anziani

  • Gioco d’azzardo

    Il gioco d’azzardo, nelle sue varie forme, è in continuo aumento. Dai dati risulterebbe che nel 2024 si sono spese, per le varie forme di gioco, circa 160 miliardi di euro.

    Nonostante la legge del 2018 che, in Italia, vieta la pubblicità dei siti di scommesse e la proibizione di giocare per chi è minorenne, sempre più ragazzi giovani tentano la fortuna.

    Secondo l’Osservatorio Nazionale i siti legali e quelli clandestini, i vari giochi al Lotto e al Poker online, le forme di gioco che si acquistano in tabaccheria, le sale di scommesse, o comunque quei sistemi di gioco che comportano esborsi di denaro, sono in continuo aumento. Una delle Regioni dove si gioca di più è la Lombardia, seguita da Campania, Lazio ed Emilia Romagna.

    In aumento, oltre ai giovani, ci  i sono i pensionati, i più anziani che sono spesso spinti a giocare dalla solitudine piuttosto che dal desiderio di migliorare la propria situazione economica ed è sempre alto il numero degli adulti che giocano perché spesso insoddisfatti della propria vita.

    Anche il gioco d’azzardo rende sempre più forte la dipendenza dal mondo virtuale allontanando le persone dalla vita reale.

    E il gioco, attraverso sistemi informatici, ha ormai superato abbondantemente il gioco nelle sale fisiche. Sembra infatti che il gioco a distanza rappresenti il 60% del totale.

    Il servizio sanitario spende ogni anno ragguardevoli cifre per cercare di guarire le persone affette da ludopatia ma finché non saranno emanate leggi più severe anche per impedire la pubblicità on line e per controllare i luoghi nei quali si gioca, in varie forme, il problema continuerà ad aumentare anche perché manca, fin dalle scuole, un insegnamento, una informazione che spieghi i pericoli dei giochi d’azzardo.

  • Il Covid ha insegnato agli anziani a diventare digitali

    Anziani digitali rinforzati, o resilienti, o resistenti. Queste tre tipologie di persone tra i 65 e gli 80 anni sono state definite dal Ilqa-19 “The Longitudinal study on older people’s quality of life during the Covid-19 pandemic” (2020 – 2024) che indaga le conseguenze dell’epidemia di Covid-19 nella vita quotidiana degli anziani, esplorando in particolare l’uso delle risorse digitali e le trasformazioni intervenute nel tempo delle reti familiari e sociali. La ricerca è stata finanziata dalla Fondazione Cariplo nell’ambito del progetto “Active-Ir. Active ageing in changing societies. Older people’s social and digital resources in pandemic and post-pandemic Italy”. Capofila del progetto è l’Università Milano Bicocca, responsabili della terza e quarta indagine Ilqa sono i ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Simone Carlo, Sara Nanetti, Francesco Diodati, e sono coinvolte anche l’Università di Pavia e la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana. La ricerca, cominciata nel maggio 2020, prevedeva interviste a distanza di un anno a un panel di 40 anziani e anziane residenti in dieci borghi della provincia di Lodi, al centro dell’emergenza COVID-19 nel marzo 2020 (prima zona rossa europea).

    Arrivato alla quarta rilevazione (2023/2024), e con un approccio longitudinale, lo studio sta esplorando nel tempo le conseguenze del Covid-19 sulla qualità della vita delle persone anziane e sulle pratiche di vita quotidiana, concentrandosi sulle risorse attivate e sulle strategie adottate per reagire alle sfide poste dall’epidemia. Nello specifico si stanno esplorando nel tempo i rischi e le opportunità connessi alla crescente digitalizzazione nei servizi per le persone anziane. A distanza di quattro anni dalla prima rilevazione, emergono alcuni risultati interessanti che permettono di individuare profili diversi di anziani digitali a seconda del precedente background tecnologico. Il primo gruppo è costituito dagli “anziani digitali rinforzati”, vale a dire attrezzati digitalmente già prima del Covid-19. Si tratta di fruitori consapevoli delle tecnologie che hanno incrementato il loro uso durante e dopo la fase emergenziale. Sono stati poi identificati gli “anziani digitali resilienti”, ovvero i soggetti in fase di acquisizione delle competenze digitali che al termine dell’emergenza hanno in parte continuato a utilizzare alcuni servizi digitali (SPID, eGov), abbandonandone altri (videochiamate, ecommerce) in una logica di scelte e opportunità e di desiderio di tornare alla normalità.

    Infine, gli “anziani digitali resistenti” sono rimasti estranei al mondo delle tecnologie anche durante l’emergenza. Tali anziani senza competenze digitali possono comunque fare affidamento su reti familiari strette. Gli intervistati inquadrano questo aiuto all’interno di un modello culturale non individualista e basato su tradizionali forme di reciprocità fra le generazioni. D’altro canto, però, altri interlocutori lamentano la perdita della propria indipendenza a causa della recente digitalizzazione dei servizi. In questi casi, la dipendenza dal supporto dei figli e delle nuove generazioni è vista come un impoverimento del proprio status individuale e come una forma di controllo che limita la realizzazione personale. L’emergenza Covid-19 ha notevolmente aumentato l’offerta di servizi digitali (pubblici ma anche di comunicazione e intrattenimento) ma non si è notato il corrispettivo aumento dell’uso da parte delle diverse fasce della popolazione. In particolare, la diffusione dell’uso dei servizi digitali è stata più lenta nelle fasce di popolazione più anziane. Il rapido processo di digitalizzazione durante la pandemia di Covid-19 non ha colmato il divario tra utenti anziani digitalizzati e non, ma lo ha piuttosto ampliato. Se da un lato ha avvantaggiato chi ha una rete di supporto, dall’altro tende ad emarginare ancora di più gli anziani isolati che devono affrontare un processo di digitalizzazione dei servizi (pubblici) senza avere l’aiuto necessario e rischiando così di essere ulteriormente svantaggiati.

  • Secondo un’indagine del CNA i pensionati hanno fiducia nel medico base ma le liste d’attesa sono lunghe

    Il Cna, con un’indagine apposita, racconta come il Servizio Sanitario Nazionale sia percepito dagli anziani. Il quadro che emerge è quello di una categoria ancora molto legata al medico di base e abbastanza refrattaria alle nuove tecnologie. In particolare, per il 74,5% di loro il medico di medicina generale è ancora il punto di riferimento e in quasi il 59% dei casi si cerca un contatto diretto, possibilmente in presenza. Al contrario, il 50% non conosce le case di comunità e non ha mai sentito parlare di telemedicina e oltre il 68% è contrario o si sentirebbe a disagio con l’intelligenza artificiale.

    Per il 73% dei pensionati però i tempi delle liste di attesa sono peggiorati, così come peggiorato è il rispetto della persona per il 28%. Non soddisfatto della ‘completezza delle informazioni’ il 29,5%. Oltre il 70%. chiede la riduzione la riduzione delle liste d’attesa e per il 40,5% è prioritaria la riduzione dei tempi di attesa nei pronto soccorso.

    “Ciò che emerge è che tutti hanno un rapporto molto stretto con il medico di medicina generale ma il numero di questi medici sta diminuendo.”, afferma il segretario della Cna Pensionati, Mario Pagani. “Un elemento positivo è che ci si sta abituando all’utilizzo di strumenti telematici e questa potrebbe essere una soluzione del futuro. Ma di fronte alle difficoltà del pubblico, molti ricorrono al privato, e non tutti possono permetterselo”.

    “Fa specie non aver considerato fino in fondo quello che è successo durante la pandemia dove il Ssn ha dato risposte importante”, dichiara il segretario generale Cna, Otello Gregorini. “Finita l’emergenza – continua – si torna a una logica di risparmio. Qui ci sono persone che devono tenere insieme la possibilità di vivere ma anche di curarsi. Su questo ci sarà un forte impegno della Cna”.

  • Anziani fragili abbandonati a se stessi e alle loro famiglie

    «Dovremmo chiederci tutti perché la questione dell’assistenza agli anziani non autosufficienti (3,8 milioni di persone) non assuma mai il carattere di un’emergenza, una priorità della politica» si chiede Ferruccio De Bortoli in un editoriale sul Corriere della Sera, riferendo che «se sommiamo agli anziani fragili l’insieme delle famiglie coinvolte e gli operatori professionali arriviamo a una platea di circa dieci milioni di persone» e sottolineando anche che «altri Paesi hanno adottato da tempo una legge in materia: la Germania dal 1995, la Francia dal 2002, la Spagna dal 2006.

    L’ex direttore di Corriere e Sole24Ore richiama l’attenzione sul fatto che «non c’è ancora un servizio domiciliare pubblico progettato per la non autosufficienza. Quelli esistenti, pur lodevoli, hanno altre priorità. I 2,7 miliardi stanziati dal Pnrr non servono per la domiciliarità bensì per attività di controllo e monitoraggio (una visita al mese). Non è stata cambiata l’indennità di accompagnamento (528 euro mensili) graduandola ai bisogni delle famiglie. Oggi è incredibilmente uguale per tutti. Anche per chi ha redditi elevati. Non si regolarizza l’esercito delle badanti e dei badanti (il doppio dei dipendenti del Servizio nazionale) per premiarli impiegandoli in modo regolare. C’è solo un bonus temporaneo di cui beneficia solo il 2 per cento degli anziani. Una badante o un badante spesso è un lusso». Poi punta il dito: «La realtà amara è che non vi sono risorse sufficienti. Ma si stenta a dire la verità. Perché sarebbe oscena. E imbarazzante non solo per i governi che si sono succeduti ma anche per la società nel suo complesso».

    «Avere in casa una persona non più autosufficiente, magari colpita da deficit cognitivi, costretta a letto, non più in grado di lavarsi, costituisce il più micidiale acceleratore della povertà» fa presente De Bortoli. E conclude: «L’estesa rete del welfare privato, il mondo delle fondazioni sono alleati preziosi se vi è una sufficiente volontà politica oltre a una maggiore pressione dell’opinione pubblica. La nostra società invecchia inesorabilmente e sarebbe addirittura crudele che scaricasse il problema, ancora una volta, sui giovani, peraltro pochi, specie non abbienti. Non è improponibile l’idea di un’assicurazione obbligatoria opportunamente incentivata. Ma al di là dei temi assistenziali ed economici, vi è una grande questione di civiltà. Chi non è autosufficiente, non assistito adeguatamente e solo, non è più un cittadino. Fragile due volte. Invisibile».

  • La pet therapy entra nelle RSA

    Tutti i cani sono i benvenuti negli spazi comuni delle strutture socio-sanitarie Korian Italia, leader nei servizi dalla prevenzione alla cura. Il progetto si inserisce nel più ampio percorso con gli animali che Korian dal 2015 ha attivato con un Dog Camp nella residenza Heliopolis di Binasco dove, dallo scorso anno, educatori cinofili, istruttori, addestratori, dog sitter, operatori Pet Therapy dell’associazione P.E.T.S., oltre a offrire i propri corsi e un servizio di Dog Sitting, danno vita anche a una serie di eventi cinofili dedicati agli ospiti.

    La pet therapy, integrata a supporto delle terapie tradizionali, porta numerosi benefici tra cui la socializzazione e il superamento del senso di solitudine, la riattivazione motoria e la stimolazione delle abilità cognitive. Alla fine di ogni incontro, gli amici a quattro zampe sfilano tra i pazienti e le carrozzine per farsi accarezzare.

    Il Dog Camp di Binasco è un grande spazio dotato di casette per ospitare i cani e di aree verdi attrezzate per lo sgambo degli animali e per corsi realizzati ad hoc, aperti anche alla cittadinanza.

    Quest’anno gli incontri sono previsti in 15 strutture su tutto il territorio nazionale.

  • Ispezioni dei Nas in oltre 600 centri per anziani, trovate 191 anomalie

    Nel corso degli ultimi due mesi, il comando carabinieri per la Tutela della salute ha realizzato, d’intesa con il Ministero della Salute, una campagna di controlli a livello nazionale presso strutture sanitarie di riabilitazione e socio assistenziali, che ha portato all’ispezione di oltre 600 centri destinati ad ospitare persone anziane e con disabilità, rilevando irregolarità presso 191 di esse, pari al 32%. I controlli da parte dei carabinieri Nas, intensificati ancor di più in concomitanza del periodo delle Festività natalizie, sono stati finalizzati ad assicurare la corretta erogazione dei servizi di cura ed assistenza, nonché il rispetto di tutte le misure destinate alla tutela ed incolumità delle persone ospitate.

    Tra questi aspetti, è stata oggetto di verifica l’applicazione delle misure di prevenzione agli incendi, in considerazione di recenti fatti di cronaca relativi a roghi che hanno colpito strutture sanitarie. Nello specifico, i carabinieri Nas hanno rilevato 11 strutture irregolari per la mancata richiesta/rinnovo dei certificati per la prevenzione degli incendi, l’omessa revisione degli estintori e carenze nella funzionalità degli impianti destinati alla prevenzione o all’eliminazione dei pericoli, che hanno determinato, nelle situazioni più gravi, la chiusura della struttura e il trasferimento degli ospiti. Tra le restanti irregolarità, circa il 60 per cento hanno riguardato inadeguatezze strutturali, gestionali ed autorizzative, quali l’abusivo ampliamento della capacità ricettiva con presenza di un numero superiore di anziani rispetto al limite consentito e la conseguente inadeguatezza degli spazi disponibili aventi capacità inferiore rispetto a quella prevista.

    Complessivamente sono stati deferite all’Autorità giudiziaria 43 persone ritenute responsabili di esercizio abusivo della professione medica/infermieristica, detenzione di farmaci scaduti e violazioni in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, nonché sanzionati ulteriori 153 gestori e responsabili delle strutture, per un ammontare di oltre 67.000 euro. Sono stati inoltre eseguiti provvedimenti di sospensione dell’attività e di chiusura nei confronti di 12 strutture risultate abusive o gravemente deficitarie in materia sanitaria ed edilizia, giudicate incompatibili con la permanenza degli alloggiati, per un impatto economico stimato di oltre 9 milioni di euro. I carabinieri Nas continueranno a monitorare il mantenimento di adeguati livelli di assistenza offerti da Residenze Sanitarie Assistite, case di riposo, comunità alloggio e strutture similari, al fine di tutelare la salute e la dignità di una delle fasce considerate più sensibili della società, nonché proteggerne l’incolumità verificandone l’aderenza alle norme di sicurezza.

  • Gli anziani non autosufficienti crescono e le risorse sono ancora ferme a 530 euro al mese e 18 ore di infermiere all’anno

    Bastano 530 euro al mese per una badante? Calcolando che la badante, ove non sia in nero, è una dipendente a tutti gli effetti, e percepisce quindi la tredicesima, i contributi previdenziali, le ferie pagate (durante le quali va sostituita con altra badante, a sua volta remunerata), la cifra appare piuttosto scarsa. Ma tant’è, questo è quello che passa il convento: l’indennità di accompagnamento corrisposta dallo Stato a chi non è in grado di alzarsi, lavarsi e vestirsi da solo e non sia ricoverato presso una struttura per anziani è questa. Anche nel caso in cui anziano da assistere sia afflitto da demenza e debba essere monitorato 24 ore su 24.

    Come riporta Simona Ravizza in un reportage su Sette del Corriere della Sera, le badanti in Italia sono 1 milione e 6 volte su 10 non sono in regola. Ma peggio ancora sta l’anziano che vive a casa e che abbia bisogno di assistenza infermieristica. Sottolinea ancora Ravizza: «Gli 858.722 che oggi hanno un infermiere che va a casa per la cosiddetta assistenza domiciliare integrata (Adi) finanziata dal servizio sanitario nazionale ce l’hanno per un massimo di 18 ore l’anno». Fatti due conti, chi ha bisogno di un infermiere può averlo per 1 ora e 15 minuti al mese. E infatti, si legge ancora nel reportage di Sette, «Adesso il Pnrr ci dà 2,72 miliardi di euro per raddoppiare (o quasi) il numero di anziani assistiti di qui al 2026. Ma se parallelamente non viene aumentato il monte-ore dell’assistenza, il problema resta. Non risolve la situazione neppure che 131mila beneficino dei servizi sociali del Comune che mandano qualcuno che aiuta ad alzarsi, mangiare e vestirsi (Sad). La frammentazione e la duplicazione dei servizi porta con sé l’inefficacia degli interventi. Come se non bastasse per ricevere gli aiuti è necessario fare ogni volta una domanda diversa con un’odissea tra sportelli e commissioni anche se l’ente statale che li eroga è sempre lo stesso, l’Inps».

    Il sistema potrebbe cambiare, perché il governo ha recentemente predisposto il decreto di attuazione della riforma del settore approvata nel 2023. Intanto però la situazione è questa: «Il riconoscimento dell’invalidità civile al 100% per chi è cieco, sordo o ha un’ autonomia limitata serve per accedere ai benefici economici come le pensioni, ma anche per l’esenzione dal ticket sanitario, le protesi e gli ausili. Ebbene, una volta ottenuta, l’invalidità civile non dà automaticamente diritto all’indennità di accompagnamento (indipendente dal reddito). Così, come già ricostruito per la rubrica ‘Dataroom’ sempre del Corriere della Sera, dopo avere fatto la trafila all’Inps per ottenere l’invalidità, per avere anche i 530 euro mensili bisogna: rivolgersi al medico di famiglia che fa una certificazione; inviarla all’Inps per ottenere un codice identificativo; fare una visita medica all’Asl; presentare la domanda (via web o patronato). Il caso viene poi esaminato da una commissione presieduta da un medico Inps che rilascia il verbale di indennità civile; segue infine la compilazione del modulo AP70 che consente di ricevere dalla stessa Inps l’indennità di accompagnamento. Altro giro infernale di giostra, nuovi documenti da presentare per ottenere i benefici collegati alla legge 104, cioè i permessi o i congedi per chi ha un familiare disabile a carico». Va da sé che tutto questo postula a monte una dimestichezza col digitale che non è così scontata, neanche tra i figli di chi è anziano e dunque a sua volta non è proprio un millennio nato e cresciuto col web. Ma non finisce qui: «Per gli aiuti di competenza locale che sono l’infermiere a casa (Adi), l’accesso a strutture semidiurne, le protesi e pannoloni bisogna fare ancora altre domande a commissioni diverse anche se il referente è sempre l’Asl; e per i voucher per l’assistenza domiciliare del Comune (Sad) è necessario rivolgersi ai Servizi sociali». L’implementazione della riforma dovrebbe portare all’introduzione «di una ‘Valutazione nazionale unica’ che garantisce l’accesso simultaneo a tutte le prestazioni di competenza statale di cui un non autosufficiente ha diritto in base alla sua gravità» e che «sarà anche trasmessa in via informatica alle nuove ‘Unità di Valutazione Multidimensionale locali’ senza ulteriori adempimenti. Per attivare i servizi il cittadino si rivolgerà a presidi territoriali ben identificabili, tipo le Case della Comunità».

    Per gli anziani che non vengono mandati in apposite strutture, la riforma prevede ancora maggiori risorse pubbliche: «Il Consiglio dei ministri ha proposto una sperimentazione per il 2025-2026 rivolta a persone 80+ con bisogni gravi e ridotte disponibilità economiche che avranno a disposizione 850 euro mensili da impiegare per acquistare assistenza (da badanti o cooperative). Li potranno ricevere 29.400 anziani nel 2025 (1,9% dei beneficiari indennità) e 19.600 nel 2026 (1,2%)».

    Per quel che riguarda gli anziani non tenuti a casa, invece, la situazione ad oggi è questa: «Nelle case di riposo in Italia ci sono all’incirca 200-250 mila posti. Il costo dipende dal grado di autosufficienza dell’anziano: dai 2.400 agli oltre 4.000 euro al mese, a seconda delle Regioni, e le cifre delle rette mensili sono in aumento costante. La metà del costo è coperto dal finanziamento pubblico (fermo da anni), l’altra metà a carico dell’ospite. Business in eterna espansione per le società private profit, colpo letale ai risparmi di una vita per l’ospite e i suoi familiari. La degenza media è di 12 mesi: si porta la persona anziana nella casa di riposo quando non è proprio più possibile gestirla fuori».

    Infine, qualche dato prospettico, sempre tratto dal reportage di Sette: «Nei prossimi 30 anni il numero di over 80 andrà quasi al raddoppio: dai 4,4 milioni di oggi ai 7,9 milioni del 2050. Chi curerà così tanti anziani, i figli del babyboom degli Anni 60? Allora le nascite erano 900 mila l’anno. I figli e i nipoti in grado di aiutarci in vecchiaia saranno molti di meno. Le nascite tra il 1990 e il 2000 scendono intorno ai 550 mila l’anno: e i figli dei figli sono ancora meno perché nel 2020 i neonati crollano a 400 mila».

  • Ci sono sempre più dementi. E i disturbi cognitivi possono arrivare anche prima dell’anzianità

    Nel mondo si stima che ci siano 50 milioni di persone con demenza e che nei prossimi 30 anni il numero possa salire notevolmente, in Italia si stima che tra il 4% ed il 6% della popolazione over 65 sia affetta da demenza.

    «Quando si parla di demenza non si parla solo di Alzheimer – precisa la neurologa Raffaella Clerici – esistono diverse forme di malattia. Ci sono forme vascolari legate a un’alterazione della vascolarizzazione cerebrale, in particolare i piccoli vasi, che danno una sintomatologia sulla memoria, forme a corpi di lewy correlate a disturbi motori (parkinsonismi), ma anche forme frontotemporali con manifestazioni psicologiche, come apatia o aggressività, ma anche disturbi del linguaggio». Tra i primi segnali di demenza, in particolare per quanto riguarda Alzheimer, ci sono disturbi della memoria. «Si iniziano a dimenticare gli appuntamenti – prosegue – a diventare ripetitivi, non si ricordano le cose recenti ma tutto ciò che è passato si ricorda bene. Iniziano i primi disorientamenti».

    I disturbi cognitivi peraltro possono manifestarsi già intorno ai 30 anni. Gli studi sul questa malattia hanno identificato 39 potenziali fattori di rischio. Eccoli raggruppati in macroaree: fattori sociodemografici (istruzione, stato socioeconomico e sesso), fattori genetici (apolipoproteina E), fattori legati allo stile di vita (attività fisica, consumo di alcol, disturbo da uso di alcol, fumo, dieta, attività cognitiva, isolamento sociale), fattori ambientali (ossido di azoto, particolato, pesticidi e diesel), fattori marcatori del sangue (vitamina D, proteina C-reattiva, funzione stimata della velocità di filtrazione glomerulare e albumina), fattori cardiometabolici (ictus, ipertensione, diabete, ipoglicemia, malattie cardiache, fibrillazione atriale e uso di aspirina), fattori psichiatrici (depressione, ansia, uso di benzodiazepine, delirio e problemi del sonno) e altri fattori (lesione cerebrale traumatica, artrite reumatoide, disfunzione tiroidea, disturbi dell’udito e forza della presa).

    Secondo l’Osservatorio Demenze il costo annuale diretto per ogni paziente varia da 9mila a 16mila euro a seconda della fase della malattia.

    Una volta posta la diagnosi oggi per alcune forme di demenza sono disponibili dei farmaci che consentono il rallentamento della progressione della malattia o il controllo dei sintomi. Per l’Alzheimer non esiste una vera e propria cura ma c’è molta attenzione sui nuovi anticorpi monoclonali (aducanumab, lecanemab e donanemab). «Il Lecanemab – dice Clerici – al momento è stato approvato dalla Food and Drug Administration, ma a livello Europeo non ci sono ancora disposizioni per la sua prescrizione e commercializzazione. Tutti e tre questi anticorpi monoclonali hanno l’obiettivo di bloccare gli aggregati di beta-amiloide ma sembrano funzionare nelle fasi iniziali della malattia, ecco perché la diagnosi precoce resta fondamentale».

  • La società relativa

    Ogni complessa evoluzione di una società dovrebbe avere come obiettivo non solo il benessere dei suoi componenti ma anche la tutela di quelle fasce di popolazione più esposte e deboli, come i bimbi e gli anziani. Non si può parlare di alcun progresso culturale, economico e sociale se non viene tenuta nella corretta considerazione ogni tipologia di tutela dei suoi componenti più deboli.

    Questo concetto rappresenta un valore assoluto e non può essere in nessun modo sottoposto ad un relativismo etico, politico o sociale, nel senso che esprime per propria stessa natura un valore costituente della stessa società.

    La proposta avanzata dai vertici dell’INPS, e sostenuta  da un economista dell’area progressista (andato in pensione a 59 anni), nella quale si propone di diminuire progressivamente la pensione in rapporto alla longevità del pensionato rappresenta, invece, fedelmente il declino di una società malata.

    Al proprio interno, quindi, ogni singolo individuo che si trovasse al di fuori del ciclo produttivo, e perciò non più individuabili come fattori di crescita economica, rappresentano semplicemente un fattore di costo da comprimere in considerazione dei sempre più difficili equilibri finanziari.

    Dal momento, quindi, che gli anziani esattamente come i bambini rappresentano quelle fasce di popolazione esterne al ciclo economico, meritano una progressiva minore attenzione e quindi tutela dei propri diritti.

    Questo relativismo valoriale che oggi interessa gli anziani, in un prossimo futuro, magari occupandosi di bimbi, potrà rivelarsi in grado anche di  sdoganare la pedofilia, come un atto d’amore con minori progressivamente considerati consapevoli dallo Stato.

    Questa aberrante relativismo etico, politico, sociale ed umano rappresenta di fatto l’elaborazione di una perversione politica e di un pornografico relativismo nel quale bimbi ed anziani risultano funzionali solo a soddisfare equilibri finanziari o desideri inconfessabili.

    Mai la nostra “democratica società” era arrivata anche solo ad ipotizzare una simile deriva la quale dimostra essenzialmente il miserabile livello umano raggiunto, annullando così ogni progresso tecnologico.

    Una qualsiasi logica umana così come una semplice deduzione sociale indicherebbero  nella implosione di questa stessa “società relativa” il solo  futuro auspicabile.

  • Emergenza Alzheimer, in Italia 2,3 milioni casi nel 2050

    Entro il 2050 in Italia potrebbero vivere 2,3 milioni di persone affette da demenze come la malattia di Alzheimer, circa 800 mila in più rispetto a oggi. Si tratta, però, di una traiettoria che potrebbe essere modificata: fino al 40% di questi casi potrebbe essere infatti ritardato o evitato del tutto intervenendo sui principali fattori di rischio. È con questo messaggio che la Federazione Alzheimer Italia e Alzheimer’s Disease International hanno lanciato la dodicesima edizione del Mese Mondiale dell’Alzheimer, che si celebra a settembre, chiedendo ai governi di tutto il mondo di rafforzare il finanziamento sui principali fattori di rischio per la demenza e le strategie di contrasto alla loro diffusione.

    Al momento, non sembra che ciò stia avvenendo. «L’Italia, aderendo nel 2017 al Piano di azione globale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla risposta di salute pubblica alla demenza, si è impegnata a dare priorità alla riduzione del rischio», afferma la presidente della Federazione Alzheimer Italia Katia Pinto. «Un aspetto che non è sufficientemente considerato nel nostro Piano Nazionale Demenze, che, oltretutto, potrebbe a breve rimanere di nuovo senza fondi: lo stanziamento economico previsto con la legge di Bilancio del 2021 si esaurirà infatti nei prossimi mesi. Per questo chiediamo con forza al Governo di garantire nuovi fondi al Piano, così da permettere di proseguire il lavoro già iniziato e implementare inoltre iniziative efficaci di prevenzione», conclude Pinto.

    Secondo un’analisi condotta nel 2000 dalla ‘Lancet Commission on dementia prevention, intervention, and care’ sono 12 i principali fattori di rischio per la demenza: l’inattività fisica, il fumo, il consumo di alcol, le  lesioni alla testa, i contatti sociali poco frequenti, l’obesità, l’ipertensione, il diabete, la depressione, i disturbi dell’udito, scarsi livelli di istruzione e l’inquinamento. È intervenendo su questi che si può cambiare lo scenario epidemiologico della malattia, riducendo fino al 40% i casi su scala globale, soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito.

    «Investire nella riduzione del rischio è un punto chiave, in assenza di un trattamento o di una cura, per prevenire il maggior numero possibile di casi di demenza», dice Paola Barbarino, ceo di Alzheimer’s Disease International. «Dobbiamo garantire che i cittadini in tutto il mondo siano consapevoli di quali sono le strategie attuabili, a tutte le età, e abbiano accesso alle informazioni, ai consigli e ai servizi di supporto necessari».

    Intanto, c’è grande attesa per le nuove terapie. Negli ultimi due anni si sono resi disponibili i primi medicinali diretti contro le placche amiloidi, ritenute responsabili del declino cognitivo. In Usa due prodotti sono stati già approvati e una terza approvazione è attesa per la fine dell’anno. A breve potrebbero essere disponibili anche in Europa. Questi farmaci non curano la malattia, ma, rallentandone la progressione, potrebbero cambiare la vita di molti malati.

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