spese

  • Gli agricoltori incassano il 7% netto del prezzo al bancone dei loro prodotti

    Su 100 euro spesi dal consumatore per l’acquisto di prodotti agricoli freschi, meno di 20 euro remunerano il valore aggiunto degli agricoltori, ai quali, sottratti gli ammortamenti e i salari, resta un utile di 7 euro, contro i circa 19 euro del macro-settore del commercio e trasporto. E per i prodotti alimentari trasformati la situazione è ancora peggiore con l’utile dell’agricoltore che si riduce a 1,5 euro, solo di poco inferiore a quello dell’industria, pari a 1,6 euro, contro i 13,1 euro del commercio e trasporto che fanno la parte del leone. E’ quanto emerge dall’analisi della catena del valore, realizzata dall’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea), sulla base degli ultimi dati Istat disponibili e relativi al 2021, che evidenzia comunque una erosione die margini agricoli rispetto al 2013. Permangono – scrive Ismea – squilibri strutturali nella distribuzione del valore lungo la filiera agroalimentare, con le fasi più a valle, quali logistica e distribuzione, in grado di trattenere la quota più elevata del valore finale del prodotto, a discapito soprattutto della fase agricola”.

    L’approfondimento, realizzato dall’Istituto, sulla filiera della pasta e su quella della carne bovina ha messo in luce una situazione di sofferenza, con margini particolarmente compressi, se non addirittura negativi, per le aziende agricole e gli allevamenti, mitigati solo dal sostegno pubblico, attraverso la Pac e gli aiuti nazionali. Una situazione che evidenzia la necessità di intervenire con una più equa distribuzione nella catena del valore con la recente normativa sulle pratiche sleali lungo la filiera e la rilevazione dei costi standard sotto i quali non devono scendere i compensi. Il Rapporto Agroalimentare 2024 elaborato dall’Ismea evidenzia anche gli importanti risultati raggiunti dall’export agroalimentare che per l’intero nel 2024 potrebbe raggiungere i 70 miliardi di euro anche se ci sono timori per il prossimo anno per la nuova politica dei dazi annunciata dal neopresidente Usa Donald Trump. Già nei primi nove mesi del 2024 comunque e le esportazioni hanno superato le importazioni con la bilancia commerciale che è tornata in attivo nell’agroalimentare anche se permangono settori a forte dipendenza dall’estero come la soia con un tasso di autosufficienza nel 2023 del 32%, il mais (46%), e il grano duro (52%) e tenero (36%). A pesare i bassi compensi riconosciuti alla produzione ma anche gli eventi climatici eccezionali.

  • Cibo, bollette e benzina: le famiglie italiane spendono ogni mese 1.200 euro

    Le spese “obbligate” sostenute mensilmente nel 2023 dalle famiglie italiane – vale a dire quelle che riguardano indicativamente l’acquisto di cibo, carburante e bollette – hanno raggiunto i 1.191 euro, pari al 56 per cento della spesa totale che, invece, in valore assoluto si è attestata a 2.128 euro. Un’incidenza in calo rispetto al dato del 2022 (57,1%), ma decisamente superiore alle quote che registravamo prima dell’avvento della pandemia. Lo afferma l’Ufficio studi della Cgia.

    Dopo il periodo del Covid e la crisi energetica che hanno caratterizzato il triennio 2020/2022, spiegano gli artigiani di Mestre, le spese “obbligate” si sono stabilizzate su soglie più elevate. Dei 1.191 euro di spesa mensile, 526 euro sono riconducibili all’acquisto di beni alimentari e bevande analcoliche, 374 per la manutenzione della casa, bollette e spese condominiali e 291 per i trasporti, ovvero per il pieno dell’auto e per gli abbonamenti su bus/tram/metro/treni. A questi 1.191 euro vanno sommati 937 euro che, invece, sono ascrivibili alla cosiddetta spesa complementare che fa salire la spesa complessiva media nazionale a 2.128 euro. Nel Sud l’incidenza delle spese fisse sfiora il 60%.

    Analizzando la situazione per aree geografiche, emergono forti differenze di spesa tra il Nord e il Sud del Paese. Se a Nordovest la spesa complessiva mensile nel 2023 è stata pari a 2.337 euro, nel Mezzogiorno ha toccato i 1.758 euro (-24,7%). Per quanto riguarda le spese “obbligate”, invece, è il Mezzogiorno a registrare un’incidenza di queste ultime sulla spesa totale più elevata d’Italia. Se nel Nordovest e nel Nordest la quota sul totale è del 55% circa, al Sud sale al 59,4%.

    Questo risultato è riconducibile al fatto che, in particolar modo, la spesa media per i beni alimentari del Mezzogiorno non ha eguali tra le altre ripartizioni geografiche. Se in termini monetari la spesa mensile media più importante nel 2023 per cibo, bollette e carburante è stata registrata dalle famiglie del Nord – in Trentino Alto Adige con 1.462 euro, in Lombardia con 1.334 euro e in Friuli Venezia Giulia con 1.312 euro – come detto precedentemente, l’incidenza delle spese obbligate sul totale è risultata più elevata nelle regioni meridionali – Calabria con il 63,4 %, Campania con il 60,8 % e Basilicata con il 60,2%.
    Un trend che preoccupa anche artigiani e commercianti, in quanto è evidente che anche i fatturati delle piccole realtà artigianali e commerciali ne risentono negativamente. “La crisi che ha interessato tantissime botteghe artigiane e altrettanti negozi di vicinato è sicuramente ascrivibile alle tasse, ai costi elevati degli affitti, alla concorrenza molto aggressiva praticata dalla grande distribuzione e alla forte espansione del commercio online, ma, soprattutto, dal calo dei consumi che, purtroppo, negli ultimi 10 anni ha riguardato le famiglie economicamente più fragili e quelle che costituiscono il cosiddetto ceto medio” spiega la Cgia.

    Per la Cgia di Mestre, non è da escludere che, con spese “obbligate” in grado ormai di “drenare” ben oltre la meta’ della spesa totale delle famiglie, i prossimi acquisti di Natale subiscano una frenata rispetto a quanto avvenuto nel 2023. L’anno scorso, infatti, le stime indicano che in Italia la spesa per i regali da mettere sotto l’albero è stata pari a poco più di 11 miliardi di euro. Quest’anno, invece, dovrebbe aggirarsi attorno ai 10 miliardi di euro (-9%). Le ragioni di questa contrazione vanno ricercate nella minore disponibilità di spesa delle famiglie, a fronte delle difficoltà economiche avvertite negli ultimi mesi, e dal fatto che sempre più persone anticipano l’acquisto dei regali di Natale a fine novembre, approfittando degli sconti offerti dal Black Friday.

  • Le regole per spendere meno in sanità grazie alle detrazioni fiscali

    Nelle dichiarazioni dei redditi precompilate, messe a disposizione dall’Agenzia delle Entrate dal 30 aprile, sono confluiti circa 1 miliardo e 300 milioni di dati: la parte più consistente riguarda le spese mediche e sanitarie, che i contribuenti possono utilizzare per ridurre l’imposta da versare.

    I costi per la salute sostenuti durante tutto il 2023, infatti, se inseriti nel modello 730/2024, da inviare entro la scadenza del 30 settembre, danno diritto a una detrazione IRPEF pari al 19 per cento.

    Per beneficiare dello sconto d’imposta regolato dall’articolo 15 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, però, bisogna tenere conto di alcune regole ed eccezioni.

    Nella versione pronta all’uso della dichiarazione dei redditi l’Agenzia delle Entrate indica già le informazioni sulle spese sanitarie in suo possesso.

    Ma sia per chi usa la precompilata che per chi sceglie la via ordinaria è utile conoscere le istruzioni per calcolare la detrazione spettante, ovvero l’agevolazione che agisce sul calcolo dell’imposta dovuta riducendone il suo valore e che è diversa dalla deduzione, grazie alla quale si riduce, invece, la base imponibile su cui viene calcolata l’imposta.

    Quali sono le spese mediche detraibili tramite modello 730/2024?

    Prima di entrare più nel dettaglio delle spese sanitarie detraibili, bisogna chiarire che l’agevolazione è accessibile soltanto nel caso in cui l’importo speso nell’arco del 2023 sia superiore a 129,11 euro.

    Si tratta della cifra prevista per la cosiddetta franchigia che consiste in una somma di fatto esclusa dall’applicazione della detrazione.

    Nel calcolo dei costi sostenuti possono essere incluse le seguenti voci:

    – prestazioni rese da un medico generico (comprese le prestazioni rese per visite e cure di medicina omeopatica);

    • acquisto di medicinali da banco e/o con ricetta medica (anche omeopatici);
    • prestazioni specialistiche;
    • prestazioni chirurgiche;
    • analisi, indagini radioscopiche, ricerche e applicazioni, terapie;
    • ricoveri collegati a una operazione chirurgica o a degenze;
    • acquisto o affitto di protesi sanitarie;
    • spese relative all’acquisto o all’affitto di dispositivi medici (ad esempio apparecchio per aerosol o per la misurazione della pressione sanguigna), ma dallo scontrino o dalla fattura deve risultare il soggetto che sostiene la spesa e la descrizione del dispositivo medico che deve essere contrassegnato dalla marcatura CE;
    • spese relative al trapianto di organi;
    • cure termali (escluse le spese di viaggio e soggiorno).

    E inoltre sono detraibili, anche senza una specifica prescrizione da parte di un medico ma con una dettagliata documentazione, gli importi pagati per l’assistenza infermieristica e riabilitativa (come ad esempio fisioterapia, kinesiterapia, laserterapia) e per le prestazioni rese da personale con le caratteristiche che seguono:

    • in possesso della qualifica professionale di addetto all’assistenza di base o di operatore tecnico assistenziale esclusivamente dedicato all’assistenza diretta della persona;
    • di coordinamento delle attività assistenziali di nucleo;
    • con la qualifica di educatore professionale;
    • addetto ad attività di animazione e/o di terapia occupazionale.

    In linea generale anche i ticket pagati sono detraibili, se le spese appena elencate sono state sostenute nell’ambito del Servizio sanitario nazionale.

    La cifra su cui calcolare lo sconto IRPEF può includere anche i costi sostenuti per i familiari fiscalmente a carico e, in alcuni casi, nell’interesse di familiari non a carico, come per le spese sanitarie per patologie che danno diritto all’esenzione dal ticket sanitario.

    Anche chi si cura all’estero, inoltre, può beneficiare delle agevolazioni fiscali con le stesse regole.

    Detrazione spese mediche nel modello 730/2024: le istruzioni da seguire

    Chiarite quali sono le spese sanitarie detraibili tramite modello 730/2024, è necessario passare a rassegna alcune regole che per i costi legati alla salute prevedono delle eccezioni.

    Prima di tutto l’obbligo generalizzato di tracciabilità dei pagamenti per accedere agli sconti IRPEF non si applica del tutto in ambito sanitario.

    L’acquisto di medicinali e dispositivi medici e le prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche e quelle private accreditate al Servizio sanitario nazionale danno diritto allo sconto IRPEF anche in caso di pagamento in contanti.

    Allo stesso modo alle spese sanitarie non si applica il meccanismo di riduzione progressiva delle detrazioni fino all’azzeramento in presenza di redditi superiori a 240.000 euro, che scatta per coloro che hanno redditi superiori a 120.000 euro.

    Ricapitolando, in linea generale per calcolare in che misura le spese mediche riducono l’imposta da versare bisogna considerare i seguenti aspetti:

    • la tipologia di costi sostenuti per la salute;
    • le modalità di pagamento, considerando regole ed eccezioni;
    • l’importo totale, che deve superare la franchigia di 129,11 euro.

    L’importo delle spese sanitarie che danno diritto a una detrazione IRPEF del 19 per cento tramite il modello 730/2024 devono essere inserite, o per chi usa la precompilata e non si è opposto all’utilizzo dei dati risultare già inserite, nel Quadro E – Oneri e Spese.

    A supporto degli importi indicati, i contribuenti devono avere cura di conservare anche una serie di documenti con relativa traduzione, se i costi sono stati sostenuti all’estero, ma nessun controllo documentale è previsto per chi accetta la versione precompilata senza modificare quanto indicato dall’Agenzia delle Entrate.

  • Piano Fanfani

    Da più parti e da molto tempo si sottolinea come sia impossibile, non solo per gli studenti, trovare una casa in affitto, nelle grandi città, e trovarla a prezzi accessibili rispetto agli stipendi.

    Come Il Patto Sociale ha già ricordato in altre occasioni da decenni nelle grandi città, ma non solo, non esiste un piano di edificazione di edilizia popolare o convenzionata. I precedenti governi si sono inventati il bonus 110% per far ripartire l’edilizia con i seguenti brillanti risultati:

    1. truffe di ogni genere;
    2. aumento spropositato dei costi delle materie prime;
    3. danno per coloro che sono stati truffati dalle imprese;
    4. spaventoso buco per lo Stato che oggi non ha più le risorse per fare quel che sarebbe necessario almeno per la sanità.

    Se, per crearsi facili consensi elettorali, invece di occuparsi dei cappotti e delle ristrutturazioni, vere o fasulle, di case, casette o condomini si fosse provveduto a mettere in sicurezza le scuole, che stanno più o meno crollando, e ponti e cavalcavia, che sono ormai quasi tutti ad una corsia per evitare che l’eccessivo peso li faccia ulteriore peggiorare, l’edilizia sarebbe ripartita in modo più utile ed onesto e lo Stato avrebbe infrastrutture ed edifici pubblici idonei e non pericolosi.

    Se si fosse dato il via a un piano per la costruzione di edifici di edilizia popolare e convenzionata, oggi non avremmo il problema di studenti accampati con le tende, di speculazioni di privati che, in città come Milano, fanno pagare oltre 1000 euro al mese per 30 metri quadri e non avremmo tante persone del Sud costrette a rifiutare lavoro al Nord perché non in grado, con lo stipendio, di pagarsi l’affitto.

    Vale forse ricordare ai governanti di ieri e come suggerimento a quelli di oggi quel famoso piano Fanfani che diede lavoro a 50mila operai e perciò all’edilizia e realizzò case per chi non le aveva.

  • Il costo del Ponte sullo Stretto è arrivato a 13,5 miliardi

    “Il Sole 24 Ore“, ha stimato che tra il 1981 e il 1997 sono stati spesi 135 miliardi di lire per vari studi di fattibilità del Ponte sullo Stretto di Messina per collegare Sicilia e Calabria.

    Un primo cantiere aveva anche preso il via, quando nel 2009 a Cannitello lo spostamento di un tratto di ferrovia autorizzato nel 2006 deal Cipe, il Comitato interministeriale per la politica economica, era stato ricondotto nell’ambito dei lavori occorrenti per la realizzazione del ponte stesso, ma nel 2013 il governo Monti decretò l’alt al progetto stesso e mise in liquidazione la società Stretto di Messina, controllata all’81,84% da Anas (oggi parte di Ferrovie dello Stato) e partecipata da Rete ferroviaria italiana (Rfi), Regione Calabria e Sicilia, realizzata proprio per porre in essere il progetto del megaponte.

    Nel 2013 risultava che per liquidare quella società occorreva pagarle 342 milioni fra penali e indennizzi, e che a quella cifra, per valutare il costo complessivo sostenuto fino a quel momento per l’opera, andavano aggiunti oltre 130 milioni spesi fra studi e gestione degli anni ’80 e ’90. Il conto tuttavia era anche più salato, perché ci sono stati risarcimenti di parti terze poiché non sono stati fatti accantonamenti a garanzia, ovvero le cause legali fatte alla Stretto di Messina. Solo per fare un esempio: il consorzio che aveva vinto l’appalto Eurolink – capitanato da Salini Impregilo (oggi WeBuild, partecipata anche da Cassa depositi e prestiti e quindi dallo Stato) – ha in sospeso un appello con una richiesta di 657 milioni di euro per illegittimo recesso.

    Inoltre, ci sono altre cause legali da affrontare, come quella da 90 milioni intentata da Parsons, colosso dell’ingegneria civile Usa.

    Secondo il progetto originario, il costo era di circa 4,4 miliardi (valori al 2003, anno in cui il progetto preliminare venne approvato), ma il Consorzio Eurolink si aggiudicò nel 2005 la gara operando un ribasso che portò il valore del contratto (sottoscritto ad aprile 2006) a 3,9 miliardi (a valore 2003). In base alle previsioni contrattuali, il contratto nello stesso anno 2006 ebbe una aggiornamento del valore monetario e un incremento dell’oggetto, giungendo a circa 6 miliardi di euro. Negli anni questo costo è aumentato ancora, arrivando a 13,5 miliardi di euro, secondo quanto prevede oggi un allegato del Def (Documento di Economia e Finanza). Per quanto riguarda i raccordi stradali di competenza Anas il valore non è definito nel Def, dove si afferma solamente che saranno molto inferiori rispetto ai raccordi ferroviari di Rfi. A tale costo vanno aggiunti i costi delle opere complementari e di ottimizzazione alle connessioni ferroviarie, lato Sicilia e lato Calabria, che dovranno essere oggetto del contratto di programma con Rfi. Si stima un costo di 1,1 miliardi.

  • Sbloccare il potenziale dei dati sugli appalti pubblici dell’UE

    Insieme alla sua comunicazione sui 30 anni del mercato unico, la Commissione rivela il piano per costruire uno spazio europeo di dati sugli appalti pubblici. Il piano descrive l’architettura di base, l’insieme degli strumenti di analisi da attuare entro la metà del 2023 e i dati sugli appalti pubblicati a livello europeo da rendere disponibili nel sistema per quella scadenza. Entro la fine del 2024 tutti i portali di pubblicazione nazionali aderenti dovranno essere connessi, i dati storici pubblicati a livello europeo dovranno essere integrati e l’insieme degli strumenti di analisi dovrà essere ampliato.

    Lo spazio di dati sugli appalti pubblici riunirà dati sulle gare d’appalto, dalla preparazione all’esito. Attualmente tali dati sono sparsi in formati diversi e a diversi livelli, ovvero europeo e nazionale. Lo spazio di dati fornirà un nuovo quadro di informazioni grazie a un insieme di strumenti analitici all’avanguardia, che include tecnologie basate sull’intelligenza artificiale, come l’apprendimento automatico e l’elaborazione del linguaggio naturale. Tutto ciò permetterà spese pubbliche più mirate e trasparenti, migliorerà l’accesso alle gare d’appalto per le aziende, in particolare le piccole e medie imprese, e potenzierà l’elaborazione di politiche basate sui dati. Queste tecnologie aiuteranno inoltre gli acquirenti pubblici e le imprese a migliorare le loro strategie di investimento e di offerta, e forniranno a tutte le parti interessate una maggiore trasparenza e un miglior rapporto qualità-prezzo.
    Il settore pubblico, che in tutta l’UE vale più di 2 miliardi di euro all’anno, vale a dire quasi il 13,6% del PIL dell’Unione, dovrebbe fare la sua parte nel sostenere le industrie verdi. Lo spazio di dati sugli appalti pubblici permetterà alle autorità pubbliche di condividere le migliori prassi anche per un uso più mirato dei fondi pubblici a favore delle industrie verdi.

    Come sottolineato nella relazione annuale sul mercato unico 2023, sfruttare il potenziale dei dati è essenziale per far sì che il mercato unico realizzi appieno il suo potenziale in termini di sostegno alla resilienza e alla competitività dell’economia europea.

  • Riformare l’IVA: le richieste dei Medici Veterinari al Governo Meloni

    Riceviamo e pubblichiamo un comunicato dell’ANMVI (Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani)

    (Cremona, 14 marzo 2023) – È di oggi il riscontro all’Anmvi del Sottosegretario alla Presidenza del CdM, On Alfredo Mantovano, per un approfondimento con il Mef.

    Nell’imminenza del varo del disegno di legge delega, l’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani auspica che possa finalmente trovare accoglimento la sempre più urgente esigenza di alleviare il peso fiscale che grava sulle cure e sul mantenimento di 60 milioni di animali da compagnia (rapporto 1/1 popolazione Istat) nonché sull’assistenza veterinaria agli animali allevati a scopo di produzione di alimenti.

    L’Associazione avanza quattro richieste:

    1. La collocazione delle prestazioni veterinarie nell’aliquota agevolata IVA (al pari dei medicinali veterinari) in quanto dichiarate “servizi essenziali” alla sanità animale e alla sanità pubblica;
    2. La valutazione di una aliquota zero (esenzione da IVA) per le prestazioni veterinarie corrispondenti ad obblighi di legge (es. identificazione e registrazione degli animali da compagnia) o riconducibili ai livelli essenziali di assistenza (es. sterilizzazione anti-randagismo) o ad azioni di tutela della sanità pubblica (es vaccinazioni/trattamenti anti-zoonosi)
    3. La collocazione nello scaglione agevolato IVA dei prodotti alimentari (pet food);
    4. La salvaguardia della detraibilità fiscale delle spese veterinarie;

    In un’ottica concretamente one health, l’Anmvi ritiene necessario e urgente un intervento di razionalizzazione fiscale in particolare delle aliquote IVA.

    Ufficio Stampa ANMVI – Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani- 0372/40.35.47

  • Quali accise stiamo pagando?

    Mentre i prezzi dei carburanti impazzano e si attendono i risultati delle indagini della Guardia di Finanza chiediamo, insieme a tanti altri italiani, se le accise che stiamo ancora pagando si riferiscono ad avvenimenti ormai antichi quali la Guerra d’Etiopia del 1935-36, la crisi di Suez del 1956 o la ricostruzione del Vajont del 1963 o se invece sono giustificate dalla necessità di reperire fondi per eventi più recenti e, in questo caso, quali sono questi eventi.

    In molti riteniamo che sia giusto non far mancare il contributo dei singoli cittadini per aiutare la ricostruzione di territori colpiti, in questi ultimi anni, dalle catastrofi naturali che, per altro, in molti casi avrebbero potuto essere evitate o rese meno tragiche.

    Gli italiani chiedono di sapere quali accise stanno pagando, se è da identificare qualsiasi speculazione e mettere in atto tutto quanto necessario per impedirla è altrettanto vero ed evidente che una richiesta urgente di pagamento di accise può essere accettata dai cittadini solo se sui riferisce ad eventi che risalgano agli ultimi anni.

  • Detrazioni Irpef per le spese veterinarie, uno sconto di 20 centesimi al giorno

    È di 20 centesimi al giorno il beneficio fiscale per milioni di proprietari che si prendono cura di un animale da compagnia. Lo sconto Irpef sulle spese veterinarie è ampiamente insufficiente secondo l’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani (ANMVI) che invita alla prova del calcolo: il tetto massimo di spesa veterinaria ammesso alla detrazione fiscale è di 550 euro, ma deve essere decurtato della franchigia (134 euro) e sulla differenza va calcolato il 19%. A conti fatti, i proprietari di animali da compagnia recuperano 80 euro all’anno.

    L’ANMVI invita il Governo a mantenere l’impegno preso durante la Legge di Bilancio 2022. Il Ministero delle Finanze, per voce del Sottosegretario Federico Freni ha accolto un ordine del giorno per innalzare il tetto massimo di spesa veterinaria.
    L’occasione per aumentare le detrazioni sulle spese veterinarie può essere la delega fiscale, ricordando che sono tracciate dal Sistema Tessera Sanitaria e regolate con pagamento elettronico.

    È indispensabile riconoscere un significativo sostegno fiscale alle numerose famiglie italiane, una su tre, che oggi in Italia detengono un animale d’affezione. Incoraggiare con incentivi fiscali le cure veterinarie aumenta la prevenzione veterinaria, la salute e il benessere degli animali. La prevenzione veterinaria di 60 milioni di pets corrisponde ad una vera politica one health che finora né il Governo né il Ministero della Salute hanno considerato nel PNRR.

    Fonte: Ufficio Stampa ANMVI – Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani

  • Quale “sviluppo” delle estrazioni di gas nazionale?

    Da oltre un anno il governo Draghi e il ministro Cingolani hanno ripetutamente affermato come entrambi considerino fondamentale, per attenuare gli effetti devastanti della escalation dei costi energetici per imprese e cittadini, puntare sullo sviluppo della estrazione di gas da giacimenti italiani passata nei primi anni 90 dai 21 milioni di metri cubi a poco più di 3,4 del 2021, a fronte di un consumo nazionale di 76 miliardi di metri cubi.

    Il 4 di aprile, all’interno di un mio breve intervento, avevo pubblicato invece il costante trend negativo relativo all’estrazione di tutto il 2021 (oltre -18%) e di febbraio 2022 (oltre -24%) i quali, senza alcun dubbio, ponevano in ridicolo le affermazioni tanto del ministro della Transizione energetica quanto del Presidente del Consiglio dimostrando, infatti, come le estrazioni di gas da giacimenti nazionali diminuissero progressivamente da mesi https://www.ilpattosociale.it/…/solo-chiacchiere-e…/.

    Nel frattempo lo stesso governo, verso la fine del 2021, ha approvato ed introdotto un nuovo protocollo definito Pitesai all’interno del quale vengono definiti i nuovi protocolli per identificare le aree del territorio italiano in cui vengano consentite la ricerca e successivamente l’estrazione di gas naturale. Sulla base di questo nuovo atto governativo nei soli pochi ultimi mesi, durante i quali all’aumento dei costi energetici legati all’inflazione si sono aggiunte le conseguenze dell’evento bellico, risultano rifiutate quarantadue (42) su quarantacinque (45) richieste di attività di ricerca sul territorio nazionale finalizzate a creare nuove quote estrattive.

    In pieno questo delirio ambientalista si aggiunga, poi, come delle centotto (108) attività estrattive già operative da anni circa il 70% potrebbe essere soggetto a sospensione in quanto questa attività avviene all’interno di zone definite ora non idonee, quindi  ex post, proprio sulla base di questo nuovo protocollo del governo Draghi nel 2021.

    E’ evidente come tanto Draghi quanto Cingolani abbiano dimostrato ampiamente di aver mentito nelle loro dichiarazioni pubbliche e di operare contro lo sviluppo dell’attività estrattiva da giacimenti nazionali.

    I dati pubblicati nel mio intervento del 4 aprile vengono confermati e rappresentano ora, alla luce di questo protocollo, addirittura la cristallina espressione di una strategia governativa che si manifesta come sintesi nefasta della follia ideologica ambientalista ma anche di una incapacità intellettuale nel comprendere il momento storico di estrema difficoltà per le imprese e per i cittadini italiani in relazione ai costi energetici e alle bollette.

    Quando qualcuno riduce la complessa questione energetica ad una banale e retorica scelta tra un grado di aria condizionata o di riscaldamento e la pace non ci si può decisamente attendere nulla più di questo.

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