Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli
L’ideologia nella contemporaneità troppo spesso esprime unicamente la capacità o, peggio, la volontà politica di negare le realtà oggettive.
Quanto sta avvenendo all’interno dell’Unione Europea ne rappresenta un esempio eclatante e preoccupante in un’ottica futura della stessa istituzione. Va ricordato come siano solo cinque gli stati membri, Germania, Italia, Francia, Spagna e Polonia che contribuiscono alla creazione di quasi 12.000 miliardi del Pil europeo (per semplificazione si adotta il valore a prezzi correnti piuttosto di quello a parità di potere d’acquisto [Ppa]) il quale, con l’apporto marginale degli altri ventidue componenti (22 per 5.000 miliardi di Pil), arriva a malapena ai 17.000 miliardi (*).
In altre parole, il cuore industriale ed economico dell’Unione Europea risulta circoscritto a queste cinque nazioni e rappresenta oltre il 70% dell’intero PIL comunitario, mentre il restante 30% si può attribuire ai residuali ventidue (22) non citati. Già questa fotografia economica dovrebbe indurre l’intera istituzione europea ad una politica di tutela e conservazione del cuore pulsante economico europeo che ne garantisce la stessa sopravvivenza economica e valenza istituzionale nello scenario internazionale.
Passando, poi, al fronte delle emissioni sempre a questi cinque Stati a forte trazione industriale viene attribuito un valore complessivo pari al 5,4% delle emissioni globali (**), mentre nella sua complessità l’Unione Europea rilascia circa il 7-7,5% delle emissioni globale.
La Cina presenta un PIL di circa 17.800 miliardi di euro in crescita, ma al suo sistema industriale ed economico vanno attribuite il 28% delle emissioni globali, tanto da renderla il primo paese inquinante del mondo (gli Stati Uniti con un Pil di 26.990 mld di euro emettono il 21% delle emissioni globali).
Nel confronto con l’economia cinese, quindi, l’Unione Europea produce una ricchezza complessiva di poco inferiore a quella cinese (17.000 mld in Ue rispetto ai 17.870.000 in Cina***) ma emette un quarto delle sostanze inquinanti rispetto al colosso cinese.
Nello specifico, poi, il cuore pulsante economico e soprattutto industriale europeo (che solo nel settore Automotive garantisce 13 milioni di posti di lavoro), rappresentato dai cinque stati citati prima, Germania, Italia, Francia, Spagna e Polonia produce un PIL pari ad oltre il 65% di quello cinese ma è responsabile di emissioni inferiori di cinque volte (1/5) rispetto a quelle del gigante cinese.
Il modello economico europeo, in altre parole, soprattutto nella sua parte industriale dovrebbe essere definito come la perfetta sintesi dell’evoluzione tecnologica ed industriale frutto di investimenti finanziari e professionali, la quale mira ad un efficientamento continuo del sistema, con l’obiettivo di ottimizzare i costi energetici e quindi la sostenibilità economica.
Una tale superiorità dimostrata da questi numeri meriterebbe, come accennato prima, la totale ed assoluta tutela nei confronti dei prodotti di altri sistemi industriali come quello cinese, il cui sistema industriale rispetto alle emissioni risulta a forte impatto ambientale.
Questa mancanza di attenzione o, peggio ancora, la volontà di azzerare l’asset storico dell’economia europea in nome di una infantile “transizione energetica ed ecologica” porterà inevitabilmente l’intera Europa verso un disastro molto simile, in termini economici, a quello del secondo conflitto mondiale.
Una simile strategia rappresenta, in altri termini, una politica eversiva finalizzata al rovesciamento economico della stessa dell’Unione Europea.
Una volontà di distruggere ogni asset industriale confermata dall’ultima proposta presentata dalla Presidente della Commissione Europea la quale vuole imporre l’introduzione dell’obbligo di riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040.
Mentre gli Stati Uniti hanno azzerato ogni aiuto finanziario alla insostenibile transizione elettrica e, contemporaneamente, Cina ed India hanno firmato un accordo per costruire decine e decine di nuove centrali elettriche a carbone, oltre alle 1.161 già operative in Cina che assicurano oltre il 70% della energia elettrica prodotta dal carbone.
Le conseguenze di tale ennesimo delirio ricadranno maggiormente sulle cinque nazioni che rappresentano il 70% del Pil ma solo marginalmente sulle altre ventidue che raggiungono a malapena il 30%.
In ultima analisi, il periodo caratterizzato dalla operatività delle due ultime Commissioni europee esprime, nei contenuti e nella forma, delle analogie con quello degli “anni di piombo” durante i quali anche una parte delle istituzioni deviate operavano con gruppi terroristici per il sovvertimento del sistema democratico.
Ora il ruolo della istituzione deviata sembra perfetto per la Commissione europea e la maggioranza che la sostiene mentre la complicità con gruppi esterni si traduce nei finanziamenti a gruppi di integralisti ecologisti e media ad essi collegati che intendono sovvertire non più l’ordinamento democratico ma l’essenza del sistema economico occidentale e conseguentemente i propri sostenitori.
Nel periodo 1968/82 gli anni di piombo hanno causato circa 350 vittime ed oltre mille feriti, mentre il futuro di piombo originato dalle stesse istituzioni europee darà origine a 13 milioni di disoccupati, localizzati perlopiù nelle cinque nazioni. Quelle cinque che da sole determinano quel benessere diffuso di cui ancora oggi gode l’intera Unione Europea.
(*) Germania Pil 4307 Mld di euro, Francia Pil 2903 Mld di euro, Italia Pil 2200 Mld di euro, Spagna Pil 1583 Mld di euro, Polonia Pil 849 Mld di euro
(**) Germania 2% delle emissioni globali, Italia 1% delle emissioni globali, Francia 1% delle emissioni globali, Spagna 0,7% delle emissioni globali, Polonia 0,7% delle emissioni globali
(***) a parità di potere d’acquisto i valori in verità cambiano a favore della Cina che registra un Pil di oltre 27.200 Mld di dollari mentre la Ue si ferma a 17.700