Arabia

  • Cina e Arabia sempre più vicine

    Riceviamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su ItaliaOggi il 22 dicembre 2022

    La recente visita del presidente cinese Xi Jinping in Arabia Saudita, con i suoi riverberi commerciali e politici, dimostra, ancora una volta, che la strategia unipolare americana di isolare i potenziali sfidanti e avversari, con l’avallo di un’Europa miope, non funziona.

    La Cina ha siglato importanti accordi di fornitura di petrolio e di gas. E non solo. Negli incontri di Riyad ha rinforzato la partnership e la cooperazione con i Paesi del Golfo produttori di petrolio e con quelli della Lega Araba. Per questa ragione si è parlato di una visita storica.

    La prospettiva, naturalmente, è di far arrivare in queste regioni e nel Mediterraneo la nuova Via della seta, la Belt and Road Initiative (Bri) con tutti i suoi progetti infrastrutturali, tecnologici e industriali.

    Cina e Arabia Saudita hanno firmato un memorandum per coordinare le iniziative economiche della succitata Bri con il programma saudita «Vision 2030» di sviluppo industriale e manifatturiero. Gli accordi prevedono la cooperazione nei settori spaziali, nucleari, missilistici, delle nuove energie come l’idrogeno, e delle grandi infrastrutture tra cui la costruzione di «Neom», una città super moderna da 500 miliardi di dollari.

    Tra i contratti firmati vi è quello con Huawei, il gigante delle telecomunicazioni, che, nonostante l’opposizione americana, ha già degli accordi per la rete 5G con quasi tutti i Paesi del Golfo.

    È, quindi, naturale che la Cina abbia proposto di utilizzare lo yuan nei pagamenti per le forniture di energia e più in generale per gli scambi commerciali. Per i prossimi anni la Cina avrà bisogno di importare, non solo dalla Russia, grandi quantità di petrolio e di gas. D’altra parte, il 72% del petrolio e il 44% del gas consumati in Cina sono importati.

    Nel 2021 il commercio tra Cina e Arabia Saudita è stato di 87,3 miliardi di dollari, con un aumento del 30% rispetto all’anno precedente. Di questi, 44 miliardi sono per il petrolio. Il 25% del petrolio saudita va verso la Cina. Si noti che nel 2021 l’Arabia Saudita era già il primo esportatore di petrolio in Cina, davanti alla Russia.

    Del resto i rapporti economici con la Cina sono in crescita da tempo. Nel 2010 la China Railway Construction Corp. ha costruito una ferrovia di oltre 18 km per trasportare i pellegrini alla Mecca. Più recentemente è stato siglato un accordo di lungo termine sull’energia tra la Sinopec e l’Aramco, le rispettive compagnie petrolifere nazionali.

    In uno studio del Ministero degli esteri cinese «China-Arab cooperation in the new era» si propongono una cooperazione monetaria con le banche centrali della regione e l’uso delle monete nazionali nei pagamenti.

    Dell’utilizzo dello yuan se ne parla da anni. Nel 2018 i cinesi hanno introdotto contratti petroliferi in yuan nel tentativo di internazionalizzare la loro moneta. I sauditi considerano di includere contratti future denominati in yuan nei modelli di formazione del prezzo del petrolio dell’Aramco.

    La supremazia del dollaro rimane, ma fortemente indebolita. Esso è usato nell’80% del commercio mondiale del petrolio. Tutto il petrolio saudita è ancora commerciato in dollari. Nelle riserve monetarie di Riyad vi sono più di 120 miliardi di dollari in Treasury bond americani. Non di meno, è opportuno notare che, dall’inizio del 1990, le importazioni Usa di petrolio dall’Arabia Saudita si sono ridotte a un quarto.

    Molti Paesi, anche alcuni tra gli alleati degli Usa, sono stati fortemente colpiti dal fatto che il sistema finanziario basato sul dollaro sia stato usato come arma di guerra nelle sanzioni contro la Russia, facendo venir meno la certezza di garanzia e di sicurezza.

    È ancora aperta, ma forse per poco, la «window of opportunity», cioè la possibilità di riorganizzare l’intero sistema economico, monetario e commerciale globale su una base moderna e più equa. È necessario però, che gli Usa abbandonino la pretesa primazia unilaterale per preparare con le altre nazioni, a cominciare dai Paesi del Brics, un nuovo Accordo di Bretton Woods. Tale necessità ci sembra sempre più urgente.

    L’Europa potrebbe avere un ruolo centrale in tale iniziativa multilaterale. Lo ripetiamo da tempo: il ruolo dell’Europa non può essere ancillare rispetto agli Usa. Ha tutte le carte in regola per essere protagonista attivo nella realizzazione di un nuovo assetto, multipolare, del mondo. Altrimenti, le tensioni geoeconomiche e geopolitiche potrebbero acuirsi a tal punto da rendere possibile un conflitto catastrofico.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Il Qatar si offre come mediatore tra Usa e Iran

    In attesa di conoscere le prime mosse di politica mediorientale del nuovo presidente americano Joe Biden e di capire cosa rimarrà delle scelte prese dall’ormai ex presidente Usa Donald Trump, il Qatar si offre come possibile mediatore tra Stati Uniti e Iran, ma chiede che Washington torni a essere più presente nei vari scenari di crisi della regione, dalla Libia al Golfo passando per i Territori palestinesi.

    In una intervista con l’Ansa, la portavoce del ministero degli esteri di Doha, Lolwa al Khater ha raccontato quanto la crisi economica globale e regionale, aggravata dalla pandemia, abbia contribuito ad accelerare la fine del blocco commerciale imposto nel 2017 dall’Arabia Saudita, dall’Egitto, dal Bahrein e dagli Emirati Arabi Uniti.

    Poche settimane fa l’Arabia Saudita e gli altri tre Paesi alleati di Riad hanno deciso di metter fine assieme al Qatar alla crisi scoppiata alla metà del 2017, quando Riad e i suoi alleati avevano imposto a Doha un assedio marittimo, aereo e terrestre, accusando il Qatar, alleato della Turchia, di sostenere il terrorismo. Quelle accuse sembrano improvvisamente svanite, tanto che al Khater afferma: “Era evidente che era una crisi creata ad arte”.

    La velocità con cui si è apparentemente risolta la crisi del Golfo è stata forse dovuta al persistere di altre crisi, giudicate più dannose ai rispettivi interessi nazionali: la crisi economica, aggravata dalla crisi del Covid-19. Proprio al vertice saudita dei primi di gennaio, ricorda al Khater, tutti i paesi erano “consapevoli che questi anni di crisi (del Golfo) hanno creato perdite per tutti”. Ecco perché – ha aggiunto – ci si è accordati di riattivare i diversi progetti di cooperazione che erano stati sospesi a causa della crisi (del Golfo) e riprendere la collaborazione anche in ambito sanitario”.

    Gli occhi sono ora tutti puntati su Biden e sulla prossima politica mediorientale degli Stati Uniti. L’ex presidente Trump sarà da molti ricordato come colui che ha contribuito a esasperare le tensioni con l’Iran, che ha di recente ripreso l’attività di arricchimento dell’uranio.

    Il Qatar, a due passi dalla costa iraniana, si sente “nel cuore della questione”. Ma da Doha non si sbilanciano: “è difficile parlare in nome di un’amministrazione (Biden) che finora ha detto poco sull’argomento”. Ma si dicono pronti a svolgere un ruolo di mediatori per “abbassare la tensione”.  “Il Qatar è pronto a svolgere una mediazione tra le parti, a patto che tutte le parti ci chiedano di avere questo ruolo”, ha detto la portavoce in collegamento audio-video da Doha. Anche con i ritrovati alleati arabi del Golfo, tra cui l’Arabia Saudita, arcinemica dell’Iran, il Qatar è comunque d’accordo su un punto: “nessuno vuole una nuova guerra nella regione”. Il Qatar, come molti altri attori dell’area, è coinvolto anche in Libia e nella questione palestinese. Su questo al Khater lancia un appello proprio a Biden: gli Stati Uniti devono tornare a essere presenti nella regione.

  • Il Qatar esce dall’Opec, egemonizzata dai ‘rivali’ dell’Arabia Saudita

    Il Qatar lascia l’Opec, come da annuncio dato a Doha dal ministro del Petrolio dell’emirato, Saad Al-Kaabiva: «Il Qatar ha deciso di ritirarsi come membro dell’Opec a partire dal gennaio 2029». Reso noto di aver informato l’Opec qualche ora prima dell’annuncio al mondo, il ministro ha fatto sapere che il suo Paese continuerà a produrre petrolio ma si concentrerà nella produzione di gas (l’emirato è il primo produttore mondiale di gas naturale liquefatto): «Non abbiamo un grande potenziale petrolifero – ha detto il ministro – siamo molto realisti. Il nostro potenziale è nel gas».

    Il Qatar è membro dell’Opec dal 1961, un anno dopo che l’organizzazione dei Paesi produttori aveva preso vita per iniziativa soprattutto dell’Arabia Saudita (che ancora oggi domina questo cartello composto da 15 Paesi membri), Paese che l’anno scorso ha rotto le relazioni diplomatiche con il Qatar, accusandolo di proteggere persone e organizzazioni ostili a Riad.

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