Clima

  • Xi Jinping e Putin discutono di Trump

    All’indomani dell’insediamento del presidente Donald Trump alla Casa Bianca, l’omologo cinese Xi Jinping ha avuto una videocall con il leader russo Vladimir Putin. A riferirlo l’emittente cinese Cctv, senza aggiungere al momento dettagli sul colloquio. Anche il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha confermato la notizia. “Il colloquio al momento è in corso”, ha dichiarato all’agenzia di stampa Tass.

    Se i contenuti del video-incontro ancora non sono noti, di certo, però, Pechino e Mosca non hanno nascosto nelle scorse ore i timori per alcune dichiarazioni e per gli ordini esecutivi firmati dal tycoon a poche ore dall’insediamento. A partire dagli accordi sul clima, passando per Oms e finendo con Panama.

    La Cina ha espresso ”preoccupazione” per l’annunciata uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sul clima, decisa dal presidente americano con la firma di un ordine esecutivo, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri cinese Guo Jiakun. “Il cambiamento climatico è una sfida comune a tutta l’umanità e nessun Paese può rimanere indenne o risolvere il problema da solo”, ha affermato Guo.

    E ancora: “Il ruolo dell’Oms dovrebbe essere solo rafforzato, non indebolito”, ha commentato sull’ordine esecutivo di Trump con cui il presidente americano ha dato il via al processo per ritirare gli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale della Sanità. “La Cina, come sempre, sosterrà l’Oms nell’adempimento delle sue responsabilità e lavorerà per costruire una comunità sanitaria condivisa per l’umanità”, ha aggiunto Guo. Trump ha criticato l’Oms per la gestione della pandemia di Covid-19.

    Ed è considerato ”un atto di bullismo” l’inserimento di Cuba nella lista nera dei Paesi che sostengono il terrorismo da parte degli Stati Uniti. L’uso ripetuto della lista da parte di Washington “contraddice i fatti e rivela pienamente il volto egemonico, autoritario e prepotente degli Stati Uniti”, ha affermato Guo.

    Dal canto suo, la Russia si aspetta che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e la leadership di Panama rispettino il regime giuridico internazionale di questa via navigabile. Lo ha affermato il direttore del dipartimento latinoamericano del ministero degli Esteri russo, Alexander Shchetinin, rispondendo a una domanda della Tass.

    ”Ci auguriamo che durante le previste discussioni tra la leadership di Panama e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sulle questioni del controllo sul Canale di Panama che, ovviamente, rientrano nell’ambito delle loro relazioni bilaterali, le parti rispettino l’attuale regime giuridico internazionale di questa via navigabile fondamentale”, ha sottolineato.

    Shchetinin ha ricordato che il regime giuridico internazionale del Canale di Panama ”è chiaramente definito e registrato nel Trattato sulla neutralità permanente e sul funzionamento del Canale di Panama tra gli Stati Uniti d’America e la Repubblica di Panama, firmato dal presidente americano Jimmy Carter e il capo del governo panamense, il generale Omar Torrijos, il 7 settembre 1977 ed entrarono in vigore il primo ottobre 1979″. Il diplomatico ha aggiunto che ”il regime stabilito dal trattato è ulteriormente sancito dal protocollo, al quale hanno aderito circa 40 stati del mondo. La Russia partecipa al protocollo dal 1988 e conferma i suoi obblighi di mantenere la neutralità permanente del Canale di Panama, sostenendo la conservazione sicura e aperta di questa via d’acqua di transito internazionale”.

    ”A questo proposito sottolineiamo: secondo le modifiche apportate dagli Stati Uniti e da Panama al trattato nell’ottobre 1977, ciascuno dei due paesi deve proteggere il canale da qualsiasi minaccia al regime di neutralità. Il diritto specifico degli Stati Uniti alla difesa del Canale di Panama non significa e non deve essere interpretato come il diritto di intervenire negli affari interni di Panama, e qualsiasi azione della parte americana non sarà mai diretta contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di Panama”, ha concluso Shchetinin.

    Il Canale di Panama, inaugurato nel 1914, fu costruito e controllato dagli Stati Uniti. Nel 1977 il Trattato Torrijos-Carter determinò il trasferimento graduale del canale a Panama, completato nel 1999. L’accordo prevede la neutralità del canale e la sua accessibilità al commercio mondiale.

  • Il cambiamento climatico colpisce i più piccoli

    Il cambiamento climatico colpisce i più piccoli, secondo quanto sostiene Debra Hendrickson, pediatra e professoressa alla facoltà di medicina dell’Università del Nevada, nel suo libro The Air They Breathe: A Pediatrician on the Frontlines of Climate Change (edito da Simon & Schuster). «Un gruppo di ricercatori ha stimato che quasi il 90% del carico di malattie globali del cambiamento climatico ricade su chi ha meno di cinque anni – ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera. “Il loro corpo funziona in modo diverso ed è più vulnerabile ai pericoli ambientali. Sono più piccoli, quindi ricevono una “dose” maggiore di inquinamento atmosferico per chilogrammi. Ma la cosa più importante è che i loro organi sono ancora in fase di formazione e crescita, e una lesione nei primi anni di vita può avere un effetto profondo. I bambini che respirano regolarmente aria inquinata da fumi tendono a sviluppare polmoni più piccoli e rigidi».

    Secondo Hendrckson «le particelle, che di solito sono legate a sostanze chimiche tossiche o metalli pesanti, sembrano alterare lo sviluppo del cervello. Il meccanismo esatto non è del tutto chiaro, ma sembra che causino danni attraverso il naso o dopo essere stati trasportati nel sangue dai polmoni, e attraverso l’infiammazione generale del corpo». E in un simile contesto, anche giocare all’aperto rischia di essere un problema: «Questo è uno dei costi nascosti di un mondo più caldo: i bambini non riusciranno a farlo in sicurezza e ciò significa passare ancora più tempo sui dispositivi con conseguenti tassi più elevati di obesità, diabete e malattie cardiache. Nel libro parlo di “parchi giochi naturali” costruiti con materiali come legno e tela, che, se circondati da alberi, possono anche rinfrescare il quartiere circostante».

    A rischio sono anche i nascituri. «Quando una madre incinta inala particolato, aumenta il rischio di parto prematuro e di un bambino sottopeso. Alcune delle ricerche più allarmanti degli ultimi anni hanno dimostrato che lo sviluppo del cervello fetale può essere alterato, aumentando le probabilità di autismo e problemi di apprendimento».

    Hendrickson ha comunque una diagnosi precisa e, di conseguenza, anche una terapia: «Un’analisi recente, realizzata su ben 145 Paesi nel 2022, ha dimostrato che una rapida transizione dai combustibili fossili è possibile tecnologicamente e finanziariamente. Le barriere a questo punto sono tutte politiche, il che significa che possiamo superarle. In estrema sintesi, i passaggi più importanti sono far sì che tutta la nostra elettricità derivi da fonti pulite, e quindi sostituire le nostre auto e i nostri elettrodomestici a gas con alternative elettriche. In ogni città del mondo, i governi stanno prendendo decisioni che influenzano la velocità con cui avviene questa transizione energetica. Ad esempio, la più grande azienda di servizi pubblici del mio Stato vuole costruire diverse altre centrali elettriche a gas, ma molti di noi stanno lottando per l’energia rinnovabile e i sistemi di accumulo delle batterie. I genitori devono prestare attenzione a problemi che prima non avevano, per il bene dei loro figli. Come dico nel libro, si fidano di noi per tenerli al sicuro, e noi li stiamo deludendo».

  • Il Kenya chiede di valutare anche l’impatto sugli animali dei mutamenti climatici

    Il Kenya ha lanciato un appello per portare sul tavolo di discussione sulla crisi climatica anche la fauna selvatica, minacciata dalla mancanza d’acqua o dalla riduzione dell’habitat. Specie iconiche come elefanti, rinoceronti bianchi e neri, leoni, iene, ghepardi e molti altri rischiano letteralmente di scomparire, vittime degli impatti del cambiamento climatico. il quotidiano The Star cita il segretario per la fauna selvatica del ministero del Turismo del Kenya, Shadrack Ngene, secondo il quale “le discussioni sulla fauna selvatica dovrebbero essere parte dell’agenda poiché anche loro subiscono gli impatti del cambiamento climatico come noi”.

    Il censimento del 2021 ha mostrato che il Kenya ha 36.280 elefanti, rinoceronti neri (897), rinoceronti bianchi (842), rinoceronti settentrionali (2), leoni (2.589), iene (5.189), ghepardi (1.160), licaoni (865) e bufali (41.659). Altri animali sono la giraffa Masai (13.530), la giraffa reticolata (19.725), la giraffa della Nubia (938), la zebra comune (121.911), la zebra di Grevy (2.649), l’eland (13.581), l’alcelafo (7.332), lo gnu (57.813) e la gazzella di Grant (66.709). Tuttavia, gli impatti del cambiamento climatico minacciano di spazzare via queste specie iconiche: il 5 novembre 2022, il Wildlife research and training institute (Wrti, l’ente keniano che si occupa dei parchi e della fauna selvatica) ha pubblicato un rapporto che mostrava che la maggior parte di queste specie erano morte a causa della mancanza di acqua e pascoli.

    “Come Dipartimento di Stato, stiamo facendo ciò per identificare tutte le misure di mitigazione, adattamento e resilienza necessarie, e poi stanziare un budget per esse in modo da poter anche mobilitare le risorse necessarie per garantire che il settore della fauna selvatica possa affrontare i problemi legati al cambiamento climatico” ha detto Ngene, annunciando che il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici nel settore della fauna selvatica per il Paese sarà lanciato l’anno prossimo.

    Il Wrti, in uno studio, mostra che nelle precedenti due stagioni (da ottobre 2021 a maggio 2022) il Paese ha ricevuto precipitazioni inferiori alla media e sono stati registrati più di 1.000 decessi: le specie più colpite sono gli gnu, le zebre comuni, gli elefanti, le zebre di Grevy e i bufali, con gli ecosistemi di Amboseli, Tsavo e Laikipia-Samburu che sono stati i più colpiti. Secondo le statistiche, in quel periodo sono morti 512 gnu, 381 zebre comuni, 205 elefanti, 49 zebre di Grevy e 51 bufali. È già in corso una seconda fase del censimento nazionale della fauna selvatica.

    Un articolo della rivista online The Conversation Africa riferisce che dal 1960 a oggi la temperatura media delle pianure keniane del Masai Mar è aumentata di 5,3 gradi, che è calata la disponibilità di acqua e dunque anche la vegetazione e che gli animali sono sempre più in lotta, sia tra loro che con l’uomo, per la disponibilità di risorse idriche.

    Attualmente il governo del Kenya protegge il 19% del suo territorio, di cui l’8% è costituito da parchi e riserve e l’11% da riserve comunitarie o private: Ngene ha detto che lo Stato ha dovuto fornire un’alimentazione mirata per alcune specie di animali selvatici come la zebra di Grevy durante la siccità e ha detto anche che il Paese sta cercando di espandere le riserve comunitarie dall’11% al 20% entro il 2030, potenziando le aree per la cattura della Co2 e promuovendo un turismo sostenibile attraverso la governance e i piani di utilizzo del territorio. “Il settore della fauna selvatica nel paese contribuisce molto al raggiungimento di ciò che vogliamo ottenere in termini di mitigazione del clima, adattamento e resilienza” ha detto Ngene: il Kenya ospita 25.000 specie animali, tra cui molti grandi mammiferi, 7.000 specie di piante e 2.000 specie di funghi e batteri.

  • Responsabilità antropica del cambiamento climatico

    Chi continua a sostenere che il cambiamento climatico sia dovuto alla presenza di grandi quantità di CO2 e di altri “gas serra” creati dall’uomo farebbe bene ora anche a riflettere su un fatto nuovo accaduto recentemente in Lombardia.

    Grazie al ritiro dei ghiacciai, a un’altitudine di più di 3000 metri, si sono scoperti incisioni rupestri che denotano in loco la presenza umana durante l’età del bronzo (in Europa 2300-1100 A.C.).

    Due considerazioni andrebbero fatte a questo proposito ma non sembra che i nostri giornalisti le abbiano ancora fatte:

    – Uomini organizzati vivevano, o almeno frequentavano, quelle altitudini in maniera costante. Tanto è vero che si presero la briga di farvi dei disegni perenni. Non era troppo freddo per starci a lungo?

    – Sicuramente non scavarono il ghiacciaio per poter disegnare sulle rocce sottostanti. All’epoca in quelle montagne, seppur sopra i 3000 metri, non c’erano ghiacciai perenni. Ovviamente il clima era diverso e più caldo degli anni nostri (così come lo fu nei tempi romani). I ghiacciai si formano e spariscono nel corso dei secoli da sempre su questo pianeta.  Esistevano, all’epoca, uso diffuso dei combustibili fossili, delle industrie, dei riscaldamenti ovunque? A cosa era dovuto il “riscaldamento climatico” dell’età del bronzo?

    P.S. 1) Grazie all’aver messo in ginocchio molte industrie in Europa, la Commissione è riuscita ad ottenere una qualche piccola riduzione delle emissioni di gas considerati pericolosi per il clima. L’Europa produceva circa il 7% delle emissioni mondiali e ora, forse, siamo al 6 e qualcosa. Nel frattempo, la Cina che ne produceva più o meno il 36% ha aumentato la sua percentuale grazie all’apertura di nuove centrali a carbone. Così ha fatto l’India e stanno facendo gli Stati Uniti. La nostra fortuna è che potremo comprare molti più prodotti fabbricati in quei Paesi invece di quelli soliti (oramai noiosi) che producevamo da noi.

    2) Sembrerebbe che a Baku, per parlare di come combattere la CO2 internazionalmente, tra delegati e giornalisti siano presenti in tutto circa 51.000 persone (non cambierebbe drasticamente anche se fossero solo 5.000). Sono tutti arrivati in bicicletta o a piedi? Oppure in carrozze trainate da cavalli?

    3) Una cosa è battersi contro l’inquinamento di aria e acque, atteggiamento doveroso e salutare. Un’altra è inventarsi cause di un cambiamento climatico che gli stessi “inventori” definiscono inarrestabile, se non parzialmente. Se sappiamo davvero che le acque oceaniche sono destinate ad alzarsi, perché invece di prendere decisioni masochiste sprecando enormi ricchezze non pensiamo a cosa fare per delocalizzare chi ne potrebbe restare sommerso? E perché non attrezzare intere società per i cambiamenti che, sembra, comunque arriveranno?

  • Drought leaves Amazon basin rivers at all-time low

    Water levels in many of the rivers in the Amazon basin have reached their lowest on record amid a continuing drought, the Brazilian Geological Service (SGB) says.

    The Madeira river, a major tributary to the Amazon, had fallen to just 48cm in the city of Porto Velho on Tuesday, down from an average of 3.32m for this day, official data showed.

    The Solimões river has also fallen to its lowest level on record in Tabatinga, on Brazil’s border with Colombia.

    Brazil’s natural disaster monitoring agency Cemaden has described the current drought as the “most intense and widespread” it has ever recorded.

    It is particularly concerning because it has worsened relatively early in the Amazon’s dry season, which typically runs from June to November.

    That suggests the situation in the Amazon may not significantly improve for some months in a region which is critical in the fight against climate change, as well as being a rich source of biodiversity.

    The links between drought and global warming are complicated, but climate change can play a role in worsening dry conditions in two main ways.

    Firstly, the Amazon basin is typically receiving less rainfall than it used to between June and November as climate patterns change.

    Secondly, hotter temperatures increase the evaporation from plants and soils, so they lose more water.

    In 2023, the Amazon basin suffered its most severe drought in at least 45 years – which scientists at the World Weather Attribution group found had been made many times more likely by climate change.

    Last year, the drought was also worsened by the natural weather pattern known as El Niño, which tends to make the Amazon warmer and drier than normal as well.

    El Niño has since ended, but the dry conditions have persisted.

    Another factor in Amazon droughts is deforestation. Around one-fifth of the rainforest has been lost over the last 50 years, for example to make way for agriculture.

    These trees provide resilience against drought because they help to increase rainfall by releasing moisture back into the air from their leaves. Without them, the Amazon is more vulnerable.

    President Luiz Inácio Lula da Silva has pledged to halt deforestation completely by 2030.

    But the current drought – which has helped fires to spread – highlights some of the challenges of limiting further forest loss.

    The low water levels in the region’s main rivers are also severely impacting the lives of local people, who rely on them for navigation.

    According to Cemaden, as of last week there were more than 100 municipalities which had not seen any rain for more than 150 days.

    Residents of Manacapuru, on the banks of the Solimões river, said they were struggling to get vital supplies, including food and drinking water, to the city.

    “We anchored the boat here, and it was stuck on dry land the next day. We had no way to move it,” fisherman Josué Oliveira told Reuters news agency.

    “Nothing will get through,” another fisherman explained.

  • L’UE commemora le vittime della crisi climatica globale

    Il 15 luglio l’UE ha commemorato le vittime della crisi climatica globale nel corso di una cerimonia tenutasi a Bruxelles alla presenza del Commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, e di rappresentanti del governo belga.

    Questa giornata è un invito all’azione per ridurre al minimo l’impatto dei cambiamenti climatici ovunque possibile e aumentare la resilienza per proteggere vite e mezzi di sussistenza.

    Nel 2023 il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione europea hanno firmato una dichiarazione congiunta per istituire una giornata annuale dell’UE dedicata alle vittime della crisi climatica globale, il 15 luglio di ogni anno. Si tratta di un’occasione per ricordare le vittime in Europa e nel mondo, e per sensibilizzare a quanto è possibile fare per ridurre il rischio degli impatti climatici ed essere meglio preparati a rispondere alle catastrofi climatiche.

    All’inizio di quest’anno la Commissione europea ha presentato una comunicazione sulla gestione dei rischi climatici, in risposta alla prima valutazione europea dei rischi climatici ad opera dell’Agenzia europea dell’ambiente.

  • Alberi per il nostro futuro

    La biodiversità non è solo un valore, è un’esigenza per la salute umana, per la nostra stessa sopravvivenza.

    Intaccare di continuo la natura con la cementificazione ancora inarrestata, la mancanza di cura dei boschi, il disboscamento selvaggio, la continua sparizione di specie viventi (a partire dagli insetti) sta portando a una perdita di biodiversità che il professor Ferrini, docente di Arboricoltura all’Università di Firenze, stima nella misura del 17% per il 2100.

    Ogni nostra azione porta delle conseguenze per le future generazioni ed è bene tenere in considerazione quanto gli alberi aiutano la vita degli esseri umani, dal contrasto dell’inquinamento all’abbassamento delle temperature nei periodi di maggior calore, alla sopravvivenza e proliferazione degli insetti (senza i quali non ci sarebbero frutti e fiori) e degli uccelli (altrettanto utili all’ecosistema), gli alberi, fin dagli albori della vita sul pianeta, hanno consentito che l’uomo trovasse l’habitat necessario alla sua sopravvivenza.

    Nonostante una maggior sensibilità verso la funzione imprescindibile degli alberi, che vi è stata negli ultimi anni, rimangono ancora tantissimi problemi dovuti alla loro mancanza di cura, spesso sono abbattuti nelle aree coltivate, mentre è invece dimostrato che anche i vigneti producono uva migliore se c’è qualche albero, e alla abitudine di troppi sindaci di abbattere piante, anche secolari, piuttosto che investire nella loro manutenzione, per creare grandi aree cementificate e assolate.

    Gli alberi sono anche molto utili per bonificare terreni inquinati perché estraggono gli inquinanti e li trattengono nei loro tessuti o perché le radici degli alberi stessi trasformano gli inquinanti in composti non tossici.

    In Senegal sono state piantate milioni di mangrovie per proteggere la costa e la Cina, per frenare la desertificazione dei suoli, sta costruendo da anni una grande muraglia di alberi. L’Italia, che ha un grande patrimonio boschivo sugli Appennini, pur con l’impegno di varie associazioni (Legambiente tra esse), è ancora lontana dall’aver compreso appieno il valore e la necessità di rispettare e coltivare gli alberi. Infatti anche i forti stanziamenti dell’Unione europea per rimboschire le aree urbane non stati utilizzati da molti Comuni, tra i quali Milano, o per incapacità o per incuria ed indifferenza o addirittura, come a Milano, perché a forza di cementificare non sono state individuate per tempo aree da piantumare.

    Il 21 novembre si festeggerà come ogni anno la giornata mondiale dell’albero. Speriamo che per quell’occasione il governo, da un lato, e gli amministratori regionali e locali, dall’altro, abbiano qualche buona notizia da darci, abbiano realizzato finalmente qualche progetto concreto.

  • Relazione 2023 sullo stato del clima: allarmante aumento delle temperature in tutta Europa

    In occasione della Giornata della Terra 2024, il servizio relativo ai cambiamenti climatici di Copernicus, insieme all’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite, ha pubblicato la relazione annuale sullo stato del clima in Europa. Sulla base di dati e analisi scientifiche, la relazione mette in evidenza l’allarmante tendenza all’aumento delle temperature e gli effetti dei cambiamenti climatici in tutta Europa.

    Nel 2023 l’Europa ha vissuto l’anno più caldo mai registrato, con un’impennata dei giorni di stress da caldo estremo e delle ondate di calore. L’aumento delle temperature ha intensificato il verificarsi e la gravità di eventi meteorologici estremi quali siccità, inondazioni e incendi boschivi. Nel 2023 le precipitazioni sono state superiori del 7% rispetto alla media, esacerbando il rischio di alluvioni in molte zone del continente. La temperatura media della superficie del mare in tutta Europa è stata la più elevata mai registrata. La relazione mette inoltre in evidenza gli effetti dei cambiamenti climatici in tutto il continente e sulla società nel 2023, in particolare le perdite economiche dovute alle inondazioni e l’impatto dello stress da calore sulla salute.

    L’Europa è il continente che sta registrando i più rapidi aumenti delle temperature, con picchi a circa il doppio del tasso medio globale, come sottolineato dalla valutazione europea dei rischi climatici. La relazione sullo stato del clima sottolinea ancora una volta la necessità che l’Europa diventi climaticamente neutra e resiliente ai cambiamenti climatici, e acceleri la transizione all’energia pulita e la diffusione delle energie rinnovabili e delle misure di efficienza energetica.

    L’UE si è impegnata a diventare climaticamente neutra entro il 2050 e ha concordato obiettivi e norme per ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030. Nell’aprile 2024 la Commissione ha pubblicato una comunicazione su come preparare l’UE ai rischi climatici in modo efficace e sviluppare una maggiore resilienza ai cambiamenti climatici.

    Copernicus, anche noto come “la Terra vista dall’Europa”, è la componente di osservazione della Terra del programma spaziale dell’Unione europea. Finanziato dall’UE, Copernicus è uno strumento unico che monitora il pianeta e l’ambiente a beneficio di tutti i cittadini europei.

  • Coral bleaching: Fourth global mass stress episode underway – US scientists

    Coral around the world is turning white and even dying as recent record ocean heat takes a devastating toll.

    It has triggered the fourth global mass coral bleaching event, according to the US National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA).

    Bleaching happens when coral gets stressed and turns white because the water it lives in is too hot.

    Coral sustains ocean life, fishing, and creates trillions of dollars of revenue annually.

    Ocean heat records have been falling for months but this is the first global evidence of how this episode is affecting sea life.

    The US National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) confirmed the mass stress in all oceans (the Atlantic, Pacific and Indian Ocean) after weeks of receiving reports from scientists globally.

    The bleached coral can look beautiful in pictures but scientists that dive to examine the reefs say that up close the coral is clearly ill and decaying.

    Scientists in the US, Australia, Kenya and Brazil told BBC News about feeling dismay and even anger as they watched the coral they love threatened or killed by warm oceans.

    The first warning signs were in the Caribbean last year when bathers found the water off the coast of Florida was as warm as a hot tub.

    That heat moved into the southern hemisphere. It has now affected more than half the world’s coral including in Australia’s Great Barrier Reef, and in coastlines in Tanzania, Mauritius, Brazil, Pacific islands, as well as in the Red Sea and Persian Gulf.

    Last August the global average ocean temperature broke its all-time record, and has been above average almost every day since.

    Climate change is driving up sea surface temperatures as the warming gases emitted when we burn oil, coal and gas are absorbed by the oceans.

    El Niño – a natural climate event – has also contributed to warmer temperatures since last June, though there are signs it is now weakening.

    For 10 days in February scientist Neal Cantin flew a plane over the Great Barrier Reef for Australia’s Institute of Marine Science. The UN heritage site stretches 2,000km, or roughly the length of the US east coast.

    “For the first time ever we’ve documented very high levels of bleaching in all three areas of the Great Barrier Reef Marine Park,” Dr Cantin says. The levels are likely to kill lots of coral, he adds.

    Coral is vital to the planet. Nicknamed the sea’s architect, it builds vast structures that house 25% of all marine species.

    Stressed coral will probably die if it experiences temperatures 1C above its thermal limit for two months. If waters are 2C higher, it can survive around one month.

    Once it has died, creatures like fish that navigate using coral noise can struggle to find their way home.

    For three decades scientist Anne Hoggett has dived at Australia’s Lizard Island – a beautiful reef that featured in the Netflix film Chasing Coral. She’s seen widespread bleaching again since February.

    Like many researchers, she was shocked when she saw coral turning white in the first mass bleaching in 1998. “Now I’m just angry that this is being allowed to happen again,” she says from Australian Museum’s Lizard Island Research Station.

    Coral can recover from heat stress but it needs time – ideally several years. When weakened, it is susceptible to disease and can easily die.

    “If given a chance, coral are actually resilient and can recover. But as bleaching becomes more frequent and stronger in intensity, we’re really narrowing that window,” says Dr Emma Camp at the University of Technology Sydney, Australia.

    The last mass global bleaching was in 2014-2016. Since then, ocean temperatures have become so much warmer that NOAA had to introduce three new heat alert levels.

    From Kenya, ecologist David Obura gets messages from hundreds of rangers, scientists and fishing communities in the Indian Ocean when they see bleaching. In February it started in Madagascar, then spread to Tanzania and Comoros.

    Fishermen know the corals intimately, he says, and immediately know when something is wrong. They are worried about the future of fishing, he says because if coral dies, it affects the feeding patterns of fish and in turn their livelihoods.

    Research published last week gave some hope that coral that living in cooler, deeper water – at between 30-50m depth – in the Great Barrier Reef can survive for longer than shallow corals as the planet warms.

    The research shows that deeper water coral could survive global warming of up to 3C compared to pre-industrial times, says Jennifer McWhorter at NOAA who authored the research with the university of Exeter

    But all the coral scientists BBC News spoke to said that we must accept that reefs as we know them will permanently change and small-scale restoration work cannot save coral globally.

    Only a rapid and global reduction in greenhouse gas emissions that limits ocean warming will guarantee we have at least some coral left, they say.

    “It’s like going from corals providing houses and buildings for marine life to just being scaffolding. What really wants to live in scaffolding?” Dr McWhorter says.Coral reefs are an early warning system for the impacts of a warming planet on nature. “We need to learn from this to not do this to other ecosystems,” says Dr Obura.

    Graphics by visual journalist Erwan Rivault

  • Zimbabwe’s President Mnangagwa declares national disaster over drought

    Zimbabwe’s President Emmerson Mnangagwa has declared a national disaster to tackle the prolonged drought crisis.

    Mr Mnangagwa said on Wednesday the country needs $2bn (£1.6bn) to tackle hunger caused by low rainfall which has wiped out about half of the maize crop.

    The grain shortage has pushed up food prices and an estimated 2.7 million people will face hunger.

    Neighbouring Zambia and Malawi have also recently declared states of disasters due to drought.

    Some fear that the drought sweeping southern Africa will be one of the worst in decades.

    The World Food Programme said 13.6 million people are currently experiencing crisis level of food insecurity in the region.

    “Top on our priority is securing food for all Zimbabweans. No Zimbabwean must succumb to or die from hunger,” Mr Mnangagwa told journalists.

    Zimbabwe is already grappling with high inflation driven by food prices.

    The country now joins the regional scramble to find enough maize on the international market.

    The lack of rain induced by the El Nino global weather pattern has also affected electricity production, as Zimbabwe relies on hydroelectric power.

    Zimbabwe was once the breadbasket of southern Africa, but in recent years has suffered bouts of severe drought affecting crop and cattle.

    The worst drought in living memory occurred in 1992, when a quarter of the national cattle herd perished.

    But the dry spells have returned with increasing frequency. Droughts were declared in 2016 and again in 2019.

    Not all droughts are due to climate change, but excess heat in the atmosphere is drawing more moisture out of the earth and making droughts worse.

    The world has already warmed by about 1.2C since since the industrial era began and temperatures will keep rising unless governments around the world make steep cuts to emissions.

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