Caro Direttore,
ho letto con soddisfazione la vostra nota di ieri sulla crescita che continua e che conferma la diminuzione della disoccupazione. Dopo tante polemiche contro la politica d’austerità, che frenerebbe la crescita e lo sviluppo, finalmente una buona notizia che smentisce in parte le preoccupazioni e le lamentele dei catastrofisti. Anche l’Italia – afferma la Commissione europea – è coinvolta dalla ripresa che dovrebbe attestarsi, a fine anno, all’1,5 del Pil, confermando le stime già annunciate dal governo. Ma per il 2018 la crescita sarà leggermente inferiore (1,3) e l’anno dopo arriverà all’1 per cento soltanto. L’Italia comunque, nell’elenco dei 28 Paesi dell’UE risulta in coda, il che significa che altri hanno fatto meglio di noi, come la Grecia e la Romania. E’ vero che certi paragoni possono ingannare sulla consistenza dello sviluppo – la Grecia che percentualmente è cresciuta di più, ad esempio, non avrà la possibilità di competere nel settore industriale – e quindi offrire un’immagine distorta di crescita, ma è certo che una pesante palla al piede per la crescita della nostra economia è rappresentata dal debito, pubblico, come voi avete fatto notare alla fine della nota di ieri. Tuttavia – anche questo conta – nel 2017 c’è stata una discesa, sia pure molto lenta, dell’indebitamento pubblico. Ed è un buon segnale, che dovrebbe continuare un po’ più velocemente, anche per i prossimi anni. Un raffronto più corretto va fatto con i Paesi concorrenti, più che con la Grecia o la Romania. Ed anche qui l’Italia viene dopo la Germania, la Francia e la Spagna. Ma non tutto è perduto. In un’altra classifica l’Italia si conferma tra i primi sette paesi al mondo nella produzione industriale. In questo settore la nostra crescita nel 2013-2016 è stata superiore a quella degli Stati Uniti. In Europa siamo secondi, subito dietro alla Germania, e la crescita dell’industria è doppia rispetto a quella del Pil. Il che significa che il settore privato trascina l’economia del Paese, mentre quello pubblico, a causa del debito e della spesa che continua a crescere, la frena e la blocca. Questa felice classifica è curata dalla Confindustria, dal Global Insight e dall’Onu e dimostra che nonostante i laccioli legali, burocratici e fiscali in cui l’impresa si trova in Italia, gli imprenditori e le loro aziende innovano e producono e – quel che più conta – riescono ad aumentare le esportazioni. E’ gente che crede nel proprio lavoro e non si lascia condizionare da una cultura relativista che tutto omologa, rifiutando il merito e le iniziative riformatrici. E’ un’Italia che vive e che crede nel futuro, sempre inascoltata, quando non apertamente colpita da ostracismo, sempre considerata una mucca da mungere ai fini fiscali, magari per permettere al governo di elargire assistenza ai propri elettori. Le mance elettorali concesse generosamente dagli ultimi due governi disperdono le risorse e contribuiscono ad aumentare la spesa, anziché ridurla. Gesti demagogici e qualunquisti, più vicini ad un populismo becero, che espressione di buone politiche sociali. Se vogliamo che l’Italia non perda colpi nella ripresa, che pur è reale nella sua limitatezza, dobbiamo evitare gesti populisti e concentrarci di più su politiche innovative miranti alla riduzione delle spese e perciò del debito, per rinfrancare il trend virtuoso dell’ultimo anno.
Cordiali saluti.