pagamenti

  • Banche e territorio

    Non ha trovato molta eco sui media la notizia che ormai 3.000 comuni in Italia sono privi di uno sportello bancario.

    La chiusura di tante filiali sta creando molti disagi e difficoltà agli abitanti ed aumenta i problemi legati alla sicurezza per chi, per varie ragioni, ha bisogno di contante ed è costretto a ritirarlo in comuni diversi da quello nel quale abita.

    Specie per le persone più anziane o con disabilità questo disservizio diminuisce la loro libertà ed autonomia.

    E’ molto grave la chiusura di tante filiali, dopo che per anni si è presentato l’accorpamento di diversi istituti di credito come un grande progresso che avrebbe portato vantaggi agli utenti, maggiore sicurezza e trasparenza.

    In verità vi sono invece susseguiti diversi licenziamenti, molti disservizi, un sempre più evidente distacco tra i clienti e il personale delle grandi banche. Infatti mentre i costi sono aumentati per gli utenti sono sempre di più diminuiti i servizi, in pratica si paga per utilizzare una cassa automatica e diventa difficile qualunque operazione che necessità di un consiglio, di un aiuto o che esuli da quanto precedentemente predisposto dai sistemi della banca.

    Un esempio? All’UniCredit sostengono che è impossibile per un correntista ottenere un bancomat se non si ha un cellulare dal quale poter firmare il contratto!

    Sempre l’UniCredit a Milano, andrebbe verificato cosa accade in altre città, ha eliminato da quasi tutte le filiali lo sportello di cassa con le evidenti conseguenze negative per i clienti.

    La desertificazione bancaria, come l’ha definita un servizio televisivo, va di pari passo con la disumanizzazione del sistema bancario che si salva solo per alcuni istituti i quali, per la lungimiranza dei loro presidenti, hanno rifiutato gli accorpamenti ed hanno fatto diventare una forza il loro essere banche del territorio.

    Anche qui un esempio: la banca di Piacenza, che restando una banca legata strettamente alla città ed alla sua provincia, ha portato i suoi servizi anche in altri territori quali Milano, Modena e Pavia tenendo sempre fede alla necessità di tenere aperti gli sportelli anche in comuni piccoli.
    Si discute molto sulla necessità di dividere le carriere dei magistrati ma non si parla più, nonostante a suo tempo alcune forze politiche ora al governo avessero sollevato il problema, della urgenza di rendere più chiaro il sistema bancario distinguendo tra banche d’affari e banche di risparmio.

    I cittadini credono ancora, nonostante la comodità per certi aspetti dell’home banking, nelle banche che danno un servizio a tutto campo e creano un rapporto con i loro correntisti, inutile parlare, senza per altro concludere, di tassare i super profitti e ci si occupi invece di controllare che chi paga un servizio lo abbia effettivamente.

    Forse è anche il momento di chiedersi se tutti questi accorpamenti hanno giovato all’utente o solo ad un certo tipo di sistema bancario.

  • La Commissione chiede pareri sugli impegni proposti da Apple

    La Commissione europea invita a presentare osservazioni sugli impegni proposti da Apple per rispondere alle riserve in materia di concorrenza relative alle restrizioni di accesso a una tecnologia standard utilizzata per i pagamenti senza contatto con dispositivi mobili nei negozi (Near-Field Communication — “NFC”).

    La Commissione ha concluso in via preliminare che Apple gode di un potere notevole sul mercato dei dispositivi mobili intelligenti e di una posizione dominante sui mercati dei portafogli mobili. Apple Pay è l’unica soluzione di portafoglio mobile che può accedere su iOS all’hardware e al software necessari (“input NFC”) per consentire pagamenti mobili nei negozi fisici, e Apple non lo mette a disposizione degli sviluppatori di applicazioni di portafogli mobili di terzi.

    Il 2 maggio 2022 la Commissione ha informato Apple del suo parere preliminare secondo cui tale comportamento preclusivo potrebbe limitare la concorrenza sul mercato dei portafogli mobili su dispositivi iOS, in violazione dell’articolo 102 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”).

    Per rispondere alle riserve della Commissione in materia di concorrenza, Apple ha proposto una serie di impegni, che rimarrebbero in vigore per dieci anni.

    La Commissione invita tutte le parti interessate a presentare il loro parere sugli impegni proposti da Apple entro un mese dalla pubblicazione di una sintesi di tali impegni nella Gazzetta ufficiale dell’UE.

  • La Commissione accoglie con favore l’accordo politico sui pagamenti istantanei in euro

    La Commissione accoglie con favore l’accordo politico raggiunto ieri tra il Parlamento europeo e il Consiglio sulla proposta della Commissione di rendere disponibili i pagamenti istantanei in euro a tutti i cittadini e le imprese titolari di un conto bancario nell’UE. Le nuove norme, che aggiornano il regolamento relativo all’area unica dei pagamenti in euro (SEPA) del 2012, mirano a garantire che i pagamenti istantanei siano accessibili, sicuri e trattati senza impedimenti in tutta l’UE. I pagamenti istantanei offrono ai cittadini soluzioni rapide e pratiche nelle situazioni quotidiane, come ricevere rapidamente fondi in caso di emergenza o ripartire in maniera immediata i costi condivisi in vari contesti sociali. Migliorano inoltre la gestione dei flussi di cassa per le pubbliche amministrazioni e le imprese, in particolare le PMI, consentono alle associazioni caritative e alle ONG di accedere rapidamente ai fondi e incoraggiano le banche a sviluppare prodotti e servizi finanziari innovativi.

    I prestatori di servizi di pagamento dei bonifici in euro saranno tenuti a offrire pagamenti istantanei a tutti i clienti, garantendo un costo non superiore a quello dei bonifici tradizionali. Dovranno inoltre verificare che il pagamento sia inviato al beneficiario indicato dal pagatore e segnalare possibili errori o frodi prima di effettuare l’operazione. Le nuove norme inoltre manterranno l’efficacia dello screening per sanzioni mediante una procedura armonizzata. Invece di esaminare le operazioni una per volta, i prestatori di servizi di pagamento istantanei saranno tenuti a effettuare, almeno una volta al giorno, controlli sui clienti sulla base degli elenchi delle sanzioni dell’UE.

  • Oltre 2,8 milioni di italiani frodati con le carte elettroniche

    Una ricerca commissionata da Facile.it agli istituti mUp Research e Norstat censisce in oltre 2,8 milioni gli italiani che, in un anno, hanno subito una truffa nell’ambito delle carte elettroniche. Un pericolo che diventa più reale con l’aumento dello shopping natalizio. Il danno economico medio viene calcolato essere pari a 196 euro. Più di una frode su 3 (37,7%), nel caso delle carte, è passata tramite un’email, mentre il 28,8% attraverso un falso sito web. Il 26,7%, invece, è stata portata a termine con un sms.

    Come si comportano i truffati dopo aver subito una frode legata ad una carta di debito, credito o prepagata? Il 30,8% di chi è caduto in trappola ha deciso di non denunciare; molti (più di 2 su tre) lo hanno fatto per ragioni economiche (il danno era basso o erano sicuri di non recuperare quanto perso), mentre l’11% per motivi di natura psicologica: “si sentivano ingenui per esserci cascati” o “avevano paura di essere scoperti dai familiari”.

    Le vittime predilette dei truffatori nell’ambito delle carte elettroniche sono soprattutto gli uomini (7,2% rispetto al 5,9% del campione femminile), gli appartenenti alla fascia anagrafica 18-24 anni (13,3%) e, a dispetto di quanto si possa pensare, i rispondenti con un titolo di studio universitario (7,1% rispetto al 6,2% rilevato tra i non laureati).

    Per aiutare i consumatori a riconoscere i rischi quando si utilizzano carte elettroniche, Facile.it ha messo nero su bianco 4 regole da seguire per mettersi al riparo dai malintenzionati

    La tecnologia può venire in nostro soccorso. Per tenere sempre sotto controllo i movimenti della carta è possibile attivare le notifiche sms o quelle dell’app della banca così da ricevere un messaggio sul proprio smartphone nel momento in cui viene utilizzata una delle carte collegate al conto. Questo consente, in caso di furto, di intervenire immediatamente.

    L’estratto conto non è da sottovalutare. Il riepilogo delle spese, il cosiddetto estratto conto, è uno strumento molto importante, non solo per monitorare le uscite, ma anche per rilevare eventuali anomalie ed errori di pagamento come ad esempio un doppio addebito. In casi come questo, è bene sapere che normalmente si hanno a disposizione 60 giorni di tempo per disconoscere il pagamento.

    Attenzione ai pagamenti non tracciati. Quando fate acquisti online diffidate da richieste di pagamenti non tracciati come ad esempio la ricarica di una carta prepagata; è proprio questa la modalità preferita dai malfattori. Allo stesso modo, però, è bene fare attenzione anche a quei siti che non permettono metodi di pagamento alternativi alla carta di credito; la verità sta sempre nel mezzo.

    L’antivirus può fare la differenza. Che sia tramite smartphone o computer, quando si opera online è importante dotare il dispositivo di un antivirus così da proteggerlo da eventuali intrusioni. Bisogna evitare, inoltre, di scaricare programmi craccati o illegali perché possono rappresentare un pericolo per la sicurezza del device e per il nostro conto.
    Pin e carte non vanno mai insieme. Per evitare che, una volta sottratta, la carta venga usata liberamente, il consiglio è di non tenere mai il codice di sicurezza nel portafogli insieme alla carta e, in ogni caso, di camuffarlo così da non renderlo riconoscibile.

  • Gli enti di previdenza versano all’Erario 765 milioni di tasse ogni anno

    Conto fiscale ‘salato’ per gli Enti di previdenza privati, cui sono iscritti oltre 1,6 milioni di professionisti e che hanno assommato un patrimonio di più di 100 miliardi di euro: “ogni anno”, infatti, versano all’Erario, complessivamente, “circa 765 milioni di imposte”. A fare i calcoli, annunciando la somma (che si scopre essere ben più elevata di quella trasmessa in precedenza, che era di oltre 500 milioni), è stato il presidente dell’Associazione delle Casse pensionistiche Alberto Oliveti, dal palco del convegno promosso a Roma, dalla Cassa del Notariato. Le imposte sugli investimenti mobiliari del comparto, poi, toccano una percentuale che si attesta mediamente intorno al 91% (equivalente a 695 milioni); a tale valore, ha fatto sapere ancora l’Associazione, va sommato anche l’importo della tassazione che grava sui pensionati delle Casse, che si aggira intorno al miliardo.

    “Noi versiamo nelle casse dello Stato oltre 23 milioni all’anno”, s’è inserito il presidente della Cassa dei notai, Vincenzo Pappa Monteforte, ricordando la “imposizione fiscale che non ha eguali in Europa. Ricordo, infatti, che siamo tassati come speculatori e siamo sottoposti ad una doppia tassazione, un’imposizione che penalizza sia i professionisti sia gli investimenti”, ha aggiunto.

    Il tema è stato affrontato anche dal segretario della Commissione Finanze del Senato Andrea de Bertoldi di FdI: “L’imposizione fiscale sulle Casse rivista. Non è possibile che vengano tassate al 26% (sui rendimenti finanziari, ndr), mentre i fondi pensione, che non erogano previdenza di primo pilastro e welfare assistenziale e lavorativo, sono tassati al 20%. Oltretutto, le Casse si sono sempre rese disponibili a reinvestire i risparmi ottenuti da una tassazione più equa nel sostegno ai propri professionisti iscritti”, ha chiuso il parlamentare.

  • È in arrivo l’euro digitale

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su ItaliaOggi il 4 dicembre 2020

    È in arrivo l’euro digitale. La Bce da tempo lavora per studiarne il metodo di emissione e gestione e ha recentemente pubblicato un rapporto preliminare. In vari paesi europei si stanno portando avanti test per verificare la complessità dell’operazione.

    Nel vecchio continente si preparano anche i sistemi di instant payment, cioè di pagamenti istantanei con disponibilità immediata dei fondi trasferiti, che dovrebbe entrare in funzione entro la fine del 2021.

    Vari passi e consultazioni pubbliche sono stati fatti per ridefinire le regole, i controlli e tutta la relativa legislazione. Anche per attestare alla Bce il potere di sottoporre a controlli i cosiddetti technology providers, coloro che immettono nel sistema le nuove tecnologie fintech relative ai pagamenti e a tutte le altre operazioni finanziarie digitali.

    Del resto non si può ignorare il fenomeno della digitalizzazione del sistema dei pagamenti, a cominciare da quelle degli acquisti dei privati. Nel 2019 le persone adulte della zona euro, in media, hanno compiuto due pagamenti al giorno. In un anno il mondo del retail europeo ha registrato 213 miliardi di operazioni di pagamento per un valore stimato in 164.000 miliardi di euro. Il 73% di tutte le transazioni è stato fatto in cash, pari al 48% del valore in euro, in calo rispetto al 2016, quando i due rapporti erano rispettivamente del 79% e del 54%. Il resto, intorno al 24% del volume e al 41% del valore, è stato fatto con carte di credito.

    Due grandi istituti di servizi finanziari e di emissione di carte di credito, Visa e Mastercard, entrambe con sedi negli Stati Uniti, hanno gestito due terzi di tutti i pagamenti con carte di credito nell’Ue. Le due, più la società americana PayPal, che offre servizi di pagamento digitale e di trasferimento di denaro tramite internet, dominano completamente il sistema dei pagamenti online in Europa.

    Appare, perciò, doveroso per la Bce e per il Sistema europeo delle banche centrali entrare in campo direttamente nei settori dei pagamenti digitali. Stare alla finestra e guardare come il digitale sta rivoluzionando il mondo dei pagamenti e, in generale della finanza, vorrebbe dire rimanere all’ultimo posto della fila, buono soltanto a gestire eventuali danni e crisi provocate dai grandi operatori finanziari internazionali.

    L’euro digitale sarebbe il primo passo, forse il più importante. Con esso l’Eurosystem assicurerebbe ai cittadini europei l’accesso a soluzioni efficienti di pagamento, garantendo al tempo stesso che le transazioni siano sicure. Esso affiancherebbe l’euro, nella forma tradizionale di moneta, mantenendo inalterata la sovranità monetaria. Si ricordi che le banche centrali di tutti i paesi del mondo stanno creando proprie monete digitali, o già operano con esse, In ogni caso l’Europa ne verrebbe invasa e fortemente influenzata e destabilizzata.

    Questi movimenti monetari digitali internazionali rischierebbero di rendere vani tutti gli strumenti di controllo e di regole costruiti dalla Bce. Soprattutto perché gli istituti, che dominano il sistema dei pagamenti digitali, sono i leader mondiali nello sviluppo di queste tecnologie e stanno diventando anche i primi operatori dei finanziamenti e del credito. Ciò renderebbe l’Europa vulnerabile e dipendente in un settore tecnologico chiave e sarebbe incapace di gestire moneta e credito, che fino a oggi avviene attraverso il sistema delle banche tradizionali.

    Si tenga presente che oggigiorno la quantità di banconote in circolazione nell’area euro ammonta a circa 3.000 pro capite, per un totale di 1.200 miliardi. Si ipotizza una cifra simile di euro digitali che la Bce potrebbe mettere a disposizione, soltanto come mezzo di pagamento, praticamente a costo zero. La Bce deve, però, studiare come evitare che esso diventi una forma d’investimento in concorrenza con altri strumenti finanziari. La Banca centrale non vorrebbe, pare, acquisire depositi in euro digitali. È tutto in discussione. È anche da definire se i pagamenti con la moneta digitale saranno fatti attraverso i conti tenuti presso la banca centrale oppure in altri modi, direttamente tra chi paga e chi riceve.

    L’euro digitale potrebbe diventare accessibile anche fuori dall’eurozona. D’altra parte, si ricordi che già nel 2016 il 30% di tutto il cash in euro circolante era detenuto fuori dai confini europei.

    Uno degli aspetti rilevanti dell’operazione riguarda anche il futuro delle banche e del sistema bancario europeo. Un effetto evidente sarebbe la diminuzione dei depositi dei cittadini e delle imprese e quindi la riduzione di tutta una serie di attività a essi correlate. Ci si chiede, tra l’altro, se la Bce dovrà continuare, oltre i tempi di ripresa dalla Grande Crisi e dal Covid, con le varie operazioni di quantitative easing per sopperire alla mancanza di asset da parte delle banche.

    Inevitabilmente la discussione riguarda anche l’infrastruttura e i principi su cui si basano le banche centrali, come la definizione dei tassi di interesse e dei livelli di moneta in circolazione.

    L’euro digitale, così come le altre monete digitali create dalle banche centrali, avrebbe un valore fisso, sarebbe accessibile universalmente e sarebbe uno strumento valido e legale in tutte le transazioni. Caratteristiche che lo rendono completamente differente rispetto alle monete virtuali create da enti privati. E, naturalmente, manterrebbe la sovranità monetaria dell’Unione europea. Tutte scelte non facili ma il cammino sembra tracciato.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Il 78% delle aziende europee concede dilazioni nei pagamenti a causa del coronavirus

    La maggior parte delle aziende europee, il 78%, a fronte del 59% nel 2019, ha accettato termini di pagamento più lunghi per portare avanti la propria attività dopo l’emergenza coronavirus. Una percentuale che scende al 61% in Italia. A rivelarlo sono i dati dello Epr White Paper (European  Payment Report White Paper), una survey condotta da Intrum, operatore europeo dei credit service, intervistando le posizioni apicali di 9.980 aziende in 29 Paesi europei e di 11 settori industriali, sia nella fase pre Covid-19 (febbraio 2020) che durante (maggio 2020).

    Tra i settori in cui in Europa vengono accettate più dilazioni ci sono energia, minerario e utility (86%), farmaceutica, medicina e biotecnologie (85%), con tecnologie, media e telecomunicazioni (83%). In Italia il 61% che accetta di ritardare lo fa per un’unica ragione: non rovinare il rapporto col cliente. Nel 2019 il 33% aveva accettato pagamenti più lunghi dalle multinazionali, il 51% dalle piccole e medie aziende e il 24% del settore pubblico, mentre il 16% non ne aveva accettati.

    Le dilazioni però non piacciono, non solo in Italia, infatti in Europa quasi la metà delle aziende vorrebbe che le aziende stesse si organizzassero per prendere iniziative contro i pagamenti in ritardo (+15% rispetto al 2019). In Italia però si crede meno in un impegno comune delle aziende in tale direzione: solo il 29% si aspetta iniziative comuni contro i ritardati pagamenti, mentre il 54% crede che sia lo Stato a doversene fare carico. Cresce intanto l’adozione della direttiva sui ritardati pagamenti, che permette alle aziende di applicare un tasso d’interesse e un minimo di 40 euro per i costi di recupero del credito: il 23% delle aziende europee dice di applicarla (8% dello scorso anno), mentre il 57% no (37% nel 2019). In Italia il 44,5% la applica qualche volta, il 12% sempre e il 28,5% mai.

  • Aumentano i terminali Pos per pagamenti elettronici: 2,17 milioni prima del coronavirus

    Nel 2019 il numero di terminali Pos per l’accettazione dei pagamenti con carta in Italia raggiunge circa 2,17 milioni (in crescita rispetto ai 2,08 dello scorso anno) e nel 90% dei casi sono abilitati all’accettazione del contactless. Lo evidenzia l’ultima edizione dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano. Anche gli Smart Pos fanno registrare i primi volumi rilevanti: sono oltre 15.000 i terminali installati che transano oltre 1,1 miliardi di euro. Rimangono però ancora da sviluppare pienamente, osservano i ricercatori del Politecnico di Milano, i marketplace di applicazioni a corredo del servizio che possono essere fruite dai commercianti. I Mobile Pos, terminali collegati via bluetooth o ingresso audio allo smartphone dell’esercente, raggiungono quota 280.000 nel 2019, in crescita del 50% rispetto al 2018. Si tratta di un aumento importante rispetto a quello degli scorsi anni, dovuto da un lato alla maggior consapevolezza degli esercenti più piccoli e dei liberi professionisti riguardo all’obbligo e alla necessità di doversi dotare di un terminale per accettare pagamenti con carta (i consumatori spesso dovranno pagare in elettronico per ottenere le detrazioni fiscali), dall’altro a un’azione commerciale e di promozione importante messa in campo da alcuni player nell’ultimo anno. Il transato totale, oltre 2,2 miliardi di euro nel 2019 (8.000 euro annui per terminale), dimostra come si tratti, comunque, di dispositivi utilizzati da business con bassa frequenza di acquisti con carta. Sono ancora in fase di test, invece, le soluzioni “Soft Pos” o “Tap on phone” che consentirebbero ai commercianti, senza alcun dispositivo aggiuntivo, di accettare dei pagamenti contactless direttamente dal proprio smartphone (se opportunamente dotato di antenna Nfc) e che potrebbero essere molto efficaci nell’avvicinare ai pagamenti digitali i piccoli commercianti in tutto il mondo.

    ”Se in un primo momento le banche del mondo occidentale avevano iniziato ad offrire soluzioni Nfc in autonomia tramite sistemi Cloud all’interno dei propri Wallet o delle proprie app bancarie – si legge nell’Osservatorio – ad esempio, le stesse hanno poi privilegiato soluzioni terze offerte in partnership con i grandi attori tecnologici basate sull’hardware del device o sui sistemi operativi. La collaborazione, per ora, risulta vincente per tutti: da un lato le banche offrono ai loro clienti servizi di pagamento facili da utilizzare, dall’altro i produttori di device hanno fidelizzato i propri clienti o ottenuto nuovi ricavi derivanti dalle fee applicate ai pagamenti”. “Dal lato della user experience, qualsiasi oggetto connesso e intelligente già oggi può potenzialmente abilitare un pagamento: oggetti indossabili, elettrodomestici, altoparlanti, automobili. In questi casi, saranno i produttori a giocare un ruolo fondamentale nei prossimi anni, realizzando applicazioni ad hoc per integrare i diversi sistemi di pagamento”, dice Ivano Asaro, direttore dell’Osservatorio Innovative Payments. “Per quanto riguarda i sistemi ‘invisibili’ in grado di evitare il classico passaggio alla cassa in negozio utilizzando telecamere per il riconoscimento facciale o autorizzando le transazioni con altri parametri biometrici (come l’impronta digitale) già testati in alcuni casi tra Cina, Stati Uniti e Russia, in Europa si è ancora alle fasi di sperimentazione; Le difficoltà maggiori, oltre alla necessità di costruire una nuova infrastruttura di lettori, sono da imputare anche a problematiche di privacy e di sicurezza dei dati sensibili  utilizzati, ma si sta già lavorando per creare standard nazionali ed internazionali che abilitino queste tipologie di pagamento”, conclude.

  • Facebook testa in Brasile i pagamenti via Whatsapp

    WhatsApp ha lanciato ufficialmente il suo sistema di pagamenti tramite app. Si comincia dal Brasile ma presto il sistema verrà esteso ad altri Paesi, ha annunciato Mark Zuckerberg. Dal 15 giugno il servizio di messaggistica di proprietà di Facebook mette a disposizione degli utenti brasiliani un servizio di pagamenti e scambio di denaro. Saranno loro quindi i primi tester della nuova tecnologia. “Stiamo rendendo l’invio e la ricezione di denaro facile come la condivisione delle foto”, ha scritto il fondatore di Facebook sul suo profilo ufficiale. “Stiamo anche consentendo alle piccole imprese di effettuare le vendite direttamente all’interno di Whatsapp”, ha aggiunto.

    Lo scambio di denaro su Whatsapp, che attualmente conta circa 2 miliardi di utenti nel mondo, userà la tecnologia già sviluppata da Facebook Pay, in uso dallo scorso novembre in alcuni Paesi tra cui Stati Uniti e Gran Bretagna. “Voglio ringraziare tutti i nostri partner per aver reso possibile tutto questo”, ha aggiunto Zuckerberg. “Stiamo lavorando con le banche locali, tra cui Banco do Brasil, Nubank, Sicredi e Cielo, il principale processore di pagamenti per i commercianti in Brasile. Il Brasile è il primo Paese in cui stiamo estendendo ampiamente i pagamenti in WhatsApp. Ne arriveranno presto altri”, ha annunciato nel post.

    In un blogpost sul proprio sito ufficiale, Whatsapp precisa inoltre che il servizio di pagamento sarà gratuito per i consumatori (non richiederà quindi commissioni), ma le aziende pagheranno una tassa pari al 3,99 percento di ogni pagamento ricevuto. Prima di lanciare ufficialmente in Brasile, Facebook ha provato a testare Whatsapp pay in India, ricevendo però diversi freni dalle autorità locali.

  • Bilanci al tempo del corona virus

    In questo periodo, normalmente, le società di capitali sono impegnate nel processo di formazione del progetto di bilancio che verrà sottoposto all’approvazione dell’assemblea dei soci.

    Tipicamente sono molteplici le attività da completare che comportano interazioni tra diverse funzioni aziendali e che coinvolgono persone interne e consulenti esterni. Tutto questo articolato meccanismo viene sicuramente complicato e rallentato, per non dire ingessato, dall’emergenza sanitaria conseguente alla diffusione pandemica del virus Covid-19.

    L’ufficio amministrativo deve effettuare riconciliazioni dei saldi contabili, controlli, scritture di assestamento e di rettifica di fine anno. Gli amministratori sono chiamati a delicate valutazioni. Tutto questo processo, normalmente, si svolge con frequenti contatti tra le persone interessate e riunioni per programmare le attività e condividere i risultati.

    Le recenti disposizioni di restrizione ai movimenti delle persone e gli inviti ad evitare riunioni in presenza hanno notevolmente rallentato e complicato il processo di formazione del progetto di bilancio.

    Se è vero che molte attività possono essere svolte “a distanza” con l’utilizzo delle nuove tecnologie che consentono video-conferenze e smart working, è altrettanto vero che molte aziende non erano del tutto attrezzate e strutturate per affrontare un isolamento totale come quello imposto dalle recenti disposizioni legislative.

    Si aggiunga che tutto il processo che porta all’approvazione del bilancio è scandito dal rispetto di precisi termini: almeno 30 giorni prima dell’assemblea gli amministratori devono comunicare all’organo di controllo, o al revisore legale, il progetto di bilancio; almeno 15 giorni prima dell’assemblea tutti i documenti che compongono il fascicolo di bilancio devono essere depositati presso la sede sociale a disposizione di ciascun socio.

    Andando a ritroso, quindi, poiché l’assemblea può essere indetta entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale (quest’anno 29 aprile essendo un anno bisestile), il progetto di bilancio dovrà essere redatto dagli amministratori e comunicato all’organo di controllo entro il 30 marzo e entro il 14 aprile i documenti dovranno essere depositati presso la sede sociale.

    Ben si comprende, quindi, che tutto il sistema di formazione cade in piena emergenza sanitaria e potrebbe essere verosimile che alcune società, per non dire molte, possano incontrare difficoltà oggettive a rispettare i tempi previsti.

    In tal senso, molti operatori hanno già sollecitato il Governo affinchè vari una proroga straordinaria dei termini. Proroga che dovrebbe essere stata recepita nel decreto firmato ieri (16 marzo) e in fase di pubblicazione. Le indiscrezioni parlano della possibilità di indire l’assemblea entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio (28 giungo 2020) e di agevolazioni per intervenire mediante mezzi di telecomunicazione e esprimere il voto in via elettronica.

    Per quanto auspicabile e ormai scontata la proroga ex lege, personalmente riterrei comunque applicabile alla generalità delle società che abbiano previsto l’evenienza nel proprio statuto, il 2 comma dell’art 2364 che stabilisce la possibilità di approvare il bilancio nel maggior termine non superiore a 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio laddove la società sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato ovvero quando lo richiedano particolari esigenze connesse alla struttura e all’oggetto sociale.

    In proposito, le esigenze connesse alla struttura ben si attagliano all’emergenza sanitaria del momento che ha imposto modifiche al processo lavorativo e quindi alla struttura amministrativa, privilegiando il lavoro agile, le riunioni non in presenza e la limitazione agli spostamenti.

    Il consiglio è comunque quello di non approfittare senza motivo della proroga, sia per le possibili responsabilità degli amministratori per la tardiva convocazione dell’assemblea, laddove la proroga non fosse disposta per legge, sia per le ripercussioni che la dilatazione del processo di approvazione del bilancio comporta ritardando la capacità di rendere la necessaria informativa a tutti gli stakeholders e per i processi collegati. Si pensi, ad esempio, alla distribuzione di dividendi, all’informativa alle banche per il rinnovo dei fidi, alla disponibilità del bilancio per l’accesso a bandi e gare di appalto o per la fruizione di agevolazioni.

Pulsante per tornare all'inizio