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  • Helsinki ha avviato la costruzione del muro con la Russia

    La data del 24 febbraio 2022 è uno spartiacque da cui non si tornerà indietro facilmente. Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ripete spesso i concetti ma al summit delle nazioni nordiche – organizzato quest’anno a Helsinki – ha voluto essere di una chiarezza cristallina: «Nemmeno la fine della guerra in Ucraina – ha avvertito – prevede un ritorno alla normalità nelle relazioni con la Russia». Perché lo scenario della sicurezza europea è «radicalmente mutato». La premier Sanna Marin, da padrone di casa, annuisce convinta. E non a caso la Finlandia ha appena dato il via ai lavori di costruzione del ‘muro’ lungo i confini con la Russia.

    La frontiera russo-finlandese, infatti, si estende per 1.300 chilometri ed è destinata a diventare uno dei punti caldi della nuova guerra fredda ora che Helsinki ha deciso di entrare nella Nato. Certo, blindarla tutta è impossibile. Ma il governo a novembre aveva presentato un piano per mettere in sicurezza i confini con una recinzione di circa 200 chilometri. Adesso si parte, con la rimozione degli alberi su entrambi i lati del valico di frontiera di Imatra e un primo troncone di tre chilometri di recinto per testarne la resistenza alle gelate invernali (o un eventuale massiccio afflusso di persone da est). Questa prima parte di muro di prova dovrebbe essere pronta a giugno. I cantieri poi continueranno e tra il 2023 e il 2025 saranno istallati ulteriori 70 chilometri di recinzione, principalmente nel sud-est del paese nordico – il progetto prevede reti di oltre tre metri con filo spinato, telecamere per la visione notturna, luci e altoparlanti.

    «Abbiamo dovuto prendere decisioni difficili, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia era chiaro che lo status quo per Finlandia e Svezia non era più sostenibile», ha sottolineato Marin augurandosi che il processo di ratifica d’ingresso nella Nato del suo Paese da parte di Ungheria e Turchia si concluda «il prima possibile». Stoltenberg, interpellato più volte dai giornalisti sul punto, ha detto che «sono stati fatti dei progressi» e che ora è arrivato il momento di chiudere la partita, dato che Finlandia e Svezia «hanno rispettato» le clausole del memorandum firmato con la Turchia. L’obiettivo è quello di concludere le procedure in tempo per il summit di Vilnius dei leader dell’Alleanza, in calendario a luglio. Così facendo, il quadrante nord sarà definitivamente in sicurezza. «La Nato è l’unico confine che la Russia non osa varcare», ha tagliato corto Marin.

    Nel mentre, concordano i Paesi nordici, bisogna fare il possibile per aiutare Kiev a resistere all’assalto russo. “Quando la guerra finirà, dobbiamo essere sicuri che la storia non si ripeta e che Putin non possa invadere l’Ucraina un’altra volta», ha notato Stoltenberg parlando della necessità di rafforzare le capacità di autodifesa di Kiev. «Gli alleati – ha chiarito – hanno stabilito che il futuro dell’Ucraina è nella Nato ma si tratta di una prospettiva di lungo termine». Ecco perché, in generale, non si può tornare indietro e serve «spendere di più in difesa», anche a costo di altre voci importanti come «salute e istruzione». «Non c’è nulla di più cruciale della nostra sicurezza».

  • Aspettando l’alba di un giorno migliore

    Vi sono due tipi di muri, i muri che vedi, che tocchi, che puoi abbattere con la forza, con la politica, con il consenso popolare, muri che lasciano calcinacci come ricordi e souvenir, che non tengono a mente le ferite che gli uomini, divisi da pietre e mattoni, hanno dovuto sopportare. E vi sono i muri invisibili, quelli che impediscono alle coscienze di avere ragione degli odi e delle paure, i muri che impediscono l’empatia, la comprensione dell’altro e spesso anche di noi stessi, muri di pregiudizi e di incomunicabilità, di rifiuto e di indifferenza.
    Oggi vi sono molti muri  in Europa, di cemento e di filo spinato, che chiudono fuori e chiudono dentro, dalla Spagna alle Repubbliche baltiche, dalla Bulgaria a Cipro, e molti muri incombono nelle ex repubbliche sovietiche, negli Stati Uniti, nel continente africano, in Asia, in sud America, muri costruiti e in via di costruzione, muri che credono di poter impedire il propagarsi di una società mondializzata ma che si è dimostrata incapace di darsi regole comuni e di adottare strumenti per farle rispettare.
    Nel ricordare la caduta del muro di Berlino come giorno simbolo di un mondo che avrebbe dovuto provare a vivere nelle libertà e nella giustizia non possiamo dimenticare il pericolo di un muro invisibile che oggi mina la serena convivenza usando come strumento quella tecnologia che doveva essere il miglior veicolo di comunicazione e conoscenza. Troppe oramai le persone  che, una di fronte all’altra, non riescono più a parlarsi, ognuno rimane chiuso nel suo mondo, ognuno è concentrato  a mandare foto e commenti a chi è lontano e spesso sconosciuto e si è diventati incapaci di scambiare idee, parole, sentimenti  con chi è di fronte. Anche capi di Stato, uomini di governo ormai lanciano minacce o fanno  conoscere decisioni importanti, mai purtroppo ponderate  a sufficienza, con un massaggino.
    9 novembre 1989 abbiamo visto il tramonto di un mondo peggiore ma stiamo ancora aspettando l’alba di un giorno migliore.

  • Per trovare la sua ‘quadra’ la Ue deve pensare anche a Cipro

    Mentre i governi dei Paesi della Ue si stanno febbrilmente consultando e scontrando sui nomi dei futuri commissari e aleggia, costante e incombente, il problema dell’immigrazione visto che addirittura vi è stata una denuncia, proprio contro l’Unione europea, al tribunale dell’Aja, la stessa Europa si trova, sul tema appunto dei migranti, a dovere dare conto dell’enorme quantità di denaro dato alla Turchia senza aver effettivamente verificato l’utilizzo di tale denaro a favore degli immigrati. Ma il problema Turchia non è rappresentato soltanto da questo, consiste anche nella situazione dell’isola di Cipro, che è membro della Ue, divisa dal 1974 tra Nord e Sud da un muro, da un filo spinato. La stessa capitale Nicosia è divisa da muraglioni di sacchi di sabbia. Da un lato ci sono i turchi, che in quella data l’hanno invasa, e dall’altro i greci-ciprioti. Nicosia sembra una città in guerra, è l’ultima capitale europea divisa in due da un muro. Le due realtà non comunicano con la stessa lingua né possono comunicare telefonicamente perché le due compagnie di telefonia mobile non si riconoscono e non hanno servizi in comune. Case abbandonate e distrutte sono ancora lì a raccontare una ferita non rimarginata e i militari camminano armati dietro al filo spinato: non si può né fotografare né riprendere. Nel 2004 Kofi Annan, segretario dell’Onu, aveva proposto una road map per la riunificazione ma tutto fallì e a nulla approdarono nemmeno i negoziati del 2014-2017.

    Certamente vi sono problemi più impellenti e di più vasta portata che l’Ue deve affrontare, ma anche questo di Cipro non può essere ignorato. Né può essere ignorato che quanto la Turchia ha fatto nel lontano 1974 dimostra ai giorni nostri, con gli atteggiamenti e le iniziative di Erdogan, che vi possono essere ancora pericoli per la stabilità.

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