cuochi

  • Toghe&Teglie: hallaca

    Buona settimana e ben trovati a tutti! Sono Alberto Zappa, non sono un avvocato ma sono il responsabile della comunicazione e delle relazioni esterne del Gruppo T&T nel quale anche coloro che hanno un ruolo fuori dai palazzi di giustizia devono saper cucinare: come il sottoscritto o il fotografo ufficiale, Ioris Premoli. Questo è il mio esordio su Il Patto Sociale con una specialità del Venezuela: un po’ complessa da realizzare ma se vi capitasse di invitare a cena una ragazza venezuelana fareste un figurone, lo dico per esperienza.

    La preparazione della hallaca si suddivide in tre fasi: 1) Preparazione dello stufato per il ripieno, 2) Preparazione della “massa” e sistemazione delle foglie 3) Confezione e cottura.

    Per ottenere 20/25 hallacas (che si possono conservare sottovuoto) procuratevi 750 gr. di polpa di vitello, 750 gr. di carne di maiale, 750 gr di pollo, uno spicchio d’aglio, quattro cipolle, ½ porro, origano, cinque peperoni dolci un bicchiere di vino rosso, 150 gr. di olive senza nocciolo, 100 gr. di capperi, un barattolo di sottoaceti sgocciolati e lavati, 100 gr. di uvetta sultanina, olio di oliva, 50 gr. di passata di pomodoro.

    1) Preparazione dello stufato:

    Tagliate finemente o tritate le carni, la cipolla, il porro e l’aglio. In una pentola grande e profonda versate dell’olio d’oliva; aggiungete la cipolla con l’aglio e fate soffriggere per alcuni minuti aggiungendo la carne: ora fate cuocere per dieci minuti a fuoco moderato mescolando per amalgamare bene. Lasciate procedere la cottura per altri 10/15 minuti aggiungendo il vino, lasciandolo evaporare per poi aggiungere la passata di pomodoro.  Avanti ancora con la cottura per un’ora; quando l’olio arriverà in superficie, lasciate raffreddare.

    2) Preparazione della massa e sistemazione delle foglie:

    Nel frattempo si preparano le foglie e l’impasto con due pacchetti di farina di mais (“Harina Pan”), cinque cucchiaiate di olio della preparazione dello stufato riscaldato con aggiunta della spezia “Onoto” per dare il colore giallo. Per taluni ingredienti, come si intuisce, è necessario trovare un negozio specializzato in cibi e spezie…

    Aggiungete acqua tiepida sufficiente per ammorbidire il composto e sale q.b.. in un recipiente in cui avrete messo la farina, e l’olio; impastate fino ad ottenere una massa morbida, fate riposare per mezz’ora ed in seguito formate delle palline di 5-6 cm di diametro.

    Per l’involucro vi serviranno: sei grandi foglie di platano o di banana. filo da cucina (spezzoni da un metro).

    3) Passiamo alla confezione e cottura finale:

    Lavate molto bene le foglie, asciugatele con un panno e tagliatele in quadrotti da 30×30 cm, circa due spanne abbondanti per lato. Bagnate le mani nell’olio preparato in precedenza ed ungete il centro della foglia e stendetevi una pallina dell’impasto formando dei cerchi da 15 cm. circa. Nel centro dell’impasto già steso, mettete un mestolo dello stufato e decorate con altri ingredienti: un’oliva spezzettata, anelli di peperoni, sottaceti, capperi, uva sultanina. Piegate la foglia in modo che l’impasto contenga tutti gli ingredienti come un pacchetto e chiudetela in modo che tutto rimanga molto compatto, legando col filo da cucina.

    Per finire mettete le hallacas in una pentola con acqua bollente per 30 minuti, toglietele lasciatele brevemente asciugare. Quindi servite in tavola al momento e quelle in eccesso potranno essere conservate in frigorifero o in congelatore. Prima di un successivo consumo riscaldatele in acqua bollente.

    Sì, capisco, la ragazza venezuelana deve essere molto carina, altrimenti si fa prima ad andare in un buon ristorante…ma la soddisfazione non è la stessa!

    Alla prossima!

  • Toghe&Teglie: gnocchi di susine

    Cari lettori, sono Eleonora Bergamini che, dopo un imprevisto e rapidissimo esordio in questa rubrica (ero entrata a far parte da pochi giorni del Gruppo Toghe & Teglie), torno a voi con una ricetta che non è mia originale ma sicuramente insolita: alzi la mano chi ha già provato questa specialità che – tra l’altro – è tanto facile da realizzare perché in fondo basta saper fare gli gnocchi quanto sorprendente per i vostri ospiti a cui potrete rivelare solo dopo l’assaggio quale sia il segreto di un primo (ma volendo può essere anche dessert) dai sapori sapientemente miscelati.

    Procuratevi, ovviamente, delle susine non troppo grosse (una decina per altrettanti gnocchi), pulitele, dividetele a metà e togliete il nocciolo.

    Ora fate imbiondire in padella ed a fuoco moderato dell’ottimo burro di alpeggio cui aggiungerete 3/4 cucchiai di pan grattato; fuori dal fuoco aggiungete un cucchiaino di zucchero e uno di cannella.

    Riempite con il pangrattato le prugne e mettetele da parte. Intanto avrete fatto lessare un mezzo chilo abbondante di patate da gnocchi, quelle a pasta bianca, farinose, pronte da schiacciare e, orsù, schiacciatele!

    Aggiungete sale q.b., un tuorlo d’uovo e un po’ di farina bianca e impastate in modo da ottenere un composto morbido ma senza lavorare troppo la farina: giusto per amalgamare.

    A questo punto fate delle “pallette” di patate, appiattitele, e metteteci al centro le susine avvolgendole per formare con ognuna una palla più grande: insomma, uno gnoccone.

    Cuocete questi gnocchi come quelli normali in acqua salata bollente finchè non vengono a galla e conditeli con burro, salvia ed ancora pangrattato fatto imbiondire nel burro, o come vi piacciono…ecco, magari il sugo di pomodoro non è l’ideale: però, se avete voglia, sperimentate! La cucina è anche questo.

    A presto!

  • Toghe&Teglie: risotto con la zucca dietetico (?)

    Sono tornato, cari lettori de Il Patto Sociale! Dopo le ripetute prodezze culinarie di Massimiliano D’Alessandro, era giunto il momento di interromperne l’egemonia in questa rubrica ed allora eccomi di nuovo qui dopo una lunga assenza: Massimo Schirò, il Serial Griller, ma non solo, del Gruppo Toghe & Teglie,

    L’idea è quella di un risotto alla zucca che sia accettabilmente light, sono a dieta dopo eccessi estivi ma cerco di vivere l’esperienza in maniera non mortificante.

    Per prima cosa, magari anche il giorno prima, va fatta appassire una zucca intera, con tanto di buccia, in forno a 180 gradi per un’ora: diventerà facile da sbucciare, si esalteranno i profumi e acquisirà un gradevolissimo profumo di castagna.

    Veniamo al piatto, l’ho preparato per me mentre in famiglia continuavano a scofanarsi la qualsiasi ma come vedrete e come si intuisce dalla foto, ci sono sofferenze peggiori.

    Gli ingredienti sono, quindi, per una persona ma dovendo mettere a tavola più persone basta moltiplicare le dosi (magari stando stretti nelle moltiplicazioni di burro e formaggio):

    80 grammi di riso carnaroli (San Massimo o Gallo riserva del fondatore), brodo vegetale q.b. con aggiunto un cucchiaio di polpa di zucca, tre cucchiai di polpa di zucca, 1/4 di scalogno, 5 grammi di burro (un cucchiaino circa), 20 grammi di parmigiano (corrispondenti a due cucchiai).

    Ed eccoci alla preparazione: tostate a secco il riso, quindi senza aggiungere vino o altro fino a che non si possa più toccare con le mani ed a questo punto iniziate a bagnare con il brodo, aggiungendo lo scalogno.

    A 2/3 della cottura (tra i 15 ed i 17 minuti, dipende dal riso) aggiungete la polpa di zucca che avrete nel frattempo scaldato ed aggiustate di sale.

    A cottura ultimata, fuoco spento mantecate con burro e formaggio.

    L’accortezza è quella di inserire la polpa di zucca che deve essere bollente per evitare che si blocchi la cottura del riso.

    Impiattate, meglio il piatto piano, dando dei colpetti sul fondo per far spandere in maniera omogenea il riso – anche l’occhio vuole la sua parte – e dedicatevi a gustare una prima delizia della cucina autunnale.

  • Toghe&Teglie: cipolle rosse in agrodolce

    Buon autunno a tutti! Sono ancora una volta Massimiliano D’Alessandro, cuoco prestato all’avvocatura della sezione tarantina di Toghe & Teglie. Ultimamente le mie preparazioni sembra che stiano spopolando tra gli amici del Gruppo e, così, eccomi di nuovo a proporvi una delle mie recenti preparazioni, una conserva di facile ma lunga preparazione che consiglio – una volta che ci si mette all’opera – di produrre in abbondanza e non pensarci più per un po’.

    Queste cipolle in agrodolce sono ottime sia come completamento di un’insalata che come contorno e non stonano neppure come arricchimento di un aperitivo: assicuro che sono buonissime, però assicuratevi di non avere impegni sociali o di lavoro che impongono distanza ravvicinata perché sono come le ciliegie e una tira l’altra con gli effetti collaterali immaginabili. Prive di controindicazioni, invece, se avete in programma solo delle conference calls.

    Procediamo! E questa volta avrete anche indicazioni puntuali sui quantitativi: procuratevi e tagliate a fettine sottili ma non troppo 1 chilo di cipolle rosse e mettetele a macerare in una coppa o ciotola con delle foglie di alloro e 200 ml. di aceto di mele; coprite con la pellicola e lasciate riposare quattro ore.

    Trascorso il tempo indicato, versate mezzo chilo di zucchero, rimestate bene e ricoprite nuovamente lasciando riposare per altre cinque ore (e siamo a nove più quelle dedicate alla spesa, alla organizzazione, taglio delle cipolle ecc..: vi avevo avvisato!).

    Le cipolle, però, non devono restare crude e quindi mettete il composto in una padella capiente, bassa e ampia, e cuocete a fuoco basso/medio per 40 minuti rigirando di quando in quando.

    Intanto che le cipolle cuociono preparate i contenitori; servono i boccacci con chiusura ermetica: colmateli a cottura ultimata con le cipolle senza aggiungere null’altro, chiudete e subito dopo capovolgete lasciando fare il sottovuoto per una notte…e siamo a un giorno e mezzo per la preparazione di base ma da quello successivo potranno essere girati e conservati, sempre che non iniziate subito la degustazione, il che è molto probabile.

    A presto per sbizzarrirci ancora insieme ai fornelli!

  • Toghe&Teglie: pan di zucca e cioccolato

    Sono Marina Cenciotti del Gruppo Toghe & Teglie, cari lettori, e sono emozionatissima perché questo è il mio esordio nella rubrica di ricette: io, di solito, mangio e con mio marito (Ivan Vaccari, “Ayatollah della carbonara”, lo conoscete bene) ai fornelli non c’è da lamentarsi né da rischiare l’anoressia.

    Spero che il mio suggerimento per un dolce tipicamente autunnale, ottimo da realizzare conservandolo per la colazione, sia di vostro gradimento e cercherò di sorprendervi subito con l’indicazione di ingredienti e quantità!

    Dunque: 200 grammi di zucca (io l’ho cotta al vapore ma va bene anche in forno), 210 grammi di farina 00, 15 grammi di bicarbonato, 7 grammi di sale, 7 grammi di lievito per dolci, 15 grammi di cannella, un pizzico di noce moscata e di zenzero.

    Poi ancora: 120 ml. di olio di semi, 70 grammi circa di latte, 100 grammi di zucchero di canna, 140 grammi circa di zucchero bianco, due uova e…gocce di cioccolato fondente a volontà.

    Detto questo, procurati ed ordinati gli ingredienti, la preparazione è piuttosto semplice.

    In una prima ciotolina setacciate ed unite alla farina, le spezie, il bicarbonato e il sale.

    In una seconda dovrete mischiare ed amalgamare bene l’olio con lo zucchero e dopo aggiungere in sequenza la zucca, le uova e il latte continuando a mescolare per creare un composto omogeneo.

    Siamo alla fine: ora unite anche la farina e datevi da fare con un mestolo di legno per ottenere un impasto cremoso in cui, alla fine, aggiungerete le gocce di cioccolato.

    Versate il tutto in una terrina foderata come vedete nella foto e mettete in forno ventilato a 180 gradi per una cinquantina di minuti.

    Voilà…a presto!

  • Toghe&Teglie: spatzle, che passione!

    Ben ritrovati, cari lettori! Sono Angela Masala, avvocato del Gruppo Toghe & Teglie: nonostante le mie origini “miste” sardo-lucchesi, questa settimana vi propongo un ghiotto piatto tipico trentino, gli spatzle, che ho imparato a realizzare perché sono sentimentalmente legata ad un altro appartenente al gruppo che è un miscuglio tosco-trentino e non gli garbano solo la ribollita e la chianina alla brace.

    Come tutti sapete si tratta di gnocchetti a base di spinaci, uova, farina e acqua e, se non avete occasione di andare in Trentino per acquistarne di eccellenti già pronti in qualche ottima gastronomia, sono semplici anche da fare, vi spiegherò subito come.

    Lessate degli spinaci in poca acqua salata (non ricominciamo con le lamentele sulle quantità esatte: pensate che io usi la bilancia? Si va ad occhio e sentimento), scolateli e strizzateli, poi tritateli aggiungendo uova e farina. Facciamo che per tre/quattro porzioni servono 900 grammi di spinaci, 300 di farina e tre uova; impastate il tutto fino a rendere il prodotto ben amalgamato.

    Ora passate il vostro impasto in uno schiacciapatate per dare più facilmente la forma “a gnocchetto” e siete pronti per andare ai fornelli.

    Come si fa con gli gnocchi normali, versate gli spatzle in acqua salata già a bollore, scolateli quando verranno a galla con una schiumarola e metteteli per cinque minuti in una padella dove avrete già fatto soffriggere bene, con abbondante burro di alpeggio, dello speck tagliato a listarelle non troppo spesse e lunghe; sfumate con vino bianco e regolate con sale, pepe, noce moscata ed erba cipollina.

    Impiattate e servite ben caldi non prima di aver asperso generosamente i piatti con formaggio grana…badate bene che vi è una eccellente produzione di grana trentino che può essere, come si dice, “la morte sua” ma anche un parmigiano con 24/26 mesi di stagionatura va benissimo.

    Un calice di Ferrari brut per brindare alla riuscita della ricetta e siete pronti per andare a tavola!

    A presto, un caro saluto

  • Toghe&Teglie: carbonara estiva

    Buona settimana a tutti i lettori, sono Ivan Vaccari del Gruppo Toghe & Teglie: romano e considerato un vero ayatollah della carbonara (in questa rubrica ho pubblicato la “mia” ricetta che è poi quella tradizionale), questa volta voglio proporvi una variazione sul tema, che ho definita “estiva” in mancanza di meglio e per fare onore all’ingrediente in più, i fichi, che a gennaio sono difficili da trovare.

    Allora, la premessa: ho “inventato” il piatto durante le vacanze ed ho messo a tavola cinque persone, in Salento, col guanciale trovato per miracolo già tagliato (io lo avrei fatto più spesso: non devono essere fettine o cubetti sottili) e pecorino romano già grattugiato: pazienza, non si può avere tutto lontano da casa…ma i fichi erano molto buoni.

    L’ideale è uno spaghettone e come per la carbonara classica suggerisco un formato ruvido che tenga bene il condimento: Voiello, senza dannarsi l’anima alla ricerca, ne propone di tipologia e qualità adeguata.

    Mettete a bollire l’acqua.

    Tostate del pepe e fate spurgare il guanciale, ovviamente senza olio, nella stessa padella e quando è rosolato, levatelo conservandolo in un contenitore con un po’ di grasso.

    Nel frattempo vi sarete occupati dei fichi: regolatevi in base a dimensione e dolcezza dei frutti alcuni dei quali serviranno come guarnizione: io ne ho impiegati quindici perché erano piccoli, tenendone da parte tre per l’impiattamento. Sbucciateli e tagliateli a pezzetti.

    Quando mancano alcuni minuti alla cottura al dente della pasta suggerita, considerando che dovrete scolarla prima perchè ne servono tre di “risottatura” e mantecatura, rimettete il guanciale ed i fichi nella padella a fuoco medio: è il tempo giusto di dar loro un legame.

    Ora scolate la pasta e, sempre a fuoco medio, risottatela nella padella con il suo condimento.

    Dimenticavo! Contemporaneamente, in una ciotola a parte, avrete preparato anche una salsina con il pecorino, il grasso tenuto da parte ed un poco di acqua di cottura della pasta (basta mescolare il tutto con un mestolo di legno per un minuto, amalgamando bene): è da aggiungere nell’ultimo minuto o poco più dedicato alla risottatura  per mantecare il tutto rendendo il piatto cremoso.

    A questo punto potete servire, decorando con i fichi tenuti alla bisogna e, magari con una spolverata finale di pecorino.

    In questa specie di carbonara manca l’ovo? Avete ragione…ma l’ovo con i fichi non ci sta bene per gnente (con la “g”): questo piatto è un gioco di sapori ed occhio a dosarli che si coprono facilmente. I fichi soprattutto se troppo maturi sono molto dolci e possono alterare l’equilibrio ed anche il pecorino – che aiuta molto – non deve essere troppo sapido.

    Dite che così sembra più una variazione della gricia? Chiamatela come vi pare, tanto una carbonara non è di sicuro però è molto buona: parola di Ivan Vaccari che della carbonara è “l’Ayatollah”.

  • Toghe&Teglie: tortino di alici

    Cari lettori, buona settimana da Francesco Maria Palomba, avvocato della vivace sezione reatina di Toghe & Teglie: questa volta la mia intenzione è quella di ingolosirvi con un sapido piatto che coniuga sapori di terra e di mare, non particolarmente difficile da preparare e di notevole effetto scenico se seguirete le regole di impiattamento.

    Questi i passaggi operativi e le dosi – una volta tanto, almeno in parte, indicate – sono per sei persone.

    Iniziamo dal tortino: procuratevi 1 kg. di alici fresche, pulite e diliscate, ½ litro di salsa di pomodoro leggermente salata (meglio se fatta in casa: quella che si conserva in bottiglia…), circa 250 grammi di pan grattato aromatizzato con un battuto di uno spicchio d’aglio, maggiorana fresca, timo fresco,  pepe macinato e olio.

    Ora oleate una teglia alta circa 5 cm. e disponete a strati alternati le alici, la salsa di pomodoro, il pan grattato aromatizzato ed un giro d’olio fino a comporre 4/5 strati e infornate a 180 gradi per circa quarantacinque minuti, poi terminate con cinque minuti a forno ventilato.

    Nel frattempo che il tortino è in forno, dedicatevi alla crema di broccoli: sbollentate un broccolo, scolatelo e tenete da parte un po’ di acqua di cottura; tagliatelo a pezzi e frullatelo con un minipimer aggiungendo un poco di olio evo, due acciughe dissalate e mezzo spicchio di aglio ed, all’occorrenza, sale ed acqua di cottura per rendere la crema fluida, morbida – come si vede nella foto – ma non liquida.

    Tostate adesso delle fette di pane integrale o di grano duro alte circa 1,5 cm e a breve sarete pronti per impiattare.

    Per l’impiattamento fate una base con la crema di broccolo tiepida, ponetevi sopra la fetta di pane integrale tostato e un pezzo di tortino della stessa misura della fetta, guarnite, infine, sbriciolandovi sopra del peperone crusco…non ne avevamo parlato? E va bene, serve anche quello…ve l’ho detto adesso.

    Buona fine d’agosto a tutti.

  • Toghe&Teglie: pici con guanciale, fave e pecorino

    Ben ritrovati, cari lettori gourmet de Il Patto Sociale! Sono Andrea Schietti. Avvocato milanese del Gruppo Toghe & Teglie, spesso – credo meritatamente – presente in questa rubrica; sto trascorrendo gli ultimi giorni di vacanza in Toscana e, dopo essermi dilettato a Panarea con gamberi di Mazzara ed altre delizie di mare, sto passando a preparazioni forse più adatte all’autunno che verrà. Appunto, verrà: ma a voi chi lo impedisce di prepararvi un piatto come quello che vi propongo anche adesso, alla fine di agosto? Facile e saporitissimo.

    Procuratevi, quindi, dei pici – un formato di pasta tipico dell’entroterra toscano – sostanzialmente degli spaghettoni fatti a mano – o un formato simile di pasta lunga che trattenga bene il condimento, scalogno, guanciale, fave e pecorino.

    Togliete la cotenna al guanciale e tagliatelo a listarelle o cubetti e mettetelo in padella a sfrigolare nel suo grasso senza aggiunta di olio; affettate sottilmente lo scalogno e buttatelo nella mischia facendo rosolare per qualche minuto a fuoco moderato/basso.

    Prima di ciò avrete tolto le fave dai baccelli, le avrete sbucciate e tuffate in abbondante acqua bollente per cinque minuti. Scolate e tenete da parte l’acqua che userete per cuocere la pasta, regolandola di sale grosso all’impiego successivo.

    Scolate al dente anche perché è necessario un passaggio finale nella padella del condimento, a fuoco acceso e vivace, diluendo con un poco di acqua di cottura al fine di facilitare la contestuale mantecatura con pecorino romano grattugiato, badando a non utilizzarne uno troppo sapido per evitare di coprire gli altri sapori.

    Impiattate senza dimenticare una seconda spolverata leggera di pecorino e di pepe macinato fresco al momento.

    Cosa evitare per evitare di trasformare il tutto in un piatto da mensa sottufficiali dell’Armata Rossa anni ‘50: spaghettini (buoni solo per una minestrina ospedaliera), fave in barattolo di età indefinibile, mix di formaggi ignoti grattugiati già pronto, l’aggiunta di odori non previsti (aglio, rosmarino, alloro ecc.) e, soprattutto, di annegare i pici stappando qualcosa che non sia un eccellente rosso:  non necessariamente un Chianti,  magari anche un Montefalco.

    Alla prossima, un caro saluto a tutti.

  • Toghe&Teglie: involtini agli agrumi

    Buon Ferragosto, cari lettori de Il Patto Sociale! Sono Manuel Sarno, fondatore del Gruppo Toghe & Teglie e questa settimana dovrete sopportarmi anche in questa rubrica oltre che “In attesa di Giustizia”. Un periodo di meritato riposo in Sicilia mi ha suggerito una preparazione che, essendo riuscita piuttosto bene, mi sento di segnalarvi: altro non è che una variante degli involtini alla palermitana dei quali, peraltro, ne esistono una quantità a partire dalla carne scelta per realizzarli. In origine è quella di vitello – che personalmente preferisco ed ho utilizzato anche questa volta – ma si può impiegare tranquillamente di pollo o suino.

    Premetto che i quantitativi sono “a muzzo” o “a sentimento”, secondo tradizione.

    Procedete acquistando delle fettine di carne che avrete cura di far tagliare molto sottili ed in modo da avere una lunghezza che consenta l’arrotolamento ed una larghezza di circa tre/quattro dita: dipende dalle dita di chi.

    Mettetevi, poi, ai fornelli fate intiepidire appena una padella prima di versarvi un cucchiaio di olio evo (non bisogna esagerare altrimenti si realizza un fritto e non un soffritto) facendolo leggermente scaldare  anch’esso per poi aggiungere della cipolla finemente tritata, uno spicchio d’aglio – che in seguito toglierete – e della mollica di pane sbriciolata (a scelta, vanno bene anche dei taralli ridotti quasi in polvere) aggiustando di sale e pepe.

    Fate andare a fuoco moderato finchè la mollica non risulterà abbrustolita e croccante e togliete dal fuoco versando il tutto a raffreddare in una ciotola inserendo poi del prezzemolo tritato, caciocavallo o formaggio simile, non troppo stagionato, sminuzzato e parmigiano max. 24 mesi.

    Prima di impastare quello che sarà il ripieno, grattugiatevi sopra della scorza di limone non trattato o di arancia, badando a non esagerare evitando che vada a coprire gli altri profumi e sapori.

    Impastate il tutto, stendete le fettine di carne sul piano di lavoro, posizionatevi sopra il ripieno, arrotolate e chiudete i bordi laterali, dopodichè passate ciascun involtino, senza intriderlo, in olio evo e poi nel pangrattato.

    Ora “infilzate” gli involtini a due a due, tre a tre…dipende dalle dimensioni (ma non devono essere troppo grandi: poco più che dei bocconcini) con degli spiedini di legno e adagiateli su carta forno in una teglia senza aggiunta di altri condimenti.

    In forno preriscaldato a 200° per un minimo di un quarto d’ora/venti minuti – regolatevi con il formarsi della crosticina – girandoli almeno una volta e nel frattempo dedicatevi a preparare una fresca insalata di contorno.

    Per dissetarvi suggerisco una eccellente “Birra dello Stretto” ghiacciata: non è facile da trovarsi al di là di Scilla e Cariddi ma val la pena ordinarne una cassa, ve la spediranno senza problemi.

    Buon proseguimento e buon appetito a tutti!

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