Sanità

  • L’UE avvia la prima azione per affrontare la carenza di personale infermieristico

    La Commissione avvia la prima azione dell’UE per sostenere gli Stati membri nel trattenere e attrarre infermieri, con un bilancio di 1,3 milioni di € nell’ambito del programma “UE per la salute”. L’azione, istituita dalla Commissione europea in collaborazione con l’ufficio regionale europeo dell’OMS a seguito dell’accordo di contributo della Commissione con detto ufficio regionale firmato nel settembre 2024, prende il via a Varsavia in occasione di una riunione di alti funzionari in ambito medico, infermieristico e odontoiatrico, nel contesto della presidenza polacca del Consiglio dell’UE.

    L’azione prevede attività per 36 mesi in tutti gli Stati membri dell’UE, con particolare attenzione ai paesi con notevoli sfide per il personale sanitario. Mediante una stretta cooperazione con gli Stati membri, le organizzazioni di infermieri e le parti sociali, l’iniziativa sarà adattata alle specifiche esigenze nazionali e subnazionali. Le attività principali comprendono programmi di tutoraggio per attrarre una nuova generazione di infermieri, valutazioni d’impatto della forza lavoro infermieristica per comprendere i problemi alla base delle carenze strutturali, strategie per migliorare la salute e il benessere degli infermieri e azioni per sfruttare i benefici della trasformazione digitale e dell’IA.

  • Gli animali domestici fanno risparmiare 4 miliardi alla sanità pubblica

    Amici a quattro zampe come farmaci e antidoto alla solitudine degli anziani, ma anche efficace soluzione che porta a un consistente risparmio per le casse della sanità pubblica, circa 4 miliardi l’anno, e a una riduzione del 15% delle visite mediche.

    Gli effetti benefici per la salute e il benessere degli over65 della relazione con gli animali domestici è tra i temi al centro del 69esimo Congresso della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg), in corso a Firenze.

    L’introduzione di interventi assistiti con gli animali negli over65, affermano i geriatri sulla base di vari studi scientifici, ha infatti un’azione benefica su demenza, ansia e depressione, ma anche la semplice compagnia di un animale domestico stimola l’attività motoria e porta a vere e proprie modificazioni fisiologiche come l’abbassamento della pressione e il rallentamento del ritmo cardiaco e respiratorio, con effetti protettivi da infarto e ictus. Tutto ciò si riflette in una riduzione del 15% delle visite mediche e in un minor impatto della spesa farmacologica, con un risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale stimato in circa 4 miliardi di euro. Avere un amico a quattro zampe, dunque, “toglie il medico di torno”: cani, gatti e conigli, non sono soltanto compagni di vita in grado di colmare un senso di solitudine, soprattutto durante le festività natalizie, ma anche un distillato di benefici per la salute. Il loro effetto può essere infatti paragonato a quello di un farmaco antipertensivo, antidepressivo, antidolorifico.

    Sono ormai tanti gli studi scientifici che elencano i vantaggi di ‘Dottor Fido’ e compagni, non solo per gli anziani in buona salute, ma anche per la cura di specifiche patologie a cui può essere applicata la pet-therapy come terapia complementare. Una realtà che si sta consolidando in Italia anche grazie alla recente nascita dell’associazione VETeris che vede per la prima volta la collaborazione tra geriatri e veterinari, con l’obiettivo di definire le specifiche modalità degli interventi assistiti con animali rivolti alla popolazione geriatrica.

    Il dato che ora emerge, certificato dalla pratica clinica, afferma Andrea Ungar, presidente Sigg e VETeris, «è che lo stimolo all’attività motoria derivato dal rapporto di accudimento dell’animale da parte dell’anziano porta a vere e proprie modificazioni dei parametri fisici come abbassamento della pressione, rallentamento del ritmo cardiaco e respiratorio, fino alla riduzione di colesterolo e trigliceridi, con meno attacchi cardiaci e mortalità per malattie cardiovascolari. Una ricerca pubblicata sulla rivista Circulation ha infatti evidenziato che avere un cane riduce del 33% il rischio di morte nei pazienti reduci da infarto che vivono soli». La capacità degli animali di sviluppare un complesso sistema comunicativo non verbale con gli esseri umani, che nulla ha a che fare con il linguaggio e la memoria, competenze spesso compromesse in presenza di demenza, sottolinea Marco Melosi, vicepresidente VETeris, «è alla base del loro utilizzo come terapia complementare, soprattutto negli anziani con difficoltà cognitive o con patologie psichiatriche. Infatti, anche una semplice azione, come accarezzare l’animale, ravviva i meccanismi cerebrali dell’attenzione e stimola il coordinamento psicomotorio».

    A dimostrarlo anche un recente studio condotto da VETeris e l’associazione Humanimal su anziani con demenza lieve residenti in una Rsa di Firenze, nella quale sono stati introdotti interventi assistiti con cani addestrati ad hoc: è stata così osservata una riduzione dei disturbi psico-comportamentali associati alla demenza dell’83,3%. In particolare, “essere soli a Natale può aumentare ansia e depressione anche nell’anziano senza patologie – sottolinea la geriatra Chiara Mussi -. In queste situazioni il contatto con un animale può essere un antidoto”. Tanto che, ricorda Maria Chiara Catalani di VETeris, «lo scorso anno è stato approvato in Senato un emendamento proposto da Sigg e VETeris che ha introdotto il principio di promozione del mantenimento degli animali domestici per contrastare la solitudine, preservare l’indipendenza e mantenere una buona qualità di vita degli anziani».

  • Secondo un’indagine del CNA i pensionati hanno fiducia nel medico base ma le liste d’attesa sono lunghe

    Il Cna, con un’indagine apposita, racconta come il Servizio Sanitario Nazionale sia percepito dagli anziani. Il quadro che emerge è quello di una categoria ancora molto legata al medico di base e abbastanza refrattaria alle nuove tecnologie. In particolare, per il 74,5% di loro il medico di medicina generale è ancora il punto di riferimento e in quasi il 59% dei casi si cerca un contatto diretto, possibilmente in presenza. Al contrario, il 50% non conosce le case di comunità e non ha mai sentito parlare di telemedicina e oltre il 68% è contrario o si sentirebbe a disagio con l’intelligenza artificiale.

    Per il 73% dei pensionati però i tempi delle liste di attesa sono peggiorati, così come peggiorato è il rispetto della persona per il 28%. Non soddisfatto della ‘completezza delle informazioni’ il 29,5%. Oltre il 70%. chiede la riduzione la riduzione delle liste d’attesa e per il 40,5% è prioritaria la riduzione dei tempi di attesa nei pronto soccorso.

    “Ciò che emerge è che tutti hanno un rapporto molto stretto con il medico di medicina generale ma il numero di questi medici sta diminuendo.”, afferma il segretario della Cna Pensionati, Mario Pagani. “Un elemento positivo è che ci si sta abituando all’utilizzo di strumenti telematici e questa potrebbe essere una soluzione del futuro. Ma di fronte alle difficoltà del pubblico, molti ricorrono al privato, e non tutti possono permetterselo”.

    “Fa specie non aver considerato fino in fondo quello che è successo durante la pandemia dove il Ssn ha dato risposte importante”, dichiara il segretario generale Cna, Otello Gregorini. “Finita l’emergenza – continua – si torna a una logica di risparmio. Qui ci sono persone che devono tenere insieme la possibilità di vivere ma anche di curarsi. Su questo ci sarà un forte impegno della Cna”.

  • Negli ultimi tre anni un milione di italiani migrati al Nord dal Sud e dalle isole per cure mediche. La Lombardia tra le principali destinazioni

    Migrazione sanitaria, impatto della tecnologia digitale come risorsa per affrontare il fenomeno, efficienza e sostenibilità dei percorsi di assistenza sul territorio: sono stati i temi al centro dell’evento che si è tenuto alla Società Umanitaria di Milano ‘Migranti della salute nell’era digitale: quali prospettive?’ organizzato da CasAmica ODV e Fondazione Roche, con il patrocinato di Rotary distretto 2041 di Milano.Partendo dai risultati della survey ‘Studio sui migranti sanitari’ realizzata da EMG Different per CasAmica su un campione rappresentativo di cittadini di età compresa tra i 35 e i 65 anni residenti in Calabria, Puglia, Campania, Sicilia e Sardegna, da cui è emerso che sono un milione gli italiani residenti al Sud e nelle isole che negli ultimi tre anni sono stati costretti a spostarsi dalla propria regione di residenza per sottoporsi a cure mediche, l’evento è stato una occasione di confronto tra terzo settore e istituzioni focalizzato sul presupposto che la chiave per ridurre l’impatto economico e psicologico di chi si sposta per ricevere cure risiede nelle nuove tecnologie. Occorre, infatti, un cambio di paradigma concreto che partendo dall’implementazione della digitalizzazione, in primis della telemedicina, integrata con servizi di assistenza sanitaria territoriale, permettano di ottimizzare l’equità e l’accesso ai migliori percorsi di diagnosi e cura.

    “Quasi il 70% dei migranti della salute intervistati ha scelto il Lazio e Lombardia1. Le cause di questa ‘migrazione’ sono da ricercare nei motivi legati all’opportunità di ottenere una migliore offerta sanitaria (51%) e medici più preparati (39%) o addirittura nella concreta impossibilità di ricevere cure adeguate alla propria patologia nella regione di provenienza (32%) – ha dichiarato Stefano Gastaldi, Direttore generale CasAmica ODV – Tutto questo ha un impatto economico notevole sulla vita dei malati e delle famiglie. Il 60% denuncia costi alti per gli spostamenti e gli alloggi e il 58% avrebbe avuto bisogno di prezzi calmierati. Oltre all’aspetto puramente economico, i migranti della salute hanno espresso anche altre esigenze come la necessità di un supporto psicologico per sé o per la propria famiglia (49%) e mezzi di trasporto per raggiungere l’ospedale (43%)”.

  • Spesa sanitaria italiana quasi in linea con la media europea

    Nel 2023 l’Italia per spesa sanitaria pubblica pro-capite si colloca solo al 16esimo posto tra i 27 Paesi europei dell’area Ocse e in ultima posizione tra quelli del G7. La spesa sanitaria pubblica si attesta al 6,2 per cento del Pil, percentuale inferiore sia rispetto alla media Ocse del 6,9%, sia rispetto alla media europea del 6,8%. “Il tema del finanziamento pubblico per la sanità – ha dichiarato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – infiamma il dibattito politico da oltre un anno, coinvolgendo aule parlamentari e consigli regionali, vista l’enorme difficoltà di tutte le Regioni a garantire i livelli essenziali di assistenza e un’offerta adeguata di servizi e prestazioni sanitarie. E, secondo indagini e sondaggi condotti sulla popolazione, la sanità è diventata per tutti una priorità assoluta perché la vita quotidiana delle persone è sempre più gravata da vari problemi: interminabili tempi di attesa per visite ed esami, affollamento dei pronto soccorso, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, inaccettabili diseguaglianze regionali e locali, migrazione sanitaria, aumento della spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure”.

    A fronte di un Servizio sanitario nazionale (Ssn) sempre più in affanno nel garantire il diritto alla tutela della salute si sono moltiplicati i segnali istituzionali: la Corte dei Conti, la Corte Costituzionale e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio rilevano continuamente il sottofinanziamento del Ssn e ben 5 Regioni e successivamente anche le opposizioni hanno presentato disegni di legge per aumentare il finanziamento pubblico almeno al 7 per cento del Pil. Anche lo stesso ministro Schillaci ha recentemente dichiarato che il 7 per cento del Pil è il livello minimo sul quale attestarsi per il finanziamento della sanità pubblica. In vista della discussione sulla Legge di Bilancio 2025, la Fondazione Gimbe ha analizzato la spesa sanitaria pubblica 2023 nei paesi dell’Ocse al fine di fornire dati oggettivi per il confronto politico e il dibattito pubblico e prevenire ogni forma strumentalizzazione. La fonte utilizzata è il dataset Oecd Health Statistics, aggiornato al 23 luglio 2024, che riporta i dati 2023 per poco meno della metà dei paesi dell’area Ocse e quelli 2022 per i restanti paesi.

    Nel 2023 in Italia la spesa sanitaria pubblica si è attestata al 6,2% del Pil, un valore al di sotto sia della media Ocse del 6,9% che della media europea del 6,8%. Sono 15 i paesi europei dell’area Ocse che investono una percentuale del Pil maggiore dell’Italia, con un gap che va dai +3,9 punti percentuali della Germania (10,1% del Pil) ai +0,6 della Norvegia (6,8% del Pil). In Italia nel 2023 la spesa sanitaria pubblica pro-capite è pari a dollari 3.574, al di sotto sia della media Ocse (dollari 4.174) con una differenza di 600 dollari, sia soprattutto della media dei paesi europei dell’area Ocse (dollari 4.470) con una differenza di 896 dollari. In Europa ben 15 paesi investono più del nostro, con un gap che va dai +410 dollari della Repubblica Ceca (3.984 dollari) ai +3.825 della Norvegia (7.399 dollari).

    “Di fatto in Europa – ha commentato Cartabellotta – siamo primi tra i paesi poveri, davanti solo a Spagna, Portogallo e Grecia e ai paesi dell’Est, esclusa la Repubblica Ceca”. Dal 2010, per tagli e definanziamenti effettuati da tutti i governi, la distanza con i paesi europei è progressivamente aumentata sino a raggiungere dollari 623 nel 2019. Poi il gap si è ulteriormente ampliato, sia negli anni della pandemia quando gli altri paesi hanno investito molto più dell’Italia, sia nel 2023 perché di fatto la nostra spesa sanitaria è rimasta stabile. “Al cambio corrente dollaro/euro – precisa Cartabellotta – il gap con la media dei paesi europei nel 2023 raggiunge 807 euro pro-capite che, tenendo conto di una popolazione residente Istat al primo gennaio 2024 di quasi 59 milioni di abitanti, si traduce nell’esorbitante cifra di oltre 47,6 miliardi di euro”.

  • Bruxelles destina 1,3 milioni agli infermieri per evitare la fuga dagli ospedali

    La Commissione europea ha siglato un accordo di contributo con l’Ufficio regionale per l’Europa dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms Europa) per sostenere gli Stati membri nell’adozione di misure volte a trattenere gli infermieri all’interno dei loro sistemi sanitari, rendendo la professione più attrattiva.

    Questo accordo, finanziato con 1,3 milioni di euro attraverso il programma EU4Health, avrà una durata di 36 mesi e interesserà tutti i paesi dell’Unione Europea, con un’attenzione particolare a quelli che presentano gravi carenze di personale sanitario, specialmente infermieristico.

    Stella Kyriakides, Commissaria per la Salute e la Sicurezza Alimentare, ha sottolineato l’importanza di questa iniziativa: “Gli infermieri sono il pilastro dei nostri sistemi sanitari e fondamentali per garantire che i pazienti ricevano cure di alta qualità quando ne hanno bisogno. L’azione di oggi dimostra il nostro impegno nel fronteggiare le sfide legate al personale sanitario che molti Stati membri stanno affrontando e nel rafforzare la resilienza dei sistemi sanitari in tutta l’Unione Sanitaria Europea. Siamo lieti di collaborare con l’OMS Europa su questa iniziativa cruciale”.

    L’iniziativa sarà sviluppata in stretta collaborazione con gli Stati membri, le organizzazioni infermieristiche e le parti sociali, e verrà adattata alle specifiche necessità a livello nazionale e subnazionale. Il finanziamento sosterrà la creazione di piani d’azione per il reclutamento, l’implementazione di programmi di tutoraggio per attrarre una nuova generazione di infermieri, la realizzazione di valutazioni d’impatto sulla forza lavoro infermieristica per identificare le cause delle carenze strutturali e la formulazione di strategie per migliorare la salute e il benessere degli infermieri. Inoltre, saranno promosse opportunità di formazione e azioni volte a garantire che il personale sanitario possa beneficiare della trasformazione digitale in atto.

  • In Lombardia bando da 24 milioni di euro per migliorare le cure del paziente

    Un bando da 24 milioni per finanziare progetti di ricerca finalizzati a migliorare ulteriormente la cura del paziente, le conoscenze mediche e il sistema sanitario regionale. Si tratta dell’iniziativa ‘From bed to bench: the way to innovation’, promossa della Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica (Frrb), in collaborazione con Regione Lombardia, e presentata a Milano in un convegno in cui è intervenuto il presidente della Regione. Al bando potranno partecipare gli enti compresi nel ‘Sistema Ricerca Lombardo’, ovvero Ats, Irccs pubblici e privati, Asst, Areu, Università pubbliche e privati e organismi di ricerca, riunitisi in partenariati. Saranno supportati programmi che prevedano la realizzazione di un processo di miglioramento continuo nel settore sanitario, in cui le osservazioni derivanti dalla cura del paziente contribuiscono direttamente all’indagine scientifica, portando a innovazioni che generino benefici ai pazienti. Un ciclo interattivo fondamentale per far avanzare le conoscenze mediche e migliorare il sistema sanitario regionale.

    “Un bando importante – ha affermato il presidente della Regione Lombardia – che ha l’obiettivo di applicare concretamente la ricerca ai luoghi di cura, così da assicurare una medicina sempre più personalizzata e di precisione, in grado di rispondere ai fabbisogni specifici della popolazione”. “Lavoriamo – ha proseguito il presidente di Regione Lombardia – affinché tutta l’attività di ricerca scaturita da bandi come questo sia poi messa a disposizione della pratica clinica e assistenziale, per garantire un miglioramento dell’offerta di cura, non solo quella ospedaliera ma anche quella territoriale e assistenziale. Potenziamo il collegamento tra ricerca e applicazione della ricerca”. “Tutto questo – ha evidenziato Fontana – è possibile grazie all’ecosistema lombardo nel settore della ricerca, che è all’avanguardia e competitivo. Lo dimostrano la presenza del maggior numero di Irccs pubblici e privati, i primati nel campo universitario e nella registrazione dei brevetti e gli investimenti nei progetti dei nostri ricercatori”.

  • Il Pirellone commemora Borsani, Bruxelles guarda al suo esempio

    Servizio sanitario nazionale privo di risorse, medici di base sempre più insufficienti, cittadini privati del diritto di salute. Nel piagnisteo che troppo spesso se non sempre prende il posto di un pragmatico orientamento al risultato quando gli italiani si trovano ad affrontare un problema, ci si dimentica che se l’Italia avesse aderito al Mes sanitario avrebbe potuto iniettare nella sanità pubblica risorse rilevanti fornite dall’Unione europea.

    In un simile panorama di sofferenza, l’ex assessore alla Sanità della Regione Lombardia Carlo Borsai, ricordato al Pirellone ad un anno dalla sua scomparsa, risalta ancor più come un innovatore che ha saputo mettere in sicurezza l’accesso alle cure per chiunque. Come ha ricordato Cristiana Muscardini, che con Borsani condivise la consiliatura al Comune di Milano dal 1985 al 1990, oggi è la stessa Commissione europea, attraverso la commissaria alla Salute Stella Kyriakides, a sollevare il problema dell’accesso alle terapie che Borsani aveva affrontato con la legge regionale lombarda 31/97 (passata agli annali come Legge Borsani), coniugando pubblico e privato all’insegna dell’efficienza, come ha ricordato la figlia dell’assessore, Benedetta.

    Uomo di profonda onestà intellettuale, come ha voluto ricordarlo il governatore Attilio Fontana, con la sua riforma, come hanno evidenziato sia Cristiana Muscardini che l’assessore regionale (ai Trasporti) Franco Lucente, l’esponente dell’allora An ha tracciato una strada che ha fatto della Lombardia un esempio di capacità amministrativa guardato con interesse anche oltre i confini regionali. Anche a Bruxelles.

    Grazie alla sua riforma, la sanità lombarda vide nascere le Asl (Aziende sanitarie locali, che ora si chiamano Ats) e le aziende ospedaliere (ora Asst), e soprattutto si aprì la strada al privato accreditato: da allora i cittadini hanno potuto far valere il proprio diritto a essere curati attraverso la possibilità di scegliere se farsi ricoverare (o anche solo effettuare analisi) presso strutture private convenzionate con il sistema sanitario o presso lo stesso Ssn, pagando nell’uno e nell’altro caso lo stesso ticket.

  • Prima di tutto cerca di aiutare chi ha bisogno

    Invitata al convegno “L’impronta di Borsani sulla sanità lombarda” organizzato in Regione Lombardia dall’Assessore Franco Lucente, che non posso che ringraziare insieme al presidente Attilio Fontana che, nonostante l’intensa agenda, non ha mancato di venire per ricordare papà “uomo di grande ironia – le sue parole – signorilità e onestà intellettuale”, da figlia mi sono chiesta cosa potessi dire.

    Così mi sono concentrata sul titolo, l’impronta, appunto; il suo cuore; l’eredità e l’attualità di quanto tracciato allora, tra il 1995 e il 2005, i dieci anni in cui svolse l’incarico di Assessore alla Sanità in Lombardia. “Anni entusiasmanti – mi disse un giorno – specie quelli della prima legislatura”. E non è un caso perché fu quella della Legge 31 del 1997, più nota come Legge Borsani, che segnò una profonda rivoluzione nel Sistema Sanitario Regionale: la libertà di scelta del cittadino, in un rapporto innovativo tra strutture pubbliche e private accreditate, diventa la bussola, il cuore della Sanità lombarda così che anche il più povero cristo possa avere le cure migliori. Dopo vent’anni lo si dà per scontato, ma allora fu una vera e propria rivoluzione culturale basata su tre capisaldi: 1) la libertà di scelta della persona; 2) la competitività tra le strutture pubbliche e private, determinata dal sistema degli accreditamenti; 3) il rafforzamento della separazione delle competenze tra programmazione ed erogazione dei servizi, attraverso l’introduzione di un meccanismo terzo di controllo e della centralizzazione della regia degli acquisti che generi economia di scala.  Però… e un però c’è. Papà nel suo ruolo di Assessore ha sempre coerentemente difeso la legge 31/97 nel suo complesso pur avendo ben presente che era la sintesi di un lungo lavoro di confronto tra le forze di centro destra, ma era anche conscio delle criticità contenute nella stessa che avrebbero dovuto essere affrontate successivamente, al loro manifestarsi.
    In particolare su due questioni. In primo luogo aveva chiaro che stante le diverse modalità di governo, la sanità pubblica correva azzoppata rispetto a quella privata. Il pubblico infatti è soggetto al Diritto amministrativo che privilegia il rispetto delle procedure rispetto ai tempi della decisione, mentre il privato, soggetto al Codice civile, ha una capacità decisionale molto più rapida nel dare risposte. Non a caso anni dopo, da cittadino, guardò con interesse al tentativo (fallito) di trasformare gli IRCCS pubblici della Lombardia in Fondazioni di Diritto privato. L’altro punto riguardava la debolezza delle ASL di svolgere un ruolo di programmatore e controllore delle prestazioni sanitarie erogati dal pubblico (AO) e dalla sanità privata. Ruolo che, per essere governato, di fatto venne centralizzato dalla Regione.
    Due problemi che, credo, siano tuttora all’ordine del giorno. Così come tre obiettivi interrotti dalla sua mancata conferma ad Assessore (lì il coraggio mancò a qualcun altro, ma questa è un’altra storia): la messa a regime del SISS, la rete telematica regionale (telemedicina); il completamento della continuità assistenziale senza trascurare la necessità di ammodernare la rete ospedaliera tradizionale; il mantenimento dell’eccellenza nella ricerca, nell’assistenza e nella cura, a partire da una sua sempre più decisa personalizzazione. A che punto siamo oggi?

    E mentre poneva le basi per la nuova sanità lombarda, non trascurò gli investimenti per costruire nuovi ospedali e riqualificare quelli esistenti su tutto il territorio lombardo, perché tutti i Lombardi avessero la possibilità di andare a curarsi dove volessero. Ebbe un cruccio, la mancata realizzazione della Città della Salute (Istituto Nazionale dei Tumori e Istituto Besta) che riteneva corretto, da un punto di vista funzionale, in particolare per la condivisione di strumenti diagnostici avanzati, che nascesse a fianco di un grande ospedale generalista, da lui individuato nell’Ospedale Sacco.
    Infine, vorrei parlare del politico Borsani capace di prendere decisioni scomode per se stesso pur di difendere le sue idee. Una su tutte la decisione di candidarsi alle elezioni regionali fuori dal listino bloccato. Perché lo fece? Perché per completare la riforma, per una questione di equilibri tra partiti di maggioranza e dentro al suo stesso partito, aveva bisogno di “pesare” e il peso di un politico lo fanno le preferenze. “La politica – diceva – è una visione della Società e per realizzarla nel modo più perfettibile umanamente deve anche educare a fare scelte (con priorità) che possono anche non essere condivise da una parte della popolazione. Ma se la politica si limita ad accettare supinamente ed addirittura ampliare ancor più gli umori dei singoli rimane solo l’anarchia inconcludente e dannosa per tutti gli uomini”.

  • Sanità: coraggio di innovare, come Borsani aveva intuito e realizzato

    Il convegno L’impronta di Borsani sulla sanità lombarda, organizzato dall’ Assessore Franco Lucente in Regione Lombardia, ha ricordato la figura di Carlo Borsani e la sua riforma sanitaria che diede ai cittadini lombardi ad avere il diritto di scelta tra strutture sanitarie pubbliche e convenzionate

    Carlo Borsani, dopo una legislatura da consigliere comunale di Milano, divenne consigliere regionale nel 1990 e poi assessore della Sanità della Regione Lombardia dando vita ad una riforma assolutamente innovativa perché si occupava di tutti, Borsani ebbe il coraggio di affermare, nel 1997, che la maggior parte del deficit sanitario era imputabile al governo centrale, specie per quanto riguardava i costi della spesa farmaceutica.

    Il convegno ci dà lo spunto per ricordare che anche oggi gran parte delle risorse che mancano al comparto sanitario sono dovute al mal funzionamento dei controlli ed alla regolamentazione della spesa e che rimangono anche ancora inevasi i problemi legati alla carenza di medici ed alla inadeguatezza del sistema che regolamenta il servizio dei medici di famiglia.

    L’intasamento dei pronto soccorsi e le spropositate lungaggini delle liste di attesa, con le conseguenze dell’aumento dei costi per il cittadino, che deve rivolgersi al privato, o dell’inaccettabile rinuncia alle cure, potrebbero essere evitati con la riorganizzazione effettiva del lavoro dei medici di famiglia, oggi spesso non valorizzati o non sufficientemente formati.

    Il medico di famiglia deve essere il primo referente di ogni cittadino e sappiamo già che nei prossimi anni, di fronte a più di 12.000 medici che andranno in pensione, ne entreranno in servizio solo circa 10.000, lasciando così scoperti migliaia di cittadini e creando ulteriori problemi ai pronto soccorsi e perciò agli ospedali e alle liste di attesa.

    Se dopo il corso universitario gli aspiranti medici di famiglia avessero una scuola di specialità come quelli ospedalieri, se fossero loro insegnato l’uso dell’ecografo e dell’elettrocardiografo molte problematiche potrebbero essere risolte prima nei loro ambulatori e senza il continuo ricorso ad altro specialista.

    Il medico di famiglia non può essere un mero estensore di ricette altrui fatto che lo porta a snaturare la sua professionalità, ma deve essere il primo ed insostituibile presidio sul territorio ritornando anche a quelle visite domiciliari, per anziani o malati più gravi, che negli ultimi tempi troppi hanno smesso di fare, anche per gli impegni delle ore alle quali sono obbligati per la presenza alla guardia medica.

    Le case di comunità, che nei piccoli centri possono effettivamente avere un ruolo, non sono però la soluzione al problema che vede anche l’insoddisfazione dei cittadini per non riuscire ad essere visitati sempre dallo stesso medico perdendo così quel rapporto di fiducia che si ha col proprio medico ma anche la possibilità di questi di poter fare una anamnesi completa perché basata sulla conoscenza anche dei pregressi del malato.

    Per la sanità ci sono molte iniziative da prendere e non è solo una questione di spesa, certo occorrono maggiori stanziamenti ma anche il coraggio di innovare, come Borsani aveva intuito e realizzato, di prendere atto che in una società in continua e veloce evoluzione, e mentre una parte di popolazione invecchia ed un’altra parte arriva da paesi lontani, la medicina, nel suo insieme, dipende da un migliore e diverso funzionamento dell’assistenza di base.

Pulsante per tornare all'inizio