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In attesa di Giustizia: delitti contro la pietà dei defunti

Il nostro Codice Penale prevede la categoria dei delitti contro il sentimento religioso e la pietà dei defunti: datato agli anni ’30 del secolo scorso, è stato aggiornato estendendo la tutela da quella che – secondo lo Statuto Albertino – era la religione di Stato a tutte le confessioni e ne meriterebbe una sanzionando chi, in occasione di eventi luttuosi, invece di mantenere un decoroso silenzio, apra la bocca togliendo ogni dubbio sul fatto di avere un Q.I. inferiore al numero di scarpe indossate o una malafede congenita.

Gli esempi non mancano mai ed anche questa settimana si fatica a selezionare il peggio; il gradino più alto del podio spetta ai protagonisti del tragico incidente di Casal Palocco, costato la vita ad un bimbo: i genitori degli youtubers (ma che ca…spita di lavoro sarà mai?!) dicono che è stata una bravata e si risolverà tutto per il meglio. Ditelo ai genitori ed alla sorellina del piccolo Manuel. Vogliamo parlare degli idioti a bordo del SUV che continuavano a filmare, senza una lacrima, anche l’intervento dei mezzi di soccorso per aumentare il numero dei followers (anche questi…) e del concessionario che si condoleva per la Lamborghini sfasciata precisando che lui, però, non c’entra niente? Gran finale con il difensore: “la Lamborghini aveva la precedenza”. Gioco, partita, incontro: con pezzenti morali di questo livello non c’è gara.

Passiamo alla nobiltà della editoria, Il Corriere della Sera ha dato spazio ad una delle sue firme più prestigiose, Luigi Ferrarella, che da sempre si occupa di cronaca giudiziaria, per spiegare che Silvio Berlusconi non è stato affatto un perseguitato dalla giustizia perché non era una brava persona, diligentemente enumerando i processi (non molti tra gli oltre trenta in cui è stato coinvolto) in cui si è avvantaggiato della prescrizione, dimenticando che i rinvii delle udienze per legittimo impedimento ne interrompono il corso e solo l’inerzia, l’inefficienza, l’incuria degli uffici giudiziari ne è causa. Grande enfasi, invece, all’unica condanna riportata, quella per reati fiscali su cui gravano tutt’ora consistenti ombre. Medaglia d’argento.

Bronzo per gli haters del Cavaliere sbizzarritisi sui social media a pari merito con i grevi vignettisti de Il Fatto Quotidiano, Charlie Hebdo e compagnia assortita: la satira è un’altra cosa.

Offre, invece sollievo, quanto dichiarato in un’intervista al Foglio da Renato Bricchetti, Magistrato e giurista di altissimo profilo, ora in pensione: “La parola accanimento non mi piace, ma una particolare attenzione politico-giudiziaria verso Berlusconi da parte della magistratura indubbiamente c’è stata”. Alla domanda se Berlusconi abbia fatto parte della storia della giustizia italiana ha, in seguito, risposto: “Bisogna chiedersi se più che farla l’ha subita”.

“Personalmente – ha aggiunto – sono rimasto molto perplesso, dal punto di vista giuridico, sulla condanna per frode fiscale”. E’ stata l’unica condanna subita da Berlusconi, che è stato imputato in trentasei procedimenti penali”. Renato Bricchetti ha anche precisato che nella sua carriera ha visto solo i truffatori seriali oggetto di tanta attenzione e numero di processi perché fanno tante truffe e quando finalmente vengono giudicati da un Tribunale cambiano zona e vanno a farle in un altro territorio”.

Proseguendo, ha anche rimarcato che la giustizia, in Italia, non sono i processi ma le indagini: questa è l’immagine della giustizia che ha il cittadino medio e l’indagine determina la condanna all’ignominia. Infatti Berlusconi è stato condannato più volte dall’opinione pubblica. Bricchetti ha, infine ricordato che nel 1994, il giorno dopo che Berlusconi vinse le elezioni, in tribunale vide facce da funerale: era evidentemente un giudizio politico che molti magistrati danno. Pochi mesi dopo la Procura di Milano fece recapitare a Berlusconi il famoso invito a comparire, non senza preavvisare il Corriere della Sera, in aperta violazione del segreto istruttorio.

L’intervista si conclude con questa amara riflessione: “Io ho sempre sperato che l’ANM si occupasse dei problemi reali della giustizia, soprattutto delle carenze di organico, non della politica giudiziaria o addirittura della politica tout court, ma le mie speranze sono sempre andate deluse”.  E se lo dice lui dopo quarant’anni di magistratura, noi possiamo restare a lungo in attesa di giustizia.

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