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  • Le case automobilistiche europee potrebbero pagare le concorrenti cinesi per le emissioni di carbonio

    Le case automobilistiche europee, guidate da Volkswagen, rischiano di dover sborsare centinaia di milioni di euro ai produttori cinesi di veicoli elettrici per l’acquisto di crediti di carbonio, nel tentativo di evitare le pesanti multe previste dalle norme Ue sulle emissioni per il 2025. Lo riporta il Financial Times. In base alla normativa europea – ricorda il quotidiano britannico -, le case automobilistiche sono obbligate a ridurre le emissioni medie di CO2 delle loro flotte a 93,6 grammi per chilometro entro il 2025, e le aziende che supereranno questo limite saranno soggette a una multa di 95 euro per ogni grammo di CO2 in eccesso, moltiplicata per ogni auto venduta. Secondo gli analisti – scrive il Financial Times -, molte case automobilistiche dell’Ue si trovano di fronte a una scelta: accelerare la vendita di veicoli elettrici abbassandone i prezzi, pagare miliardi di euro di sanzioni o acquistare crediti di carbonio da produttori meno inquinanti. Tra i principali beneficiari di questa strategia ci sono i produttori cinesi come Byd, che vantano una solida posizione nel mercato europeo dei veicoli elettrici e dispongono di ampi pool di crediti da vendere.

    Secondo quanto riferisce il Financial Times, una delle soluzioni che molti gruppi sta adottando è il cosiddetto “pooling”, che permette di calcolare la media delle emissioni tra flotte di diverse aziende operanti nell’Unione europea. Gli analisti avvertono tuttavia che il costo dei crediti potrebbe ammontare a centinaia di milioni di euro per alcune case automobilistiche europee, in ritardo nella transizione verso la mobilità elettrica, e che l’accordo renderà meno competitiva l’industria europea, favorendo i rivali cinesi in un momento in cui Bruxelles ha imposto tariffe più alte sui veicoli elettrici cinesi per proteggere le case automobilistiche europee. Jens Gieseke, un legislatore di centro-destra del Parlamento europeo – riporta il Financial Times -, ha affermato che l’Ue ha commesso un “errore” nel consentire il pooling con le case automobilistiche statunitensi e cinesi, in quanto ciò potrebbe avvantaggiare i rivali delle case automobilistiche europee.

    Per l’analista di Ubs Patrick Hummel, secondo quanto scrive il quotidiano britannico -, lo Stato tedesco della Bassa Sassonia detiene una partecipazione del 20% in Volkswagen, mentre Renault è per il 15% di proprietà del governo, il che rende la condivisione dei gruppi con le case automobilistiche cinesi un argomento politicamente sensibile. L’Europa, sottolinea il Financial Times, è il continente che si sta riscaldando più velocemente al mondo, con un aumento delle temperature doppio rispetto alla media globale dagli anni ’80, dovuto anche alla vicinanza all’Artico in scioglimento. Questi fattori rendono ancora più pressante la necessità di rispettare gli obiettivi climatici stabiliti da Bruxelles.

  • Dei delitti e delle pene

    La sicurezza stradale rappresenta per ogni governo che si sia trovato alla guida del Paese, ed indipendentemente dal proprio orientamento politico ed ideologico, il parco giochi all’interno del quale sviluppare la propria virilità normativa e punitiva.

    Prova ne è che le sanzioni per quanto riguarda le infrazioni stradali hanno subito dei progressivi aumenti e nel prossimo futuro per le infrazioni stradali più gravi non è da escludere che si possa passare direttamente alla esecuzione della pena capitale direttamente in autostrada o sul ciglio della strada.

    In altre parole, il codice della strada rappresenta forse l’unico settore nel quale risulta estremamente facile e possibile testimoniare la propria esistenze e presenza politica, da parte di una classe politica molto spesso rappresentata da persone intellettualmente povere.

    L’ultimo inasprimento delle sanzioni amministrative in relazione soprattutto a violazioni che non mettono in pericolo la vita dei conducenti, ha raggiunto un livello ormai insopportabile anche in rapporto a quanto avviene negli altri paesi della Comunità Europea, dove le sanzioni amministrative risultano decisamente inferiori soprattutto in rapporto al reddito medio.

    Qualora albergasse un minimo di buon senso all’interno delle stanze del potere partendo dalla considerazione che lo stipendio medio mensile in Italia risulta di 1.700 euro, questo dovrebbe invitare, nella quantificazione di una sanzione amministrativa, come insuperabile il limite indicato nel 10% del reddito medio. Questo poi potrebbe aumentare di un +5%, qualora venisse ripetuta la medesima infrazione nell’arco del medesimo semestre.

    Contemporaneamente andrebbe istituito il protocollo di revisione della rete stradale ogni quattro anni, in quanto la mancata manutenzione concorre a creare le condizioni per incidenti anche gravi soprattutto all’interno della rete comunale e della quale dovrebbe risponderne lo stato assieme agli enti locali.

    Per non parlare di un inevitabile adeguamento dei limiti di velocità alle nuove autovetture che hanno dei sistemi frenanti assolutamente superiori rispetto alle automobili per le quali i limiti sono stati pensati.

    Qualcuno potrebbe obiettare che in questo modo i ricchi pagherebbero molto poco percentualmente (*) rispetto a chi ha redditi Inferiori, ma proprio per salvaguardare i redditi più bassi risulta insopportabile che una sanzione possa arrivare al 50/60/70% se non di più del reddito medio.

    Questo ovviamente vale solo per sanzioni amministrative e non certo nei casi in cui viene prevista anche la sospensione della patente, cioè nel caso di guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, per le quali la sanzione sospensiva risulterebbe sufficiente ad essere considerato come un deterrente.

    L’approccio puramente ideologico alla sicurezza stradale dimostra ancora una volta come si consideri centrale nella prevenzione la sola applicazione di una pena pesante, mentre lo Stato continua a non rispondere minimamente delle condizioni stradali nelle quali gli automobilisti sono costretti a viaggiare. In più rimane inaccettabile che la stessa sicurezza stradale venga utilizzata come un bancomat per sanare i conti di molti enti locali.

    (*) La stessa scuola di pensiero che ha criticato gli sconti sugli accise in quanto avrebbero favorito i possessori di Ferrari ma che dimenticano invece che la cilindrata media delle auto è di 1.553 cc e quindi l’applicazione inversa dell’utilità marginale decrescente favorirebbe proprio i redditi più bassi

  • Il dumping ideologico

    Le forme di dumping possono essere molteplici e la consapevolezza dovrebbe influenzare la politica economica e strategica dell’Unione Europea. Il costo del lavoro in Cina risulta inferiore del -77% rispetto al costo medio occidentale, fornendo così un vantaggio strutturale all’economia cinese e conseguentemente incrinando ogni modello di libero mercato votato alla semplice e scolastica applicazione del principio della concorrenza. Tuttavia questo differenziale viene determinato non solo da un basso livello retributivo ma anche dalla assenza di tutele dell’intero sistema produttivo e per questo assolutamente non paragonabile a quanto il mondo occidentale invece garantisce.

    A questo “dumping retributivo” che già ha distrutto, all’inizio del terzo millennio, il sistema tessile abbigliamento, europeo anche grazie alla volontà speculativa di molte aziende che hanno delocalizzato la propria produzione, ora se ne aggiunge un secondo il quale da solo azzera ogni valore strategico alla politica europea per la “tutela dell’ambiente”.

    Va infatti ricordato che in Cina ogni anno vengano importati cinque miliardi di tonnellate di carbone usato come combustibile per assicurare il 60% dell’energia elettrica fornita appunto dalle centrali a carbone. In questo modo vengono alimentati i sistemi industriali ed in particolare quello dell’automotive i cui prodotti, come l’auto elettrica, paradossalmente in Europa vengono invece considerati a “basso impatto ambientale”.

    La forma più inquinante di produzione energetica quindi, quella a carbone, viene utilizzata dal settore automotive cinese il quale, proprio per questo motivo, è espressione di un ciclo produttivo a fortissimo impatto ambientale legato appunto all’utilizzo del carbone, un fattore determinante nella valutazione di impatto ambientale complessivo di un prodotto ed assolutamente non considerato all’interno dell’Unione Europea.

    Prova ne sia che la stessa Unione Europea non solo omette di considerare e premiare il basso impatto ambientale della produzione di autoveicoli europei che utilizzano fonti energetiche sicuramente meno inquinanti di quella di origine carbonifera cinese, In più dal 2025 imporrà alle case automobilistiche europee il pagamento di sanzioni per tutte quelle aziende che non rispettasse i limiti di emissioni già arbitrariamente definiti. In questo modo non si valuta la qualità complessiva del ciclo produttivo dell’intero settore automotive europeo il cui impatto ambientale risulta minimo rispetto a quella cinese, ma addirittura lo si penalizza sulla base di valori ridicoli legati alle emissioni degli autoveicoli, quindi a valle della filiera produttiva.

    In altre parole, la tecnologia automobilistica europea che ha permesso la riduzione negli ultimi vent’anni del – 97% delle emissioni di PM10 e del -92 % del NOx, attraverso l’applicazione di multe basate sul mancato rispetto di valori delle emissioni assolutamente ideologici, favorirà la concorrenza cinese e la sua produzione ad altissimo impatto ambientale. L’automobile cinese così viene doppiamente incentivata dal regime cinese attraverso la fornitura di energia in “dumping ambientale” oltre ai finanziamenti pubblici alle stesse case automobilistiche, ma anche la stessa Unione Europea la favorisce ulteriormente in quanto penalizza fiscalmente il settore automotive europeo.

    Si passa, così, da un “dumping” relativo al costo del lavoro a quello energetico il quale al proprio interno contiene ed esprime in più articolato “dumping ideologico” la cui matrice politica si conferma di origine socialista ed in questo molto simile a quella adottata dal colosso cinese. Basti ricordare come l’Unione Europea possa essere considerata come la massima esponente di questo interventismo in ambito economico, in quanto risulta l’unica istituzione ad avere adottato il divieto, dal 2035, alla produzione ed alla vendita dei motori endotermici.

    Il percorso intrapreso nell’Unione Europea  da un sistema economico europeo espressione di valori liberali ed occidentali ad una società socialista è già stato avviato attraverso l’adozione dei principi ideologici del dumping ideologico.

  • Annunciati i vincitori dei Premi per l’eccellenza nella sicurezza stradale 2024

    La Commissione ha annunciato i vincitori dei Premi per l’eccellenza nella sicurezza stradale 2024, che riconoscono contributi eccezionali e innovativi alla sicurezza stradale in Europa. Ogni anno i premi vanno ai migliori contributi della comunità della Carta europea della sicurezza stradale – organizzazioni, autorità e aziende – che hanno prodotto risultati significativi per la sicurezza stradale in Europa. Quest’anno i progetti selezionati rientrano nelle seguenti cinque categorie: educazione, motociclismo, utenti vulnerabili della strada, tecnologia e innovazione e sicurezza stradale urbana.

    Di seguito i vincitori del 2024.

    Comune di Bologna, Italia, per l’iniziativa “Bologna Città 30”, incentrata su aree di circolazione a velocità ridotta, zone pedonali e ciclabili e campagne di sensibilizzazione alla sicurezza stradale.

    Consiglio europeo della sicurezza dei trasporti (ETSC), Europa, per il progetto “LEARN!”, che promuove la sicurezza stradale e l’educazione alla mobilità in Europa.

    Kuratorium für Verkehrssicherheit, Austria, per la pionieristica iniziativa sulla sicurezza stradale che ha ridotto gli incidenti motociclistici migliorando la segnaletica stradale nelle curve.

    Axencia Galega de Infraestruturas, Spagna, per l’approccio innovativo alla promozione della mobilità alternativa in Galizia realizzando percorsi pedonali e ciclabili che collegano le aree interurbane.

    Centro per la gestione del traffico della Baviera, Germania, per i suoi sistemi di gestione del traffico all’avanguardia, come i “Semafori del futuro”, per migliorarne la sicurezza e la circolazione.

    La Carta europea della sicurezza stradale, guidata dalla Commissione europea, è la più grande piattaforma della società civile sulla sicurezza stradale, con circa 4 100 membri. I suoi sforzi sono necessari per conseguire l’obiettivo dell’UE “zero vittime”, teso ad azzerare vittime e feriti gravi della strada entro il 2050, soprattutto dal momento che i progressi degli Stati membri sono in fase di stallo (20 400 vittime della strada registrate solo nel 2023) e molti paesi stanno rimanendo indietro rispetto a tale obiettivo.

  • Il benessere dell’umanità

    “Il benessere dell’umanità è sempre l’alibi dei tiranni”, Albert Camus

    Da sempre l’ideologia rappresenta lo strumento attraverso il quale giustificare una scelta anche di natura economica la quale altrimenti sarebbe ingiustificabile. Questo è quanto accade, ora, in merito alla transizione verso una mobilità elettrica, sostenuta proprio da quelle compagini politiche che hanno visto crollare i propri modelli politici e di sviluppo con la caduta del Muro di Berlino lasciandoli senza riferimenti. L’attenzione e la sete di riscossa politica si spostano quindi verso il modello di vita e consumi occidentale.

    In questo contesto allora ecco la lotta alla mobilità indipendente possibile grazie all’utilizzo delle autovetture private ed al loro “impatto”.

    L’auto  risulta responsabile dell’1% delle emissioni di CO2, la cui riduzione del 50% sarebbe ottenibile semplicemente attendendo la normale conversione delle vecchie auto o magari attraverso una incentivazione fiscale alle classe di emissione euro 6.

    Quindi, in considerazione del fatto che l’Italia risulta responsabile dello 0,7% delle emissioni totali e l’intera Europa del 6,5%, tanto le emissioni attuali di CO2 (1%), attribuibile alle auto, quanto la loro riduzione del 50% risulterebbero già di per sé  marginale in rapporto alle conseguenze economiche e sociali legate ad un avvento dell’auto elettrica cinese. Basti ricordare, infatti, come il settore Automotive in Europa rappresenti dodici milioni di posti di lavoro, circa mille miliardi di entrate fiscali ed il 12% del PIL.

    In relazione, poi, alle polveri sottili andrebbe ricordato come ad un grammo emesso da un motore endotermico ne corrispondano 1850 grammi attribuibili alla resistenza al rotolamento dei pneumatici che diventano 3850 nel caso di una guida più nervosa, ma comunque all’interno dei limiti imposti dal Codice della strada.

    Come logica conseguenza emerge evidente come il problema dell’impatto ambientale nella mobilità sia  più legato, in relazione alle polveri sottili, agli pneumatici che non al motore endotermico.

    Viceversa, la deriva strategica intrapresa dall’Unione Europea e soprattutto dalla sua Commissione trova la propria ragione in una scelta puramente ideologica nella quale la leva ambientalista rappresenta il fattore scatenante.

    Contemporaneamente in Cina negli ultimi due anni sono stati autorizzate le produzioni di 218 GW da centrali a Carbone (1 GW, 1 miliardo di Watt), quindi sono centinaia le centrali a carbone che la Cina sta costruendo in questo momento per alimentare il proprio sviluppo, e quindi anche l’industria automobilistica cinese, con un vita media compresa tra i 50 e i 75 anni, quindi operative fino alla fine del secolo in corso.

    In questo contesto basti ricordare come le emissioni delle centrali a carbone rappresentino un quinto di quelle totali e metà sia  localizzata in Cina ma in continua crescita.

    Pensare di utilizzare i prodotti di una economia malsana, con il primato mondiale dell’impatto ambientale, rappresenta, all’interno di una politica attenta ad un equilibrio ambientale, sia nel settore Automotive come in precedenza avvenne con il tessile abbigliamento,

    la strategia a più alto tasso di inquinamento che la UE potesse adottare.

    La sola giustificazione che possa sostenere il blocco della vendita e produzione dei motori endotermici a partire dal 2035 può venire considerata solo come espressione in un cieco furore ideologico che da sempre rappresenta il modo per sostenere quanto altrimenti risulterebbe assolutamente ingiustificabile e sempre in nome del bene comune.

  • 2024-1957: è ufficiale, si torna indietro

    Dalle ultime rilevazioni risultano 387.600 auto e furgoni commerciali prodotti nei primi nove mesi nell’anno in corso a differenza dei 567.525 del 2023. Un dato che riporta il Paese al lontano 1957. Contemporaneamente i lavoratori sono passati dai 52.000 del 1989 ai 15.000 attuali.

    La specificità italiana della crisi dell’automotive si inserisce all’interno dell’Unione Europea con un delirio ideologico che vede colpire l’intero settore industriale dell’automobile (che vale circa 12 milioni di posti di lavoro il 12% del PIL e 1.000 di tasse) per l’applicazione di protocolli ambientalistici assolutamente irraggiungibili i quali, per contro, tendono a favorire la sola Cina. Questa, va ricordato, come non solo finanzi le prime cinque case automobilistiche cinesi ma fornisce loro un’energia a basso costo prodotta dalle centrali a carbone, in quanto interpreta l’auto elettrica come un elemento decisivo per conseguire l’obiettivo di allargare all’Europa la propria ingerenza politica ed economica.

    Ammesso, allora, che ci sia ancora la possibilità di invertire questo trend, quali potrebbero essere le prime scelte operative e strategiche da adottare?

    In puro ordine numerico:

    1. Rinvio di cinque anni dell’introduzione delle normative Euro7.
      2. Annullamento immediata del divieto di vendita e produzione di motori endotermici nell’Unione Europea fissata al 2035, anche in considerazione che si è passati dal cavallo al motore a scoppio non certo attraverso un decreto regio
    2. Sostegno fiscale a tutte quelle aziende che diminuiscano, per unità di prodotto, l’energia utilizzata indipendentemente dalla sua natura.
    3. Abbandono dell’utopia di una decarbonizzazione a favore di una riduzione fiscalmente incentivata dell’utilizzo di ogni forma di energia, in quanto anche quella cosiddetta green richiede una quantità di risorse finanziarie pubbliche, e quindi di un costo sociale insostenibile e che drena risorse al bilancio statale riducendo la stessa spesa sociale.
    4. L’adozione di un protocollo sulla base del quale ogni iniziativa economica e strategica in Europa venga giudicata in rapporto ai posti di lavoro creati a tempo indeterminato e con una retribuzione dignitosa, piuttosto che sulla base di deliranti visioni politiche ed ideologiche.
      6. Incentivazione fiscale per ottenere progressivamente nel giro di 5/10 anni un parco macchine circolante di automobili Euro 5 o Euro 6 il quale permetterebbe la riduzione del 50% dell’attuale quantità di CO2 emessa dalle auto, pari al solo 1% delle emissioni complessive del nostro Paese.
      7. La distruzione della filiera del tessile abbigliamento in Italia ed in Europa successivamente alla sospensione dell’accordo Interfibre dovrebbe suggerire lo scenario futuro riservato al settore Automotive europeo esposto ad una totale transizione verso una insensata mobilità elettrica di pura genesi ideologica ed interesse politico.
      8. Considerare la Cina come un partner commerciale ma non certo un alleato e, viceversa, favorire ogni alleanza politiche e strategica con l’India la quale rappresenta l’unico contrappeso politico ed economico all’interno dei Brics.
      9. Riportare il sistema industriale al centro dello sviluppo in quanto, seppur ancora oggi in termini energetici venga considerato energivoro, presenta un fabbisogno energetico decisamente inferiore a quello richiesto dalle sole Major dell’economia digitale.
      10. Colpire l’automobile credendo di diminuire le emissioni offre lo spessore della “ideologica competenza” in quanto in Irlanda i Data System inquinano più delle abitazioni mentre Google e Microsoft inquinano quanto la Croazia.
    5. In termini europei, in più, solo il riconoscimento delle specificità economiche dei diversi paesi che compongono l’Unione può assicurare un supporto decisivo al conseguimento dei traguardi di sviluppo e sostenibilità, e non certo attraverso un’unica ed onnicomprensiva politica economica ma solo attraverso diverse politiche specifiche per ogni realtà economica.

    Ma soprattutto, e siamo al punto 12, riportare il concetto del lavoro, e la dignità che è in grado di assicurare, al centro dell’attenzione della politica come elemento fondamentale per assicurare una vita democratica ad ogni cittadino europeo.

    N.B. si fa notare come il termine “dazi” non si stato usato in quanto, pur rappresentando un legittimo strumento di difesa, certifica troppo spesso il ritardo, da verificare se colposo o peggio doloso, di una intera classe politica e dirigente nella comprensione delle dinamiche di mercato ampiamente prevedibili.

  • Alt alla produzione della 500 elettrica a Mirafiori prolungato per tutto ottobre

    Stellantis ha annunciato alle organizzazioni sindacali che la produzione della 500 Bev alle Carrozzerie di Mirafiori prolungherà la sospensione delle attività fino al primo novembre. Persiste la mancanza di ordini legata all’andamento del mercato elettrico in Europa che è profondamente in difficoltà, nonostante la 500e nei primi otto mesi dell’anno rappresenti il 40% delle vendite nel segmento EV delle city car (Segmento A) in Europa. L’azienda automotive ha garantito l’investimento nello stabilimento torinese e in generale la certezza che l’Italia rappresenti uno dei pilastri globali del Gruppo. Ma dai sindacati si alzano venti di preoccupazione. “Le giornate lavorative si vanno sempre più riducendo mentre l’utilizzo della cassa integrazione è in costante aumento. L’azienda oggi non ha chiarito se le attuali previsioni consentiranno o meno di produrre per tutto il mese di novembre, in questa condizione l’incertezza regna sovrana – ha affermato Rocco Cutrì, segretario generale Fim-Cisl di Torino -. Inaccettabile il livello di precarietà a cui stiamo arrivando, il sistema automotive così rischia il collasso. È più che mai necessaria una presa d’atto da parte dei vertici Stellantis che sciolga le attuali titubanze e proceda verso un accordo programmatico in sede istituzionale. Il 18 ottobre saremo a Roma per sensibilizzare il paese su questa emergenza che rischia di azzerare una delle principali filiere industriali”.

    Mentre Luigi Paone di Uilm ha sottolineato che “la situazione a Torino è sempre più preoccupante, aumenta la cassa e diminuisce il salario dei lavoratori, mettendo a rischio la tenuta sociale. Questo ulteriore stop alla produzione rende ancora più necessario e urgente un intervento del Governo per dare garanzie e stabilità agli impianti italiani. Come organizzazioni sindacali, dopo l’allarme lanciato il 12 aprile e il 12 giugno a Torino, torneremo a manifestare a livello nazionale il 18 ottobre per richiamare Stellantis e il Governo alla loro responsabilità sociale e riportare in Italia la produzione di modelli accessibili a tutti per rilanciare il settore”, ha concluso.

    L’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, interverrà in Commissione Attività Produttive della Camera il prossimo 11 ottobre alle ore 13. Lo comunica la società. “La complessa congiuntura internazionale ed europea in cui si trova il settore dell’Automotive richiede risposte rapide, frutto anche dell’interlocuzione fra tutte le realtà del settore coinvolte”, fa sapere Stellantis sottolineando che il contributo e la volontà di dialogo e di confronto “è costante”. “Con la sua presenza, Tavares potrà offrire il quadro più esaustivo sulla produzione automobilistica del Gruppo in Italia, oggetto dell’audizione”, conclude la società.

    I dati della produzione di Stellantis nei primi nove mesi del 2024, dopo tre anni di crescita, hanno un forte dato negativo rispetto all’anno precedente, con una quantità tra autovetture e furgoni commerciali di 387.600 unità contro le 567.525 del 2023. Un -40,7% per le auto e un -10,2% sui mezzi commerciali. Lo ha reso noto Fim-Cisl nell’ultimo report trimestrale. “Per la prima volta tutti gli stabilimenti sono in negativo, profondo rosso e perdono sia gli autoveicoli che i veicoli commerciali – hanno sottolineato da Fim-Cisl.

    Nel terzo trimestre anche i due unici stabilimenti in positivo nella prima parte dell’anno, Pomigliano d’Arco e Atessa, cedono il passo e registrano un dato negativo rispettivamente del -5,5% e del -10,2%. Certo, ben lontano dai dati estremamente negativi degli altri stabilimenti che toccano punte che vanno dal -47% al -75,8% rispetto ai nove mesi dello scorso anno. Volumi che sono destinati a peggiorare. Se l’andamento riscontrato nel terzo trimestre venisse confermato nell’ultimo, la produzione si aggraverebbe ulteriormente con le auto sotto i 300mila e la produzione complessiva, considerando i veicoli commerciali, scenderebbe sotto quota 500mila, con meno di un terzo dei volumi del 2023 (751mila)”, hanno concluso.

    In una propria nota il gruppo Stellantis ha sottolineato che “Stellantis sta portando avanti, con impegno, un dialogo e un confronto aperto e costruttivo con tutti gli stakeholder per affrontare la complessa congiuntura del settore, in Italia e negli altri mercati. Il report pubblicato oggi da Fim-Cisl è un utile strumento di analisi e monitoraggio. Tuttavia, i dati della produzione negli stabilimenti situati nel nostro Paese, riferiti nel report, restituiscono una visione parziale se non collocati all’interno di una dinamica più ampia. Ad esempio, sarebbe utile, ai fini di una rappresentazione più completa e utile, ricordare tutti gli elementi di competitività, quali il costo dell’energia, il costo del lavoro, la produttività. Tutto questo in una congiuntura del tutto peculiare di transizione all’elettrico, in cui è necessario offrire ai clienti vetture più accessibili. Un’analisi di questo tipo consentirebbe di promuovere un ragionamento di politica industriale più maturo che è fondamentale per ottenere i risultati a cui tutti gli stakeholder del settore automotive ambiscono”.

  • Airbag prodotti in Asia difettosi, Stellantis ricorre al “Made in Colleferro”

    Stellantis ha dovuto sostituire gli airbag difettosi prodotti in Asia dalla giapponese Takata con quelli italianissimi, prodotti a Colleferro, stabilimento alle porte di Roma.

    Secondo cifre provenienti da Tokyo su 100 milioni di auto equipaggiate coi dispositivi prodotti dalla casa giapponese dai primi anni 2000 (fino al suo fallimento nel 2017) i dispositivi di protezione in caso di incidente potrebbero arrivare ad esplodere violentemente senza preavviso per via di un difetto di fabbricazione.

    In Italia, la 23enne Martina Guzzi, secondo la Procura di Catanzaro è stata vittima il 28 maggio scorso di uno degli airbag difettosi, che era montato sulla sua Citroen C3. Si tratta della prima vittima ufficiale italiana degli airbag Takata.

    A luglio Stellantis ha comunicato che “anche in Italia, sta condividendo tutte le informazioni disponibili sull’attuale campagna di richiamo ‘stop drive’ per i veicoli C3 e DS3 prodotti tra il 2009 e il 2019, con cui ha informato i clienti delle problematiche degli airbag sulla loro autovettura e il divieto assoluto di utilizzo, fino al loro ripristino”. Il gruppo franco-italiano ha reso noto che già sta “collaborando con le autorità competenti sui richiami” e fatto sapere di non poter quindi “rilasciare dichiarazioni laddove ci sia una indagine in corso in seguito a specifici casi”.

    Il gruppo Stellantis ha anche fatto presente di essersi già attivato per “ridurre il disagio dei clienti coinvolti”, specificando che è stata “più che raddoppiata la capacità del call center, da 58 a 128 operatori, per rispondere alle chiamate”, che “sono stati messi a disposizione 11.000 veicoli di cortesia per i clienti italiani e sta esplorando ulteriori soluzioni per garantire la mobilità dei clienti coinvolti”. Quanto ai numeri della campagna, Stellantis assicura che, “grazie a una capacità raddoppiata, al 23 di luglio sono stati sostituiti gli airbag in 20.000 veicoli C3 e DS3, mentre altri 24.000 veicoli sono attualmente in via di riparazione”. Infine, è stata aumentata anche la produzione dei dispositivi grazie alla realizzazione di una linea apposita presso la fabbrica della Joyson a Colleferro, vicino Roma: “La fornitura di airbag in Europa ha raggiunto le 14.500 unità a settimana”.

    A quanto comunicato da Stellantis, sono stati già sostituiti circa 102.000 Citroën e DS dotate di airbag difettosi forniti dal produttore giapponese Takata, corrispondenti a un quinto dei veicoli interessati. Gli interventi sono stati effettuati in Francia, Italia, Spagna e Portogallo. Altri 128.000 veicoli dovrebbero essere riparati a breve. Questi quattro Paesi europei rappresentano il 91% dei veicoli coinvolti in questa importante campagna di richiamo, che richiede l’immobilizzazione del veicolo fino alla riparazione. In Francia, 56.000 veicoli sono stati riparati e 43.000 sono in programma di riparazione. In totale sono interessati 530.000 veicoli Citroën C3 e DS3 venduti tra il 2009 e il 2019 in Europa e Nord Africa, di cui 246.000 in Francia. Da quando la campagna di richiamo è stata annunciata a maggio, Stellantis ha offerto veicoli sostitutivi e ha raddoppiato la produzione di airbag adattati grazie anche allo stabilimento di Colleferro.

    Il marchio lancerà una campagna pubblicitaria in questi quattro Paesi, sui giornali, alla radio e su Internet, per incoraggiare i proprietari a registrarsi sulla sua piattaforma e a fissare un appuntamento per visitare un’officina. Anche Volkswagen, Nissan e Toyota hanno recentemente lanciato campagne di richiamo per gli airbag Takata. Quest’estate, BMW ha richiamato più di 1,7 milioni di veicoli negli Stati Uniti e in Cina per lo stesso problema.

  • Indagine rivela atteggiamento positivo nei confronti delle auto elettriche in Europa

    Il 57% dei conducenti di automobili non elettriche sta valutando la possibilità di passare a veicoli elettrici, nonostante i costi. E’ quanto emerge da un’indagine dell’osservatorio europeo per i carburanti alternativi condotta in 12 Stati membri dell’UE.

    L’impegno dell’UE a ridurre del 90% le emissioni di gas a effetto serra nel settore dei trasporti entro il 2050 — come stabilito nel Green Deal europeo e nella strategia per una mobilità sostenibile e intelligente — è in linea con questa tendenza, sottolineando il ruolo dei veicoli a zero emissioni. Il nuovo regolamento su un’infrastruttura per i combustibili alternativi promuove la realizzazione di infrastrutture di ricarica pubbliche di facile uso in tutta l’UE.

    Con oltre 19.000 intervistati, l’indagine è una delle principali per quanto riguarda l’atteggiamento dei consumatori nei confronti della mobilità elettrica. I rispondenti, suddivisi tra gli attuali conducenti di veicoli elettrici a batteria e i conducenti di veicoli non elettrici, hanno inoltre evidenziato i benefici per il clima e l’efficienza in termini di costi dei veicoli elettrici a batteria.

    Circa due terzi degli intervistati ritiene che il prezzo rimanga un grande ostacolo. Un terzo prevede tuttavia di acquistare un’automobile elettrica nei prossimi cinque anni.

    L’indagine ha coinvolto partecipanti da Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Ungheria, Italia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Slovenia, Spagna e Svezia.

  • Fiat Algeria produrrà 90mila veicoli all’anno entro il 2026

    Il ministro dell’Industria algerino, Ali Aoun, ha ricevuto una delegazione di Stellantis, guidata da Samir Cherfan, direttore dell’azienda nella regione Africa e Medio Oriente. Secondo un comunicato stampa del ministero algerino, l’incontro rientra “nel monitoraggio dell’avanzamento del progetto di produzione automobilistica in Algeria del marchio Fiat”. Il ministro Cherfan ha “confermato l’impegno del Gruppo Stellantis a sostegno dello sviluppo dell’industria automobilistica in Algeria”. Durante l’incontro si è discusso della situazione attuale della fabbrica di assemblaggio e degli ultimi sviluppi nel campo della produzione automobilistica. In particolare, prosegue la medesima fonte, è stato presentato “nel dettaglio il progetto che sta avanzando nel processo di produzione dei veicoli Fiat, in particolare dei modelli Fiat 500 e Doblò”. È previsto, inoltre, un aumento della produttività “per raggiungere l’obiettivo prefissato di 40mila veicoli entro la fine del 2024 e di 90mila unità entro la fine del 2026”. Infine, sono stati presentati i progressi compiuti nell’attuazione degli accordi conclusi con i fornitori per aumentare il tasso di integrazione con le componenti prodotte localmente, che secondo Cherfan “raggiungerà oltre il 35 per cento entro il 2026”.

    Lo scorso 11 dicembre, il Gruppo Stellantis e le autorità dell’Algeria hanno inaugurato lo stabilimento Fiat nella provincia di Orano, nell’ovest del Paese. Situato nella zona industriale di Tafraoui, lo stabilimento Fiat è stato costruito su un’area di 40 ettari, che si aggiungono a ulteriori 80 ettari dedicati ai produttori di attrezzature che accompagneranno l’impianto. Si stima che nello stabilimento lavoreranno 600 persone al momento del lancio e che la cifra salirà a 2 mila entro il 2026. Saranno prodotti tre modelli, tra cui la Fiat 500 Hybrid che ha aperto il salone, seguita dal Doblò nelle versioni touring (vetrata) e commerciale, con la clausola che un nuovo modello internazionale uscirà dalle linee di produzione dello stabilimento nel 2026. L’accordo firmato nell’ottobre del 2022 prevede la produzione di 60 mila veicoli nel primo anno, cifra che salirà a 90 mila entro 12 mesi. L’apertura della seconda linea di produzione automatizzata dell’impianto Fiat di Orano, che aumenterà la capacità produttiva a 60 mila automobili all’anno, è prevista per la fine del prossimo giugno.

    Le parti attualmente prodotte localmente per i veicoli Fiat includono sedili, tappeti, oli e lubrificanti, parti in plastica e pneumatici. Si tratta di parti relativamente facili da reperire in Algeria, ma nel frattempo il Paese nordafricano dovrà sviluppare la sua industria per produrre una componentistica tecnologicamente più avanzata. Secondo l’emittente algerina “Echourouk News“, i fornitori selezionati devono soddisfare “rigorosi requisiti in termini di qualità, prestazioni ed efficienza”. Le specifiche per la produzione dei veicoli, pubblicate nel novembre 2022, prevedono un graduale aumento del tasso di integrazione della componentistica algerina, che raggiungerà il 10 per cento dopo un anno di produzione. Secondo quanto appreso da “Agenzia Nova”, Stellantis vorrebbe andare oltre la percentuale di integrazione prevista e arrivare intorno al 40 per cento nel quinquennio. Il tutto, è bene ricordare, senza fare concorrenza a quanto viene prodotto in Italia, dal momento che lo stabilimento di Orano produrrà per il mercato algerino e africano.

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