Inquinamento

  • Guerra e inquinamento

    Su Putin e la sua sciagurata guerra contro l’Ucraina abbiamo scritto, come tanti, in più occasioni e l’intensificarsi degli attacchi contro i civili, con decine di morti e feriti, avvenuti negli ultimi giorni è l’ennesima riprova della sua spregiudicata crudeltà e del poco valore che dà alle richieste di tregua.

    C’è però un aspetto di questa guerra che è meno attenzionato anche se particolarmente grave per le conseguenze presenti e future.

    Nei primi tre anni di guerra bombe, missili ad alto potenziale, esplosivi di ogni tipo, milioni di proiettili, droni e quant’altro e lo spaventoso quantitativo di macerie, ci sono intere città distrutte, delle quali molte con componenti pericolosi, hanno, grazie a Putin, dato un’altra terribile spinta al progredire dell’inquinamento più tossico, per non parlare dei mezzi militari distrutti ed anch’essi da smaltire.

    Grandi, immense quantità di terreno, quello che prima era il granaio del mondo, è in gran parte ormai perso per anni all’agricoltura, e le foreste bruciate potrebbero anche influire sui cambiamenti, in alcune zone, del clima.

    Si parla ad esempio, e sempre per approssimazione in difetto, di 230 milioni di tonnellate di carbonio nei più di tre anni di guerra.

    Putin anche prima della guerra non aveva certo attenzione alla necessità mondiale di ridurre l’inquinamento infatti, durante il suo regime, le emissioni di gas serra sono aumentate del 23% mentre nell’Unione Europea erano diminuite del 30, ma ora la sua irrazionale e crudele fame di potere e conquista ha portato ad una situazione gravemente pericolosa per tutti perché i venti e le piogge non conoscono confini e portano ovunque i veleni che Putin ha disseminato in Ucraina.

    Putin è un pericolo per il mondo e anche questo aspetto Trump continua a non comprendere obnubilato da una sete di potere che lo accumuna ai dittatori come Putin e Xi Jinping, altro criminale ambientale, come ricordava Papa Francesco “nessuno si salva da solo” e noi ricordiamo che tutti paghiamo e pagheremo le conseguenze dei crimini altrui se non cerchiamo di impedirli.

  • Ambientalismo spaziale: i satelliti inquinano

    Una pioggia di satelliti Starlink attraversa l’atmosfera terrestre: nel solo mese di gennaio ne sono rientrati 120 giunti ormai alla fine della loro vita operativa, con un ritmo di circa 4 al giorno. Si tratta di un processo necessario che rischia, però, di minacciare l’atmosfera, ed è solo all’inizio: a partire dal 2018 la SpaceX di Elon Musk ha posizionato in orbita terrestre più di 7mila satelliti per l’Internet globale, che man mano rientrano bruciando nell’atmosfera per essere rimpiazzati da quelli di nuova generazione. A questi vanno aggiunte tutte le altre mega-costellazioni in fase di dispiegamento.

    Il rischio deriva dal fatto che, rientrando nell’atmosfera, i satelliti bruciano e si disintegrano prima di toccare il suolo per ridurre al minimo il rischio di detriti spaziali, ma così facendo rilasciano polveri di metalli inquinanti, come l’ossido di alluminio che corrode lo strato di ozono.
    “Gli Starlink sono fatti principalmente di alluminio, che quando il satellite evapora rimane in quota nell’atmosfera”, ha detto all’agenzia di stampa Ansa Alberto Buzzoni, astronomo dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. “E la stessa cosa si verifica al momento del lancio, poiché i propellenti usati dai razzi, soprattutto quelli solidi, sono a base di ossido di alluminio. Tuttavia – prosegue – quando si parla di clima e di atmosfera si ha sempre a che fare con un sistema caotico ed estremamente complesso, dunque è difficile fare previsioni sulle conseguenze di questi eventi. Ad esempio, sappiamo che le particelle di alluminio rendono l’atmosfera più brillante, come tanti piccoli specchietti”, afferma il ricercatore dell’Inaf: “Riflettono quindi una maggiore quantità di luce solare raffreddando l’atmosfera, con un’azione opposta a quella dell’effetto serra”.
    Già uno studio pubblicato a ottobre 2023 sulla rivista dell’Accademia delle Scienze americana, Pnas, ha trovato prove del fatto che la disintegrazione dei satelliti lascia tracce persistenti nell’atmosfera: nei campioni raccolti da un aereo, i ricercatori hanno scoperto che il 10% delle particelle contiene alluminio e altri metalli provenienti proprio da satelliti e razzi. Un altro studio pubblicato a giugno 2024 su Geophysical Research Letters ha rilevato che la concentrazione degli ossidi di alluminio nell’atmosfera è aumentata di 8 volte tra il 2016 e il 2022. Un dato comprensibile, dal momento che la scomparsa di un solo satellite Starlink di prima generazione produce circa 30 chilogrammi di ossido di alluminio, che possono persistere poi per decenni.
    “Oggi i rientri sono dominati dai satelliti Starlink per una chiara faccenda di numeri, sono la popolazione dominante nel contesto complessivo dei satelliti in orbita”, ha detto sempre all’Ansa anche Gianluca Masi, astrofisico e responsabile scientifico del Virtual Telescope Project. “Questa è una criticità che può rappresentare un intralcio significativo alle osservazioni astronomiche – prosegue – soprattutto in certi momenti della notte e dell’alba”.

    Il rientro di satelliti sempre più numerosi è però dovuto anche agli effetti del ciclo solare, ora al suo massimo. “L’attività solare, infatti, rende più gonfia l’atmosfera – commenta Buzzoni – che arriva alla quota alla quale si trovano i satelliti in orbita bassa intorno alla Terra, frenandoli. È una buona cosa, perché in questo modo l’atmosfera agisce da spazzino dei detriti spaziali”. In ogni caso, i 120 Starlink rientrati il mese scorso non costituiscono più un caso particolarmente eclatante: “Questa è ormai la situazione normale – conclude l’astronomo – e il tasso di rientro rimarrà probabilmente simile per tutto l’anno”.

  • Astronaute miliardarie e caminetti spenti

    Bene! Un equipaggio di sei donne ha viaggiato nello spazio, undici minuti in orbita per il team della futura moglie di Bezos.

    Dopo che tanti hanno festeggiato poniamoci qualche domande, se è ancora lecito porsi delle domande: quanto è costato questo viaggio in termini di denaro e in termini di inquinamento e cosa ha prodotto in termini di conquista dello spazio?

    Astronaute, compresa la nostra Cristoforetti, ce ne sono già state e una addirittura, per un errore del sistema spaziale, è rimasta in orbita nove mesi. Perciò, che cosa significa un viaggio di undici minuti di sei turiste dello spazio? Forse che d’ora in poi, in effetti era già successo, i miliardari potranno decidere di farsi un giretto per guardare la terra dall’alto vomitando sulla stessa terra tutto quell’inquinamento che dovremmo cercare di eliminare perché l’universo intero sta soffocando.

    In sintesi: chi ha un caminetto non lo può accendere, periodicamente si parla anche di eliminare i forni a legna per la pizza, la macchina diesel è sul punto di essere definitivamente bandita, salvo poi spedirla nei Paesi poveri come se l’inquinamento dell’aria avesse delle barriere continentali, ma se sei multimiliardario e collegato ai pochi giri che ormai contano, da Musk a Bezos, puoi fare quello che ti pare perché con i soldi ormai, alla faccia della democrazia e della giustizia, puoi tutto.

    In questa società nella quale ogni giorno le violenze aumentano, come pure aumentano le disparità e le ingiustizie, prima o poi qualcuno dirà basta.

    Forse è il momento che ciascuno di noi cominci a dire basta.

  • Taiwan fissa il prezzo per le industrie per le emissioni di carbonio

    Il ministero dell’Ambiente di Taiwan ha fissato un costo di 300 nuovi dollari taiwanesi per ogni tonnellate di carbonio emessa da industrie ad alto impatto ambientale. La tassa è destinata ad aumentare fino a 1.200-1.800 nuovi dollari taiwanesi entro il 2030 ma contempla anche numerosi sconti, sia per le aziende che adottano programmi per ridurre il proprio impatto ambientale, sia – per evitare la delocalizzazione verso Paesi più tolleranti in materia – per quelle che potrebbero trasferirsi altrove.

    Le misure varate dal governo sono apparse troppo morbide agli ambientalisti, ma la tassazione tiene conto delle specificità di ciascun settore industriale. L’incentivo alla riduzione delle emissioni di carbonio rappresentato dal prezzo che ciascuna industria è tenuta a pagare per quanto emette è infatti diverso a seconda di quanto difficile sia, in virtù dello specifico ciclo produttivo, ridurre tali emissioni. Il provvedimento del ministero prevede costi crescenti per quelle aziende che nel tempo non si impegnino a ridurre progressivamente le proprie emissioni di carbonio, ma tutto il sistema di prezzi è calibrato sulla difficoltà per ciascun comparto a divenire più green di quanto sia oggi.

    La misura è stata introdotta nell’ambito del programma governativo che ha fissato per il 2030 una riduzione del 23-25% delle emissioni di carbonio rispetto al 2005 ed il ministero stima che contribuirà a una riduzione di tali emissioni del 14%. Nell’insieme, la misura cerca di contemperare l’obiettivo governativo di rendere Taiwan un’economia sempre meno impattante sull’ambiente con l’ovvia necessità di non sacrificare tout court le attività produttive del Paese sull’altare della tutela dell’ecosistema.

  • Riduzione storica del 16,5% delle emissioni di impianti elettrici e industriali grazie a stabilità e buon funzionamento del mercato

    La Commissione ha adottato la relazione sul mercato del carbonio, che analizza e presenta il funzionamento del sistema di scambio di quote di emissione dell’UE (EU ETS) nel 2023 e nel primo semestre del 2024. Nel 2023 l’EU ETS è stato caratterizzato da una riduzione storica del 16,5% delle emissioni prodotte dagli impianti, trainata dal settore dell’energia elettrica. La produzione di tale energia da fonti rinnovabili, principalmente energia eolica e solare, è aumentata notevolmente, ed è ripresa la tendenza a sostituire il carbone con il gas per produrre energia elettrica. Grazie a questo sviluppo, le emissioni ETS prodotte dagli impianti sono inferiori di circa il 47,6% rispetto ai livelli del 2005. L’ETS è inoltre sulla buona strada per raggiungere la riduzione del 62%, obiettivo fissato per il 2030.

  • Responsabilità antropica del cambiamento climatico

    Chi continua a sostenere che il cambiamento climatico sia dovuto alla presenza di grandi quantità di CO2 e di altri “gas serra” creati dall’uomo farebbe bene ora anche a riflettere su un fatto nuovo accaduto recentemente in Lombardia.

    Grazie al ritiro dei ghiacciai, a un’altitudine di più di 3000 metri, si sono scoperti incisioni rupestri che denotano in loco la presenza umana durante l’età del bronzo (in Europa 2300-1100 A.C.).

    Due considerazioni andrebbero fatte a questo proposito ma non sembra che i nostri giornalisti le abbiano ancora fatte:

    – Uomini organizzati vivevano, o almeno frequentavano, quelle altitudini in maniera costante. Tanto è vero che si presero la briga di farvi dei disegni perenni. Non era troppo freddo per starci a lungo?

    – Sicuramente non scavarono il ghiacciaio per poter disegnare sulle rocce sottostanti. All’epoca in quelle montagne, seppur sopra i 3000 metri, non c’erano ghiacciai perenni. Ovviamente il clima era diverso e più caldo degli anni nostri (così come lo fu nei tempi romani). I ghiacciai si formano e spariscono nel corso dei secoli da sempre su questo pianeta.  Esistevano, all’epoca, uso diffuso dei combustibili fossili, delle industrie, dei riscaldamenti ovunque? A cosa era dovuto il “riscaldamento climatico” dell’età del bronzo?

    P.S. 1) Grazie all’aver messo in ginocchio molte industrie in Europa, la Commissione è riuscita ad ottenere una qualche piccola riduzione delle emissioni di gas considerati pericolosi per il clima. L’Europa produceva circa il 7% delle emissioni mondiali e ora, forse, siamo al 6 e qualcosa. Nel frattempo, la Cina che ne produceva più o meno il 36% ha aumentato la sua percentuale grazie all’apertura di nuove centrali a carbone. Così ha fatto l’India e stanno facendo gli Stati Uniti. La nostra fortuna è che potremo comprare molti più prodotti fabbricati in quei Paesi invece di quelli soliti (oramai noiosi) che producevamo da noi.

    2) Sembrerebbe che a Baku, per parlare di come combattere la CO2 internazionalmente, tra delegati e giornalisti siano presenti in tutto circa 51.000 persone (non cambierebbe drasticamente anche se fossero solo 5.000). Sono tutti arrivati in bicicletta o a piedi? Oppure in carrozze trainate da cavalli?

    3) Una cosa è battersi contro l’inquinamento di aria e acque, atteggiamento doveroso e salutare. Un’altra è inventarsi cause di un cambiamento climatico che gli stessi “inventori” definiscono inarrestabile, se non parzialmente. Se sappiamo davvero che le acque oceaniche sono destinate ad alzarsi, perché invece di prendere decisioni masochiste sprecando enormi ricchezze non pensiamo a cosa fare per delocalizzare chi ne potrebbe restare sommerso? E perché non attrezzare intere società per i cambiamenti che, sembra, comunque arriveranno?

  • Questa è la civiltà, bellezza!

    Mentre Musk diventa il tutore del nuovo, vecchio, presidente degli Stati Uniti ed i grandi della terra devono comunque fare i conti con l’uomo più ricco del mondo i comuni mortali sono sempre più vittime della rete, come dimostra anche il caso della giovane donna morta in un ambulatorio medico scelto su Tik Tok.

    Decisioni sconclusionate sul clima, mentre tragedie ambientali continuano a mietere vittime, non aiutano né l’economia né la difesa dell’ambiente e della nostra salute.

    Lo scontro tutto italiano tra politica e magistratura, frutto anche, ammettiamolo, di un eccessivo pressappochismo nel prendere certe decisioni sull’immigrazione e la soluzione albanese, oltre che di una eccessiva politicizzazione di alcuni magistrati, ha solleticato l’ego di Musk che di tutto si deve impicciare, si vede non gli basta l’America.

    Siamo in un’epoca nella quale aumentano le schiavitù fisiche e la povertà ma anche le schiavitù mentali, psicologiche, quelle che fanno credere ai più di essere liberi mentre ogni giorno, anche in occidente, le libertà sono sempre meno perché siamo controllati in ogni nostro movimento.

    Pagamenti e spese controllati dalle nostre carte bancarie, preferenze identificate dalle cento tessere di negozi e supermercati, telecamere ovunque, che però non riprendono quasi mai chi commette un reato, droni che ci sorvolano e ci vedono anche nel giardino di casa, per chi c’è l’ha, annunci pubblicitari e truffe ogni giorno che ci raggiungono su internet dove diventa sempre più difficile non farsi hackerare e ancora? Obbligo di cambiare la macchina pena non circolare più nelle città, e non importa se i mezzi pubblici sono ancora obsoleti ed inquinanti e non sappiamo dove elimineremo le batterie cinesi, obbligo di non accendere i caminetti a legna e presto ci toglieranno anche i caloriferi e dovremo andare con le pompe ad aria anche se abbiamo l’artrosi cervicale.

    L’Italia è la nazione che risulterebbe con un inquinamento molto inferiore alla media europea ma questo conta poco, dobbiamo dismettere i nostri mezzi inferiori ad euro 5, poi questi stessi veicoli saranno mandati nei paesi poveri, specie in Africa, come se il problema inquinamento fosse risolto così mentre i venti e le piogge ci riportano quei gas di scarico che abbiano eliminato dal nostro territorio.

    Sempre meno libertà perché la legge non è uguale per tutti, noi giustamente abbiamo eliminato alcuni prodotti chimici nocivi o pericolosi ma gli europei che producono in Africa e poi, con la nota triangolazione, importano i loro prodotti a basso costo in Europa non hanno regole da seguire ed avvelenano migliaia di lavoratori dei paesi più poveri costretti a lavorare in situazioni gravemente nocive per la loro salute.

    Ma questa è la civiltà, bellezza, il progresso dove tu, piccolo uomo, piccola donna, ti devi adeguare mentre l’uomo più ricco del mondo viaggia per diletto con i suoi amici miliardari, infischiandomene allegramente delle conseguenze ambientali, nelle spazio, auguriamogli di raggiungere Marte e di restarci.

  • Il benessere dell’umanità

    “Il benessere dell’umanità è sempre l’alibi dei tiranni”, Albert Camus

    Da sempre l’ideologia rappresenta lo strumento attraverso il quale giustificare una scelta anche di natura economica la quale altrimenti sarebbe ingiustificabile. Questo è quanto accade, ora, in merito alla transizione verso una mobilità elettrica, sostenuta proprio da quelle compagini politiche che hanno visto crollare i propri modelli politici e di sviluppo con la caduta del Muro di Berlino lasciandoli senza riferimenti. L’attenzione e la sete di riscossa politica si spostano quindi verso il modello di vita e consumi occidentale.

    In questo contesto allora ecco la lotta alla mobilità indipendente possibile grazie all’utilizzo delle autovetture private ed al loro “impatto”.

    L’auto  risulta responsabile dell’1% delle emissioni di CO2, la cui riduzione del 50% sarebbe ottenibile semplicemente attendendo la normale conversione delle vecchie auto o magari attraverso una incentivazione fiscale alle classe di emissione euro 6.

    Quindi, in considerazione del fatto che l’Italia risulta responsabile dello 0,7% delle emissioni totali e l’intera Europa del 6,5%, tanto le emissioni attuali di CO2 (1%), attribuibile alle auto, quanto la loro riduzione del 50% risulterebbero già di per sé  marginale in rapporto alle conseguenze economiche e sociali legate ad un avvento dell’auto elettrica cinese. Basti ricordare, infatti, come il settore Automotive in Europa rappresenti dodici milioni di posti di lavoro, circa mille miliardi di entrate fiscali ed il 12% del PIL.

    In relazione, poi, alle polveri sottili andrebbe ricordato come ad un grammo emesso da un motore endotermico ne corrispondano 1850 grammi attribuibili alla resistenza al rotolamento dei pneumatici che diventano 3850 nel caso di una guida più nervosa, ma comunque all’interno dei limiti imposti dal Codice della strada.

    Come logica conseguenza emerge evidente come il problema dell’impatto ambientale nella mobilità sia  più legato, in relazione alle polveri sottili, agli pneumatici che non al motore endotermico.

    Viceversa, la deriva strategica intrapresa dall’Unione Europea e soprattutto dalla sua Commissione trova la propria ragione in una scelta puramente ideologica nella quale la leva ambientalista rappresenta il fattore scatenante.

    Contemporaneamente in Cina negli ultimi due anni sono stati autorizzate le produzioni di 218 GW da centrali a Carbone (1 GW, 1 miliardo di Watt), quindi sono centinaia le centrali a carbone che la Cina sta costruendo in questo momento per alimentare il proprio sviluppo, e quindi anche l’industria automobilistica cinese, con un vita media compresa tra i 50 e i 75 anni, quindi operative fino alla fine del secolo in corso.

    In questo contesto basti ricordare come le emissioni delle centrali a carbone rappresentino un quinto di quelle totali e metà sia  localizzata in Cina ma in continua crescita.

    Pensare di utilizzare i prodotti di una economia malsana, con il primato mondiale dell’impatto ambientale, rappresenta, all’interno di una politica attenta ad un equilibrio ambientale, sia nel settore Automotive come in precedenza avvenne con il tessile abbigliamento,

    la strategia a più alto tasso di inquinamento che la UE potesse adottare.

    La sola giustificazione che possa sostenere il blocco della vendita e produzione dei motori endotermici a partire dal 2035 può venire considerata solo come espressione in un cieco furore ideologico che da sempre rappresenta il modo per sostenere quanto altrimenti risulterebbe assolutamente ingiustificabile e sempre in nome del bene comune.

  • Diminuite di oltre l’8% nel 2023 le emissioni di gas a effetto serra dell’UE grazie alla crescita delle energie rinnovabili

    La Commissione europea ha pubblicato la relazione 2024 sui progressi dell’azione per il clima, da cui emerge che le emissioni nette di gas a effetto serra dell’UE sono diminuite dell’8,3% nel 2023 rispetto all’anno precedente. Si tratta del più marcato calo annuo degli ultimi decenni, con l’eccezione del 2020, quando la pandemia di COVID-19 comportò riduzioni delle emissioni del 9,8 %. Le emissioni nette di gas a effetto serra sono oggi inferiori del 37% rispetto ai livelli del 1990, mentre nello stesso periodo il PIL è cresciuto del 68%, a dimostrazione della sempre crescente disassociazione delle emissioni dalla crescita economica. L’UE rimane dunque sulla buona strada per mantenere l’impegno di ridurre le emissioni di almeno il 55 % entro il 2030.

    Mentre la relazione contiene notizie incoraggianti sulle riduzioni delle emissioni dell’UE, bisogna sottolineare anche che durante l’anno scorso a causa dei cambiamenti climatici si sono verificati più eventi catastrofici e più perdite di vite umane e di mezzi di sussistenza, mentre le emissioni globali non hanno ancora raggiunto il loro picco. È quindi necessaria un’azione costante per garantire che l’UE raggiunga i suoi obiettivi per il 2030 e si avvii sulla strada giusta per conseguire l’obiettivo prefissato per il 2040 e il traguardo di azzerare le emissioni nette entro il 2050. L’UE deve inoltre proseguire il suo impegno internazionale, a partire dalla COP29 del mese prossimo, per fare sì che anche i nostri partner internazionali adottino le misure necessarie.

  • 2024-1957: è ufficiale, si torna indietro

    Dalle ultime rilevazioni risultano 387.600 auto e furgoni commerciali prodotti nei primi nove mesi nell’anno in corso a differenza dei 567.525 del 2023. Un dato che riporta il Paese al lontano 1957. Contemporaneamente i lavoratori sono passati dai 52.000 del 1989 ai 15.000 attuali.

    La specificità italiana della crisi dell’automotive si inserisce all’interno dell’Unione Europea con un delirio ideologico che vede colpire l’intero settore industriale dell’automobile (che vale circa 12 milioni di posti di lavoro il 12% del PIL e 1.000 di tasse) per l’applicazione di protocolli ambientalistici assolutamente irraggiungibili i quali, per contro, tendono a favorire la sola Cina. Questa, va ricordato, come non solo finanzi le prime cinque case automobilistiche cinesi ma fornisce loro un’energia a basso costo prodotta dalle centrali a carbone, in quanto interpreta l’auto elettrica come un elemento decisivo per conseguire l’obiettivo di allargare all’Europa la propria ingerenza politica ed economica.

    Ammesso, allora, che ci sia ancora la possibilità di invertire questo trend, quali potrebbero essere le prime scelte operative e strategiche da adottare?

    In puro ordine numerico:

    1. Rinvio di cinque anni dell’introduzione delle normative Euro7.
      2. Annullamento immediata del divieto di vendita e produzione di motori endotermici nell’Unione Europea fissata al 2035, anche in considerazione che si è passati dal cavallo al motore a scoppio non certo attraverso un decreto regio
    2. Sostegno fiscale a tutte quelle aziende che diminuiscano, per unità di prodotto, l’energia utilizzata indipendentemente dalla sua natura.
    3. Abbandono dell’utopia di una decarbonizzazione a favore di una riduzione fiscalmente incentivata dell’utilizzo di ogni forma di energia, in quanto anche quella cosiddetta green richiede una quantità di risorse finanziarie pubbliche, e quindi di un costo sociale insostenibile e che drena risorse al bilancio statale riducendo la stessa spesa sociale.
    4. L’adozione di un protocollo sulla base del quale ogni iniziativa economica e strategica in Europa venga giudicata in rapporto ai posti di lavoro creati a tempo indeterminato e con una retribuzione dignitosa, piuttosto che sulla base di deliranti visioni politiche ed ideologiche.
      6. Incentivazione fiscale per ottenere progressivamente nel giro di 5/10 anni un parco macchine circolante di automobili Euro 5 o Euro 6 il quale permetterebbe la riduzione del 50% dell’attuale quantità di CO2 emessa dalle auto, pari al solo 1% delle emissioni complessive del nostro Paese.
      7. La distruzione della filiera del tessile abbigliamento in Italia ed in Europa successivamente alla sospensione dell’accordo Interfibre dovrebbe suggerire lo scenario futuro riservato al settore Automotive europeo esposto ad una totale transizione verso una insensata mobilità elettrica di pura genesi ideologica ed interesse politico.
      8. Considerare la Cina come un partner commerciale ma non certo un alleato e, viceversa, favorire ogni alleanza politiche e strategica con l’India la quale rappresenta l’unico contrappeso politico ed economico all’interno dei Brics.
      9. Riportare il sistema industriale al centro dello sviluppo in quanto, seppur ancora oggi in termini energetici venga considerato energivoro, presenta un fabbisogno energetico decisamente inferiore a quello richiesto dalle sole Major dell’economia digitale.
      10. Colpire l’automobile credendo di diminuire le emissioni offre lo spessore della “ideologica competenza” in quanto in Irlanda i Data System inquinano più delle abitazioni mentre Google e Microsoft inquinano quanto la Croazia.
    5. In termini europei, in più, solo il riconoscimento delle specificità economiche dei diversi paesi che compongono l’Unione può assicurare un supporto decisivo al conseguimento dei traguardi di sviluppo e sostenibilità, e non certo attraverso un’unica ed onnicomprensiva politica economica ma solo attraverso diverse politiche specifiche per ogni realtà economica.

    Ma soprattutto, e siamo al punto 12, riportare il concetto del lavoro, e la dignità che è in grado di assicurare, al centro dell’attenzione della politica come elemento fondamentale per assicurare una vita democratica ad ogni cittadino europeo.

    N.B. si fa notare come il termine “dazi” non si stato usato in quanto, pur rappresentando un legittimo strumento di difesa, certifica troppo spesso il ritardo, da verificare se colposo o peggio doloso, di una intera classe politica e dirigente nella comprensione delle dinamiche di mercato ampiamente prevedibili.

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