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Uno su cinque si pente di aver cambiato sesso. Ed è allarme suicidi tra i transgender

«Fino al 20% delle persone che hanno cambiato sesso rimpiange questa scelta. Le procedure per il cambio di sesso non sono efficaci, affermano i ricercatori. Da 10 a 15 anni dopo la riassegnazione chirurgica, il tasso di suicidi è 20 volte rispetto a quello di coetanei comparabili. Qui ci rivolgiamo a coloro che considerano la “detransizione”». E’ quanto si legge sul sito sexchangeregret.com dedicato a chi si sia pentito di aver cambiato sesso, come riferisce un reportage del settimanale Panorama.

Succede, secondo quanto emerge da uno studio in Svezia, e può portare a conseguenze drammatiche. Un’analisi condotta nell’arco di tempo 1973-2003 su 324 persone che hanno cambiato sesso (191 passaggi da maschi a femmine, 133 da femmine a maschi) ha constatato tra i pazienti sottoposti a transizione di genere un tasso di suicidi più alto del 19% rispetto alla media e un rischio maggiore di tentativi di suicidio e di cure ospedaliere psichiatriche, oltre a un’eventualità più elevata di condanne penali.

Walt Heyer, il fondatore del sito, ha vissuto per otto anni come donna transgender, dopo pesanti molestie nella sua infanzia, riassume così quell’esperienza: «Si prova un’iniziale euforia: “Ho cambiato il mio sesso e tutto ora sarà meraviglioso!”. Mi sentivo finalmente quello che avrei dovuto essere. Ma l’euforia è breve: ho perso il mio lavoro, ho vissuto in strada in California e ho sfiorato la morte per overdose di cocaina, ero sempre fatto».

Nel Regno Unito le statistiche registrano un aumento del 4mila per cento di casi di Gender dysphoria (GD) tra le giovani donne interessate dalle cure con ormoni, seguite spesso da interventi chirurgici di «riassegnazione». Nel 2020 la 23enne detransitioner Keira Bell ha trascinato in tribunale il Tavistock e Portman NHS Trust, la fondazione che gestisce l’unica clinica di genere per giovani trans in Inghilterra e Galles. A farle vincere la battaglia legale, insieme alla sospensione dell’attività della clinica dove sono stati trattati oltre 19 mila bambini con disforia di genere, è stata la controversia sulla validità del consenso informato, sottoscritto quando Keira era sedicenne. In appello il verdetto è stato ribaltato ma l’Alta Corte ha ammonito: «Non pensiamo che la risposta a questo caso sia semplicemente fornire al bambino informazioni più dettagliate. Il problema è che in molti casi, per quante informazioni si forniscano al bambino in merito alle conseguenze a lungo termine, lui/lei non sarà in grado di soppesarle davvero. Non esiste un modo adeguato a quell’età per far loro comprendere la perdita della fertilità o della piena funzione sessuale negli anni successivi».

Nel 2021 la Svezia ha deciso di mettere un freno alle prescrizioni facili dei «puberty blockers» e alle terapie per la transizione di genere nei minori di 16 anni. Sarà possibile somministrare gli ormoni fra i 16 e i 18 anni solo nell’ambito di studi approvati dal Comitato etico svedese. Negli ultimi anni il numero degli adolescenti che si è sottoposto all’iter per cambiare sesso e identità sociale è aumentato enormemente, specie nel Nord Europa. In Svezia, dal 2008 al 2018, le diagnosi di disforia di genere sono cresciute del 1.500% nella fascia fra i 13 e i 17 anni.

Denuncia Abigail Shrier, autrice del bestseller Irreversible Damage: The Transgender Craze Seducing Our Daughters: «Fino a poco tempo fa le diagnosi di disforia di genere infantile riguardavano lo 0,1% della popolazione americana. Oggi è uno tsunami che colpisce in special modo le teenagers: una giovane ogni 20 americane in età da college si identifica come trans». Altro dato emblematico: fino al 2007 negli Stati Uniti esisteva una sola clinica per transgender, oggi se ne contano 300, con centinaia di pediatri che prescrivono, già alla prima visita, trattamenti bloccanti e ormoni cross-sex, anche a minorenni. «Il testosterone è facilmente ottenibile così come gli interventi di doppia mastectomia, che non necessariamente richiedono il consenso dei genitori e la prescrizione medica» ha raccontato la Shrier. Che a marzo 2021 è stata audita davanti al Senato americano sul controverso Equality Act: un disegno di legge che mira a trasformare l’identità di genere in una categoria protetta ai sensi del Civil Rights Act del 1964. E a rendere così impossibile qualsiasi distinzione legale tra una donna e un maschio biologico che rivendichi, per qualsiasi motivo, un’identità femminile. In Canada, un recente disegno di legge vieta di praticare le «terapie di conversione». Rischiano due anni di prigione tutti i soggetti – quali terapisti, sacerdoti o semplici consulenti scolastici – scoperti nel tentativo di modificare l’orientamento sessuale di un individuo GD in eterosessuale o l’identità di genere in «cisgender». È reato spingere un paziente gender a ritrovare se stesso, ma non il contrario.

Il fenomeno dei «detransitori» (detransitioners) è sempre più diffuso. «La detransizione di genere è un fenomeno emergente ma poco compreso nella nostra società, che pone sfide professionali e bioetiche significative per i clinici che lavorano nel campo della GD» ammette una ricerca scientifica internazionale del 2021 intitolata «Una tipologia di detransizione di genere e le sue implicazioni per gli operatori sanitari». Dove si riconosce, esplicitamente, la sottovalutazione del fenomeno: «I detransitori sono una popolazione sottoservita le cui esperienze dobbiamo ascoltare e capire se miriamo davvero a migliorare l’assistenza sanitaria per le persone con GD. Ciò richiederà ricerche approfondite per saperne di più sulle loro esperienze, motivazioni, bisogni e richieste uniche». Per molti, l’unica richiesta sarebbe quella di lasciare ai bambini il diritto, lento, di pensarsi e di ripensarsi. Liberi dallo sguardo giudicante e dalle cure «affermative» della società.

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