pagamenti

  • Oltre 2,8 milioni di italiani frodati con le carte elettroniche

    Una ricerca commissionata da Facile.it agli istituti mUp Research e Norstat censisce in oltre 2,8 milioni gli italiani che, in un anno, hanno subito una truffa nell’ambito delle carte elettroniche. Un pericolo che diventa più reale con l’aumento dello shopping natalizio. Il danno economico medio viene calcolato essere pari a 196 euro. Più di una frode su 3 (37,7%), nel caso delle carte, è passata tramite un’email, mentre il 28,8% attraverso un falso sito web. Il 26,7%, invece, è stata portata a termine con un sms.

    Come si comportano i truffati dopo aver subito una frode legata ad una carta di debito, credito o prepagata? Il 30,8% di chi è caduto in trappola ha deciso di non denunciare; molti (più di 2 su tre) lo hanno fatto per ragioni economiche (il danno era basso o erano sicuri di non recuperare quanto perso), mentre l’11% per motivi di natura psicologica: “si sentivano ingenui per esserci cascati” o “avevano paura di essere scoperti dai familiari”.

    Le vittime predilette dei truffatori nell’ambito delle carte elettroniche sono soprattutto gli uomini (7,2% rispetto al 5,9% del campione femminile), gli appartenenti alla fascia anagrafica 18-24 anni (13,3%) e, a dispetto di quanto si possa pensare, i rispondenti con un titolo di studio universitario (7,1% rispetto al 6,2% rilevato tra i non laureati).

    Per aiutare i consumatori a riconoscere i rischi quando si utilizzano carte elettroniche, Facile.it ha messo nero su bianco 4 regole da seguire per mettersi al riparo dai malintenzionati

    La tecnologia può venire in nostro soccorso. Per tenere sempre sotto controllo i movimenti della carta è possibile attivare le notifiche sms o quelle dell’app della banca così da ricevere un messaggio sul proprio smartphone nel momento in cui viene utilizzata una delle carte collegate al conto. Questo consente, in caso di furto, di intervenire immediatamente.

    L’estratto conto non è da sottovalutare. Il riepilogo delle spese, il cosiddetto estratto conto, è uno strumento molto importante, non solo per monitorare le uscite, ma anche per rilevare eventuali anomalie ed errori di pagamento come ad esempio un doppio addebito. In casi come questo, è bene sapere che normalmente si hanno a disposizione 60 giorni di tempo per disconoscere il pagamento.

    Attenzione ai pagamenti non tracciati. Quando fate acquisti online diffidate da richieste di pagamenti non tracciati come ad esempio la ricarica di una carta prepagata; è proprio questa la modalità preferita dai malfattori. Allo stesso modo, però, è bene fare attenzione anche a quei siti che non permettono metodi di pagamento alternativi alla carta di credito; la verità sta sempre nel mezzo.

    L’antivirus può fare la differenza. Che sia tramite smartphone o computer, quando si opera online è importante dotare il dispositivo di un antivirus così da proteggerlo da eventuali intrusioni. Bisogna evitare, inoltre, di scaricare programmi craccati o illegali perché possono rappresentare un pericolo per la sicurezza del device e per il nostro conto.
    Pin e carte non vanno mai insieme. Per evitare che, una volta sottratta, la carta venga usata liberamente, il consiglio è di non tenere mai il codice di sicurezza nel portafogli insieme alla carta e, in ogni caso, di camuffarlo così da non renderlo riconoscibile.

  • Gli enti di previdenza versano all’Erario 765 milioni di tasse ogni anno

    Conto fiscale ‘salato’ per gli Enti di previdenza privati, cui sono iscritti oltre 1,6 milioni di professionisti e che hanno assommato un patrimonio di più di 100 miliardi di euro: “ogni anno”, infatti, versano all’Erario, complessivamente, “circa 765 milioni di imposte”. A fare i calcoli, annunciando la somma (che si scopre essere ben più elevata di quella trasmessa in precedenza, che era di oltre 500 milioni), è stato il presidente dell’Associazione delle Casse pensionistiche Alberto Oliveti, dal palco del convegno promosso a Roma, dalla Cassa del Notariato. Le imposte sugli investimenti mobiliari del comparto, poi, toccano una percentuale che si attesta mediamente intorno al 91% (equivalente a 695 milioni); a tale valore, ha fatto sapere ancora l’Associazione, va sommato anche l’importo della tassazione che grava sui pensionati delle Casse, che si aggira intorno al miliardo.

    “Noi versiamo nelle casse dello Stato oltre 23 milioni all’anno”, s’è inserito il presidente della Cassa dei notai, Vincenzo Pappa Monteforte, ricordando la “imposizione fiscale che non ha eguali in Europa. Ricordo, infatti, che siamo tassati come speculatori e siamo sottoposti ad una doppia tassazione, un’imposizione che penalizza sia i professionisti sia gli investimenti”, ha aggiunto.

    Il tema è stato affrontato anche dal segretario della Commissione Finanze del Senato Andrea de Bertoldi di FdI: “L’imposizione fiscale sulle Casse rivista. Non è possibile che vengano tassate al 26% (sui rendimenti finanziari, ndr), mentre i fondi pensione, che non erogano previdenza di primo pilastro e welfare assistenziale e lavorativo, sono tassati al 20%. Oltretutto, le Casse si sono sempre rese disponibili a reinvestire i risparmi ottenuti da una tassazione più equa nel sostegno ai propri professionisti iscritti”, ha chiuso il parlamentare.

  • È in arrivo l’euro digitale

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su ItaliaOggi il 4 dicembre 2020

    È in arrivo l’euro digitale. La Bce da tempo lavora per studiarne il metodo di emissione e gestione e ha recentemente pubblicato un rapporto preliminare. In vari paesi europei si stanno portando avanti test per verificare la complessità dell’operazione.

    Nel vecchio continente si preparano anche i sistemi di instant payment, cioè di pagamenti istantanei con disponibilità immediata dei fondi trasferiti, che dovrebbe entrare in funzione entro la fine del 2021.

    Vari passi e consultazioni pubbliche sono stati fatti per ridefinire le regole, i controlli e tutta la relativa legislazione. Anche per attestare alla Bce il potere di sottoporre a controlli i cosiddetti technology providers, coloro che immettono nel sistema le nuove tecnologie fintech relative ai pagamenti e a tutte le altre operazioni finanziarie digitali.

    Del resto non si può ignorare il fenomeno della digitalizzazione del sistema dei pagamenti, a cominciare da quelle degli acquisti dei privati. Nel 2019 le persone adulte della zona euro, in media, hanno compiuto due pagamenti al giorno. In un anno il mondo del retail europeo ha registrato 213 miliardi di operazioni di pagamento per un valore stimato in 164.000 miliardi di euro. Il 73% di tutte le transazioni è stato fatto in cash, pari al 48% del valore in euro, in calo rispetto al 2016, quando i due rapporti erano rispettivamente del 79% e del 54%. Il resto, intorno al 24% del volume e al 41% del valore, è stato fatto con carte di credito.

    Due grandi istituti di servizi finanziari e di emissione di carte di credito, Visa e Mastercard, entrambe con sedi negli Stati Uniti, hanno gestito due terzi di tutti i pagamenti con carte di credito nell’Ue. Le due, più la società americana PayPal, che offre servizi di pagamento digitale e di trasferimento di denaro tramite internet, dominano completamente il sistema dei pagamenti online in Europa.

    Appare, perciò, doveroso per la Bce e per il Sistema europeo delle banche centrali entrare in campo direttamente nei settori dei pagamenti digitali. Stare alla finestra e guardare come il digitale sta rivoluzionando il mondo dei pagamenti e, in generale della finanza, vorrebbe dire rimanere all’ultimo posto della fila, buono soltanto a gestire eventuali danni e crisi provocate dai grandi operatori finanziari internazionali.

    L’euro digitale sarebbe il primo passo, forse il più importante. Con esso l’Eurosystem assicurerebbe ai cittadini europei l’accesso a soluzioni efficienti di pagamento, garantendo al tempo stesso che le transazioni siano sicure. Esso affiancherebbe l’euro, nella forma tradizionale di moneta, mantenendo inalterata la sovranità monetaria. Si ricordi che le banche centrali di tutti i paesi del mondo stanno creando proprie monete digitali, o già operano con esse, In ogni caso l’Europa ne verrebbe invasa e fortemente influenzata e destabilizzata.

    Questi movimenti monetari digitali internazionali rischierebbero di rendere vani tutti gli strumenti di controllo e di regole costruiti dalla Bce. Soprattutto perché gli istituti, che dominano il sistema dei pagamenti digitali, sono i leader mondiali nello sviluppo di queste tecnologie e stanno diventando anche i primi operatori dei finanziamenti e del credito. Ciò renderebbe l’Europa vulnerabile e dipendente in un settore tecnologico chiave e sarebbe incapace di gestire moneta e credito, che fino a oggi avviene attraverso il sistema delle banche tradizionali.

    Si tenga presente che oggigiorno la quantità di banconote in circolazione nell’area euro ammonta a circa 3.000 pro capite, per un totale di 1.200 miliardi. Si ipotizza una cifra simile di euro digitali che la Bce potrebbe mettere a disposizione, soltanto come mezzo di pagamento, praticamente a costo zero. La Bce deve, però, studiare come evitare che esso diventi una forma d’investimento in concorrenza con altri strumenti finanziari. La Banca centrale non vorrebbe, pare, acquisire depositi in euro digitali. È tutto in discussione. È anche da definire se i pagamenti con la moneta digitale saranno fatti attraverso i conti tenuti presso la banca centrale oppure in altri modi, direttamente tra chi paga e chi riceve.

    L’euro digitale potrebbe diventare accessibile anche fuori dall’eurozona. D’altra parte, si ricordi che già nel 2016 il 30% di tutto il cash in euro circolante era detenuto fuori dai confini europei.

    Uno degli aspetti rilevanti dell’operazione riguarda anche il futuro delle banche e del sistema bancario europeo. Un effetto evidente sarebbe la diminuzione dei depositi dei cittadini e delle imprese e quindi la riduzione di tutta una serie di attività a essi correlate. Ci si chiede, tra l’altro, se la Bce dovrà continuare, oltre i tempi di ripresa dalla Grande Crisi e dal Covid, con le varie operazioni di quantitative easing per sopperire alla mancanza di asset da parte delle banche.

    Inevitabilmente la discussione riguarda anche l’infrastruttura e i principi su cui si basano le banche centrali, come la definizione dei tassi di interesse e dei livelli di moneta in circolazione.

    L’euro digitale, così come le altre monete digitali create dalle banche centrali, avrebbe un valore fisso, sarebbe accessibile universalmente e sarebbe uno strumento valido e legale in tutte le transazioni. Caratteristiche che lo rendono completamente differente rispetto alle monete virtuali create da enti privati. E, naturalmente, manterrebbe la sovranità monetaria dell’Unione europea. Tutte scelte non facili ma il cammino sembra tracciato.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Il 78% delle aziende europee concede dilazioni nei pagamenti a causa del coronavirus

    La maggior parte delle aziende europee, il 78%, a fronte del 59% nel 2019, ha accettato termini di pagamento più lunghi per portare avanti la propria attività dopo l’emergenza coronavirus. Una percentuale che scende al 61% in Italia. A rivelarlo sono i dati dello Epr White Paper (European  Payment Report White Paper), una survey condotta da Intrum, operatore europeo dei credit service, intervistando le posizioni apicali di 9.980 aziende in 29 Paesi europei e di 11 settori industriali, sia nella fase pre Covid-19 (febbraio 2020) che durante (maggio 2020).

    Tra i settori in cui in Europa vengono accettate più dilazioni ci sono energia, minerario e utility (86%), farmaceutica, medicina e biotecnologie (85%), con tecnologie, media e telecomunicazioni (83%). In Italia il 61% che accetta di ritardare lo fa per un’unica ragione: non rovinare il rapporto col cliente. Nel 2019 il 33% aveva accettato pagamenti più lunghi dalle multinazionali, il 51% dalle piccole e medie aziende e il 24% del settore pubblico, mentre il 16% non ne aveva accettati.

    Le dilazioni però non piacciono, non solo in Italia, infatti in Europa quasi la metà delle aziende vorrebbe che le aziende stesse si organizzassero per prendere iniziative contro i pagamenti in ritardo (+15% rispetto al 2019). In Italia però si crede meno in un impegno comune delle aziende in tale direzione: solo il 29% si aspetta iniziative comuni contro i ritardati pagamenti, mentre il 54% crede che sia lo Stato a doversene fare carico. Cresce intanto l’adozione della direttiva sui ritardati pagamenti, che permette alle aziende di applicare un tasso d’interesse e un minimo di 40 euro per i costi di recupero del credito: il 23% delle aziende europee dice di applicarla (8% dello scorso anno), mentre il 57% no (37% nel 2019). In Italia il 44,5% la applica qualche volta, il 12% sempre e il 28,5% mai.

  • Aumentano i terminali Pos per pagamenti elettronici: 2,17 milioni prima del coronavirus

    Nel 2019 il numero di terminali Pos per l’accettazione dei pagamenti con carta in Italia raggiunge circa 2,17 milioni (in crescita rispetto ai 2,08 dello scorso anno) e nel 90% dei casi sono abilitati all’accettazione del contactless. Lo evidenzia l’ultima edizione dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano. Anche gli Smart Pos fanno registrare i primi volumi rilevanti: sono oltre 15.000 i terminali installati che transano oltre 1,1 miliardi di euro. Rimangono però ancora da sviluppare pienamente, osservano i ricercatori del Politecnico di Milano, i marketplace di applicazioni a corredo del servizio che possono essere fruite dai commercianti. I Mobile Pos, terminali collegati via bluetooth o ingresso audio allo smartphone dell’esercente, raggiungono quota 280.000 nel 2019, in crescita del 50% rispetto al 2018. Si tratta di un aumento importante rispetto a quello degli scorsi anni, dovuto da un lato alla maggior consapevolezza degli esercenti più piccoli e dei liberi professionisti riguardo all’obbligo e alla necessità di doversi dotare di un terminale per accettare pagamenti con carta (i consumatori spesso dovranno pagare in elettronico per ottenere le detrazioni fiscali), dall’altro a un’azione commerciale e di promozione importante messa in campo da alcuni player nell’ultimo anno. Il transato totale, oltre 2,2 miliardi di euro nel 2019 (8.000 euro annui per terminale), dimostra come si tratti, comunque, di dispositivi utilizzati da business con bassa frequenza di acquisti con carta. Sono ancora in fase di test, invece, le soluzioni “Soft Pos” o “Tap on phone” che consentirebbero ai commercianti, senza alcun dispositivo aggiuntivo, di accettare dei pagamenti contactless direttamente dal proprio smartphone (se opportunamente dotato di antenna Nfc) e che potrebbero essere molto efficaci nell’avvicinare ai pagamenti digitali i piccoli commercianti in tutto il mondo.

    ”Se in un primo momento le banche del mondo occidentale avevano iniziato ad offrire soluzioni Nfc in autonomia tramite sistemi Cloud all’interno dei propri Wallet o delle proprie app bancarie – si legge nell’Osservatorio – ad esempio, le stesse hanno poi privilegiato soluzioni terze offerte in partnership con i grandi attori tecnologici basate sull’hardware del device o sui sistemi operativi. La collaborazione, per ora, risulta vincente per tutti: da un lato le banche offrono ai loro clienti servizi di pagamento facili da utilizzare, dall’altro i produttori di device hanno fidelizzato i propri clienti o ottenuto nuovi ricavi derivanti dalle fee applicate ai pagamenti”. “Dal lato della user experience, qualsiasi oggetto connesso e intelligente già oggi può potenzialmente abilitare un pagamento: oggetti indossabili, elettrodomestici, altoparlanti, automobili. In questi casi, saranno i produttori a giocare un ruolo fondamentale nei prossimi anni, realizzando applicazioni ad hoc per integrare i diversi sistemi di pagamento”, dice Ivano Asaro, direttore dell’Osservatorio Innovative Payments. “Per quanto riguarda i sistemi ‘invisibili’ in grado di evitare il classico passaggio alla cassa in negozio utilizzando telecamere per il riconoscimento facciale o autorizzando le transazioni con altri parametri biometrici (come l’impronta digitale) già testati in alcuni casi tra Cina, Stati Uniti e Russia, in Europa si è ancora alle fasi di sperimentazione; Le difficoltà maggiori, oltre alla necessità di costruire una nuova infrastruttura di lettori, sono da imputare anche a problematiche di privacy e di sicurezza dei dati sensibili  utilizzati, ma si sta già lavorando per creare standard nazionali ed internazionali che abilitino queste tipologie di pagamento”, conclude.

  • Facebook testa in Brasile i pagamenti via Whatsapp

    WhatsApp ha lanciato ufficialmente il suo sistema di pagamenti tramite app. Si comincia dal Brasile ma presto il sistema verrà esteso ad altri Paesi, ha annunciato Mark Zuckerberg. Dal 15 giugno il servizio di messaggistica di proprietà di Facebook mette a disposizione degli utenti brasiliani un servizio di pagamenti e scambio di denaro. Saranno loro quindi i primi tester della nuova tecnologia. “Stiamo rendendo l’invio e la ricezione di denaro facile come la condivisione delle foto”, ha scritto il fondatore di Facebook sul suo profilo ufficiale. “Stiamo anche consentendo alle piccole imprese di effettuare le vendite direttamente all’interno di Whatsapp”, ha aggiunto.

    Lo scambio di denaro su Whatsapp, che attualmente conta circa 2 miliardi di utenti nel mondo, userà la tecnologia già sviluppata da Facebook Pay, in uso dallo scorso novembre in alcuni Paesi tra cui Stati Uniti e Gran Bretagna. “Voglio ringraziare tutti i nostri partner per aver reso possibile tutto questo”, ha aggiunto Zuckerberg. “Stiamo lavorando con le banche locali, tra cui Banco do Brasil, Nubank, Sicredi e Cielo, il principale processore di pagamenti per i commercianti in Brasile. Il Brasile è il primo Paese in cui stiamo estendendo ampiamente i pagamenti in WhatsApp. Ne arriveranno presto altri”, ha annunciato nel post.

    In un blogpost sul proprio sito ufficiale, Whatsapp precisa inoltre che il servizio di pagamento sarà gratuito per i consumatori (non richiederà quindi commissioni), ma le aziende pagheranno una tassa pari al 3,99 percento di ogni pagamento ricevuto. Prima di lanciare ufficialmente in Brasile, Facebook ha provato a testare Whatsapp pay in India, ricevendo però diversi freni dalle autorità locali.

  • Bilanci al tempo del corona virus

    In questo periodo, normalmente, le società di capitali sono impegnate nel processo di formazione del progetto di bilancio che verrà sottoposto all’approvazione dell’assemblea dei soci.

    Tipicamente sono molteplici le attività da completare che comportano interazioni tra diverse funzioni aziendali e che coinvolgono persone interne e consulenti esterni. Tutto questo articolato meccanismo viene sicuramente complicato e rallentato, per non dire ingessato, dall’emergenza sanitaria conseguente alla diffusione pandemica del virus Covid-19.

    L’ufficio amministrativo deve effettuare riconciliazioni dei saldi contabili, controlli, scritture di assestamento e di rettifica di fine anno. Gli amministratori sono chiamati a delicate valutazioni. Tutto questo processo, normalmente, si svolge con frequenti contatti tra le persone interessate e riunioni per programmare le attività e condividere i risultati.

    Le recenti disposizioni di restrizione ai movimenti delle persone e gli inviti ad evitare riunioni in presenza hanno notevolmente rallentato e complicato il processo di formazione del progetto di bilancio.

    Se è vero che molte attività possono essere svolte “a distanza” con l’utilizzo delle nuove tecnologie che consentono video-conferenze e smart working, è altrettanto vero che molte aziende non erano del tutto attrezzate e strutturate per affrontare un isolamento totale come quello imposto dalle recenti disposizioni legislative.

    Si aggiunga che tutto il processo che porta all’approvazione del bilancio è scandito dal rispetto di precisi termini: almeno 30 giorni prima dell’assemblea gli amministratori devono comunicare all’organo di controllo, o al revisore legale, il progetto di bilancio; almeno 15 giorni prima dell’assemblea tutti i documenti che compongono il fascicolo di bilancio devono essere depositati presso la sede sociale a disposizione di ciascun socio.

    Andando a ritroso, quindi, poiché l’assemblea può essere indetta entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale (quest’anno 29 aprile essendo un anno bisestile), il progetto di bilancio dovrà essere redatto dagli amministratori e comunicato all’organo di controllo entro il 30 marzo e entro il 14 aprile i documenti dovranno essere depositati presso la sede sociale.

    Ben si comprende, quindi, che tutto il sistema di formazione cade in piena emergenza sanitaria e potrebbe essere verosimile che alcune società, per non dire molte, possano incontrare difficoltà oggettive a rispettare i tempi previsti.

    In tal senso, molti operatori hanno già sollecitato il Governo affinchè vari una proroga straordinaria dei termini. Proroga che dovrebbe essere stata recepita nel decreto firmato ieri (16 marzo) e in fase di pubblicazione. Le indiscrezioni parlano della possibilità di indire l’assemblea entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio (28 giungo 2020) e di agevolazioni per intervenire mediante mezzi di telecomunicazione e esprimere il voto in via elettronica.

    Per quanto auspicabile e ormai scontata la proroga ex lege, personalmente riterrei comunque applicabile alla generalità delle società che abbiano previsto l’evenienza nel proprio statuto, il 2 comma dell’art 2364 che stabilisce la possibilità di approvare il bilancio nel maggior termine non superiore a 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio laddove la società sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato ovvero quando lo richiedano particolari esigenze connesse alla struttura e all’oggetto sociale.

    In proposito, le esigenze connesse alla struttura ben si attagliano all’emergenza sanitaria del momento che ha imposto modifiche al processo lavorativo e quindi alla struttura amministrativa, privilegiando il lavoro agile, le riunioni non in presenza e la limitazione agli spostamenti.

    Il consiglio è comunque quello di non approfittare senza motivo della proroga, sia per le possibili responsabilità degli amministratori per la tardiva convocazione dell’assemblea, laddove la proroga non fosse disposta per legge, sia per le ripercussioni che la dilatazione del processo di approvazione del bilancio comporta ritardando la capacità di rendere la necessaria informativa a tutti gli stakeholders e per i processi collegati. Si pensi, ad esempio, alla distribuzione di dividendi, all’informativa alle banche per il rinnovo dei fidi, alla disponibilità del bilancio per l’accesso a bandi e gare di appalto o per la fruizione di agevolazioni.

  • Legge di bilancio 2020, il mantra dei pagamenti tracciati

    Proseguiamo l’esplorazione della legge di bilancio 2020, e dei provvedimenti collegati, affrontando il tema dei contanti.

    Tutta la campagna di presentazione del provvedimento legislativo in questione ha fatto della lotta all’evasione uno dei propri fil rouge passando dall’inasprimento delle pene per i reati tributari alla riduzione dell’uso dei contanti e all’incentivazione dei pagamenti elettronici.

    Per quanto disincentivare l’uso dei contanti possa frenare una parte dell’evasione di piccolo cabotaggio, scarsi effetti avrebbe nei confronti delle grandi frodi per di più se internazionali. Probabilmente, allo stato attuale, le più penalizzate saranno le fasce più deboli che, se vorranno continuare a beneficiare delle lecite detrazioni d’imposta previste dalla legge, dovranno dotarsi di carte di credito o di debito supportando i costi di emissione che gli istituti finanziari pretendono ancora oggi.

    Quest’ultimo aspetto è forse uno dei più fastidiosi agli occhi dei più perché sembra favorire la lobby bancaria che lucrerà sulle quote di emissione delle carte e sulle commissioni percepite ad ogni transazione.

    E’ vero che l’Italia ha oggi un tasso di diffusione della moneta elettronica inferiore alla media europea (rapporto “l’utilizzo del contante i Italia”, pubblicato da Banca d’Italia a gennaio 2019), ma è altrettanto vero che negli altri Paesi i costi del sistema sono inferiori (la gestione del pos,in Italia, oggi comprende un costo di noleggio, un costo fisso per transazione e una commissione sull’ammontare di ogni spesa). Un lavoro di accordo con il sistema bancario sarebbe stato auspicabile, prima di imporre l’uso delle carte, speriamo che un percorso condiviso in tal senso venga intrapreso velocemente. Ai commercianti non resterà che cercare di trattare al meglio gli accordi individuali con la propria banca o di rivolgersi a fornitori del servizio indipendenti che oggi si affacciano sul mercato a prezzi competitivi.

    Mentre per i commercianti e gli esercenti in genere è stato previsto un credito di imposta del 30% sul valore delle commissioni subite, per i consumatori, su cui gravano le spese di detenzione della carta, occorrerà attendere il 2021 per beneficiare di un ristorno sulle somme spese con un meccanismo di cash back ancora in fase di definizione. Certamente andranno superati retaggi del passato, ancora forti nel nostro Paese, dove il contante è particolarmente amato, ancorché scomodo, aggiungo io, poiché maggiormente a rischio di furti o smarrimenti.

    Con decorrenza immediata, a carico dei contribuenti è stato imposto di pagare con metodi tracciati (carte di credito e di debito, assegni bancari e circolari o bonifico bancario o postale) per continuare a fruire della detrazione IRPEF del 19% di cui all’art. 15 del TUIR o disposte da altre normative.

    Restano escluse da quest’onere solo le spese sostenute per l’acquisto di medicinali o dispositivi medici, in pratica quelle sostenute presso le farmacie, o quelle per prestazioni sanitarie rese da strutture pubbliche o da strutture private accredita al SSN.

    Per effetto della nuova disposizione, per esempio, non saranno più detraibili, in mancanza di pagamenti tracciati, le spese funebri, le spese per frequenza di corsi universitari, della scuola dell’infanzia, della primaria e della secondaria, i premi per le assicurazioni sulla vita, le spese per le visite mediche e per quelle veterinarie. L’elenco potrebbe continuare, ma ci fermiamo qua per una fluidità di scrittura, rimandando il lettore all’Art. 15 e alle altre disposizioni che disciplinano la detrazione specifica del 19%. Non chiedetemi perché solo quelle del 19% e non le altre, perché non saprei veramente motivare la risposta. Probabilmente perché le detrazioni con aliquota maggiore richiedono già, in larga misura, forme di pagamento tracciato.

    Ricordatevi, in qualità di fruitori del servizio, di conservare la copia del pagamento pena il disconoscimento della detrazione in caso di successivi controlli dell’amministrazione finanziaria, posto l’onere della prova in capo al contribuente.

    Ma non finisce qua, in effetti la soglia per l’utilizzo del contante verrà abbassata dagli attuali tremila euro a duemila euro dal 1 luglio 2020 e a mille euro a decorre dal 2022. Ma forse questo secondo traguardo farà a tempo ad essere modificato o rimosso prima della sua entrata in vigore come di recente accaduto per altri provvedimenti abortiti prematuramente.

  • Detrazioni Irpef consentite solo se si evita di pagare in contante

    Tutte le spese che possono essere detratte dalla dichiarazione Irpef non dovranno essere pagate in contante. La novità è stata introdotta con la legge di bilancio 2020 ed è scattata dal primo gennaio, anche se le spese sostenute quest’anno dovranno essere presentate nella dichiarazione dei redditi nel 2021.

    Un dossier che accompagna il provvedimento stima una riduzione della spesa per ‘rimborsi’ con le nuove modalità pari a 496 milioni di euro anche se lo stesso governo sembra pensare che il cambiamento possa indurre molti in errore e trovarsi nella situazione di vedersi negata la restituzione del 19% della somma spesa.

    In base alla nuova normativa, lo sconto spetta solo a chi paga con versamento bancario o postale ovvero mediante altri sistemi di pagamento tracciabili. Chi utilizza altri metodi, per quanto in buona fede e nell’ignoranza della legge, fa solo un favore all’amministrazione pubblica e non potrà farsi restituire le somme che pure avrebbe potuto evitare di pagare allo Stato grazie alla detrazione.

    Le spese che potranno essere portate in detrazione attendendosi alle modalità prescritte dalla legge sono quelle relative a mutui ipotecari per acquisto immobili, istruzione, cerimonie funebri, assistenza personale, attività sportive per ragazzi, intermediazione immobiliare, canoni di locazione sostenute da studenti universitari fuori sede, erogazioni liberali, spese relative a beni soggetti a regime vincolistico, spese veterinarie, premi per assicurazioni sulla vita e contro gli infortuni; acquisto di abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale.

    Per tutti questi esborsi la norma contenuta nella manovra prevede che ”ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef ndr), la detrazione dall’imposta lorda nella misura del 19%” spetta ”a condizione che l’onere sia sostenuto con versamento bancario o postale ovvero mediante altri sistemi di pagamento” elettronici. Unica eccezione sono ”le detrazioni spettanti in relazione alle spese sostenute per l’acquisto di medicinali e di dispositivi medici, nonché alle detrazioni per prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche o da strutture private accreditate al Servizio sanitario nazionale”. Nella legge di bilancio non è stato precisato quali saranno i documenti che dovranno essere presentati in occasione della dichiarazione dei redditi, visto che i dettagli tecnici dovranno essere definiti dall’Agenzia delle entrate.

  • Aumentano le aziende che accumulano ritardi oltre i 90 giorni nei pagamenti dovuti

    Secondo lo Studio Pagamenti svolto da CRIBIS, società del gruppo CRIF specializzata nella business information, il numero di imprese che paga i propri fornitori con più di 30 giorni di ritardo a settembre è cresciuto in quasi tutte le regioni italiane, con variazioni più elevate in Valle d’Aosta (+2,7 punti percentuali), Calabria (+1,9%) e Sardegna (+0,9%). Rispetto al 30 settembre del 2018, quest’anno la percentuale di imprese valdostane che salda i propri impegni con un ritardo superiore al mese è passato dall’8,4% all’11,1% mentre in Calabria la percentuale si è attestata al 22,8% rispetto al 20,9% del settembre dello scorso anno. In Sardegna i pagamenti con gravi ritardi sono aumentati dal 15,9% al 16,8%. Nel settembre di quest’anno CRIBIS ha rilevato un incremento dei pagamenti con ritardi superiori ai 30 giorni anche in Sicilia (+0,6 punti percentuali) da 21,9% a 22,5%, Basilicata (+0,5%) che sale a quota 15,3% e Veneto (+0,5%), dove il 7,2% delle imprese adempie ai propri obblighi economici verso i fornitori oltre un mese dopo la scadenza pattuita. In Piemonte questa percentuale è aumentata di appena 0,4 punti (9,1% delle aziende) così come in Friuli Venezia Giulia (8,7%). Rispetto allo scorso anno la situazione è sostanzialmente stabile in Lombardia (7% delle aziende con ritardi superiori a 30 giorni), Toscana (11,7%), Lazio (16,2%) e Campania, dove i ritardi gravi sono passati dal 20,1% al 20,2%.

    «È in controtendenza – spiega Marco Preti, amministratore delegato CRIBIS – il dato di Abruzzo (-1,6%), Molise (-1,1%) e Liguria (-0,9%), dove le imprese che pagano con ritardi superiori al mese sono diminuite molto più che in Puglia e Marche (-0,3% ciascuna) mentre sostanzialmente invariata (appena -0,1 punti percentuali) è la situazione riscontrata in Umbria, Trentino Alto Adige e Marche. Complessivamente il Nord-Est si conferma l’area più affidabile, con il 42,9% dei pagamenti regolari, mentre le imprese meridionali mostrano un comportamento più problematico con solo il 21,9% di aziende puntuali. Quasi speculare all’incremento dei pagamenti con ritardi gravi – aggiunge Preti – è stata la riduzione delle imprese che paga puntualmente alla scadenza, con cali più vistosi in Valle d’Aosta (-4,7 punti percentuali), Veneto (-3,5%) e Friuli Venezia Giulia (-2,9%). Per quel che concerne i settori produttivi, il commercio al dettaglio presenta la quota maggiore di imprese che assolve ai propri impegni con forti ritardi (17,6%), seguito dall’agricoltura caccia e pesca (11,6%) e da quelli minerario e dei servizi (10,1%)».

    In Italia, fanno notare da CRIBIS, le imprese che saldano i propri pagamenti con ritardi superiori ai 30 giorni sono l’11,5% (era l’11,3% nel settembre 2018) mentre sono più di un terzo (34,9%) quelle che rispettano i termini pattuiti, seppur in diminuzione rispetto al settembre dello scorso anno (36,3%).

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