M5S

  • Sul blog di Grillo e su quello del M5S una lunga liason col Venezuela

    La liason tra grillini e Hugo Chavez e poi Nicolas Maduro è un tema ricorrente nel Blog di Beppe Grillo e nel Blog delle Stelle (house organ ufficiale del Movimento). E, come ha scoperto l’agenzia Adnkronos, il ‘bolivarismo’ grillino non nasce da interesse per Los Roques o Isla Margarita, mete turistiche di pregio.

    Il 22 febbraio 2019, sul sito di Grillo, Fabio Massimo Parenti scrive che “il mondo non accetta più i diktat statunitensi” e che “la maggioranza dei paesi rappresentati all’Onu” riconoscono “la legittimità dell’unica presidenza votata, quella di Maduro”. Pochi giorni prima sullo stesso Blog appare un post dal titolo ‘Venezuela: l’oro nero che fa gola a molti’ firmato da Danilo Della Valle (studioso di relazioni internazionali che scrive per ‘L’antidiplomatico’). Nel pezzo non mancano critiche a Juan Guaidó, presidente dell’Assemblea nazionale venezuelana dal 5 gennaio 2019 al 28 marzo 2019 e riconosciuto come presidente del Venezuela, tra gli altri, da Usa, Francia, Regno Unito. Ma non dall’Italia. “Prima dell’elezione a presidente dell’Assemblea nazionale” solo “un venezuelano su cinque conosceva Guaidó”, definito dal “sociologo Marco Teruggi un ‘personaggio creato ad hoc in laboratorio. Un mix di elementi che portano alla costruzione di un personaggio a metà tra il preoccupante e il ridicolo’; secondo lo scrittore venezuelano Sequera ‘Guaidó è più popolare all’estero, soprattutto nei circoli delle èlite della Ivy League di Washington”: sono solo alcuni dei giudizi sferzanti riportati dal Blog di Grillo, dove si ricorda che “il Paese che diede i natali a Bolivar possiede la più grande riserva al mondo di oro nero” e che dopo la morte di Chavez sono arrivate le “sanzioni imposte da Usa ed Ue, che costano al Venezuela circa 33 miliardi di dollari” gettando il Paese in una crisi, “con scarsità di beni di prima necessità e medicine, e un aumento della pressione interna ed internazionale, ai danni del governo in carica”.

    E’ del 2015 il post ‘Uscire dai #petrodollari, uscire dalle guerre’, questa volta a cura di Marinella Correggia, dove il Venezuela di Chavez viene citato tra i Paesi che si sono ribellati al petrodollaro. “Nel mirino – scrive l’autrice – sono del resto tutte le nazioni dell’Alleanza Alba (Venezuela, Cuba, Bolivia, Ecuador, Nicaragua) che non solo si sottraggono ai diktat del Fondo Monetario Internazionale ma cercano anche di sviluppare un proprio sistema finanziario basato sulla moneta virtuale sucre e perfino sul baratto”. Sempre nel 2015 il Blog di Grillo ospita un intervento del regista americano Oliver Stone dal titolo ‘Il colpo di Stato della Cia in #Ucraina’. “Ricordate il cambio di regime/colpo di stato del 2002, quando Chavez è stato temporaneamente estromesso, dopo che manifestanti pro e anti-Chavez erano stati colpiti da misteriosi cecchini nascosti in palazzine di uffici? Assomiglia anche alla tecnica usata all’inizio di quest’anno in Venezuela quando il governo legalmente eletto di Maduro è stato quasi rovesciato con l’uso di violenza mirata contro i manifestanti anti-Maduro”, si legge nel post del cineasta.

    Nel 2014 compare un articolo di Massimo Fini dedicato sempre alla situazione in Ucraina, dove però non mancano passaggi sul Paese sudamericano: “Prendiamo il Venezuela, adesso, dopo la morte di Chavez, guarda caso ci sono queste rivolte. E’ chiaro che in ogni Paese c’è del malcontento, a parte il fatto che la politica di Chavez in Venezuela era stata una politica non alla Castro. Chavez non era un comunista, ma un socialista e eletto democraticamente. E’ altrettanto chiaro che gli Stati Uniti soffiano su questi malcontenti o li foraggiano”.

    Facendo un salto indietro nel tempo – è il 2007 – ci si può imbattere in una lettera dello scrittore americano Gore Vidal con uno sperticato elogio a Chavez: “Guardo con ammirazione a quello che sta facendo Hugo Chavez, per esempio. E’ un’ispirazione per il mondo intero, a differenza degli Stati Uniti, che non sono un’ispirazione per nessuno, tranne per potenziali dittatori”. Non è da meno il Blog delle Stelle quando il 12 febbraio 2019 riporta il lungo intervento pronunciato in Aula dal deputato Pino Cabras sulla situazione in Venezuela. “Siamo ben lontani dal considerare Maduro un modello”, affermava il parlamentare, sottolineando però che riconoscere Guaidó presidente “in termini diplomatici, è un atto impraticabile, avventato e incompatibile con gli obiettivi dell’Italia”. Sempre il Blog delle Stelle ospitò il 4 febbraio dello stesso anno un post di Alessandro Di Battista che invitava il governo a mantenere una posizione “neutrale” rispetto alla crisi venezuelana: “L’Europa – scriveva l’ex deputato – dovrebbe smetterla una volta per tutte di obbedire agli ordini statunitensi”. Si contano poi diversi interventi a firma Manlio Di Stefano: tra questi, il post del 4 marzo 2017, nei giorni in cui l’attuale sottosegretario agli Esteri guidava una delegazione pentastellata in visita in America Latina: in Venezuela, racconta il parlamentare, il M5S tenne “diversi incontri con i rappresentanti delle organizzazioni regionali dell’America Latina, come la Celac, l’Unasur e l’Alba-TCP” nonché “incontri bilaterali con i diversi rappresentanti governativi della regione” che arrivarono a Caracas il 5 marzo in occasione dell’anniversario della morte di Hugo Chavez.

     

  • Cinque stelle per illuminare l’azione il governo Pd-grillini

    Come tanti altri italiani aspettiamo gli eventi: se il governo Pd-M5s andrà in porto e se durerà lo vedremo. Certo è, comunque, che se alcuni possono gridare al ribaltone, certamente non lo può fare la Lega, quella stessa Lega che causò la fine del primo governo Berlusconi, che dopo qualche anno ha stracciato l’alleanza del centrodestra e che ci ha portato, con la sfiducia ad agosto, a veder tornare in auge il Pd. 

    L’inaffidabilità della Lega, che si è manifestata non solo con i fatti sopra citati, o per lo meno l’inaffidabilità di alcuni suoi leader, che hanno sempre anteposto l’interesse personale o di partito agli interessi della collettività, a volte sbagliando a loro danno, discende anche da una mancanza di cultura e rispetto istituzionale e da un’eccessiva arroganza di certi vertici. 

    Per quanto riguarda il futuro governo, qualunque poi alla fine esso sarà, possiamo solo sperare che, al di là del problema immigrazione, che va risolto in Europa e non solo in Italia, prenda coscienza di alcune necessità:

    1. prima di fare dichiarazioni e soprattutto tweet si ricordino che vi è la necessità di ponderare cosa si dichiara e di valutare se ciò che si promette può essere mantenuto. A titolo di esempio ricordiamo che il sottosegretario di Palazzo Chigi, Del Rio, nel 2014, durante il governo Renzi, aveva dichiarato, in un’intervista al Corriere della Sera, una serie di misure per contenere la spesa e ridurre l’imposizione fiscale, tra cui il famoso cuneo, che il suo governo non realizzò mai;
    2. rimane un’emergenza che non può essere oltremodo senza risposta concreta quella che vede da 3 anni le vittime del tragico terremoto del centro Italia con solo il 4% del loro territorio ricostruito e con ancora oltre 100mila tonnellate di detriti da asportare. Italiani come noi sono ancora senza casa e senza lavoro.
    3. il cambio della situazione climatica ha portato a lunghe stagioni di siccità e a piogge torrenziali, dal che si evince l’urgenza sia di rivedere il sistema degli acquedotti italiani, che perdono oltre il 60% dell’acqua essendo obsoleti da molto tempo, in caso contrario la siccità non colpirà soltanto l’agricoltura ma la vita stessa delle persone, dall’altro di un concreto piano geologico per impedire che le piogge torrenziali ci ripropongano i morti ed i feriti, gli allagamenti e i dissesti che abbiamo visto negli ultimi anni;
    4. impedire l’aumento dell’Iva deve andare di pari passo con un abbassamento dell’imposizione fiscale e una riorganizzazione, veramente semplificata, della burocrazia: oggi chi ha un’attività in proprio lavora per più di 6 mesi solo per pagare le tasse, oggi per aprire un’attività occorrono più di 60 pratiche, con un dispendio di costi e di tempi inaccettabile;
    5. il riordino del sistema regionale non passa soltanto da eventuali maggiori autonomie ma da controlli della spesa e degli sperperi. E insieme al riordino regionale va riaffrontato il problema delle province che attualmente esistono ancora come centrali di spesa ma non sono in grado di sopperire ai loro compiti, a partire dalla manutenzione delle strade, e che, essendo svincolate dalla scelta degli elettori, di fatto, sono centri di potere collegati alle forze politiche che reggono i Comuni.

    Ci auguriamo inoltre, ma temiamo che sia la solita pia illusione, che visto il caos politico che di anno in anno aumenta si vogliano finalmente riaffrontare e meglio definire le regole sulle quali si sostiene un sistema democratico e repubblicano. Torniamo a chiedere che partiti e sindacati abbiano personalità giuridica e i loro bilanci siano verificati dalla Corte dei conti. Sosteniamo con forza che il numero dei parlamentari si possa ridurre solo con il ritorno ad una legge proporzionale e preferenziale che consenta all’elettore di scegliere liberamente i propri rappresentanti senza essere, come oggi, costretto a subire le decisioni dei capi partito che scelgono deputati e senatori in base alla loro capacità di essere yesmen.

  • Il sindaco pentastellato di Bagheria compra un ecomostro e lo salva dall’abbattimento

    «Rilanciare il turismo» è lo slogan con cui Patrizio Cinque, sindaco 5 stelle di Bagheria, ha salvato un ecomostro abusivo costruito sulla spiaggia di Sarello, comprandolo per 225mila euro con l’intento di utilizzarlo come resort deluxe “per rilanciare il turismo”. In seguito a una visura camerale, il leader dei Verdi italiani, Angelo Bonelli ha presentato una denuncia in procura ma il M5s per ora si è limitato a prendere le distanze, con Luigi di Maio, dal sindaco, confermando però (è maggioranza al Comune di Bagheria) la propria linea in città (lo stesso sindaco non risulta ufficialmente estromesso dal partito, nonostante il ripudio a parole del capo politico del M5s) per il condono di Ischia. Per quanto il sindaco sia stato allontanato dal movimento alla vigilia del 4 marzo, il quotidiano milanese fa notare come il comune di Bagheria sia ancora interamente pentastellato.

    Per riuscire nell’intento, il 5 maggio del 2017 il sindaco ha nominato Caterina Licatini, parlamentare pentastellata, alla guida della “Amb”, municipalizzata comunale, e 10 giorni dopo ha dato vita alla “Nuova Poseidonia srl” società che si aggiudica all’asta l’ex ristorante “New Orleans”, la sala da matrimoni e ricevimenti costruita sugli scogli del Sarello sborsando 225 mila euro. In contemporanea, il 18 maggio 2017, il sindaco ha proposto alla giunta di Bagheria da lui guidata un nuovo regolamento per l’acquisizione degli immobili abusivi che riconosce agli abusivi il diritto di abitazione e sospende l’abbattimento delle case (anche quelle costruite a 150 metri dal mare).

  • L’Italia salva Maduro dalla condanna della Ue

    L’Italia è stato l’unico dei 28 Paesi della Ue a bloccare una proposta di compromesso  sul Venezuela, avanzata dalla ministra degli Esteri svedese Margot Wallstrom, con cui si accettava il ruolo di Juan Guaidò come presidente ad interim fino a nuove elezioni. La discussione è avvenuta alla riunione dei capi delle diplomazie Ue a Bucarest. La notizia è stata diffusa dall’agenzia spagnola Europapress e confermata all’ANSA da fonti diplomatiche europee. Non si sarebbe trattato di un riconoscimento formale di Guaidò, ma implicito. Nella proposta si usava una formula in cui si esprimeva sostegno e riconoscimento a Guaidò nel suo ruolo istituzionale, per portare avanti la preparazione di elezioni libere e democratiche. Anche la Grecia che sabato scorso si era fermamente espressa contro il riconoscimento di Guaidò avrebbe accettato la proposta avanzata da Wallstrom. L’Alto rappresentante dell’Ue Federica Mogherini ha cercato di creare consenso sul documento, ma in mancanza di unanimità ha poi lasciato ai singoli Stati la decisione sul riconoscimento, concentrandosi sull’avvio di un gruppo di contatto.

    Una nota di Palazzo Chigi ha rivendicato al governo Lega-M5s di non aver «mai» riconosciuto le elezioni presidenziali dello scorso maggio (da cui Maduro è uscito vittorioso) e ha sottolineato «la necessità di indire quanto prima nuove elezioni presidenziali». Secondo il premier Giuseppe Conte «l’Italia, in qualità di membro del Gruppo di contatto istituito in occasione della riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione europea a Bucarest, è a favore di ogni iniziativa diplomatica che favorisca un sollecito, trasparente e pacifico percorso democratico ed eviti lo stallo nel Paese nel primario interesse di tutto il popolo venezuelano e della numerosa comunità italiana che vi risiede».

  • In attesa del reddito di cittadinanza, il governo Conte regala agli italiani maggiori spese per 914 euro nel 2019

    Altro che reddito di cittadinanza, la cittadinanza italiana sotto il governo di M5s e Lega si paga caro, lamenta il Codacons segnalando che per il nuovo anno ogni famiglia italiana dovrà affrontare maggiori esborsi in media pari a 914 euro. Il 2019 si aprirà con gli aumenti delle tariffe autostradali decisi dal governo che avranno un effetto diretto per gli utenti stimabile in 45 euro a nucleo familiare, mentre le multe stradali dovrebbero salire del 2,2%, con un aggravio di spesa di 6 euro a famiglia. Le bollette per luce e gas dovrebbero rincarare di 62 euro a famiglia, in virtù dell’andamento dei prezzi del petrolio, e per fare il pieno all’auto ogni famiglia spenderà mediamente 149 euro in più, mentre le polizze Rc dovrebbero rincarare di 18 euro e i trasporti con mezzi diversi dalla propria vettura di 67 euro. La vera botta arriverà però per gli acquisti al dettaglio e anzitutto per gli alimentari, con esborsi mediamente superiori rispettivamente di 211 e 185 euro, sempre che l’inflazione non aumenti rispetto ai livelli attuali.

    I maggiori costi per un nucleo familiare, calcola ancora il Codacons, potrebbero superare i 3.400 euro ove nel corso del 2019 si procede all’acquisto di una automobile nuova (tale maggior esborso va addebitato all’Ecotassa varata dal governo che colpirà le vetture con emissioni dai 161 grammi/km di CO2 in su).

  • La vera strategia dei “mancati perdenti”

    I risultati elettorali delle ultime legislative hanno dato vita, come nella migliore tradizione della politica italiana, ad una situazione drammaticamente grottesca. Dal 5 marzo si inseguono sui media italiani analisi, ipotesi ed elucubrazioni circa le probabilità di raggiungere un’intesa di governo, con un ingiustificato ottimismo fondato unicamente sulla sottovalutazione di oggettivi impedimenti, che appaiono invece del tutto insuperabili. Dopo la prima tornata di consultazioni del Presidente della Repubblica, perfino davanti al sostanziale nulla di fatto e a fronte dell’acuirsi delle polemiche tra i partiti, incredibilmente risultavano in netta maggioranza i commentatori che giudicavano in positivo l’evoluzione della trattativa. Su cosa si poggi questa convinzione rimane un mistero. Quali sono invece razionalmente le posizioni in campo e, soprattutto qual è la vera strategia di quelli che, in maniera impropria, vengono definiti vincitori e che sarebbe più corretto definire “mancati perdenti”, in modo da distinguerli dai veri sconfitti che sono nell’ordine PD, F.I., LEU e FdI?

    In Italia, a causa del lungo processo di logoramento della credibilità della politica e della progressiva delegittimazione dei partiti, l’errore più grande non poteva essere che quello di adottare una legge proporzionale come il “Rosatellum” che, per natura, polverizza il voto e impedisce di individuare un vincitore, lasciando il campo ai partiti per tessere le intese post-voto. Uno scenario ben conosciuto e non a caso volutamente respinto con il referendum del 1993 dagli italiani, che è stato reintrodotto irresponsabilmente dai quattro partiti (PD, F.I., Lega e AP) proprio per avere le mani libere sia per la nomina dei parlamentari, che per gli inciuci nelle trattative del nuovo governo. Una legge in perfetto stile “I Repubblica”, che non aveva mai funzionato a favore degli interessi dei cittadini ma solo dei politici, già ai suoi tempi e che oggi non poteva che fallire, proprio per l’evanescenza dei partiti, che non hanno più l’autorità della identità ideologica. Ai partiti oggi non rimane per identità che la miseria dei punti di un programma, avendo persino mortificato il diritto del popolo di scegliere i propri rappresentanti. Cosa resta quindi della sovranità dei cittadini almeno in riferimento al rispetto degli indirizzi generali per cui hanno votato? Appunto solo il programma elettorale, che diventa così una sorta di camicia di forza inderogabile, salvo correre il rischio di essere tacciati dai propri elettori di tradimento, determinando, come sostiene Travaglio, il rischio per un movimento come i 5stelle in caso di alleanza con la Lega, di venire assaliti con i forconi dai propri militanti. Ecco, quindi, il problema: come si può fare un accordo tra partiti diversi sulla base di programmi elettorali confliggenti? Semplicemente non si può, perché nessun partito può correre il rischio di essere accusato di avere tradito i propri elettori. Ma diventa impossibile fare accordi anche tra programmi apparentemente vicini, perché la semplice sommatoria dei costi, anche solo dei punti principali e qualificanti rende economicamente incompatibile qualunque ipotesi di alleanza, perché i programmi sono stati redatti in maniera scriteriata e con l’unico obiettivo di acquisire consenso, con obiettivi demagogici e irrealizzabili. Qualcuno si è posto per esempio il problema di quantificare il costo della contemporanea adozione del reddito di cittadinanza dei grillini e dell’abolizione della legge Fornero? E di come renderli compatibili con la già annunciata manovra finanziaria per il 2019, che deve contenere coperture per 30 miliardi a legislazione vigente, di cui oltre la metà solo per scongiurare l’aumento delle aliquote Iva? Ecco perché non è difficile, ma è impossibile che si possa raggiungere una qualche forma di accordo tra i “mancati perdenti”, alcuni dei quali ne appaiono ampiamente consapevoli. Per questo se si esaminano i comportamenti finora adottati dal M5S, si evidenzia la sua vera strategia costituita dalla volontà, in questa fase, di non volere andare al governo, ben mascherata dalla tattica di portare avanti una finta trattativa, costituita da timide ed evanescenti aperture parziali a tutti i partiti, condite però con pesanti veti su persone, e quindi boicottando di fatto il tentativo di accordo, nello stesso momento in cui viene offerto, facendo cadere la responsabilità della rottura sugli avversari, messi nelle condizioni di non poterlo accettare, pena la perdita di ogni residua dignità e credibilità. Contemporaneamente, oltre a tentare di arrecare ogni possibile danno, specie al centrodestra, in ordine ai tentati di destabilizzazione della fragile alleanza tra Salvini e Berlusconi, tentare altresì di tesaurizzare, con risultati tangibili, le rendite di posizione che la debolezza e superficialità dei loro avversari gli hanno consentito di ottenere. Quindi, che il M5S non voglia andare al governo in questa fase è chiaro come il sole. L’elemento che ha svelato più di ogni altro questo intendimento è certamente l’atteggiamento usato in occasione della elezione del consiglio di presidenza della Camera dei Deputati, allorquando per avere qualche posto in più ha deciso di mortificare il diritto del PD di avere i rappresentanti spettanti nel prestigioso organo di governo di quel ramo del parlamento. Quindi il M5S, che si trovava nella felice condizione di applicare la strategia che per cinquant’anni ha mantenuto la DC al potere e cioè quella dei “due forni”, vi ha rinunciato per la miseria di qualche posto in più in un organo di rappresentanza e ha deciso di mortificare il suo più probabile potenziale alleato per una possibile coalizione di governo? Se così fosse, e non invece per sabotare scientemente sin dall’inizio ogni possibile alleanza con il PD, sarebbe stata una scelta davvero stupida e autolesionista. E poi, come se non bastasse tale schiaffo, Di Maio ha confermato la strategia di volontario boicottaggio degli accordi, ponendo il veto a Renzi e Berlusconi, e successivamente ha dettato le sue condizioni al Capo dello Stato dando per scontato il suo diritto alla nomina a premier e alla pedissequa attuazione del suo programma, senza sostanziali spazi di trattativa. Quindi il primo partito d’Italia, che ha solo il 32% dei consensi, invece di ricercare le soluzioni per trovare il 19% mancante, ha trattato tutti con sufficienza e arroganza al punto che anche il più arrendevole e accattone politicante da strapazzo avrebbe difficoltà ad aderire ad una alleanza dove non è prevista neanche la più elementare forma di rispetto e perfino di  educazione. La logica dei veti, in particolare, appare funzionale solo a costruire rotture e non solo per l’aspetto formale, ma anche sostanziale ben sapendo la inutilità di qualunque accordo con il PD senza Renzi, che notoriamente da solo controlla la maggioranza del gruppo al Senato e, dall’altro lato, l’impossibilità per Salvini di esporsi all’indebolimento di lasciare Berlusconi, perché perderebbe più della metà della propria coalizione e si esporrebbe alla critiche di tradimento anche tra i suoi elettori, pagando un prezzo altissimo e senza alcuna evidente contropartita. Da parte sua al M5S basterebbe solo tesaurizzare le posizioni di potere già acquisite presso la Camera dei Deputati per portare avanti qualche manovra ai limiti della costituzionalità, ma di grande impatto propagandistico, come l’abolizione dei vitalizi, che potrebbe consentire al movimento di affermare che laddove è riuscito a raggiungere le leve del potere, ha coerentemente attuato il programma e che, per il resto, gli altri gli hanno impedito l’accesso a Palazzo Chigi. L’obiettivo finale a questo punto appare fin troppo chiaro, non potendo andare al voto subito i grillini “subirebbero” un governo comunque sia degli altri, meglio se minoritario, destinato a trascinarsi stancamente per tutto il 2018, sperando di andare al voto, con o senza la nuova legge elettorale ai primi dell’anno prossimo, probabilmente rinforzati e con la concreta speranza di conseguire la maggioranza assoluta e avere finalmente la situazione sotto controllo. Questa strategia tra l’altro impedirebbe la cosa che più teme il M5S e cioè la messa a nudo della inattuabilità di gran parte del suo farneticante programma politico, che in un governo di coalizione verrebbe immediatamente messo in discussione dagli alleati. Se questa è la strategia dei cinque stelle, l’unica contromossa intelligente è vedere il bluff, capovolgere la situazione e offrire al M5S stelle la disponibilità a “subire” un loro governo di minoranza, anche con la “non sfiducia” e senza chiedere nulla in cambio, aspettando semplicemente che porti il suo programma nell’articolazione legislativa dei vari punti all’attenzione delle Camere, dell’opinione pubblica e dell’UE e sollecitando unicamente l’impegno di eliminare il Rosatellum, per approvare tutti insieme al suo posto una legge elettorale che consenta ai cittadini finalmente di scegliere i propri rappresentanti e un vincitore certo la stesa sera della chiusura delle urne. La legge c’era e solo l’arroganza delle oligarchie dei partiti ne ha determinato la sostituzione e si chiamava Mattarellum, che è l’unica norma che non solo consente agli elettori la scelta vera dei propri rappresentanti, ma anche la piena rappresentanza dei vari territori, molti dei quali oggi non hanno nessuno a cui rivolgersi, che riduce la possibilità dei “paracadutati” e garantisce anche con la quota proporzionale limitata a un massimo del 25% di avere il sacrosanto diritto di tribuna ai piccoli partiti. Se i partiti avessero un minimo di senso di responsabilità, sarebbero arrivati da soli a queste conclusioni e già oggi si potrebbe ragionare in prospettiva di una rinascita del senso civico nazionale, che faccia giustizia di tutti gli atteggiamenti ispirati al risentimento, che tanto danno hanno arrecato al nostro Paese. Una riforma elettorale essenziale per una diversa modalità di esercizio della politica, che non può prescindere dal rapporto elettori-eletti e dal diritto di scelta che una democrazia compiuta deve garantire ai propri cittadini quale viatico ed elemento fondamentale per il recupero del grande valore, assente purtroppo dagli intendimenti dei protagonisti dello scenario politico nazionale e cioè la effettiva “tutela del bene comune”, che tutti i partiti hanno da tempo cinicamente sacrificato ai loro inconfessabili egoismi e la cui mancanza è alla base della fallimentare gestione della “Cosa Pubblica” nel nostro Paese. E’ su questo che bisognerebbe che i cittadini rivolgessero la loro attenzione, finora distolta dal rancore, che non è mai stato un buon consigliere.

    Nicola Bono – già parlamentare e sottosegretario ai beni e alle attività culturali

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