Crisi

  • La crisi economica rappresenta l’elemento di “coesione” nazionale

    Novecentoquindici sono i chilometri che costituiscono la distanza tra lo stabilimento Bosch di Bari e quello di Quero, in provincia di Belluno. Queste due realtà economiche e occupazionali, tuttavia, risultano molto più vicine di quanto la lunga distanza possa far pensare. Entrambi gli stabilimenti, infatti, rientrano all’interno di un articolato piano di ristrutturazione industriale e conseguente riduzione del personale che la tedesca Bosch sta attuando per affrontare la crisi del settore Automotive.

    In questo drammatico contesto sociale esplode per l’ennesima volta la questione di una presunta legittimità relativa al progetto di autonomia regionale, per la quale il 22 ottobre 2017 era stato istituito un referendum nel quale la maggioranza dei veneti dimostrò il proprio consenso.

    Da allora sono passati sette anni caratterizzati da:

    . il covid

    . l’esplosione dei costi energetici

    . perdita del potere di acquisto delle famiglie per l’inflazione esogena

    . inflazione dei beni alimentari

    . la guerra Russo Ucraina

    . il PNRR

    . la consueta esplosione della spesa pubblica

    . crescita esponenziale del debito pubblico

    . la conseguente crescita dei costi di   servizio al debito

    . inflazione relativa alla crescita della tassazione sui carburanti e bollette energetiche

    . la crisi arabo israeliana

    . le elezioni statunitensi

    Ed ancora oggi, dopo sette anni, ci si ritrova al punto di partenza con la solita contrapposizione politica, per di più  relativa alla interpretazione di quanto deciso dalla Corte Costituzionale (la cui sentenza verrà pubblicata a dicembre), mentre una pletora di esponenti istituzionali continuano a contrapporsi semplicemente in ragione degli schieramenti politici ed ora più che mai si dimostrano lontani dalle allarmanti aspettative della Working Class, quella che negli Stati Uniti ha votato Donald Trump.

    Sarebbe carino capire se per le quaranta famiglie di Quero, poco più di tremila anime in provincia di Belluno, a 109 chilometri da Cortina d’Ampezzo sede delle prossime olimpiadi invernali del 2026, sia più importante la diatriba giuridica che dimostra come il progetto iniziale presentato dalla regione sia, ancora oggi, soggetto ad una serie di sette correzioni fondamentali da parte della Corte Costituzionale, oppure il mantenimento del proprio posto di lavoro. In più, dopo  venti mesi di sospensione dalla realtà, di fronte alle continue e consecutive flessioni della produzione industriale, oltre un anno e mezzo, l’intero mondo della politica nazionale e veneta, come tutte le associazioni di categoria tanto industriali quanto sindacali, hanno dimostrato di  sottostimare negli effetti immediati come nel medio termine.

    Ora, invece, siamo all’interno di una crisi senza precedenti dal dopoguerra ad oggi e che potrà avere degli effetti talmente devastanti molto simili a quelli  di un conflitto nucleare.

    Francamente vedere ancora una volta tutti questi personaggi che da oltre sette anni continuano a rimpallarsi le  responsabilità relative  ad un possibile mancato raggiungimento della autonomia del Veneto diventa veramente non solo stucchevole ma soprattutto insultante per quelle persone che stanno perdendo al posto di lavoro.

    Il vero problema ora non è più l’autonomia ma la competenza di chi l’ha proposta come di chi l’ha combattuta in questi termini, entrambi espressione  di un mondo e di un  modello politico completamente assenti ed ignoranti della realtà circostante.

    Il  mondo del lavoro si trova ora in una situazione di una difficoltà senza precedenti, mentre la politica, per nulla interessata, continua a  considera la propria contrapposizione politica primaria rispetto al futuro delle famiglie investite dalla crisi economica ed occupazionale.

    In ultima analisi è decisamente paradossale come, più della contrapposizione squisitamente ideologica tra favorevoli e contrari al progetto di autonomia regionale, il vero elemento di coesione del territorio italiano venga rappresentato dalla crisi economica ed occupazionale.

  • Gridlock in Nigeria amid fuel shortages and price hikes

    Nigerians have been hit by a double whammy of chronic fuel shortages and a hike in prices by the state-owned oil company.

    The Nigerian National Petroleum Corporation (NNPC), which imports the country’s fuel and distributes it to private sellers, blamed its debts and rising global prices for its difficulty in getting fuel.

    Many people have been left stranded with long queues at petrol stations nationwide. Commuters in Lagos have been lining up at bus stations, but there very few buses operating.

    Others told the BBC they have been forced to trek long distances as public transport prices have doubled along some routes.

    On Tuesday, the NNPC said it was putting up the petrol price from 617 naira ($0.40, £0.30) to 897 naira a litre.

    Its petrol stations have the cheapest fuel on sale in the country – but at the vast majority of other private garages the pump price is much higher.

    When the NNPC puts up the price, so do private sellers and in some states, like Oyo, Kano and Kaduna, petrol is now selling for as much as 1,200 naira a litre.

    Many garages around the country have shut because they have run out of fuel, others have closed to adjust their prices.

    In the capital, Abuja, most are open but all have long queues as desperate drivers wait their turn – some slept in their cars overnight.

    Fuel stations are not rationing supply, so there is a danger their wait will be futile.

    A motorcycle rider in Kano, the main trading hub of northern Nigeria, said it was frustrating: “Most of the fuel stations here in Kano are closed because they want to adjust their pumps to the new price.

    “I was able to get fuel at 950 naira at a particular station, but other places have already started selling at 1,200 per litre,” Aminu Danyaro told the BBC.

    Black-market traders, who buy fuel from petrol stations and sell it by the roadside from jerrycans at inflated prices, are doing a brisk trade in Kano, where there is significantly less traffic than usual.

    The Nigeria Labour Congress (NLC) – the country’s main trade union body – says it feels “betrayed”, explaining that the reason it accepted the new minimum monthly wage of 70,000 naira ($44, £34) in July was because there was an agreement with the government that petrol price would not be increased.

    When President Bola Tinubu came to power last year, he shocked Nigerians on his first day by removing a subsidy that kept the price of fuel low.

    This – amongst other policies – has led to the worst economic crisis in a generation and cost-of-living protests, dubbed “10 days of rage”, were held countrywide last month.

    Nigerians are now pinning their hopes on the new privately owned Dangote Petroleum Refinery, which has been built by one of Africa’s richest man, Aliko Dangote.

    On Monday, it was announced with great fanfare that the refinery had just started producing petrol – a milestone in Nigeria which despite being Africa’s largest producer of crude oil imports all its refined fuel.

    But it is not clear how long Nigerians will have to wait to see ready availability of petrol or a drop in prices.

  • L’economia cinese cresce più velocemente del previsto nel primo trimestre

    L’economia cinese ha avuto un inizio d’anno più forte del previsto, nonostante l’aggravarsi della crisi nel settore immobiliare. Secondo i dati ufficiali, nei primi tre mesi del 2024 il prodotto interno lordo (PIL) è cresciuto del 5,3% rispetto all’anno precedente, superando superato le aspettative. La seconda economia mondiale potrebbe vedere la crescita rallentare al 4,6% nel primo trimestre. Il mese scorso Pechino ha raggiunto un ambizioso obiettivo di crescita annuale pari a circa il 5%”.

    I dati dell’Ufficio nazionale di statistica (NBS) hanno anche mostrato che la crescita delle vendite al dettaglio nel primo trimestre, un indicatore chiave della fiducia dei consumatori cinesi, è scesa al 3,1%. Nello stesso periodo gli investimenti immobiliari sono diminuiti del 9,5%, evidenziando le sfide affrontate dalle società immobiliari cinesi.

    I dati sono arrivati mentre la Cina continua a lottare con la crisi del mercato immobiliare in corso. Secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), il settore rappresenta circa il 20% dell’economia. Gli ultimi dati hanno anche mostrato che a marzo i prezzi delle nuove case sono scesi al ritmo più veloce da oltre otto anni. La crisi del settore immobiliare è stata evidenziata a gennaio, quando un tribunale di Hong Kong ha ordinato la liquidazione del colosso immobiliare Evergrande. La settimana scorsa, l’agenzia di rating del credito Fitch ha ridotto le sue prospettive per la Cina, citando i crescenti rischi per le finanze del paese a causa delle sfide economiche.

    Per decenni l’economia cinese si è espansa a un ritmo stellare, con dati ufficiali che indicavano una crescita media del PIL vicina al 10% annuo.

  • Cubans stage rare street protest over power blackouts

    An appeals court has kept a freeze in place on a Texas immigration law, one of the toughest of its kind, in a case being closely watched across the US.

    The legislation would allow officials in Texas to detain and prosecute anyone they think has entered the country illegally, superseding federal powers.

    The law briefly came into force on Tuesday for a few hours during a legal back and forth between courts.

    A US appeals court heard arguments in the case on Wednesday morning.

    The three-judge panel appeared split on whether the law can remain in place while its constitutionality is being challenged in court.

    They issued no ruling on the case on Wednesday, and it is unclear when they will do so.

    If they opt to let the law go into effect, the Justice Department requested that its effective date be delayed until later to give it time to seek emergency action from the Supreme Court.

    The SB4 law in Texas was due to come into effect on 5 March but President Joe Biden’s administration challenged it on the grounds that immigrant detention should remain in its hands.

    Migrant arrivals at the southern US border have risen to record highs during his administration, making it a top concern among US voters in the run up to November’s presidential election.

    That has led Texas to take stronger action on its border with Mexico and if the courts uphold its new law then other US states may follow.

    Mexico has criticised the new law as anti-immigrant and has said it would refuse to accept anyone deported by Texas authorities.

    Mexican President Andrés Manuel López Obrador called the law “draconian” and dehumanizing on Wednesday.

    The decision to freeze the law is the latest in a string of judicial rulings deciding its fate.

    Should it come back into effect, it would mark a significant shift in how immigration enforcement is handled, as courts have previously ruled that only the federal government can enforce the country’s immigration laws – not individual US states.

    Crossing the US border illegally is already a federal crime, but violations are usually handled as civil cases by the immigration court system.

    Under SB4, anyone illegally entering or re-entering Texas faces up to 20 years in prison.

    It is not clear if any migrants were detained while the law was in effect.

    The ruling is the latest in a series of court rulings over whether SB4 can go ahead.

    In January, the Biden administration sued the state of Texas and the following month a district court ruled that SB4 was illegal.

    It blocked it from taking effect over concerns it would lead to each US state having its own immigration laws.

    Soon after, the New Orleans-based US Court of Appeals for the Fifth Circuit – the federal appeals court responsible for the area – said the law may take effect as it considered the appeal, unless the Supreme Court intervened.

    The Biden administration then filed an emergency request to the Supreme Court to uphold the district court’s freeze while the litigation was under way.

    In the meantime, Supreme Court Justice Samuel Alito placed a hold on the law to give the courts time to decide how it should proceed.

    Earlier on Tuesday, the Supreme Court allowed the measure to take effect while a lower federal appeals court weighed its legality.

    Then in a brief order late on Tuesday night, a three-judge panel at the Fifth Circuit voted to freeze the ruling as it hears the appeal.

    Historically, the federal government has created laws and regulations on immigration, even though the US Constitution does not explicitly grant it those powers.

    It is also the federal government that negotiates treaties and agreements with other countries.

    Republicans often criticise Democratic President Biden’s handling of the US-Mexico border, which opinion polls suggest is a prime concern for voters ahead of November’s White House election.

    A Gallup poll released in February suggested that nearly one-third of Americans believe immigration was the single greatest problem the country faced ahead of the government, the economy and inflation.

  • Zhongzhi Enterprise Group: China investigates major shadow bank for ‘crimes’

    Chinese officials have launched an investigation into one of the country’s biggest shadow banks, which has lent billions to real estate firms.

    Zhongzhi Enterprise Group (ZEG) has an asset management arm that at its peak reportedly handled more than a trillion yuan ($139bn; £110bn).

    Authorities said they are investigating “suspected illegal crimes” against the firm, in a statement on the weekend.

    This comes days after reports that ZEG had declared it was insolvent.

    The struggling firm reportedly told investors in a letter last week that its liabilities – up to $64bn – had outstripped its assets, now estimated at about $38bn.

    While authorities said they had taken “criminal coercive measures” against “many suspects” it’s still unclear who they are, and what role they play in the firm. The company’s founder, Xie Zhikun, died of a heart attack in 2021.

    ZEG is a major player in China’s shadow banking industry, a term for a system of lenders, brokers and other credit intermediaries who fall outside the realm of traditional regulated banking. Shadow banking, which is unregulated, is not subject to the same kinds of risk, liquidity and capital restrictions as traditional banks.

    China’s shadow banking industry is valued at around $3tn. It often provides a financial lifeline to the country’s property sector. The once-booming industry has been hit by a severe credit crunch, with some of the biggest firms now on the brink of financial collapse.

    “For several decades China been chasing this property bubble – and in order to create this bubble, or to fuel growth in China, they needed capital. So they started getting a lot of money from individual investors offering very, very high returns. And it worked for quite a while because the property prices were going up and it’s a win-win for everybody,” says Andrew Collier, a shadow banking expert at Orient Capital Research.

    Informal lending has always existed in China’s economy, but shadow banking really took off in the aftermath of the global financial crisis in 2008, when credit was scarce.

    Given China’s slowing economy and the crisis in the real estate sector, Mr Collier says the troubles at ZEG may just be the start of a bigger problem: “This is going to spread further into other forms of shadow banks and potentially into the actual real brick-and-mortar banks.”

    Embattled property developers currently owe Chinese banks money worth as much as 30% of the banks’ assets.

    “That is going to take a long time to unwind,” Mr Collier says.

    The latest developments at ZEG has raised concerns of further turmoil in the world’s second-largest economy, after the collapse of property developer Evergrande and more recently the financial woes at Country Garden.

    China’s property sector makes up a third of its economic output. That includes houses, rental and brokering services, as well as construction materials and industries producing goods that go into apartments.

    The latest figures show that China’s economy expanded by 4.9% in the three months between July and September. That is slower than the previous quarter, when the economy grew by 6.3%.

  • Child malnutrition ‘rises by 160% in parts of Nigeria’

    Cases of severe malnutrition among children aged under five years in north-eastern Nigeria are fast increasing, an non-governmental organisation has warned.

    FHI 360 said that a staggeringly high number of malnourished children – 15,781 – were admitted to its facilities between February and September for treatment, an increase of nearly 160% from last year.

    “The situation in north-east Nigeria is grave, and increased support is needed to address the critical health and nutritional needs of communities, especially women and children,” the organisation added.

    The UN children’s organisation (Unicef) has previously said that Nigeria has the second-highest rate of child stunting globally, which is caused by widespread malnutrition, particularly in the northern part of the country.

    Unicef estimates that two million children in Nigeria suffer from malnutrition, but only 20% of these receive treatment.

    Its data also shows that malnutrition contributes to 45% of the deaths of children aged under five years in Nigeria.

  • California in declino, tramonta l’American Dream

    Si appanna sempre di più il mito della California. Lo stato più ricco e popoloso degli Stati Uniti, da sempre l’incarnazione dell”American dream’, è in crisi. Il suo motore luccicante ed efficiente si è inceppato, per un cocktail esplosivo di fattori: la tassazione pesante, affitti e prezzi delle case stellari, il crollo demografico, le sempre più numerose calamità naturali, la crescita dei senzatetto e della criminalità. E ora anche quattro sparatorie di massa a gennaio, un fenomeno poco frequente nello stato che ha una delle leggi più restrittive della federazione in materia di armi.

    La legge finanziaria approvata a Sacramento è un segnale chiaro: dopo anni di bilanci record tutti in attivo, il piano del 2023 prevede invece un deficit di 22,5 miliardi di dollari. Un bel problema per il governatore dem Gavin Newsom, che ufficialmente nega le sue ambizioni presidenziali, ma resta senza dubbio un nome forte per il post Biden. Il suo secondo mandato alla guida della ‘locomotiva del Paese’ è appena cominciato. Sarà un banco di prova fondamentale per avvicinarlo o allontanarlo dalla corsa alla Casa Bianca. Il vento è cambiato in fretta a Sacramento. Sei mesi fa, Newsom e i suoi pronosticavano un avanzo di bilancio di 100 miliardi. Ma l’inflazione galoppante e la frenata delle grandi firme del tech hanno complicato la contabilità dello stato, fortemente dipendente dai guadagni dei suoi cittadini più ricchi. Quasi il 35% delle entrate fiscali del Golden State proviene dai contribuenti che guadagnano almeno 1 milione di dollari all’anno (mentre due terzi arrivano da chi supera i 200 mila dollari). Se uno di loro si trasferisce, lo stato può perdere miliardi. È quello che è successo quando Elon Musk, che nel 2022 ha venduto circa 23 miliardi di dollari di azioni Tesla, ha spostato la sua residenza e il suo quartier generale in Texas. Chi è così ricco in California paga più del 13% sulle plusvalenze. L’erario riceverà quest’anno 29,5 miliardi di dollari in tasse, quasi il 10% in meno di quanto pronosticato nel 2022.

    Non è tutta colpa di Musk, ovviamente. Lo stato perde abitanti in modo inarrestabile. Anche in questo caso, si tratta di una tendenza che ha cambiato di segno negli ultimi tempi. Gli abitanti della California non hanno fatto che crescere dall’annessione del 1850. Ma dal 2000 in poi, hanno cominciato ad andarsene. Prima in modo impercettibile; poi in modo drammatico negli ultimi due anni: la popolazione è diminuita di oltre 500.000 persone dal luglio 2020 al luglio 2022: una grande fuga. La pandemia non ha certo aiutato. Molti dirigenti dell’industria dello spettacolo e dell’high tech si sono trasferiti: ora che possono lavorare da casa, preferiscono vivere dove le tasse e gli affitti sono più bassi. I meno danarosi se ne sono andati in modo anche più massiccio, decidendo che non vale la pena restare schiacciati dai costi esorbitanti della casa mentre tutt’attorno aumentano – fenomeni non certo slegati – criminalità e ‘homeless’ (115mila nel 2015, 173 mila nel 2022). Come se non bastasse, negli ultimi anni il paradiso californiano e’ diventano un inferno flagellato da estati torridi, incendi, alluvioni, terremoti. Iniziato con la corsa all’oro, il grande sogno americano, che in California è proseguito prima con l’agricoltura fiorente e il petrolio, poi con l’industria dello spettacolo e l’alta tecnologia, rischia ora di diventare un miraggio. Resta da vedere se l’uomo al comando in questo momento di crisi riuscirà a risalire la china. Per il futuro del suo stato e per il suo personale.

  • Scomparsi 343mila lavoratori autonomi tra il 2018 e il 2021

    Lavoro autonomo in affanno nel nostro Paese, ancor prima dell’arrivo della pandemia da Covid-19: dal 2018 al 2021, infatti, sono andati in fumo 343.000 posti fra gli occupati indipendenti, un segmento che, tuttavia, continua ad investire nel personale, visto che al 31 dicembre dell’anno passato “si contano oltre 41.000 attivazioni nette negli studi professionali, contro le 29.000 rilevate nel 2019”.

    In generale, come certificato dall’Inps, i contratti di subordinazione hanno rialzato la testa, se si considera che “le assunzioni, nei primi nove mesi del 2022, sono state 6 milioni 227.000, con un aumento del 17% rispetto allo stesso periodo” dell’annualità precedente, perciò nei primi 3 trimestri dell’anno in corso “i flussi nel mercato del lavoro (assunzioni, trasformazioni, cessazioni) hanno completato la ripresa dei livelli pre-pandemici”. È contenuta in due diversi documenti, presentati oggi, la fotografia dell’occupazione autonoma e dipendente nazionale: da un lato c’è la rilevazione di Confprofessioni e, dall’altro, l’Osservatorio sul precariato dell’Istituto di previdenza pubblico. Nel primo si mette in luce come l’aggregato dei liberi professionisti “conti poco meno di un milione 402.000 soggetti, numeri che corrispondono al 6,2% degli occupati e al 28,5% del complesso del lavoro indipendente” della Penisola; la Confederazione presieduta da Gaetano Stella, a seguire, punta i fari sul reddito medio mensile netto dei liberi professionisti che, a cinque anni dalla laurea, è pari a 1.678 euro, mentre quello dei dipendenti si attesta sui 1.625 euro, con la variazione positiva che “appare particolarmente accentuata tra le professioniste donne (+58%), che “nel 2014 risultavano il gruppo a più basso reddito tra gli occupati” freschi di titolo di studio e oggi, invece, “hanno una remunerazione più elevata delle colleghe subordinate”.

    L’Inps, intanto, insieme alle assunzioni dei primi nove mesi del 2022, che hanno oltrepassato i 6,2 milioni, rileva pure che le trasformazioni di contratti da tempo determinato nei primi 3 trimestri dell’anno “sono risultate 553.000, in fortissimo continuo aumento, rispetto allo stesso periodo del 2021 (+61%)”, mentre le cessazioni, nei primi nove mesi del 2022, sono state 5 milioni 571.000. Una ‘galassia’, quella occupazionale, su cui s’è espresso il ministro del Lavoro Marina Calderone, al convegno di Confprofessioni, garantendo il suo impegno per dare “pari dignità” all’attività degli autonomi e dei dipendenti.

  • Ecco il vero significato del premio Nobel a Bernanke

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi** pubblicato su ‘ItaliaOggi’ il 220 ottobre 2022

    «Per la ricerca su banche e crisi finanziarie», il Premio Nobel per le scienze economiche quest’anno è stato dato a tre economisti americani, Ben Bernanke, già presidente della Federal Reserve dal 2006 al 2014, e i professori Douglas Diamond dell’Università di Chicago e Philip Dybving dell’Università di Saint Louis.

    Nelle motivazioni si legge che essi «hanno notevolmente migliorato la nostra comprensione del ruolo delle banche nell’economia, in particolare durante le crisi finanziarie. Una scoperta importante nella loro ricerca è il motivo per cui è fondamentale evitare i crolli delle banche».

    Il fatto che Bernanke sia stato il banchiere centrale prima e dopo la grande crisi finanziaria del 2008 getta qualche dubbio sulla bontà della scelta. E fa subito sorgere un’altra domanda: perché dare loro il Nobel proprio oggi, nel mezzo di una crisi economica e finanziaria che potrebbe essere peggiore di quella appena passata?

    Il Nobel è stato assegnato per due articoli scritti nel lontano 1983. Nella loro analisi, Diamond e Dybvig avevano spiegato che le banche operano come intermediari tra i risparmi depositati e i crediti a lungo termine per le imprese. Il sistema funzionerebbe bene in tempi normali, ma, ammettevano, rende le banche vulnerabili ai rumors, alle voci circa un loro imminente collasso, che possono provocare il run, cioè la corsa agli sportelli per ritirare i risparmi.

    Da parte sua, Bernanke aveva studiato la Great Depression americana e globale degli anni Trenta, dimostrando come le banche in dissesto avessero giocato un ruolo decisivo nella peggiore crisi della storia moderna. Il crollo del sistema bancario spiegherebbe perché la recessione non sia stata soltanto profonda, ma anche duratura.

    Infatti, tra il gennaio 1930 e il marzo 1933, la produzione industriale statunitense diminuì del 46% e la disoccupazione crebbe al 25%. La crisi si diffuse a macchia d’olio, provocando una profonda recessione economica in gran parte del mondo. In Gran Bretagna la disoccupazione salì al 25% e in Australia al 29%. In Germania la produzione industriale si dimezzò e più di un terzo della forza lavoro divenne disoccupata.

    La ricerca di Bernanke mostrava che le crisi bancarie possono avere conseguenze catastrofiche. Una giusta intuizione che, però, stranamente non fu applicata nella crisi finanziaria del 2008.

    Secondo il Comitato Nobel «queste intuizioni costituiscono la base delle moderne regole bancarie». Tra cui elenca anche la garanzia governativa ai depositi dei risparmiatori, dimenticando che essa era già stata introdotta dal presidente Roosevelt negli anni Trenta, come parte della legge Glass-Steagall Act sulla separazione bancaria. Secondo il Comitato i risultati delle ricerche sono stati «la motivazione alla base di aspetti cruciali della politica economica durante la crisi finanziaria del 2008-2009», e che «Bernanke fu in grado di trasformare le conoscenze della ricerca in politiche», adottate anche durante la pandemia per evitare una crisi finanziaria globale.

    La storia ci dice che non è andata proprio così. Nel 2008 la Fed di Bernanke era più concentrata a fronteggiare il pericolo d’inflazione, che allora non era così grave, invece di capire che l’intera finanza era in tilt. I controlli non avevano funzionato, anzi, si era permessa la crescita del «sistema bancario ombra», insieme alla speculazione più aggressiva e alla creazione di titoli e di derivati a dir poco «opachi». La finanza era diventata egemone, in grado di influenzare le politiche nazionali e le scelte globali, istaurando anche un sistema di relazioni tossiche con la politica.

    Bernanke, già conosciuto per la sua teoria dei «dollari gettati dagli elicotteri», operò su tre linee: un gigantesco bail out delle banche «too big to fail» (troppo grandi per essere lasciate fallir); l’inizio dei

    quantitative easing; e la politica del tasso d’interesse zero. A ottobre 2009 il bilancio della Fed era già salito a 2.100 miliardi di dollari dagli 870 di prima della crisi.

    La tanta liquidità fu incanalata soprattutto verso Wall Street, che vide un’impennata del Dow Jones. Tale politica è stata continuata con più forza anche dopo l’uscita di Bernanke dalla Fed, fino ai drammatici cambiamenti recessivi e inflazionistici di oggi. In conclusione, dietro il Nobel ai tre economisti sembra ci sia un invito della finanza in crisi a continuare con i salvataggi e le stesse politiche «liquide» del passato.

    Absit iniuria verbis per i tre Nobel, a noi, più modestamente, sembra che la grande finanza sia ancora alla base delle crisi sistemiche.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • L’azzeramento patrimoniale degli investimenti

    Esiste un effetto non considerato in relazione alla crisi economica e industriale legata all’esplosione dei costi energetici e alle conseguenze dell’inflazione già presente nel 2021.

    Negli ultimi anni precedenti la pandemia, il sistema industriale era stato “invitato” ad un proprio aggiornamento in relazione alle sfide internazionale e alla concorrenza dei paesi a basso costo manodopera.

    Sicuramente l’innovazione tecnologica, che comporta una diminuzione dell’intensità di manodopera per milione di fatturato soprattutto nel settore manifatturiero, se da una parte diminuisce le opportunità lavorative, dall’altra attenua la differenza dei costi tra le diverse locazioni produttive basate esclusivamente sul confronto del costo del lavoro e conseguentemente rende di nuovo approcciabile l’investimento industriale.

    In altre parole la stessa innovazione, se supportata da una opportuna politica fiscale governativa, dovrebbe creare le condizioni finalizzate a riportare le filiere produttive, una volta all’estero, all’interno del nostro Paese (reshoring produttivo).

    In questo contesto la successiva crisi pandemica e delle filiere produttive, troppo allungate nel perimetro asiatico sempre a caccia del minore costo, rappresentava un’occasione ma soprattutto una conferma in più per dare vita ad una pur parziale reindustrializzazione del nostro Paese. Il supporto dei governi avrebbe dovuto assumere i connotati di una fiscalità di vantaggio che favorirebbe il sistema industriale italiano e soprattutto le fiere italiane.

    Tutti gli investimenti in questo senso, tanto del sistema industriale e finalizzati all’ottenimento di una maggiore produttività e quindi una maggiore competitività nel mercato globale, quanto gli interventi legislativi varati dai diversi governi, come industria 4.0, perdono ogni valore e vengono addirittura azzerati a causa dell’esplosione dei costi dell’approvvigionamento energetico.

    Rappresenterebbe, ora, un errore ingiustificabile non inserire nella valutazione degli effetti della attuale pre-recessione gli effetti finanziari ed economici di questo azzeramento patrimoniale e relativo agli investimenti degli ultimi anni nel sistema industriale e manifatturiero in quanto il loro effetto di “efficientamento” del complesso sistema produttivo viene sostanzialmente azzerato dall’esplosione dei costi energetici il quale da solo determina la perdita di ogni fattore competitivo da parte delle aziende italiane nel contesto internazionale.

    Un azzeramento patrimoniale degli investimenti, in aggiunta agli effetti già evidenti della crisi, che dovrebbe spingere qualsiasi forza di governo ad una valutazione e ad una conseguente elaborazione di un strategia complessiva, abbandonando finalmente la politica dei Bonus fiscali, per la loro stessa definizione discriminanti, e verso l’elaborazione di una visione generale che affronti il problema nella sua complessità, invece di tentare di attenuarne gli effetti favorendo questa o quella categoria.

Pulsante per tornare all'inizio