ceca, Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Croazia, Cipro, Lussemburgo, Austria e Slovenia, inviando loro un parere motivato per non aver notificato misure nazionali che recepiscano pienamente le norme dell’UE che stabiliscono i diritti in materia per i genitori e i prestatori di assistenza.

    La direttiva sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare è un fattore di svolta per i genitori lavoratori e i prestatori di assistenza: stabilendo norme minime sui diritti al congedo – congedo di paternità, congedo parentale e congedo per i prestatori di assistenza – rende più facile conciliare famiglia e carriera, e riconosce ai genitori e ai prestatori di assistenza il diritto di chiedere modalità di lavoro flessibili. Le nuove norme aiutano le persone a sviluppare sia la carriera che la vita familiare, favorendo il loro benessere generale. L’obiettivo è migliorare l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per tutti e agevolare i genitori e i prestatori di assistenza nella gestione delle loro responsabilità.

    La direttiva prevede i seguenti diritti:

    • congedo di paternità: i padri hanno diritto a un congedo di paternità di almeno dieci giorni lavorativi in occasione della nascita del figlio, con una retribuzione di livello pari almeno alla prestazione di malattia;
    • congedo parentale: ciascun genitore ha diritto ad almeno quattro mesi di congedo parentale, di cui due mesi retribuiti e non trasferibili; i genitori possono chiedere di fruire del congedo secondo modalità flessibili, a tempo pieno, a tempo parziale o in periodi separati;
    • congedo per i prestatori di assistenza: tutti i lavoratori che forniscono assistenza o sostegno personali a un familiare o a una persona che vive nello stesso nucleo familiare hanno diritto a un congedo di almeno cinque giorni lavorativi all’anno;
    • modalità di lavoro flessibili: tutti i lavoratori con figli fino a otto anni di età e tutti i prestatori di assistenza hanno il diritto di chiedere una riduzione dell’orario di lavoro, orari di lavoro flessibili e flessibilità sul luogo di lavoro.

    Gli Stati membri erano tenuti a recepire negli ordinamenti nazionali la direttiva, adottata nel 2019, entro il 2 agosto 2022. Il 21 settembre 2022 la Commissione ha inviato una lettera di costituzione in mora a 19 Stati membri per mancata comunicazione delle misure di recepimento della direttiva negli ordinamenti nazionali. Dopo aver analizzato le loro risposte, la Commissione ha constatato che la direttiva non era stata ancora pienamente recepita in 11 Stati membri e ha pertanto deciso di compiere un ulteriore passo avanti nei procedimenti di infrazione inviando un parere motivato a Belgio, Repubblica Ceca, Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Croazia, Cipro, Lussemburgo, Austria e Slovenia. Questi Stati membri dispongono ora di due mesi per adottare le misure necessarie per conformarsi al parere motivato, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di deferirli alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

  • L’occupazione delle donne sale ma l’Italia resta all’ultimo posto in Europa

    l tasso di occupazione femminile in Italia cresce ma lentamente e il nostro Paese resta fanalino di coda in Europa insieme alla Grecia con il 51% delle donne al lavoro tra i 15 e i 64 anni a fronte del 64,9% in Ue. Secondo gli ultimi dati Eurostat riferiti al terzo trimestre 2022 l’occupazione è cresciuta di 1,2 punti rispetto allo stesso periodo del 2021 a fronte dell’avanzamento di un punto nella media dell’Unione europea ma meno della Grecia che segna un aumento di 1,7 punti. La distanza con l’Ue è ancora maggiore se si guarda alla fascia tra i 20 e i 64 anni con un’occupazione femminile al 54,7% contro il 69,4% in Ue, il dato peggiore in Europa.

    L’Italia si presenta alla giornata internazionale della donna con dati preoccupanti soprattutto sul fronte del lavoro dopo la maternità. Secondo un’indagine dell’Inapp dopo la nascita di un figlio quasi una donna su cinque smette di lavorare. La motivazione principale è quella della mancata conciliazione tra lavoro e cura (52%) seguita dal mancato rinnovo del contratto o dal licenziamento (29%).

    L’istruzione recita un ruolo fondamentale su questa scelta con le donne laureate che hanno un tasso di occupazione più alto di quello delle donne con un basso livello di istruzione e una tendenza minore a rinunciare all’attività per dedicarsi completamente alla famiglia. Conta chiaramente anche la retribuzione e spesso la scelta è legata ai costi di badanti e baby sitter che “drenerebbero” tutta la retribuzione in caso di retribuzioni basse.

    Secondo un’elaborazione dell’Inail su dati Istat in Italia tra i 25 e i 49 anni è occupato solo il 53,9% delle donne con un figlio fino a 6 anni a fronte del 73,9% delle donne senza figli. Il gap tra le donne senza carichi familiari e quelle con figli piccoli si riduce all’aumentare del livello di istruzione. Il rapporto tra i tassi di occupazione femminile e maschile se la donna ha almeno la laurea raggiunge quasi quota 93, scende a 70,9 se il titolo di studio è un diploma e crolla a 48,7 per le donne con titoli di studio inferiori.

  • Il FEI e CGM Finance firmano un accordo da 18,75 milioni di euro per sostenere le imprese sociali in Italia

    Il Fondo europeo per gli investimenti (FEI), sostenuto da InvestEU, fornirà una garanzia del valore di 18,75 milioni di euro a CGM Finance per finanziare investimenti nelle imprese sociali in Italia. Questa transazione si realizza nella cornice del programma della Commissione europea InvestEU, volto a mobilitare 372 miliardi di euro entro il 2027 in investimenti a favore delle priorità politiche dell’UE.

    Grazie a questo accordo, CGM Finance aumenterà i finanziamenti alle imprese sociali italiane, cioè alle organizzazioni impegnate in attività a forte impatto sociale, fondate su un modello che antepone le persone al profitto.

    Nel dettaglio, il FEI metterà a disposizione un importo di 18,75 milioni di euro — incrementabile fino a un massimo di 25 milioni di euro — in garanzie a favore di imprese sociali e start-up per prestiti approvati da CGM Finance nel triennio 2023-2025.  Il tasso di copertura del rischio potrà raggiungere l’80% del valore iniziale del finanziamento e la garanzia si estenderà fino a un massimo di 12 anni dopo la fine del periodo di iscrizione.

    CGM Finance sarà così in grado di ampliare ulteriormente il proprio sostegno alle imprese sociali, riducendo il rischio e finanziando anche le realtà più giovani e più piccole. Il buon margine di copertura del rischio consentirà a CGM di ridurre al minimo eventuali rischi futuri e di investire quindi in un più ampia cerchia di progetti e imprese innovativi.

    Si tratta della terza operazione conclusa tra il FEI e CGM Finance dal 2019. Grazie ai due fondi di garanzia pre-esistenti, uno nell’ambito del programma dell’UE per l’occupazione e l’innovazione sociale (EaSI ) e l’altro tramite il Fondo di garanzia paneuropeo (EGF) — CGM Finance ha finanziato complessivamente ben 126 imprese erogando finanziamenti garantiti per quasi 25 milioni di €.

  • Con l’inclusività i ricavi aumentano fino al 30 per cento

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Assoedilizia

    L’altra metà del cielo protagonista al convegno organizzato da GEA e Harvard Business Review Italia a Palazzo Mezzanotte di Milano alla presenza del mondo economico e finanziario milanese, tra cui il presidente di Assoedilizia Achille Colombo Clerici ed il presidente della Fondazione Italia Cina Mario Boselli. L’evento ha evidenziato come una cultura aziendale inclusiva e diversificata rafforzi l’engagement e contribuisca ad aumentare la produttività a lungo termine, generando un incremento dei ricavi che può arrivare al 30%.

    Oggi la Diversity & Inclusion è un elemento cruciale per garantire la solidità economica ed etica delle aziende nel medio-lungo periodo, sia in termini di risorse umane che di performance di brand e di mercato. Diversity & Inclusion sono fattori critici di successo per l’impresa in generale e per quella italiana in particolare in quanto più piccola, flessibile e proiettata all’internazionalizzazione e all’innovazione, attività nelle quali la qualità delle persone, il loro benessere ed il loro contributo strategico, sono determinanti.

    Dopo i saluti di Enrico Sasson, presidente di Eccellenze d’Impresa e di Fabrizio Testa, CEO di Borsa Italiana, Luigi Consiglio presidente di GEA Consulenti di direzione ha aperto i lavori.

    “La capacità di lavorare sinergicamente sull’inclusione sia internamente che esternamente rappresenta un vantaggio competitivo per le imprese” ha spiegato Consiglio chiarendo che: “La comprensione delle singole forme di diversità, l’ascolto delle loro istanze e la capacità di trasformarle in azioni inclusive arricchiscono in modo più che proporzionale la brand equity riflettendosi sul posizionamento e sui risultati in termini di market share, fatturato e redditività, a parità di altre condizioni”. Consiglio ha anche spiegato come “la matrice artigiana delle nostre imprese e le difficoltà che siamo abituati ad affrontare per fare business in Italia spingono a guardare il mondo circostante con umiltà, abituandosi alla dote principale dell’inclusività: l’ascolto”.

    Sulla necessità di valorizzare il ruolo della donna nel mercato del lavoro è intervenuta con un keynote speech l’economista Veronica De Romanis, docente di politica economica alla Stanford University e alla Luiss. “L’occupazione femminile è parte significativa della soluzione di un Paese, come l’Italia, che ha un tasso di sviluppo limitato, un debito elevato e disuguaglianze crescenti”.

    De Romanis ha proseguito illustrando i dati sul tasso di occupazione. “Dal 2019 al 2021 l’Italia è peggiorata, insieme a Repubblica Ceca, Bulgaria, Danimarca, Svezia, Lituania, Olanda e Lettonia. Le donne hanno pagato il prezzo più alto della crisi e spesso rimangono intrappolate nel cosiddetto part-time involontario”.

    In un Paese dove il tasso di natalità resta inferiore alla media UE “aumentare l’occupazione femminile può invertire la curva demografica” ha spiegato l’economista, illustrando anche la stima del costo della mancanza di donne nel mercato del lavoro, in termini di crescita. “Nel mondo 2,4 miliardi di donne in età da lavoro non hanno gli stessi diritti degli uomini. Se si arrivasse ad uguali tutele, avremmo un aumento del 20% del Pil. In conclusione, inclusività significa più donne nel mercato del lavoro, meno diseguaglianze, più natalità e ricchezza”.

    Sono seguiti interventi di Patrizia Ghiazza, partner GC Governance Consulting; Barbara Falcomer direttrice generale Valore D; Francesca Vecchioni, presidente di Fondazione Diversity; Paola Angeletti, Coo di Intesa Sanpaolo; Marilù Capparelli, legal director EMEA; Luciana De Laurentiis, Head of Corporate Culture & Inclusion Fastweb; Nilufer Demirkol, Global Head of Diversity and Inclusion di Nestlé; Pietro Iurato, HRD Head EMEA di SAP. Emanuele Acconciamessa, COO di Focus Management e Gabriella Crafa, Vice President di Fondazione Diversity hanno presentato la ricerca “Diversity Brand Index” e le relative best practice.

    “Tutti gli interventi e i living cases presentati oggi confermano quanto sia indispensabile che gli imprenditori capiscano che l’inclusività è il principale fattore competitivo nelle loro mani, oltre che un fattore critico di successo per l’internazionalizzazione dell’industria italiana” ha concluso Luigi Consiglio.

  • Cultura e turismo

    E’ auspicabile che ogni amministrazione pubblica (naturalmente anche quella privata) si valga di persone competenti. Talvolta non è così perché si fanno prevalere interessi particolari che giovano a chi viene nominato, non a coloro che vengono amministrati. Nella speranza di esprimere della competenza, farò qualche riflessione su ciò che significa cultura nel contesto della pubblica amministrazione.

    Il primo compito è quello di sostenere e incentivare le energie presenti in un’istituzione culturale, dal teatro alla musica, dai musei alle biblioteche e alle altre iniziative che si sviluppano sul territorio. L’amministratore, più precisamente si dovrebbe parlare di assessore alla cultura, non dovrebbe mettere il suo cappello sulla direzione di queste istituzioni imponendo la propria visione, ma neppure essere un passivo erogatore di sussidi a pioggia per evitare di esprimere un proprio giudizio sulla qualità delle prestazioni. L’assessore è da considerarsi come un interlocutore che valuti il più oggettivamente possibile il cammino fatto dall’istituzione culturale, suggerendo qualche miglioramento, rilevando qualche criticità.

    La cultura lombarda dovrebbe essere sempre più internazionalizzata, soprattutto stabilendo degli scambi con le regioni straniere confinanti (Austria, Svizzera, Baviera, Slovenia, Francia del sud) attraverso protocolli di collaborazione scientifica, a cui far partecipare le nostre Accademie e i centri di ricerca. Ma ciò richiede di confrontarsi con le nostre attitudini e specificità culturali, quelle che affondano le loro radici nelle tradizioni Lombarde, tutelando e promuovendo con questa consapevolezza dell’origine, il nostro patrimonio culturale, artistico, archeologico, materiale e immateriale. In questa direzione, particolare attenzione dovrebbe essere dedicata al potenziamento e sviluppo del Vittoriale degli Italiani e del Parco della Reggia di Monza.

    Ma accanto a tali celebri strutture, ci sono tante piccole e medie realtà culturali, create dal volontariato, da un associazionismo che si sviluppa a diversi livelli, che vanno assolutamente sostenute perché sono luci vitali che illuminano la vita delle città, da quelle capoluogo di provincia a quelle di paese. Spesso queste realtà culturali rappresentano luoghi importanti di aggregazione, che, nell’affiancarsi opportunamente alle scuole, danno una originale testimonianza degli interessi dei giovani (in particolare) che dedicano il loro tempo ad approfondimenti scientifici attraverso presentazioni di libri, mostre, eventi pubblici.

    Amministrare la cultura significa anche prestare attenzione alla filiera turistica conferendo incentivi per una valorizzazione integrata dell’offerta culturale, in cui, in primo piano, si colloca la valorizzazione e diffusione comunicativa del nostro artigianato, da quello funzionale alla vita quotidiana (penso all’artigianato del legno, del mobile, che rappresenta un’altissima tradizione lombarda) all’artigianato del lusso, da quello orafo ai tessuti, all’abbigliamento.

    Cultura e turismo entrano in una relazione virtuosa: il turista viene a conoscere le bellezze dei luoghi non solo attraversando strade e piazze, ammirando chiese, palazzi, monumenti, ma anche osservando il lavoro che quella terra ha espresso con le proprie tradizioni nell’artigianato, nel cibo, nello sport. La bellezza monumentale è generata dalle realtà sociali che si sviluppano nel tempo e che lasciano, con il loro lavoro, opere belle alle generazioni future. Questo è il senso più profondo per stabilire un rapporto non arbitrario tra cultura e turismo, a cui va aggiunto anche un’altra necessaria considerazione. La formazione.

    E’ doveroso sostenere la cultura delle tradizioni e del lavoro attraverso la scuola o, nel complesso,  con altre forme pubbliche e private di educazione.

    La cultura, soprattutto il valore che noi siamo in grado di dare alla cultura, non scende dal cielo, ma dalla nostra istruzione, dalla nostra sensibilità che si forma nella scuola e in famiglia. Non ci può essere vera cultura se non c’è una scuola che funzioni bene, che sia all’altezza della nostra grande storia di civiltà e che dia l’opportunità di camminare con il passo della modernità. Un amministratore che abbia la responsabilità di gestire la cultura della regione deve continuamente relazionarsi con le scuole del territorio per favorire una formazione che non solo sia in grado di dare ai nostri giovani conoscenze che consentano loro di misurarsi e competere con i loro coetanei europei, ma anche permetta loro di non dimenticare o rinunciare a quell’apprendimento di tradizioni che caratterizzano la terra in cui essi vivono. Tanti artigiani non sono più in grado di trasmettere il loro sapere alle giovani generazioni, perché il lavoro dà poche soddisfazioni economiche: la conseguenza è perdere la storia delle nostre popolazioni, la storia della bellezza creata dal lavoro. Cultura significa anche difendere con opportuni interventi economici e fiscali questa trasmissione di saperi di generazione in generazione.

    Si delinea così il campo d’intervento di un assessore alla cultura della regione Lombardia, che con semplice profondità deve fondarsi sulla stretta relazione sia con il turismo che con la formazione, per favorire progettualità capaci di realizzare una convergenza fra cultura/spettacolo, turismo e scuola con benefici e ricadute a favore del territorio, dei suoi abitanti, dei suoi visitatori.

  • Boom di dimissioni dal lavoro, 1,6 milioni in nove mesi

    Altro che reddito di cittadinanza e ‘Giuseppi’! Quelle che negli Stati Uniti sono ormai noto come “Great resignation”, le grandi dimissioni, si diffondono anche in Italia. Anche se non con la stessa portata, dopo la pandemia, il fenomeno delle dimissioni dal lavoro si fa sempre più spazio. A fronte di un’Italia che pensa ‘io esisto, la società deve occuparsi di me’, come se non fosse responsabilità (e dignità) del singolo cercare anzitutto di cavarsela da sé prima di chiedere agli altri, continua ad aumentare il numero di coloro che decidono di lasciare il posto. Per scelta o per necessità, per guardare avanti rispetto alla propria occupazione e carriera o per far meglio conciliare le esigenze della famiglia.

    I motivi possono essere vari, ma di fatto la tendenza osservata a partire da due anni a questa parte si conferma con numeri in salita. Sono oltre 1,6 milioni, infatti, le dimissioni registrate nei primi nove mesi del 2022, il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021 quando ne erano state registrate più di 1,3 milioni. La fotografia arriva dagli ultimi dati trimestrali sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, ed il numero indica i rapporti di lavoro cessati per dimissioni, e non il numero dei lavoratori coinvolti.

    Tra le cause di cessazione dei rapporti di lavoro le dimissioni costituiscono, dopo la scadenza dei contratti a  termine, la quota più alta. Ma le cifre indicano come risalga anche il numero dei licenziamenti, dopo la fine del blocco deciso con la crisi pandemica: tra gennaio e settembre 2022, infatti, sono stati circa 557mila i rapporti interrotti per decisione del datore di lavoro contro i 379mila nei primi 9 mesi del 2021, con un aumento del 47% rispetto a un periodo in cui era però in vigore il blocco.

    Guardando il solo terzo trimestre dell’anno scorso, le dimissioni sono state 562mila, in crescita del 6,6% (pari a +35mila) sul terzo trimestre 2021. Dati che confermano, dunque, come continui il trend positivo partito dal secondo trimestre 2021, seppure con una variazione inferiore rispetto ai trimestri precedenti. Per quanto riguarda i licenziamenti, nel terzo trimestre del 2022 ne sono stati registrati quasi 181mila, con una crescita del 10,6% (pari a +17 mila) rispetto al terzo trimestre del 2021.

    Sarà dunque per un mercato del lavoro che diventa più dinamico, per una scelta di vita diversa o per le conseguenze della crisi, ma il fenomeno delle dimissioni cresce e si fa trasversale. E riguarda sia gli uomini, in prevalenza, sia le donne. A spingere, secondo gli osservatori, da un lato può essere stata la ripresa occupazionale, dopo la caduta determinata dal picco della crisi Covid, con maggiore mobilità e opportunità anche per chi vuole cambiare lavoro, soprattutto per i profili tecnici e specializzati. Dall’altro lato, al contrario, proprio la crisi e la necessità o il desiderio di un diverso equilibrio tra vita privata e professionale possono aver spinto a scegliere di dire addio al proprio posto di lavoro.

    Per Giulio Romani della Cisl bisogna “rivedere i modelli organizzativi verso una maggiore qualità”, visto che le imprese in cui si sviluppa benessere lavorativo e qualità del lavoro sono una minoranza e sono quelle dai 10 ai 250 dipendenti. Ma la platea delle imprese italiane, spiega, “è però occupata per circa il 95% da microimprese, quelle con la minore produttività, all’interno delle quali mediamente si fatica di più a sviluppare forme di welfare integrativo e dove non si pratica la contrattazione aziendale e non si costruiscono sistemi premianti trasparenti. Dove si eroga poca formazione, si genera minore conciliazione vita-lavoro, si intravedono le minori prospettive di crescita economica e professionali”.

    “L’aumento delle dimissioni – spiega Tania Scacchetti della Cgil – può avere spiegazioni molto differenti: da un lato può positivamente essere legata alla volontà, dopo la pandemia, di scommettere su un posto di lavoro più soddisfacente o più ‘agile’, dall’altro però, soprattutto per chi non ha già un altro lavoro verso il quale transitare, potrebbe essere legato a una crescita del malessere dovuta anche ad uno scarso coinvolgimento e ad una scarsa valorizzazione professionale da parte delle imprese”. Per Ivana Veronese della Uil «molte le dimissioni volontarie, forse un segno di come le priorità si siano modificate anche nella testa delle lavoratrici e lavoratori: se da qualche parte c’è uno smart-working più flessibile, se la retribuzione dove lavoro è troppo bassa o gli orari troppo disagevoli, se ho voglia di provarci davvero, un lavoro, magari anche sicuro, lo si può lasciare».

  • Nella sanità circa 50mila precari da assumere

    Una nuova spinta alla stabilizzazione del personale sanitario precario assunto a tempo determinato durante la pandemia di Covid-19 è arrivata anche con la prima manovra economica del nuovo governo che prevede la proroga dei termini al 2024 per le stabilizzazioni. Già avviate con la precedente legge di bilancio approvata nel 2021, le assunzioni riguardano un totale di 48mila professionisti per l’anno passato.

    Lo scorso anno, al primo via libera alle stabilizzazioni, il personale sanitario interessato contava 47.994 professionisti secondo le stime della Federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso). In particolare, il provvedimento riguardava 8.438 medici, 22.507 infermieri e 17.049 operatori sociosanitari e altro personale sanitario. In un anno, varie Regioni hanno avviato le stabilizzazioni, anche se non si ha ancora un quadro completo a livello nazionale. Al momento, secondo un monitoraggio di Fiaso, la Puglia ha annunciato 3.333 stabilizzazioni, la Campania 3.550, la Calabria 3.633, il Lazio 4.800 e il Piemonte 1.137.

    Sul fronte degli infermieri, invece, sarebbero circa 12mila quelli stabilizzati in un anno, sottolinea il segretario del sindacato Nursind, Andrea Bottega. Oltre 10mila dunque, precisa, “sono ancora da stabilizzare e non è detto che con questa proroga si riesca a stabilizzarli tutti. Forse potremmo arrivare a 7-8mila”. Fermo restando che “stabilizzare i precari non significa potenziare gli organici – conclude Bottega – accogliamo con favore la misura, ma chiediamo che si dia seguito alle assunzioni anche usando le graduatorie esistenti, perché la carenza di infermieri è drammatica”.

    La proroga – rispetto ai termini già indicati nella manovra 2022 – è stata prevista da un emendamento del Pd alla attuale legge di bilancio approvato in commissione. Gli enti del Sistema sanitario nazionale potranno dunque assumere a tempo indeterminato, entro il 31 dicembre 2024 anziché entro la fine del 2023, tutti i professionisti che abbiano maturato 18 mesi di servizio nella sanità pubblica entro il 31 dicembre 2023 (invece che entro fine 2022), di cui almeno 6 nella fase di emergenza per la pandemia da Covid-19.

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