Social media

  • Ethiopia restores social media access after five months

    Ethiopia is allowing people to access Facebook, Telegram, TikTok and YouTube for the first time in more than five months.

    The blackout was imposed on 9 February this year after tensions between the Ethiopian Orthodox Church and the government.

    Only those with access to virtual private network (VPN) software could get on to the social media platforms – something that cost them additional data.

    The Orthodox Church faced a split in February when some archbishops from the Oromia region said they wanted to form a new synod as they wanted to hold services on the Oromo language.

    The move triggered deadly clashes, but a mediation effort by the government has now papered over the cracks.

    There has been no statement from the authorities over the decision to lift the ban.

    Last month, the head of Ethio Telecom said the blockage was not a decision that had been taken by the state-owned company.

    According to the Internet Society, the outage has cost Ethiopia $42m (£32m) because of the knock-on effect on businesses. Others say the figure is higher.

    Some areas of the northern region of Tigray, where a brutal two-year conflict came to an end last November, remain without access to the internet.

  • Followers creduloni, la Sec americana indaga sette influcencer per sospetta frode

    I procuratori federali e la Securities and Exchange Commission (Sec) hanno accusato sette influencer dei social media di aver utilizzato Twitter e Discord per commettere una frode finanziaria che ha fruttato loro oltre 100 milioni di dollari di guadagni illeciti. Le autorità hanno sporto ieri denunce civili e penali separate e accusano anche un altro influencer di aver favorito lo schema.

    I sette accusati di frode finanziaria hanno utilizzato le piattaforme di social media per manipolare i titoli negoziati in borsa in uno schema che risale almeno al gennaio 2020, secondo la Sec. Attraverso account Twitter molto seguiti e chatroom di trading azionario su Discord, gli imputati si sarebbero “promossi come trader di successo”, secondo un comunicato stampa della Sec, e avrebbero incoraggiato i follower ad acquistare titoli che anche loro avevano acquistato.

    Ma non hanno rivelato ai loro follower, mentre promuovevano quei titoli, che avrebbero pianificato di vendere successivamente le azioni una volta che i prezzi o i volumi di trading fossero aumentati, secondo la denuncia. Gli influencer avrebbero così ottenuto un profitto pompando i prezzi delle azioni e poi vendendole una volta salite, guadagnando circa 100 milioni di dollari in totale, secondo la Sec.

    Secondo la denuncia, questo mese ciascuno degli imputati aveva ben oltre 100.000 follower su Twitter. Uno di questi account, @PJ_Matlock, gestito da Perry Matlock, residente in Texas, che si definisce ceodi Atlas Trading, non esiste più da mercoledì.

    Daniel Knight (@DipDeity) è stato accusato di aver favorito il presunto schema, in parte co-conducendo un podcast dove promuoveva alcuni dei principali imputati come trader esperti. La Sec sostiene che anche Knight ha operato con gli altri imputati e ha tratto profitto dallo schema. La biografia di Knight dice: “Non comprate/vendete mai dai miei tweet”.

    I sette devono anche affrontare accuse penali da parte della Sezione Frodi del Dipartimento di Giustizia e dell’Ufficio del Procuratore degli Stati Uniti per il Distretto Sud del Texas.

  • Gli italiani sono gli europei che utilizzano meno di tutti i social network

    Gli italiani sono ultimi in Europa nell’uso dei social network. A sfatare una percezione che ci vede concentrati a fare selfie e pubblicare post su tutto è Eurostat nel suo “Regional yearbook 2021 edition”. Il dato però non è legato ad un cambiamento culturale bensì principalmente al digital divide e al ritardo nella connessione soprattutto in alcune zone. Meglio di noi pure la Turchia, un paese non proprio accogliente con Internet e i social.

    I dati di Eurostat si riferiscono all’uso dei social network negli ultimi tre mesi del 2020 e comprendono anche gli utilizzatori saltuari delle diverse piattaforme. Certificano che più della metà della popolazione adulta nella zona Ue (il 57%) ha partecipato ai social network nei tre mesi precedenti l’ultima indagine. Il tasso di partecipazione per i giovani di età compresa tra i 16 e i 24 anni (87%) è stata quasi quattro volte superiore al tasso corrispondente agli anziani di età compresa tra i 65 e i 74 anni (22%). Tuttavia, si sottolinea come durante l’ultimo quinquennio (il 2015-2020, per il quale sono disponibili i dati) la quota di giovani che partecipano ai social network è cambiata poco o nulla. Al contrario, la percentuale di persone anziane che utilizzano queste piattaforme è quasi raddoppiata nello stesso periodo.

    Nella classifica che mette in fila 32 Paesi nell’area Ue, l’Italia è dunque la nazione con la minor partecipazione ai social network, il 48%. Al primo posto c’è l’Islanda (94%), seguita da Norvegia (88%) e Danimarca (85%). Immediatamente sopra il nostro Paese si piazzano Germania (54%), Bulgaria e Polonia (entrambe al 55%). A metà classifica ci sono Spagna, Estonia, Romania (tutte al 65%) e Slovacchia (64%). Turchia e Grecia sono rispettivamente al 62% e al 59%. Il Regno Unito segna il 78%; mentre per la Francia non sono disponibili dati aggiornati.

    Le ampie differenze nei tassi di partecipazione ai social sono in parte legate al fatto che le persone sono o meno connesse a Internet, in zone che Eurostat definisce “regioni prevalentemente rurali o ultraperiferiche”. Nel caso dell’Italia sono il Sud e le Isole. E gli ultimi dati di Audiweb mostrano che nel nostro paese a luglio 2021 meno di due terzi degli italiani hanno utilizzato Internet. Secondo l’Ufficio statistico dell’Unione europea ci possono essere altri fattori rilevanti della partecipazione ai social media, come ad esempio l’invecchiamento della popolazione nelle regioni prevalentemente rurali o questioni legate alla privacy e alla disponibilità degli individui a condividere i propri dati online.

  • Twitter ban in Nigeria to end ‘very soon’, information minister says

    ABUJA, Sept 15 (Reuters) – Nigeria said on Wednesday it expects to end its ban on Twitter in a “few more days”, raising hopes among users eager to return to the social media platform three months after the suspension took effect.

    The ban, announced in June, has hurt Nigerian businesses and drawn widespread condemnation for its damaging effect on freedom of expression and the ease of doing business in Africa’s most populous nation.

    But Information Minister Lai Mohammed told a post cabinet media briefing the government was aware of the anxiety the ban had created among Nigerians.

    “If the operation has been suspended for about 100 days now, I can tell you that we’re just actually talking about a few, just a few more days now,” Mohammed said without giving a time frame.

    When pressed further, Mohammed said authorities and Twitter officials had to “dot the I’s and cross the T’s” before reaching a final agreement.

    “It’s just going to be very, very soon, just take my word for that,” he said.

    The government suspended Twitter after it removed a post from President Muhammadu Buhari that threatened to punish regional secessionists.

    It was a culmination of months of tension. Twitter Chief Executive Jack Dorsey’s posts encouraging donations to anti-police brutality protests last October and Twitter posts from Nnamdi Kanu, a Biafran separatist leader currently on trial in Abuja, infuriated authorities.

    Last month, Mohammed told Reuters the Twitter ban would be removed before the end of this year, adding that the government was awaiting a response on three final requests made of the social media platform.  The ban is just one area of concern for free speech advocates. Nigeria dropped five spots, to 120, in the 2021 World Press Freedom Index compiled by Reporters Without Borders, which described Nigeria as one of the most dangerous and difficult West Africa countries for journalists.

    Reporting by Felix Onuah, Writing by MacDonald Dzirutwe, Editing by William Maclean

  • LinkedIn si unisce alla lotta contro l’incitamento all’odio online

    LinkedIn, la più grande rete professionale online al mondo, ha sottoscritto il codice di condotta dell’UE contro l’incitamento all’odio online. Per prevenire e contrastare la diffusione delle forme illegali di incitamento all’odio online, nel maggio 2016 la Commissione ha adottato il codice di condotta insieme a Facebook, Microsoft, Twitter e YouTube. Da allora, Instagram, Google+, Snapchat, Dailymotion, Jeuxvideo.com e TikTok hanno aderito al codice. A cinque anni dal varo, il codice continua ad attirare nuovi operatori, a conferma della sua importanza per le imprese tecnologiche.

    Nel giugno 2020 la quinta valutazione ha mostrato che, in media, le imprese hanno valutato il 90% dei contenuti segnalati entro 24 ore e che il 71% dei contenuti considerati illecito incitamento all’odio è stato rimosso. La Commissione ha accolto con favore questi risultati, chiedendo nel contempo ulteriori sforzi, in particolare per quanto riguarda la trasparenza e il feedback agli utenti. Maggiori informazioni sul codice di condotta contro l’incitamento all’odio online sono disponibili al seguente link: https://ec.europa.eu/info/policies/justice-and-fundamental-rights/combatting-discrimination/racism-and-xenophobia/eu-code-conduct-countering-illegal-hate-speech-online_en

    Fonte: Commissione europea

  • La Commissione europea e le autorità nazionali di tutela dei consumatori avviano un dialogo con TikTok

    La Commissione europea e la rete delle autorità nazionali di tutela dei consumatori hanno avviato un dialogo formale con TikTok per rivederne le pratiche e politiche commerciali. L’iniziativa fa seguito a un’allerta dell’inizio dell’anno da parte dell’Ufficio europeo delle unioni dei consumatori in merito a violazioni da parte di TikTok dei diritti riconosciuti ai consumatori dal diritto dell’UE. Tra gli aspetti che destano particolare preoccupazione figurano il marketing occulto, le tecniche pubblicitarie aggressive destinate ai bambini e alcune clausole contrattuali nelle politiche di TikTok che potrebbero essere considerate fuorvianti e fonte di confusione per i consumatori.

    TikTok ha un mese di tempo per rispondere e dialogare con la Commissione e le autorità nazionali di tutela dei consumatori, sotto la guida dell’Agenzia svedese per i consumatori e della Commissione irlandese per la concorrenza e la tutela dei consumatori.

    Fonte: Commissione Europea

  • Il potere dei social media

    Cosa pensereste se, entrando in un negozio ove eravate abituati a fare acquisti il proprietario ve lo impedisse e vi cacciasse fuori dicendo che gli siete antipatico perché vi vestite non secondo il suo gusto? E cosa pensereste se nel democratico Paese di cui siete cittadino qualcuno vi dicesse che tutti avranno libertà di parola ma non voi e chi la pensasse come voi?

    È ovvio che reagireste indignati gridando alla dittatura e alla violazione dei più elementari diritti di libertà che credevate garantiti dalle leggi che i vostri rappresentanti avevano votato.

    Ebbene, negli Stati Uniti di oggi accade di peggio.

    Un gruppo di società private si è arrogato il diritto di decidere chi può proporre agli altri le proprie idee e chi ne verrà impedito.  Twitter, Instagram, Facebook, YouTube, Snapchat e altri “social” più o meno connessi hanno deciso che il signor Donald Trump e tutti i suoi simpatizzanti non potranno più avere accesso ai loro servigi. In altre parole non sarà loro concesso di usare questi strumenti per comunicare tra loro o con terze persone.

    Occorre notare che non abbiamo a che fare con un tipo qualunque di società, bensì di strumenti di comunicazione talmente diffusi in tutti gli strati della popolazione da poter essere oramai considerati un vero e proprio sevizio pubblico. Un po’ come il servizio postale. Vi immaginate se qualcuno decidesse che voi non potrete più ricevere o spedire alcuna forma di corrispondenza?

    Il fatto diventa di una enorme gravità quando si considerano tutti i fattori coinvolti:

    1. Il mercato dei social è praticamente oggetto di un oligopolio che può mettere fuori gioco (e lo sta facendo tramite boicottaggi o acquisizioni) ogni tentativo di creare lo spazio per un’alternativa. Per definizione, non possono esserci molti social network poiché il loro scopo è di connettere molti utenti, ognuno dei quali può “consumare” solo un numero limitato di servizi internet di questo tipo.
    2. Donald Trump fino al 20 di Gennaio è ancora il Presidente in carica degli Stati Uniti
    3. Limitandoci solamente a Twitter, i “lanci” di Donald Trump erano seguiti da 80 milioni di persone che, da pochi giorni orsono, non potranno più farlo.
    4. Donald Trump, Presidente o non Presidente, è un uomo politico che aveva deciso (affar suo!) di comunicare con i suoi elettori o simpatizzanti soprattutto attraverso quei servizi di comunicazione.

    Di fatto, dei privati cittadini hanno autonomamente deciso che Donald Trump non ha, e non avrà più, gli stessi diritti di espressione e di libertà di parola di tutti gli altri.

    Rientra tutto questo nell’idea che ci eravamo fatto della democrazia e dello Stato di diritto?

    Le risposte avanzate dai sostenitori di quello che a me sembra un misfatto sono di due tipi:

    1. le parole di Trump sono un invito alla violenza e quindi vanno zittite preventivamente in nome della pace sociale.
    2. anche Twitter e tutti gli altri, così come qualunque testata giornalistica, hanno il diritto di pubblicare o meno interviste, dichiarazioni o commenti che, per qualunque loro insindacabile motivo, giudichino non opportuni.

    Per quanto riguarda il punto b), la differenza per nulla insignificante è che, almeno fino ad ora, anche negli Stati Uniti le testate giornalistiche sono numerose e il loro pubblico conosce sin dall’inizio quale preferire in base alla loro più o meno marcata tendenza politica. Il caso di Twitter e i social network che si presentano come indipendenti e senza vocazione politica è ben diverso poiché, lo si voglia o non lo si voglia, tutti insieme coprono pressoché la totalità del mercato della comunicazione “social”.

    Il punto a) è ancora più delicato. In uno Stato di diritto esiste una magistratura che si presume indipendente e che è titolata, come unica fonte giuridica, a censurare dopo adeguata istruttoria atti compiuti o dichiarazioni rilasciate da un qualunque cittadino. La stessa magistratura è l’unica che, eccezionalmente, può intervenire in modo preventivo al fine di evitare reati. Nessuna legge democratica prevede la concessione di tale diritto a chi non è legalmente autorizzato.

    La magistratura americana a questo proposito è sempre stata molto precisa: la censura è una restrizione alla libertà di parola ed il primo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti, adottato nel 1791, la garantisce. Perfino il Governo Federale e i Governi dei vari Stati non hanno il diritto di censurare l’espressione dei singoli cittadini. Quando, nel 2019, Trump chiese di bloccare l’accesso ai commenti sul suo account Twitter, una Corte d’Appello Federale gli negò il diritto di farlo, proprio invocando la libertà di espressione prevista dal primo emendamento. È pur vero che In un atto del 1996 (Communication Decency Act, paragrafo 230) la legge stabilì che i social network sono autorizzati a limitare l’accesso a contenuti che loro stessi considerano osceni o offensivi ma in un “Counteracting Internet Censorship” del maggio 2020 tale autorizzazione viene limitata a pubblicazioni piratate o se relative ad abusi sessuali sui minori. Inoltre, gli stessi network sono esentati dalla responsabilità civile per i contenuti che gli utenti vi pubblicano limitando proprio a costoro le conseguenze civili e penali dei loro atti.

    La questione riguardante la censura preventiva e la difesa della libertà d’espressione è stata, negli ultimi mesi, oggetto di una diatriba tra Repubblicani ed i Democratici. Questi ultimi, in spregio al loro stesso nome, chiedono di aumentare la responsabilità dei social network verso ciò che pubblicano e quindi di concedere loro un diritto censorio perfino maggiore. Tuttavia, detto ciò, sia i Repubblicani che i Democratici hanno sostenuto al Congresso e al Senato che i più grandi social network sono “oggettivamente” un oligopolio ed è cominciata la discussione sulla possibilità di obbligare le società più grandi a spezzettarsi, così come fu fatto agli inizi del ‘900 nei confronti dei giganti del petrolio. L’accusa bipartisan è di manipolare, con accordi sotterranei, i prezzi della pubblicità, confermando così la mancanza di libera concorrenza in quel tipo di mercato.

    Considerando la loro posizione dominante, se fosse confermato il diritto dei social network a decidere autonomamente cosa sia legittimo e cosa no, chi autorizzare e chi censurare, si realizzerebbe di fatto qualcosa di molto simile a quel controllo totalizzante ipotizzato in modo preveggente da George Orwell nel suo famoso “1984”. La sola differenza, che rende la cosa perfino peggiore, è che in quella anti-utopia chi controllava i cittadini era un Governo. In questo caso il potere apparterrebbe invece e solamente a un piccolo gruppo di arricchiti che potrà così controllare il mondo.

  • Social e tv possono spingere gli adolescenti alla depressione

    Un uso troppo prolungato della televisione o di social media, come Facebook e Instagram, espone gli adolescenti a un aumentato rischio di depressione. È quanto emerge da una ricerca, realizzata da un gruppo guidato da Elroy Boers del Department of Psychiatry dell’University of Montreal, pubblicata su JAMA Pediatrics. In base ai risultati della ricerca, che ha coinvolto oltre 3.800 adolescenti, anche un prolungato utilizzo del computer espone allo stesso rischio, tranne quando i ragazzi lo usano per acquisire una crescente abilità informatica: in questi casi il rischio di depressione tende a diminuire, compensato da un miglioramento dell’autostima. Anche l’utilizzo prolungato di videogiochi sembra essere esente dal rischio di indurre depressione. Infatti oltre il 70% degli adolescenti gioca in compagnia di un amico presente fisicamente oppure online, svolgendo quindi un’azione socializzante che riduce il rischio di isolamento e depressione.

    Sono state avanzate diverse ipotesi sul perché trascorrere molto tempo sui social media o davanti alla televisione esponga al rischio di depressione adolescenziale. Un’ipotesi è che queste attività rubino tempo ad altre potenzialmente più «sane» e socializzanti, come l’attività fisica. Poi c’è anche il sospetto che gli adolescenti che trascorrono troppo tempo davanti agli schermi siano esposti a contenuti per loro difficili da interpretare criticamente, così che rischiano di cadere preda di comparazioni impossibili. Sia i social media sia la televisione presentano infatti modelli di vita idealizzati, che non corrispondono alla realtà, irraggiungibili e quindi fonte di frustrazione. Basti pensare che sui social tutti sembrano divertirsi tutti i giorni dell’anno, in una vita irreale che appare perennemente in vacanza. Infine c’è la teoria delle cosiddette «spirali di rinforzo»: un fenomeno in base al quale i ragazzi tendono a selezionare contenuti che confermano quelle che già sono le loro idee. In tal modo, una visione negativa della vita può rapidamente rafforzarsi, aprendo la strada alla vera depressione.

  • L’UE intensifica la lotta alla disinformazione ma per Facebook è un limite alla libertà di espressione

    Facebook mette in guardia utenti e non solo sul rischio di libertà di espressione perché l’Unione Europea sta attuando misure per fermare le campagne di disinformazione sulle piattaforme online.

    Secondo Nick Clegg, vicepresidente per gli Affari generali di Facebook, nel mondo online quello che poteva essere considerato un discorso accettabile si è ristretto negli ultimi anni erodendo la libertà di espressione.

    Facebook, stando sempre alle parole del manager, sta facendo attenzione a non oltrepassare la linea sottile tra il divieto di disinformazione e la soppressione della libertà di espressione.

    Le altre piattaforme social si sono già impegnate a vietare la pubblicità politica, tuttavia, Facebook ha finora resistito.

    Si prevede che l’UE, che ha istituito un gruppo sulla libertà dei media per valutare il problema, delineerà il suo piano d’azione per la democrazia con misure per la lotta alla disinformazione, consentendo nel contempo elezioni libere ed eque.

    All’inizio di questo mese, intanto, Facebook ed eBay si sono impegnate a rimuovere account, pagine e gruppi coinvolti nel commercio di recensioni false.

  • Qualcuno sciolga i nodi della rete in cui siamo finiti imbrigliati

    L’avevamo detto nell’ormai lontano 2000, l’avevamo scritto e abbiamo continuato a scriverlo in più occasioni: la mancanza di regole nell’uso dei sistemi informatici avrebbe portato a pericolose derive. Purtroppo avevamo, ancora una volta, ragione nel segnalare un pericolo e nel chiedere, in difesa della legalità e della libertà di tutti, che non fosse consentito nessun sistema di informazione e di comunicazione che non rispondesse ad un minimo di regolamentazione e di certezza della privacy.

    Sapevamo che, in una società mondializzata, l’assenza di regole condivise avrebbe portato al sopruso ed alla manipolazione, di notizie e di coscienze, e che l’incapacità, dei più, di saper decodificare i messaggi avrebbe generato confusioni e falsità scambiate per verità.

    Sulla rete hanno viaggiato indisturbati, per anni, terroristi a caccia di adepti e veicolatori di insegnamenti per uccidere e per sterminare persone inermi, criminali di varia natura, dai trafficanti di armi e di uomini agli spacciatori di droga e di medicinali contraffatti, pedofili incalliti e piccoli frustrati che con i loro insulti hanno turbato la vita di molti, specialmente donne. Sulla rete indisturbati truffatori hanno carpito la fede dei molti sprovveduti, diventati vittime di truffe, e troppi ragazzini hanno potuto acquistare stupefacenti e rimanere invischiati in giochi erotici, crescendo nel mito del bullismo e della violenza fine a se stessa. Molte le vittime, enormi i danni non solo economici.

    In questi giorni la realtà ci conferma, con i dati rubati almeno a 72milioni di persone (ma la cifra appare destinata a crescere in modo esponenziale), che quanto avevamo preannunciato si è, purtroppo, puntualmente verificato! Il bello della rete, e cioè mettere in comunicazione mondi lontani, aumentare la cultura, contrastare l’ignoranza ed i regimi dittatoriali, far crescere le possibilità di aiuto sanitario ed umanitario, favorire lo scambio di idee e speranze, è stato in gran parte vanificato da quella mancanza di regole comuni che hanno consentito un uso troppo spesso criminale dei sistemi informatici. I nostri dati sensibili non solo sono di libero accesso agli hacker, che possono manipolare dati bancari o interrompere quando vogliono il traffico aereo ed inserirsi nelle intelligence degli Stati, ma sono anche utilizzati per modificare gli assetti politici ed istituzionali e per arricchire a dismisura coloro che della loro scoperta geniale hanno fatto un business illegale. Poi, beffa nella beffa, paghiamo i garanti della privacy…

    Mentre, non solo in Italia, diventa sempre più difficile formare un governo che capisca come governare, qualcuno si chieda come fare ad insegnare ai cittadini, partendo da più piccoli, l’utilizzo consapevole della rete e come trovare, in modo globale, una regola comune che impedisca che pochi controllino, utilizzino e decidano della vita di tutti gli altri.

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