Aspettando l’alba di un giorno migliore
Vi sono due tipi di muri, i muri che vedi, che tocchi, che puoi abbattere con la forza, con la politica, con il consenso popolare, muri che lasciano calcinacci come ricordi e souvenir, che non tengono a mente le ferite che gli uomini, divisi da pietre e mattoni, hanno dovuto sopportare. E vi sono i muri invisibili, quelli che impediscono alle coscienze di avere ragione degli odi e delle paure, i muri che impediscono l’empatia, la comprensione dell’altro e spesso anche di noi stessi, muri di pregiudizi e di incomunicabilità, di rifiuto e di indifferenza.
Oggi vi sono molti muri in Europa, di cemento e di filo spinato, che chiudono fuori e chiudono dentro, dalla Spagna alle Repubbliche baltiche, dalla Bulgaria a Cipro, e molti muri incombono nelle ex repubbliche sovietiche, negli Stati Uniti, nel continente africano, in Asia, in sud America, muri costruiti e in via di costruzione, muri che credono di poter impedire il propagarsi di una società mondializzata ma che si è dimostrata incapace di darsi regole comuni e di adottare strumenti per farle rispettare.
Nel ricordare la caduta del muro di Berlino come giorno simbolo di un mondo che avrebbe dovuto provare a vivere nelle libertà e nella giustizia non possiamo dimenticare il pericolo di un muro invisibile che oggi mina la serena convivenza usando come strumento quella tecnologia che doveva essere il miglior veicolo di comunicazione e conoscenza. Troppe oramai le persone che, una di fronte all’altra, non riescono più a parlarsi, ognuno rimane chiuso nel suo mondo, ognuno è concentrato a mandare foto e commenti a chi è lontano e spesso sconosciuto e si è diventati incapaci di scambiare idee, parole, sentimenti con chi è di fronte. Anche capi di Stato, uomini di governo ormai lanciano minacce o fanno conoscere decisioni importanti, mai purtroppo ponderate a sufficienza, con un massaggino.
9 novembre 1989 abbiamo visto il tramonto di un mondo peggiore ma stiamo ancora aspettando l’alba di un giorno migliore.